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AZIONI ED OMISSIONI; FAR FINTA DI ESSERE SANI – DI LADISLAO MASSARI E MICHELE PASSIONE

AZIONI ED OMISSIONI; FAR FINTA DI ESSERE SANI – DI LADISLAO MASSARI E MICHELE PASSIONE

MASSARI-PASSIONE – AZIONI ED OMISSIONI. FAR FINTA DI ESSERE SANI.PDF

AZIONI ED OMISSIONI; FAR FINTA DI ESSERE SANI[1].

di Ladislao Massari * e Michele Passione **

 

“Un decreto legge che permetterà ai giudici, alla luce del nuovo quadro sanitario, di rivalutare l’attuale persistenza dei presupposti per le scarcerazioni di detenuti di alta sicurezza e al 41 bis”. Così viene preannunciato dal Ministro della giustizia il decreto legge n°. 29 del 10 maggio 2020 pubblicato lo stesso giorno su G.U. ed entrato in vigore oggi. Si introduce così la revisione periodica dei provvedimenti di “scarcerazione dei mafiosi”, sottoponendo di fatto a tutela i Magistrati di Sorveglianza e demandando ad una parte del processo, la pubblica accusa, la verifica della permanenza dei motivi “connessi all’emergenza sanitaria” che hanno determinato la sostituzione della misura cautelare in carcere con gli arresti domiciliari. Dalla spazzacorrotti alla spazzamafiosi (malati, anche gravi). Perché si deve far finta di essere sani quando si adoperano gli strumenti del diritto penale del nemico.

  • 1. Premessa (Ladislao Massari)

Sarebbe sufficiente sfogliare la Gazzetta Ufficiale del 10 maggio 2019 sulla quale è stato pubblicato il decreto legge n°. 29 contenente le “misure urgenti in materia di detenzione domiciliare o differimento della pena nonché in materia di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari, per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19” per comprendere la oramai totale schizofrenia di una legislazione d’urgenza ispirata più dalle trasmissioni televisive che rispettosa dei principi fondamentali e delle libertà costituzionali.

Ed infatti, subito dopo il testo del provvedimento in analisi trova spazio il decreto legge n°. 30 recante “misure urgenti in materia di studi epidemiologici e statistiche sul SARS-COV 2”. Si legge che la straordinaria necessità ed urgenza in ossequio all’art. 77 Costituzione troverebbe riscontro alla luce della dichiarazione del 30.01.2020 dell’Organizzazione mondiale della Sanità dell’emergenza “di sanità pubblica di rilevanza internazionale” ed in virtù della conseguente analoga deliberazione del Consiglio dei Ministri dello “stato di emergenza nazionale”. Si segnala poi “l’assoluta necessità di disporre con urgenza di studi epidemiologici e statistiche affidabili e complete sullo stato immunitario della popolazione, indispensabili per acquisire informazioni sulle caratteristiche epidemiologiche e sierologiche fondamentali, tuttora poco conosciute, del virus SARS-COV2”.

Ponendo così a raffronto le differenti urgenze (politiche) a fronte della coincidente emergenza (sanitaria) si ha modo di comprendere come il delicato equilibrio di diritti costituzionali contrapposti sembra rispondere per il legislatore governativo a logiche difformi.

Il diritto alla salute, del singolo come della collettività, diviene prevalente allorché debba confrontarsi con la riservatezza e la tutela dei dati personali, nel mentre sarebbe recessivo a fronte di presunzioni di pericolosità sociale di condannati o – ancor peggio – di indagati od imputati di reati di criminalità organizzata, terroristica od eversiva, ovvero sottoposti al regime previsto dall’art. 41 bis o.p. Pur nella totale incertezza epidemiologica attuale, che evidentemente vale per il tracciamento dei dati personali come per la gestione della popolazione detentiva.

Perché i provvedimenti adottati nel corso del periodo di emergenza sanitaria nel nostro Paese dai Magistrati di Sorveglianza e dai giudici della cautela di sostituzione della detenzione in carcere o della custodia cautelare estrema con regimi attenuati in favore di condannati o imputati affetti da gravi patologie, sono stati ispirati dalla necessità non solo di tutelare il diritto individuale alla salute ed impedire trattamenti detentivi inumani e degradanti, ma al contempo hanno risposto all’esigenza della collettività, nel tentativo di limitare la diffusione del contagio ed, ancora, di evitare di sovraccaricare il sistema sanitario nazionale[2].

Provvedimenti di attenuazione della detenzione carceraria o della custodia cautelare massima che hanno sempre e comunque natura provvisoria. Ma la provvisorietà già prevista dall’ordinamento diviene ancor più stringente e con cadenze fisse, demandando peraltro nel caso delle misure cautelari al pubblico ministero, cioè una parte del processo, “verificare la permanenza” dei motivi della sostituzione, al fine di poter poi eventualmente richiedere il ripristino della misura cautelare in carcere.

Tanto nel ricorso ad una oramai purtroppo consueta tecnica legislativa dal lessico incerto, contraddittorio e, soprattutto, in spregio di principi costituzionali fondamentali, quale in primo luogo il principio di legalità (per i condannati definitivi) e la presunzione di non colpevolezza (per gli indagati ed imputati).

  • 2. Le misure urgenti in materia di detenzione domiciliare o di differimento della pena per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19 (Michele Passione).

 

Se non fosse una tragedia, sarebbe una farsa.

Accade questo.

Durante una trasmissione televisiva un componente del CSM interviene in diretta e si toglie qualche macigno dalle scarpe, a distanza di due anni. Rimasto scottato dalla mancata nomina a Capo del DAP in favore di altro PM (hai visto mai?), fino allora (ig)noto per un’inchiesta potentina dai toni boccacceschi, dice cose gravissime, che mai smentirà. Va bene una volta, ma insomma; questa volta toccava a lui!

Poiché di farsa si tratta, poco dopo interviene il Ministro (“non sono uno stupido”, ricorda a chi lo ascolta), che trasforma in “sensazioni” le granitiche certezze mnemoniche del suo dioscuro.

Dei due eroi, si capisce subito chi è Castore, talora indicato come mortale, e chi Polluce, sempre immortale. Il primo specialmente onorato come guidatore di cocchi, il secondo come pugilatore e inventore dell’arte del pugilato.

Un coito interrotto, qualcosa si è spezzato per sempre; il Movimento sbanda. Le opposizioni di destra vorrebbero la testa del Ministro perché i mafiosi sono fuori (la lista, le liste, imperversano), giornalisti e pennivendoli soffian sul fuoco, il Governo fa quadrato, ma già pensa a come intervenire.

Così, per fronteggiare una mozione di sfiducia presentata per vedere l’effetto che fa, ecco che il legislatore di urgenza provvede a rassicurare il Paese: prima il DL n.28/2020, con pareri (non vincolanti, ma evidentemente tesi a veicolare il messaggio a chi deve decidere: “siete proprio sicuri?”) di procuratori in materia di permessi per gravi motivi e detenzioni domiciliari in deroga, e successivamente (con CdM notturno) con nuove misure urgenti per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID – 19 (DL n.29/20220, in vigore dall’11 maggio).

Del resto, dal 12 maggio si ricomincia a lavorare.

Vediamo.

Forse in Via Arenula qualcuno ha spiegato al Ministro dell’ingiustizia che non si poteva fare quel che aveva promesso e desiderato (porre nel nulla i provvedimenti dei magistrati); forse qualcuno gli ha ricordato quel che accadde qualche anno fa. Non è inutile farlo qui.

Con ordinanza n.46 del 20 febbraio 2012 la Corte Costituzionale dichiarò ammissibile il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal Magistrato di Sorveglianza di Roma nei confronti del Ministro della giustizia. La vicenda trasse origine da un provvedimento del Giudice romano, che con ordinanza del 9 maggio 2011 aveva annullato il provvedimento dell’Amministrazione penitenziaria, disponendo il ripristino della possibilità per il reclamante (sottoposto a regime differenziato) di fruire dei programmi televisivi trasmessi su due canali nazionali (Rai Sport e Rai Storia), precedentemente oscurati per asserite ragioni di sicurezza. Ciò malgrado, dopo la perdurante inosservanza del provvedimento, che aveva condotto alla proposizione di un ulteriore reclamo, il Ministro, su proposta del Capo del DAP, dispose con decreto del 14 luglio 2011 la “non esecuzione” del provvedimento giudiziale adottato in esito al primo reclamo.

Sebbene medio tempore fosse stata emanata una circolare (31 gennaio 2012) che aveva ripristinato per tutti i detenuti sottoposti al regime di cui all’art.41 bis o.p. la visione dei programmi con segnale digitale (ivi compresi quelli precedentemente oscurati), il Magistrato romano insistette per l’accoglimento del proprio ricorso, escludendo che potesse esser dichiarata cessata la materia del contendere.

Con sentenza n.135 del 2013 il Giudice delle Leggi, muovendo dal rilievo che “la menomazione delle attribuzioni di un organo appartenente al potere giudiziario ha avuto il risultato di rendere ineffettiva una tutela giurisdizionale esplicitamente prevista dalle leggi vigenti e costituzionalmente necessaria, secondo la giurisprudenza di questa Corte” dichiarò che “non spettava al Ministro della giustizia disporre, su conforme proposta del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, che non fosse data esecuzione all’ordinanza del Magistrato di Sorveglianza di Roma n.3031 del 9 maggio 2011”, annullando, di conseguenza, il provvedimento del suddetto Ministro.

Per inciso; il guardasigilli era Angelino Alfano.

Altra omissione; lo scorso 7 aprile la Corte EDU ha deciso ai sensi del regolamento in via di urgenza, ex art.39, in favore di un ricorrente a tutt’oggi detenuto senza titolo a Rebibbia, destinatario di invio in REMS per ricevere un adeguato trattamento per provvedere alle sue condizioni di tipo psichiatrico.

Numerose le disposizioni convenzionali in relazione alle quali il giudice alsaziano ha chiesto delucidazioni al Governo (artt.3, 5§1, 5§5, 6§1, 13), proponendo un regolamento amichevole. Nell’attesa del termine concesso (19 maggio pv), il ricorrente resta in carcere, non essendosi risolta l’Amministrazione ad ottemperare a quanto deciso dalla Corte europea. Vale l’art.40, comma 2, c.p.

Invece qui, come ricorda un signore (fortunatamente) scomparso dal radar, che voleva portare le persone a “giocare e mangiare” sul nuovo ponte di Genova, “è stato approvato un decreto che riporta i boss mafiosi in carcere. Le scarcerazioni disposte in autonomia dalla magistratura grazie a #DecretoBonafede ora devono essere riviste”.

In autonomia è troppo, che diamine!

E allora vediamolo, questo decreto.

Fatto l’elenco dei cattivi (mafiosi, terroristi, promotori et similia di associazioni finalizzate al narcotraffico, nonché condannati e internati sottoposti al regime differenziato) coloro i quali avessero ottenuto la detenzione domiciliare in deroga o il differimento pena per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID – 19 torneranno sub iudice. Lapalissiano, come rilevato da Luigi Ferrarella, giacché le condizioni di salute alla base di dette ordinanze debbono sempre essere verificate nella loro permanenza o modifica. Qui però occorre mandare un segnale, ed allora il termine dall’ordinanza viene indicato in quindici giorni, e successivamente con cadenza mensile, salva l’indicazione da parte del DAP di intervenuta “disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta adeguati alle condizioni di salute del detenuto o dell’internato ammesso alla detenzione domiciliare o ad usufruire del differimento della pena” (art.2, comma 1).

Il tutto, ovviamente, senza oneri per lo Stato (art.6). Prepariamoci a lebbrosari Covid, a una bella targa su qualche centro clinico, ed il gioco è fatto.

Ancora, mutuando la tecnica di drafting dall’art.83, comma 6 del DL Cura Italia, prima di provvedere (alla revoca, si suppone) dovrà essere interpellata non solo l’Amministrazione penitenziaria, ma anche l’autorità sanitaria regionale, in persona del Presidente della Giunta della regione (art.2, comma 2).

Così, accanto ai pareri preventivi (ma non per il differimento pena), di cui al DL n.28, si aggiungono i pareri successivi (“un’idea, un concetto, un’idea. Finché resta un’idea è soltanto un’astrazione”, scriveva Gaber. Allora va rafforzata.).

Ancora; resosi conto del vuoto normativo, ché il termine precedentemente indicato per la sospensione dei colloqui tra detenuti e familiari e/o altre persone era ampiamente scaduto, con l’art.4 si differisce ulteriormente al 30 giugno la possibilità di incontro in carcere, vicariata da corrispondenza telefonica (fatta salva la possibilità di almeno un colloquio al mese per i detenuti minorenni).

  • 3. Le misure urgenti in materia di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19 (Ladislao Massari).

Si interviene attraverso una revisione periodica dei provvedimenti concessivi della misura degli arresti domiciliari in sostituzione della custodia cautelare in carcere per motivi connessi all’emergenza sanitaria COVID-19, nei confronti di imputati per delitti di cui agli artt. 270, 270 bis, 416 bis c.p., 74 comma 1, DPR n°. 309/90 o per delitti commessi avvalendosi “delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione mafiosa”, o per un delitto commesso con finalità di terrorismo ai sensi dell’art. 270 sexies c.p., nonché di imputati sottoposti al regime “previsti” dall’articolo 41-bis ord.pen.

Tale “verifica” della permanenza dei motivi sanitari fondanti la sostituzione della misura cautelare con gli arresti domiciliari (e dunque non nel caso di revoca o di sostituzione con misure coercitive differenti dagli arresti domiciliari) viene demandata al Pubblico Ministero nel termine di quindici giorni dalla data di adozione della misura degli arresti domiciliari, nonché successivamente con cadenza mensile, “salvo quando il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria comunica la disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta adeguati alle condizioni di salute dell’imputato”.

Pertanto all’esito della citata verifica, il Pubblico Ministero chiede il ripristino della misura cautelare in carcere in presenza delle originarie esigenze cautelari, allorché acquisisca “elementi in ordine al sopravvenuto mutamento delle condizioni che hanno giustificato la sostituzione della misura cautelare o alla disponibilità di strutture penitenziarie o reparti di medicina protetta adeguate alle condizioni di salute dell’imputato”.

Con il secondo comma, poi, si prevede per il Giudice chiamato a decidere sull’eventuale ripristino della misura cautelare carceraria – ferma restando la possibilità di revoca della custodia in mancanza dei presupposti fondanti ex art. 299 co. 1 c.p.p. – la interlocuzione con “l’autorità sanitaria regionale, in persona del Presidente della Giunta della Regione, sulla situazione sanitaria locale”, nonché con il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria al fine di acquisire “informazioni in ordine all’eventuale disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta in cui l’imputato può essere nuovamente sottoposto alla custodia cautelare in carcere senza pregiudizio per le sue condizioni di salute”.

La decisione in ordine alla verifica periodica del provvedimento originario di sostituzione della misura cautelare in carcere con gli arresti domiciliari per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19 dovrà così tener conto della “permanenza dei motivi che hanno giustificato l’adozione del provvedimento” nonché della “disponibilità di altre strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta idonei ad evitare il pregiudizio per la salute dell’imputato”.

In mancanza di elementi sufficienti per decidere allo stato degli atti, il Giudice potrà disporre “anche d’ufficio e senza formalità, accertamenti in ordine alle condizioni di salute dell’imputato o procedere a perizia nelle forme di cui agli articoli 220 e seguenti c.p.p., acquisendone gli esiti nei successivi quindici giorni”.

Ed allora dalla lettura dell’articolo in commento può sinteticamente dedursi che:

  1. Espressa la finalità del provvedimento di iniziativa ministeriale di revisionare i provvedimenti di sostituzione della misura cautelare in carcere con gli arresti domiciliari per imputati di reati di criminalità organizzata, terroristica od eversiva ed in regime di art. 41 bisp., nella evidente logica del re peius perpensa;
  2. Palese appare una sorta di presunzione di inadeguatezza dei provvedimenti già emessi, posto che si richiamano elementi di valutazione che già precedentemente al decreto legge in commento costituivano oggetto del ponderato esame del Giudice (si pensi alla valutazione sulla compatibilità del regime carcerario con le condizioni di salute dell’imputato, da valutarsi anche rispetto alle cure somministrabili in centri clinici dell’amministrazione penitenziaria);
  3. Manifesta la logica carcerocentrica ed accusatoria, laddove si demanda al Pubblico Ministero una “verifica” che una parte (sia pure astrattamente imparziale) dovrebbe effettuare inaudita altera parte, in palese violazione del contraddittorio, sul provvedimento emesso dal giudice;
  4. Evidente la foga giustizialista che acceca, laddove trattasi di norma processuale che dispone solo per i provvedimenti già adottati, dimenticando quelli da adottare (oltre che una certa oramai consueta superficialità terminologica nel richiamo al solo imputato e non all’indagato);
  5. Singolare la interlocuzione del Giudice con il Presidente della Giunta regionale al fine di ponderare la “situazione sanitaria locale”, nel mentre le informazioni provenienti dal Dap costituiscono un ulteriore elemento ridondante, ove già acquisite dal Pubblico Ministero nella fase di verifica preliminare alla richiesta di ripristino;
  6. Superfluo il richiamo alla possibilità per il Giudice di disporre accertamenti sulle condizioni di salute dell’imputato, eventualmente anche con perizia (primo eventuale possibile momento processuale di confronto certo nel contraddittorio con la difesa), posto che si reitera quanto normativamente previsto all’art. 299 co. 4 ter p.p.

Il quadro allora che ne viene fuori è inquietante: un Pubblico Ministero alla caccia di possibili cause di revoca del provvedimento cautelare già adottato, attraverso indagini ed interlocuzioni con autorità amministrative che vedono fuori la difesa e l’imputato. Tecnicamente tale “verifica” e successiva revisione potranno intervenire senza che l’imputato – malato e già giudicato in condizioni di incompatibilità con il regime penitenziario – possa nulla dedurre, eventualmente anche attraverso propri consulenti.

Come può allora non porsi in collegamento la riforma in analisi con le vicende che hanno interessato i rapporti burrascosi tra il Ministro della giustizia ed il capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria poi dimessosi?

Come può non richiamarsi il provvedimento del 21 marzo del Dap di “segnalazione alla Autorità giudiziaria” per le “eventuali” determinazioni di competenza dei ristretti affetti da una serie di patologie indicate dal Centre for Desease Control and Prevention CDC 24/7 Saving lives, Protecting people” e dal direttore della U.O.C. Medicina protetta – Malattie infettive del Presidio ospedaliero Belcolle di Viterbo?

Un Ministro della giustizia silente nel periodo di massima espansione del virus ed in piena emergenza epidemiologica, nel concreto rischio di diffusione con effetti devastanti negli istituti penitenziari (ad oggi evitati proprio grazie alle scelte ponderate ed equilibrate dei giudici di sorveglianza e di cognizione più che a risibili istituti quale al detenzione domiciliare con braccialetto elettronico per condannati a pena inferiore ai 18 mesi), destatosi dal torpore al solo fine di cavalcare l’onda forcaiola alimentatasi fortuitamente (e forse fortunosamente) da una trasmissione televisiva.

  • 4. Ve ne era veramente bisogno? (Ladislao Massari)

 

Ma la revisione di un provvedimento cautelare di sostituzione della misura custodiale estrema con altra meno afflittiva era forse sconosciuta all’ordinamento prima del decreto legge 29 del 10 maggio 2020?

L’esigenza di porre sotto tutela il Giudice, attraverso il fiato accusatorio sul suo collo nella reiterazione di rivalutazioni cautelari, stringenti e cadenzate, che certifichino la incompatibilità o meno delle condizioni di salute dell’imputato con il carcere era davvero necessaria?

Controlli ed approfondimenti non sempre svolti nel contraddittorio, possono forse pienamente considerare i diritti dell’imputato – che deve ricordarsi ancora non colpevole dei reati pur allarmanti in contestazione – nella sua esigenza anche solo di continuità terapeutica rispetto ad eventuali trattamenti sanitari intrapresi raggiunta la parziale libertà?

Ed allora sarà sufficiente richiamare il contenuto dell’art. 299 c.p.p., nella interpretazione della giurisprudenza di legittimità, per cogliere come lo stato di salute dell’imputato e le sue variazioni “che rientrano nella personalità intesa come complesso biopsichico possono incidere sulle esigenze cautelari”[3], atteso che “diversamente opinando, si trarrebbe dalla previsione di cui al comma 4 bis dell’art. 275 cpp. una sorta di diritto irreversibile a un trattamento di favore, che cozzerebbe col principio di uguaglianza e con la naturale “flessibilità” degli interventi cautelari”[4].

Quindi sarebbe stato comunque ben possibile procedere alla rivalutazione di un provvedimento di sostituzione della misura cautelare estrema con gli arresti domiciliari senza dover intervenire con nuovi provvedimenti normativi, tanto più attraverso la tecnica della decretazione d’urgenza.

Ancora una volta la logica non è dunque tecnica e legata ad un intervento normativo correttivo del sistema processual-cautelare, quanto invece politica e di propaganda: non importa sapere perché l’imputato sia stato posto in regime cautelare attenuato e se le sue patologie abbiano di fatto – ancor più in periodo di emergenza epidemiologica – trasformato lo stato detentivo in trattamento inumano e degradante. Interessa che passi il messaggio dello spazza-mafioso, anche se ancora non colpevole né definitivamente accertato. Far finta che il mafioso non si ammala.

  • 5. Infine; una norma esoterica, e possibili scenari (Michele Passione).

All’art.5 si prevede che il meccanismo citato valga per i provvedimenti “adottati successivamente al 23 febbraio”.

Alcune domande.

Cosa è successo il 23 febbraio?

Come si raccolgono pareri quindicinali e mensili a far data dal 23 febbraio?

Qual è la distinzione tra i provvedimenti adottati e quelli “già emessi alla data di entrata in vigore del presente decreto” (per i quali il termine – di soli quindici giorni? – “decorre dalla data di entrata in vigore del presente decreto”). Non bastava questa indicazione?

C’è del marcio in Danimarca.

Mentre attendiamo l’ennesimo giro di giostra, che qualche acuto commentatore ha già preannunciato (e che ci asteniamo dal chiosare, perché non vengano altri cattivi pensieri in sede di conversione), ci limitiamo a due conclusioni finali.

Con sent. n.99 del 2019 la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.47 ter, comma 1 ter, o.p., nella parte in cui non prevede che, nell’ipotesi di grave infermità psichica sopravvenuta, il Tribunale di Sorveglianza possa disporre l’applicazione al condannato della detenzione domiciliare anche in deroga ai limiti di cui al comma 1 del medesimo art. 47 ter.

Con la sentenza citata la Corte ha rilevato come detta misura “differisce completamente dalla semplice scarcerazione del detenuto che consegue al rinvio dell’esecuzione della pena disposto sulla base degli artt.146 e 147 cod.pen…. Pertanto, la detenzione domiciliare non significa riduttivamente un ritorno a casa o tanto meno un ritorno alla libertà; certamente essa comporta l’uscita dal carcere, ma è pur sempre accompagnata da severe limitazioni della libertà personale” (§ 5.1).

Con la sentenza, storica, n.32 del 2020 la Corte Costituzionale ha rilevato (§ 4.3.2) che la regola per la quale le pene devono essere eseguite in base alla legge in vigore al momento dell’esecuzione, e non in base a quella in vigore al tempo della commissione del reato, “deve però soffrire un’eccezione allorché la normativa sopravvenuta non comporti mere modifiche delle modalità esecutive della pena prevista dalla legge al momento del reato, bensì una trasformazione della pena, e della sua concreta incidenza sulla libertà personale del condannato”. Quanto alle misure alternative e “alla detenzione domiciliare nelle sue varie forme…si tratta di misure di natura sostanziale che incidono sulla qualità e quantità della pena, e che per ciò stesso modificano il grado di privazione della libertà personale imposto al detenuto (sentenza n.349 del 1993), finendo anzi per costituire delle vere e proprie pene alternative alla detenzione (ordinanza n.327 del 1989) disposte dal Tribunale di Sorveglianza, e caratterizzate non solo da una portata limitativa della libertà personale del condannato assai più contenuta, ma anche da un’accentuata vocazione rieducativa, che si esplica in forme del tutto diverse rispetto a quella che pure connota la pena detentiva” (§ 4.4.2). Del resto, tutti i provvedimenti adottati in via provvisoria sino ad oggi dai Magistrati di Sorveglianza non mancano di richiamare l’indicata vocazione della misura applicata.

È per questa ragione che in tali casi vige il divieto di applicazione retroattiva delle leggi che aggravano il trattamento sanzionatorio previsto per il reato, perché “tra il fuori e il dentro la differenza è radicale (§ 4.3.3.).

Pur con i dovuti distinguo tra quanto scrutinato nell’occorso e la novella securitaria (ma il padre di questo ignominio giuridico è il medesimo), non ci pare che la modifica normativa introdotta sfugga ai profili di incostituzionalità, giacché la pretesa di render più stringenti e ricorrenti i presupposti di mantenimento della misura concessa costituisce una modifica contrastante coi parametri già devoluti al vaglio del Giudice delle Leggi.

*Avvocato del foro di Brindisi, componente dell’Osservatorio Corte Costituzionale UCPI

**Avvocato del foro di Firenze

[1] Liberi, sentirsi liberi

Forse per un attimo è possibile

Ma che senso ha se è cosciente in me la misura della mia inutilità.

Per ora rimando il suicidio, e faccio un gruppo di studio.

Le masse, la lotta di classe, i testi gramsciani.

Far finta di essere sani

(Giorgio Gaber)

[2] Scrive il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione: “Oggi il rischio epidemico concreto e attuale, che non lascia il tempo per sviluppare accertamenti personalizzati, può in molti casi rappresentare l”oggettivizzazione’ della situazione di inapplicabilità della custodia in carcere a tutela della salute pubblica, in base ai medesimi criteri dettati per la popolazione al fine di contrastare la diffusione del virus” in https://www.giurisprudenzapenale.com/wp-content/uploads/2020/04/Nota_PG_carceri.pdf.

[3] Cass. Sez. VI Pen., 25.10.1993, Diglio, CED 96910.

[4] Cass. Sez. VI Pe., 25.09.2002 Mastrangeli, CED 222354.