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CARCERE: Il GOVERNO È SORDO – DI RICCARDO POLIDORO

CARCERE: Il GOVERNO È SORDO – DI RICCARDO POLIDORO

di Riccardo Polidoro*

Un governo sordo ed irresponsabile ed il Parlamento assente in uno Stato colpevole ed in debito con la popolazione detenuta. Oggi abbiamo la prova di quanto avevamo sostenuto. Fu un obbligo e non una scelta politica, quella degli Stati Generali dell’Esecuzione Penale, conseguente alla condanna inflitta all’Italia dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per i trattamenti inumani e degradanti a cui sono sottoposti i detenuti.

Al grido di allarme delle Camere Penali, della Magistratura, dei Radicali, dei Garanti, di molte Associazioni, si è unito quello dei Professori di Diritto Penale. Lo stesso Capo dello Stato ha chiesto il massimo impegno per affrontare il rischio epidemia negli istituti di pena.

Ma il Governo è “sordo” ed il Parlamento assente.

Il primo si è ridotto a un “decretificio”, che, giorno dopo giorno, disfa il lavoro fatto in precedenza. Si infliggono restrizioni, chiedendo sacrifici ed avvertendo che i primi effetti si potranno vedere dopo almeno 2 settimane. Ma il giorno dopo, si impongono altri divieti, ammettendo, implicitamente, che quanto disposto in precedenza era insufficiente e così via, fino ad arrivare, con una lenta agonia, alla privazione totale della libertà ancor prima di vedere gli annunciati risultati dei precedenti provvedimenti.

Il secondo che, in uno dei momenti più drammatici della storia del Paese, dovrebbe essere attivo 24 ore, non si riunisce perché, evidentemente, deputati e senatori non ritengono di stare in prima linea, come medici e infermieri. Loro, garanzia della tenuta democratica del Paese e quindi doverosamente al capezzale dello Stato malato, si limitano a plaudire al sacrificio di coloro che disperatamente tentano di salvare la vita dei singoli.

La “riapertura parziale” della Camera del 25 marzo, avente ad oggetto prima le interrogazioni al Governo e poi l’intervento del Presidente del Consiglio con le successive dichiarazioni dei deputati, ha confermato il ruolo subordinato dei parlamentari verso i ministri, laddove invece, in Democrazia, è il Parlamento che deve dettare l’agenda politica, sempre e soprattutto in un momento come questo.

Nel discorso del Presidente Conte nessun accenno alla situazione attuale negli istituti di pena, né ai provvedimenti presi e che saranno adottati in futuro. Il Ministro della Giustizia, nel rispondere alle domande dei deputati, ha affermato che i detenuti che hanno beneficiato del provvedimento preso sono, allo stato, solo 200 (50 scarcerati e 150 già in semi-libertà o con lavoro esterno, che per ora non faranno ritorno in carcere) e che i braccialetti elettronici, che dovrebbero consentire un numero più alto di scarcerazioni, saranno disponibili nel mese di maggio, con una quantità pari a 2.600 apparecchi. Ha poi precisato che i detenuti contagiati sarebbero 15 e che saranno fornite mascherine agli istituti e predisposte alcune camere con bagno, per consentire l’isolamento.

Negli interventi dei deputati a seguito della relazione del Presidente del Consiglio, molti e giusti ringraziamenti a coloro che sono in prima linea nell’affrontare l’emergenza sanitaria, unanime cordoglio per le vittime dell’epidemia e preoccupazione per l’economia attuale e futura del Paese. Nessun intervento sulla sorte dei circa 60.000 detenuti e dei provvedimenti da adottare per scongiurare il diffondersi del virus nelle carceri e la sua possibile estensione all’esterno.

Se il Governo è sordo, i Deputati al cospetto dell’“Uomo Forte” non hanno voluto ricordargli pubblicamente, e nella sede opportuna, l’esistenza di circa 60.000 persone affidate allo Stato in condizioni che violano, di fatto, le disposizioni di sicurezza messe in atto per ragioni di sopravvivenza.

Confermata, ancora una volta, la totale mancanza di una rappresentanza istituzionale che garantisca il rispetto dei diritti dei detenuti. C’è da chiedersi, allora, se non sia il caso di rafforzare il campo di azione dell’Ufficio del Garante Nazionale, affinché possa concretamente intervenire per il rispetto dei principi costituzionali in favore della popolazione ristretta.

Fino ad ora, dunque, nulla è stato fatto, per scongiurare il diffondersi dell’epidemia tra i detenuti, intervenendo concretamente sul sovraffollamento e consentendo così la gestione ordinaria degli istituti di pena, la sola che può assicurare la salute e la vita, non solo dei detenuti, ma anche di tutti coloro che vi lavorano.

Nel primo documento della Giunta dell’Unione Camere Penali e del suo Osservatorio Carcere, all’indomani del diffondersi del virus, si invitava la politica ad agire con “intelligenza, coraggio e determinazione”. Ad oggi, tale invito non è stato seguito ed il Governo – chiuso in sé stesso – non ha saputo cogliere l’importanza di quanto gli veniva chiesto, tanto per il Paese e a maggior ragione per quella comunità di persone detenute abbandonate totalmente all’inizio dell’epidemia e, solo dopo le rivolte, degnata dell’attenzione dei media ed in parte anche del Governo.

Il “carcere” è stato sempre dimenticato dalla politica, che non ha mai dedicato la dovuta attenzione a questo mondo che meriterebbe, invece, l’impegno e la dedizione che la nostra Costituzione esplicitamente indica. L’Ordinamento Penitenziario del 1975, che finalmente riprendeva i principi costituzionali del 1948, non ha mai trovato concreta applicazione, per l’assenza di una cultura orientata verso quei sacrosanti principi. Con il passar del tempo, invece, si sono inserite nell’Ordinamento norme emergenziali, divenute poi definitive, che hanno stravolto, in parte, l’impianto voluto dal legislatore dell’epoca. Il drammatico effetto è stato il costante e deleterio sovraffollamento, il male che non consente all’esecuzione penale di avere un percorso legittimo nel rispetto delle norme e della dignità di un Paese civile. In questa ordinaria illegalità, l’emergenza sanitaria dovuta al diffondersi del Covid-19 ha rappresentato non la goccia che ha fatto traboccare il vaso, ma il fiume in piena che ha travolto un paese già terremotato.

Ammettere gli errori del passato e lanciare il disperato allarme per quanto può accadere con estrema certezza sarebbe stato un atto dovuto, “intelligente” e “coraggioso”, ma così non è stato.

Il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, sin dal suo insediamento, ha sempre sostenuto che in Italia non vi era alcun sovraffollamento delle carceri. “Al contrario di quanto molti affermino, quello del sovraffollamento delle carceri è un falso problema, sia dal punto di vista giuridico che dal punto di vista dimensionale-logistico” (dichiarazione del 7 marzo 2019, ribadita anche in altre occasioni).

Sulla base di questa sua illusione, oggi in piena emergenza sanitaria nazionale, è convinto di poter affrontare il pericolo di diffusione, all’interno degli istituti di pena, del Covid-19, senza chiedere al Governo provvedimenti di urgenza per eliminare o almeno diminuire in maniera sostanziale il sovraffollamento, ma emanando molteplici e in parte inapplicabili circolari che hanno l’effetto di benzina sul fuoco delle legittime preoccupazioni dei detenuti e della stessa polizia penitenziaria.

Se, infatti, il Consiglio dei Ministri è un “decretificio”, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria è un “circolarificio”, con l’effetto di totale sbandamento di chi tali provvedimenti deve applicare.

Nella circolare del 13 marzo scorso si legge: “… si ritiene che gli operatori di polizia penitenziaria in servizio presso le strutture penitenziarie, in quanto operatori pubblici essenziali, debbano continuare a prestare servizio anche nel caso in cui abbiano avuto contatti con persone contagiate o che si sospetti siano state contagiate”… tali operatori “dovranno fornire supporto alle attività dei Reparti di Polizia Penitenziaria di stanza presso gli istituti penitenziari”. Una disposizione priva di margini di sicurezza, che ha suscitato non poche perplessità e che ha costretto il Capo del Dipartimento ad un’ ulteriore circolare, il 20 marzo, in cui rinnegava quanto già disposto: “…appare assolutamente necessario che, nei casi in cui ciascun appartenente alla Polizia Penitenziaria ritenga di aver avuto un contatto (diretto o indiretto) con un caso di Covid-19 o comunque avverte l’eventualità di una possibile esposizione a rischio contagio per sé o per altri, debba contattare il proprio medico di famiglia o la guardia medica che, insieme ai medici dell’Asl, ovvero al medico competente ai sensi del dec.l.vo 81/2008, forniranno dettagliate informazioni ed effettueranno adeguata valutazione del rischio di esposizione, informando il direttore dell’istituto, ufficio o servizio di appartenenza, anche possibilmente in ordine alle cautele adottabili per la permanenza in servizio o meno del dipendente”.

In relazione poi a quanto previsto nei confronti dei detenuti, le circolari non hanno tenuto conto della realtà strutturale degli istituti e del numero dei ristretti, condizioni che rendono inapplicabili le misure emanate e certamente non possono tranquillizzare una comunità da sempre in emergenza igienico-sanitaria. Prevedere che “…nei casi in cui verrà disposto l’isolamento sanitario della persona all’interno del carcere, esso avrà attuazione mediante collocamento del detenuto in apposita sezione già individuata dalla Direzione (isolamento in camera singola, con servizi igienici ad uso esclusivo, garantendo tutte le precauzioni dell’isolamento sanitario). In tali sezioni gli operatori penitenziari dovranno essere muniti dei necessari DPI (mascherine FFP2, guanti e visiera)”, equivale a non aver adottato alcun rimedio, in quanto l’isolamento con bagno privato può trovare realizzazione in pochissimi istituti e per un numero limitatissimo di persone.

Nel mondo dorato delle favole del Capo del Dipartimento, le carceri hanno un gran numero di stanze di pernottamento singole, con servizi annessi, igienicamente compatibili con la degenza di un detenuto affetto dal virus ovvero in sospetta patologia. Senza tener conto che di tale isolamento dovrebbero usufruire anche i compagni di cella e tutte le persone che hanno avuto contatti con l’ammalato. Quando poi nell’immaginario contesto idilliaco irrompono i cattivi, i detenuti che protestano con modalità non condivisibili, ma comprensibili, le cronache delle rivolte non segnalano una sua presenza al fianco di Provveditori, Prefetti e Questori.

L’assenza di una completa conoscenza o comunque di una sensibilità costituzionale verso l’esecuzione penale ha portato alla drammatica inutilità dell’art. 123 del Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18, “Disposizioni in materia di detenzione domiciliare”, frutto dell’errata comunicazione tra il Dipartimento ed il Ministero, oltre che del populismo imperante di cui ormai i recenti Governi non riescono a fare a meno. Nemmeno l’attuale, che pure vede protagonista il partito che, all’indomani della condanna inflitta dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per i trattamenti inumani e degradanti a cui sono sottoposti i detenuti, dette vita agli Stati Generali dell’Esecuzione Penale e ben tre Commissioni Ministeriali per la Riforma dell’Ordinamento Penitenziario. Oggi abbiamo la prova di quanto avevamo sostenuto: fu un obbligo e non una scelta politica.

È ora – e se non è ora, quando? – che anche in materia di Esecuzione Penale trovino applicazione i principi della nostra Costituzione, sempre attuale, ma non sempre attuata, citando l’efficace pensiero di Giovanni Maria Flick.

*Co-Responsabile dell’Osservatorio Carcere dell’Unione Camere Penali Italiane