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CORONAVIRUS, EMERGENZA CARCERARIA ED IL RUOLO DELLA MAGISTRATURA DI SORVEGLIANZA  – DI ADELMO MANNA

CORONAVIRUS, EMERGENZA CARCERARIA ED IL RUOLO DELLA MAGISTRATURA DI SORVEGLIANZA – DI ADELMO MANNA

MANNA – CORONAVIRUS ED EMERGENZA CARCERARIA.pdf

di Adelmo Manna *

Sommario: 1. Emergenza carceraria e coronavirus in una prospettiva sovranazionale. 2. Le caratteristiche dell’art. 123 del decreto “Cura Italia”. 3. Le critiche uniformi del mondo penalistico nelle sue varie componenti; 4. I lavori preparatori della disposizione in oggetto. 5. Le proposte di modifica. 6. Le due innovazioni sull’art 123 introdotte alla Camera dei Deputati nella conversione in legge. 7. Il ruolo sul tema svolto dal Tribunale di sorveglianza in due recenti casi. 8. Conclusioni.

  • Iniziamo queste nostre riflessioni, all’indomani della fiducia posta dal Governo sia al Senato che poscia alla Camera dei Deputati sul D.L. 17 marzo 2020 n. 18, recante: “Misure di potenziamento del servizio sanitario nazionale e di sostegno per le famiglia, lavoratori ed imprese connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19” (in U. n. 70 del 17.3.2020), su cui è stata concessa la conversione in Legge con alcune modifiche, in particolare, sull’art. 123, di cui tratteremo funditus in seguito, in primo luogo con uno sguardo a quanto di recente accaduto a livello comunitario. Il segretario generale del Consiglio d’Europa, Marija Pejcinovic Buric, ha affermato come non sia affatto fuori luogo parlare di “tortura” per i detenuti ammassati nelle galere strapiene in questi tempi di Covid-19. Costei, infatti, presentando il nuovo Report 2019 sulla popolazione carceraria europea, ha ripreso la “recente dichiarazione dei principi emessa dal Comitato per la prevenzione della tortura[1]”, che, fra l’altro, riconosce l’”imperativo di agire con fermezza” contro il virus ed al contempo ricorda “la natura assoluta del divieto di tortura e di trattamenti disumani”.

Il Segretario Generale, Signora Buric, ha al proposito affermato: “Le amministrazioni penitenziarie e tutte le autorità competenti dovrebbero sforzarsi di ricorrere ad alternative rispetto alla privazione della libertà, in particolari situazioni di sovraffollamento e adottare tutte le misure possibili per proteggere sia la popolazione carceraria sia il personale carcerario”.

Verifichiamo ora in quali Paesi il sovraffollamento si presenti particolarmente grave: in Turchia (123), in Belgio (121) ed in Italia (119) con una media continentale di 89,5 detenuti ogni 100 posti. Quanto ai detenuti pari od oltre i 65 anni, annoveriamo la Turchia (3521), il Regno Unito (Inghilterra e Galles) (2995), la Russia (2895) ed al quarto posto l’Italia (2247).

A ciò va aggiunta la morte di un medico penitenziario, oltre ad un altro collega e due agenti penitenziari per Covid-19, in rapporto a cui contiamo attualmente in Italia 37 detenuti positivi e 158 agenti, nonché 5 funzionari.

Le presenze nelle carceri sono però leggermente diminuite da 61.235 a 57.137, non ancora certo sufficienti ad eliminare il sovraffollamento ancora di oltre 10.000 unità. La normale capienza rimane, infatti, di 47.482 posti. Altri Paesi, come il Marocco e la Gran Bretagna, hanno, infine, un piano di liberazione dai 4000 ai 5000 detenuti; molto distante dalle nostre ben più ridotte percentuali, nonostante il sommo monito persino di Papa Francesco.

Da ultimo merita ricordare che in Germania gli spacciatori in cella ammontano a 6.551 unità, quasi il doppio in Italia, cioè 12.760. all’opposto, i “colletti bianchi” in cella, in Germania sono 5.865, in Italia soltanto 351, ovverosia ben 17 volte in meno[2]. Se questi sono gli indiscutibili dati, possiamo facilmente dedurne come il notevole sovraffollamento carcerario italiano costituisce davvero una sorte di “bomba ad orologeria” per la diffusione anche nelle carceri del coronavirus, proprio perché il sovraffollamento impedisce di rispettare la sentenza Torreggiani della Cedu[3], che impone almeno 4 mq per ogni detenuto.

  • Ciò nonostante, il 9 aprile il D.L. 17 marzo 2020 n. 18 è passato all’esame prima del Senato e poi della Camera, con poche modifiche, perché, come ricordavamo in apicibus, è stata posta la fiducia.

Nonostante talune importanti modifiche al D.L., l’art. 123, che è quello che prevede “Disposizioni in materia di detenzione domiciliare” è rimasto praticamente invariato per cui merita una sintetica analisi. L’odierna soluzione ricalca il modello attuato con la L. n. 199/2010, c.d. “legge ponte”, valida sino al 31 dicembre 2013. La novità più rilevante è che attualmente la detenzione domiciliare si estende sino a 18 mesi ma da 6 a 18 mesi è obbligatorio il braccialetto elettronico. Quest’ultimo non è richiesto per i minorenni e per i condannati che non hanno più di 6 mesi da scontare nell’arco di tempo che va dal 17 maggio al 30 giugno 2020[4].

È pur vero che secondo i dati del Ministero dell’Interno sono allo stato disponibili circa 2500 dispositivi elettronici ma è evidente che non bastano se il sovraffollamento carcerario supera le 10.000 unità. È altresì vero che un’importante sentenza della Cassazione a Sezioni Unite del 2016[5] ha escluso che dall’accertata indisponibilità del congegno elettronico possa conseguire l’automatica applicazione della custodia in carcere od agli arresti domiciliari ma la sentenza è anteriore al decreto legge, che invece prevede l’obbligatorietà del braccialetto elettronico per cui allo stato risulta altamente difficoltoso applicare ora la sentenza in oggetto, a meno di tentare una problematica interpretazione “costituzionalmente orientata”, che però contrasta visibilmente con la littera legis.

  • Ciò che, tuttavia, più preoccupa è che l’art. 123 del D.L. c.d. “Cura Italia” aveva già raccolto severe riserve critiche da tutti gli operatori del settore penalistico. In primo luogo ci riferiamo ai Documenti approvati dal Direttivo dell’Associazione dei Professori di Diritto penale del 23 marzo e da quello dell’Associazione tra gli Studiosi del Processo penale del successivo 30 marzo 2020 di analogo tenore e con proposte ampliative sia della detenzione domiciliare che, ad es., anche della c.d. liberazione anticipata allargata[6]. Ad essi è seguìto un nuovo Documento del Consiglio direttivo della ASPP del 13 aprile 2020 che, al punto n. 2, si occupa ampiamente dell’emergenza epidemiologica in rapporto alla custodia in carcere[7].

In secondo luogo il 10 aprile anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in base all’iniziativa di difensori di un detenuto richiedente la detenzione domiciliare senza la condizione del braccialetto elettronico, ha formalmente rivolto al Governo italiano i dieci quesiti posti analogamente ed a suo tempo dall’UCPI[8]. In terzo luogo, pure il Consiglio Nazionale Forense in una delibera del 10 aprile 2020, ha auspicato il salvataggio dei detenuti dall’epidemia[9] nella stessa direzione il Documento approvato dalla Giunta dell’UCPI in data 20 marzo 2020, nonché la Delibera successiva del 27 marzo 2020 [10] ed il Garante Nazionale dei diritti dei detenuti e delle persone giuridiche private della libertà personale, nel contributo “Il carcere nello specchio dell’emergenza[11]. Analogamente, il CSM nel Parere sul Disegno di Legge n. 1766 Atto Senato di conversione in legge del D.L. 17 marzo 2020 n. 18, più precisamente Delibera del 26 marzo 2020[12].

E’, del pari, di notevole rilevanza, sempre nella medesima direzione, un documento in argomento del Procuratore generale della Corte di Cassazione[13].

Da ultimo anche la dottrina, nei contributi finora dedicati all’argomento, non ha mancato di stigmatizzare il più volte citato art. 123, non solo per l’utilizzo obbligatorio dei braccialetti elettronici, ma anche per il ricorso troppo parsimonioso alla detenzione domiciliare[14].

  • Per approfondire ulteriormente le caratteristiche e le finalità dell’art. 123 più volte menzionato è d’uopo collegarlo nell’ambito dei Lavori preparatori, con il rimodellamento delle cause ostative, ex n. 199 del 2010, dalle quali sono stati esclusi sia il fatto che vi sia la “concreta possibilità che il condannato possa darsi alla fuga”, che la circostanza per cui sussistano “specifiche e motivate ragioni per ritenere che il condannato possa commettere altri delitti”. La ragione di tale scelta, come rileva la Relazione illustrativa del D.L. n. 18 del 2020, “è che si tratta di due presupposti che limitano l’utilizzo dell’istituto e che in questa fase di urgenza sono di complesso accertamento” (corsivo aggiunto). A ciò si associ la possibilità, prevista dal decreto legge, di accompagnare la misura con l’applicazione di procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici (corsivo aggiunto)[15]. Da quanto sopra rilevato emerge chiaro l’intendimento del legislatore del D.L. in oggetto e, in particolare, dell’art. 123, sostituire, cioè, la discrezionalità del giudice di sorveglianza con l’utilizzo di braccialetti elettroni, nei Lavori preparatori ancora discrezionali, nel testo definitivo invece obbligatori. Il problema è, però, che allo stato non sono disponibili tutti i braccialetti elettronici, per cui la detenzione domiciliare da 6 a 18 mesi in parecchi casi non può ancora essere concessa.
  • Eppure rimedi, sia de iure condito, che de iure condendo, era possibile praticare. Si sarebbe in primo luogo potuto recuperare un’interpretazione più “dinamica” della detenzione domiciliare per motivi di salute, ex 147, c. 1, n. 2 c.p., in relazione all’art. 476 ter, c. 1, lett. c) o.p. e dell’affidamento in prova ex art. 47 o.p., applicabili entrambi in via provvisoria. La detenzione domiciliare per motivi di salute potrebbe, peraltro, essere concessa solo considerando come le condizioni di salute del detenuto, messe in grave pericolo dall’epidemia, non potrebbero consentire comunque alcuna finalità educativa[16] e, quindi, in questa prospettiva i braccialetti elettronici sarebbero dovuti diventare una condizione facoltativa e non già obbligatoria, così come la necessità della presenza costante, per il detenuto, di personale sanitario. In secondo luogo, come è stato peraltro auspicato da più parti, si sarebbe potuto giungere ad un ampliamento della detenzione domiciliare speciale “di emergenza”, di cui al D.L. 18 del 2020, concedendola a tutti i condannati con una pena in concreto da espiare non superiore ai tre anni di reclusione, in linea con i passati provvedimenti di clemenza generale. Si sarebbe potuto, altresì, prevedere una “liberazione anticipata speciale”, ovverosia 75 giorni per ogni semestre, da conteggiare anche retroattivamente, ai fini di consentire il raggiungimento dei limiti di ammissibilità degli istituti già indicati[17]. Da ultimo, vanno analizzate, a tal proposito, le riflessioni e le proposte di più largo raggio provenienti da un collega come Giovanni Fiandaca, autorevole anche perché egli è da quattro anni garante dei detenuti in Sicilia[18]. Egli ritiene che l’optimum sarebbe la previsione di una misura di deflazione penale che punti a ridurre la presenza dei detenuti in una scala tra 10 e 20 mila presenze. Per ottenere ciò, in primo luogo maggiore riduzione della discrezionalità dei magistrati di sorveglianza, perché, a suo avviso, si mostrerebbero ancora troppo ondivaghi. Consentire, inoltre, misure alternative per detenuti che devono scontare 4 o al limite 3 anni di pena. L’eccezionalità della situazione meriterebbe, infine, e, soprattutto giustificherebbe, un provvedimento di amnistia o almeno di indulto come è già avvenuto per quest’ultimo in un recente passato ma dopo un discorso al Parlamento di Papa Giovanni Paolo II. Resta, tuttavia, l’ostacolo praticamente insormontabile, anche di questi tempi, del raggiungimento della maggioranza dei 2/3 del Parlamento, ed è questa la ragione per cui il chiaro Autore sollecita il Presidente della Repubblica Mattarella ad esercitare il suo potere di grazia, ma in forma cumulativa. Ci permettiamo su quest’ultimo punto di sollevare talune riserve, nel senso che la grazia è tradizionalmente un provvedimento di carattere individuale, per cui, estenderlo in formula cumulativa, rischierebbe di esporlo all’obiezione di una forma “mascherata” di amnistia. Ove, invece, concordiamo in pieno con il Fiandaca è nelle conclusioni cui giunge l’illustre Autore, cioè a dire che “nel bilanciamento costituzionale tra salute e sicurezza questa deve cedere ampie porzioni di certezza alla tutela della salute” (corsivo aggiunto).
  • Va infine rilevato che il governo ha posto la fiducia sul decreto Cura Italia e mentre al Senato della Repubblica l’art. 123 non ha subito alcuna modifica, in sede di conversione in legge alla Camera dei deputati, che così è diventata la L. 24 aprile 2020, ancora senza numero perché non pubblicata allo stato in U., ha subìto due modifiche.

La prima riguarda l’ultimo capoverso del n. 5, ove si è aggiunto quanto segue: “Nel caso in cui la pena residua non superi di trenta giorni la pena per la quale è imposta l’applicazione delle procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, questi non sono adottati”. La ratio della nuova disposizione è abbastanza agevole da individuare, nel senso che, ad es, se il residuo pena è di diciotto mesi, ma il detenuto ne ha già scontati diciassette e, quindi, mancano a costui trenta giorni, per quest’ultimo periodo non si applicheranno strumenti elettronici di alcun tipo. Se noi facciamo riferimento in particolare alle proposte di modifica avanzate sia dalle associazioni di categoria, che da singoli autorevoli esponenti della dottrina e della giurisprudenza, ci possiamo chiaramente rendere conto che la modifica in oggetto è assolutamente di carattere minimale e, soprattutto, non risponde in maniera adeguata al rischio sempre maggiore di diffusione del Coronavirus nelle carceri, che infatti sta lentamente, ma progressivamente aumentando. La seconda modifica riguarda l’aggiunta del n. 8-bis, che infatti recita: “Le disposizioni di cui ai commi da 1 a 8 si applicheranno ai detenuti che maturano i presupposti per l’applicazione della misura entro il 30 giugno 2020”. Ciò comporta che la timida apertura in tema di detenzione domiciliare, risulta anche a tempo, per cui trattasi di una legge temporanea, con tutto quel che ne consegue, anche sotto il profilo della successione di leggi penali, che dimostra ulteriormente come l’orientamento dell’attuale maggioranza politico-parlamentare e, soprattutto, quello dell’attuale Ministro della Giustizia Bonafede, risulta, anche in questa occasione, diretto a privilegiare nettamente la prevenzione generale, che infatti apre solo temporalmente ed in senso molto ridotto alle esigenze di garanzia della persona detenuta. Va da ultimo rilevato che nulla afferma la legge per quanto riguarda la custodia cautelare, nonostante i voti in particolare del’Associazione fra gli studiosi del processo penale, che per ben due volte hanno stigmatizzato nei loro documenti questa singolare “dimenticanza”, che a questo punto porrà un problema di legittimità costituzionale della legge in oggetto, per un’evidente disparità di trattamento tra detenuti definitivi ed in custodia cautelare, del tutto irragionevole e quindi rilevante già ex art. 3 Cost..

  • A questo punto giunti, crediamo sia opportuno analizzare due recenti casi di 41-bis, in relazione alla detenzione domiciliare, ove invece, come constateremo, i Tribunali di Sorveglianza di Sassari e di Milano hanno mostrato, almeno a nostro avviso, notevole equilibrio giuridico-costituzionale.

Il primo caso riguarda il detenuto Pasquale Zagaria, noto boss della criminalità organizzata, che si trovava a scontare un residuo pena di meno di diciotto mesi, ma affetto, al contempo, da assai gravi condizioni di salute. Il Tribunale di Sorveglianza di Sassari ha interpellato dapprima il DAP, per sapere se nel territorio italiano sussistessero altri istituti penitenziari atti alla complessa a variegata bisogna, ma il DAP non ha risposto. Tale mancata risposta ha indotto successivamente il Ministro della Giustizia Bonafede a nominare come vice direttore del DAP l’ex PM della DDA, Dott. Roberto Tartaglia, particolarmente esperto quindi sul tema in oggetto. La mancata risposta del DAP ha condotto a questo punto il Tribunale, con ordinanza del 23 aprile 2020 (in giurisprudenzapenale.com, 25 aprile 2020), a decidere per la scarcerazione dello Zagaria, ma, si badi, non già in base all’art. 123, trattandosi, appunto, di detenuto al 41-bis, che quindi ha commesso gravi reati, bensì, a causa delle gravi condizioni di salute, che anche l’ordinamento penitenziario riconosce come ragioni valide per la scarcerazione, ex art. 32 Cost., pure perché il residuo pena, nel caso di specie, risultava davvero esiguo e, comunque, inferiore al limite dei diciotto mesi.

Il secondo caso, invero assai simile al primo, riguarda un altro detenuto in 41-bis, cioè Francesco Bonura, anch’egli boss della criminalità organizzata, ma con un residuo pena inferiore ai diciotto mesi e con una situazione sanitaria pure assai grave. Anche in questo caso il Tribunale di Sorveglianza di Milano, con ordinanza del 21 aprile 2020, ha deciso per la scarcerazione per motivi analoghi a quelli precedentemente indicati. Risulta a questo punto prevedibile come ora anche Raffaele Cutolo, ben noto boss, ma da tempo in condizioni di salute assai precarie e verso il fine pena, abbia a sua volta fatto ricorso al Tribunale di Sorveglianza, ma ciò pone un problema di non poco momento, ovverosia se per i detenuti al 41-bis, ma che versino in condizioni di salute assai gravi e per i quali il residuo pena sia alquanto ridotto, debba prevalere un diritto penale caratterizzato dalla prevenzione generale tout court, oppure debba applicarsi, in tutta la sua estensione, una disposizione quale l’art. 27, terzo comma della Costituzione. A questo proposito non può non farsi riferimento all’opinione di un autorevole esponente della Cattedra e soprattutto del Foro, come Franco Coppi, che in una recente intervista, rilasciata all’Huffingtonpost il 28.4.2020, dal significativo titolo “ I diritti valgono anche per i mafiosi”,  ha giustamente condiviso le ordinanze su ricordate dei Tribunali di Sorveglianza, rilevando come sia sempre necessario un bilanciamento fra le esigenze general-preventive del sistema e le garanzie del cittadino, che, anche se recluso in carcere e pure se condannato per delitti di criminalità organizzata, incarnate negli artt. 27 terzo comma e 32 Costituzione, nel senso che, laddove le condizioni di salute non consentano la permanenza in carcere, debbano appunto prevalere le norme costituzionali su richiamate e quindi il detenuto debba essere scarcerato e ciò a garanzia dei suoi diritti fondamentali come persona, ex art. 2 Cost., che certo non possono venir meno nell’ipotesi in cui l’individuo si trovi ristretto in carcere, anche per reati che destano grave allarme sociale.

  • Quanto osservato dal Coppi costituisce, allo stato, l’ultima voce che si aggiunge a tutti i settori della penalistica, sia nazionale che sovranazionale, che si sono dimostrati critici nei confronti dell’attuale approccio italiano all’emergenza virus nelle carceri. Quel che, per di più, appare paradossale è che anche i mezzi di comunicazione di massa, che pur quotidianamente sono sempre prodighi di notizie e consigli sul coronavirus, e ciò ovviamente in modo del tutto condivisibile, invece delle carceri non se ne occupano a meno che non si verifichino rivolte, oppure scarcerazioni di detenuti “eccellenti”, come se la pandemia non riguardasse i detenuti, né il personale carcerario – mentre abbiamo già verificato in apicibus che così non è – tanto che sembra che i detenuti siano considerati, paradossalmente, cittadini di una serie inferiore. Con ciò si dimostra di non tenere in alcun conto, ad esempio, della ben nota sentenza della Cassazione, Sezione I penale, nel caso di Toto Riina, che, con un tumore al quarto stadio aveva fatto ricorso in Cassazione avverso il provvedimento della Corte d’Appello, Sezione di Sorveglianza di Parma che gli aveva confermato il regime di cui all’art. 41 bisp.. La Cassazione annullò tale provvedimento con una coraggiosa sentenza di rinvio che affermava, fra l’altro, in punto di diritto e come obiter dicta non solo che “ogni cittadino ha diritto ad una morte libera e dignitosa[19], ma anche, per quel che qui più direttamente rileva, come la “soglia di dignità (…) deve essere rispettata pure nella condizione di restrizione carceraria”.

Orbene, la netta sottovalutazione, nell’emergenza carceraria del possibile scoppio della “bomba coronavirus”, ci pone al cospetto, ancora una volta, di un “populismo penale”, ove le esigenze securitarie, come bene ricordava, in particolare, il Fiandaca, prevalgono sia sul diritto alla salute, che, conseguentemente, sulla funzione rieducativa della pena che, infine, sui diritti fondamentali della persona che, ex art. 2 Cost., che invece non possono certo essere pretermessi sol perché il soggetto si trova in vinculis[20], come, da ultimo, hanno dimostrato le coraggiose ordinanze dei Tribunali di Sorveglianza di Sassari e di Milano.

 

 

*Professore Ordinario di diritto penale nell’Università di Foggia

 

(*) Il presente contributo, che integra solo in parte l’Editoriale della Rivista “Nel Diritto”, ha comunque ottenuto il nulla osta dall’Avv. Rosa Paola Gaudenzi dell’ufficio autori e redazione, perché lo stesso sia pubblicato anche sulla Rivista “Diritto di Difesa”. Va però aggiunto che trattasi ormai di due saggi alquanto diversi, non solo per il titolo, ma anche per il contenuto.

[1] Cfr. Statement of principles relating to the treatment of persons deprived of their liberty in the context of the coronavirus disease (COVID-19) pandemic, 20 marzo 2020, punto 5.

[2] Stella G.A., Il rapporto noi e l’Europa – L’Italia delle celle affollate ha il doppio di pusher reclusi rispetto alla Germania, in Corriere della Sera, 8 aprile 2020, 33.

[3] Corte EDU, Sez. II, Torreggiani e altri c/ Italia, 8 gennaio 2013, in hudoc. echr. coe.  int.; utilizzano tale terminologia, ad esempio, anche GIOSTRA, Disinnescare in modo sano la bomba-virus nelle carceri, in www.sistemapenale.it, 27.3.2020; nonché, in generale, ID, La riforma penitenziaria: il lungo e tormentato cammino verso la Costituzione, in Dir.pen.cont., 2018, 4, 123; nonché PUGIOTTO, La bomba carceraria ed i suoi artificieri, in Il Manifesto, 1 aprile 2020.

[4] Cfr. NATALINI, Detenuti: domiciliari con “braccialetto” per pene fino a 18 mesi, in Guida al dir., n. 15, 28 marzo 2020, 18 ss., ove è riportato anche l’art. 123; sul decreto in esame, c.d. “Cura Italia”, cfr. anche Guida al dir., n. 16, 4 aprile 2020.

[5] Cass., SS.UU. Penali, 19 maggio 2016, n. 20769, in DJG, che infatti afferma altresì come debba pur sempre valutare il giudice ai fini dell’applicazione o sostituzione della misura coercitiva, la specifica idoneità, adeguatezza e proporzionalità di ciascuna di esse in relazione alle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto. Attualmente, tuttavia, la discrezionalità del giudice di sorveglianza è stata sostituita (sic!) dal braccialetto elettronico.

[6] Entrambi pubblicati in Arch. pen. online, rispettivamente 24 e 31 marzo 2020.

[7] Cfr. Le osservazioni dell’Associazione tra gli studiosi del processo penale “G.D. Pisapia” sulle disposizioni eccezionali per la giustizia penale nell’emergenza Covid-19”, in Sistema penale, 14 aprile 2020; ove si rileva, fra l’altro, come l’art. 123, in modo del tutto irragionevole, rilevante ex art. 3 Cost. non si occupa minimamente dei detenuti in custodia cautelare, che quindi non posso beneficiare della non applicazione della detenzione domiciliare, sino a 18 mesi, proprio perché non estesa agli arresti domiciliari.

[8] ADN07667 Cro o ADN Cro Naz. Coronavirus: CAIAZZA (UCPI), “Anche CEDU interviene su braccialetti, stop farsa”.

[9] Il Dubbio, 10.4.2020.

[10] In Diritto di Difesa, 10/4(2020.

[11] www.dirittopenaleuomo.it.

[12] In Diritto di Difesa, 10/4/2020.

[13] Il ruolo del Pubblico Ministero nella riduzione delle presenze in carcere durante l’emergenza coronavirus: un documento della Procura generale della Cassazione, in Sistema penale, 6/4/2020

[14] GATTA-DOLCINI, Carcere, coronavirus, decreto ‘Cura Italia’: a mali estremi timidi rimedi, in Sistema penale, 20 marzo 2020; MURONE, Osservazioni a prima lettura in tema di decreto “Cura Italia” e nuova detenzione domiciliare, in Giur. pen. web, 2020, 3; PIVA, Il diritto penale ai tempi del coronavirus: troppo su inosservanza e poco su carcere, in Arch. pen., 2020, n. 1, spec. 14 ss.

[15] Cfr. Dossier, 21 marzo 2020, Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesso all’emergenza epidemiologica da Covid-19 – D.L. 18/2020 AS 1766, vol. II, artt. da 49 a 127, 2, 273 ss. e quivi 276-277.

[16] In tale senso, seppure in linea generale, Cass., I Pen., 9.7.2015, n. 13211, sulla necessità che le condizioni di salute consentano al detenuto “di partecipare consapevolmente ad un processo rieducativo, che si attua attraverso i previsti interventi obbligatori del servizio sociale”. In argomento, anche per altri pregevoli spunti, POMANTI, La pena nell’emergenza oppure la pena dell’indifferenza?, di prossima pubbl. su Arch. pen., quivi 20 (del dattil.).

[17] POMANTI, op.loc.ult.cit.

[18] FIANDACA, “Gratteri irresponsabile. Mattarella dai la grazia!”, in Il Riformista, 4 aprile 2020, 3 ss.

[19] Cass., Sez. I Pen., Pres. Di Tomassi, Rel. Cocomello, 5 giugno 2017 (ud. 22 marzo 2017), n. 27766.

[20] Ecco anche perché va rifiutata l’ideologia, di cui risulta impregnata anche la politica criminale dell’attuale Ministro della Giustizia che vede la pena come un male che si aggiunge al male commesso, su cui v., invece, da ultimo, in senso giustamente critico, DONINI, Il raddoppio del male, in Una Città, n. 212/2014 aprile.