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GLI AVVOCATI di Gaetano Insolera

GLI AVVOCATI di Gaetano Insolera

di Gaetano Insolera

1.La prosecuzione di una rivista dell’Unione delle Camere Penali Italiane trova forti ragioni nel ruolo che questa associazione ha progressivamente assunto nel fluire del tempo.

Un’ associazione che nacque per rappresentare le istanze fondamentali dell’Ufficio difensivo: istanze che affondano le radici in una tradizione storicamente collocabile nell’ affermarsi di forme politiche capaci di tradurre quelle concezioni, di derivazione illuministica, più impegnate a limitare i poteri dell’autorità nei rapporti con i diritti civili fondamentali dei consociati.

È il ruolo degli avvocati che accompagna il diverso sviluppo, rispetto agli avvenimenti di Francia, della rivoluzione americana. “Al cittadino statunitense viene insegnato, fin dalla prima infanzia, che deve lottare con le sue sole forze contro i mali e le difficoltà della vita; egli getta sull’ autorità sociale uno sguardo diffidente e inquieto e si appella al suo potere solo quando non ne può fare a meno…” (A. de Toqueville, La democrazia in America, Rizzoli, Milano, 1992, 201). Il rule of Law non può soccombere alla “volontà generale”: ufficio dell’avvocatura è quello di garante essenziale dei limiti della sovranità politica, anche in democrazia. In penale, limiti e regole della coercizione più penetrante.

Questa è la fisionomia storicamente determinata dell’avvocatura, all’ origine delle democrazie liberali: certo idealtipica, ma che, ha costituito, e costituisce, un’irrinunciabile prescrizione per individuare il forte senso politico di una professione che non può ridursi a mestiere, a supporto tecnocratico del potere. Eventualità questa che, purtroppo, non fa fatica a trovare ricorrenti esempi nella storia dell’avvocatura e dell’accademia penalistica. Nel primo caso per i ritorni economici e concorrenziali che si possono trovare nella vicinanza ai sovrani di turno, nel secondo per i diversi prezzi che possono essere pagati dall’estabilishment a fronte del “tradimento dei chierici”. 

2.Se questa è la genealogia dell’avvocatura moderna, il corso degli avvenimenti, il fluire della storia, può attualizzare e concretizzare ciò che ho definito un modello originario.

L’ appello alla “volontà generale” è la caratteristica di quello che, qui e oggi, definiamo dominante populismo penale.

In che modo la variegata definizione politica del populismochiama in gioco i penalisti?

Al principio sta la questione dell’interpretazione della legge e della creatività giudiziaria, delle estensioni punitive analogiche, alimentate dal vaticinio “extraparlamentare” oggi, oltre che ideologico, digitale, della volontà generale.

E’ necessario uscire dal “giardino”, per confrontarsi con la qualità della democrazia, dei rapporti tra i poteri e della loro divisione: per contrastare la “democrazia giudiziaria”, con la politica criminale disegnata e imposta dal Potere giudiziario, da singole star di procura, piazzate anche nell’ organo di autogoverno della magistratura, che trovano larghi consensi nella ANM, trasformatasi da sindacato in decisivo attore politico. Pifferai di Hamelin, dalla costante presenza televisiva.

Ma dopo i risultati delle elezioni del 4 marzo 2018, la presa del potere da parte dei populisti ha una conseguenza: i limiti posti da un diritto penale liberale, della divisione dei poteri nel nostro Stato costituzionale di diritto, già sottoposti ad attacchi nelle precedenti legislature corrive alle indicazioni della magistratura e all’ inseguimento dei consensi della cd. antipolitica, è caduto nelle mani di  chi ha fatto una missione della realizzazione di un feroce giustizialismo.

Le clausole contenute nel farsesco “Contratto per il governo del cambiamento” che produsse il primo governo Conte – l’Avvocato del popolo – hanno trovato compulsivo adempimento.

Per la democrazia liberale la chiamai un “una discesa nel Maelstroem”, e pensai che la  lotta per un diritto penale liberale sarebbe stata dura, ma avrebbe potuto dare un senso più forte e coraggioso alla legalità costituzionale, nel caso di tirannia della maggioranza: la fedeltà alla Costituzione avrebbe dovuto prevalere su ogni altra osservanza e preferenza di chi è chiamato a giudicare della costituzionalità delle leggi (magistrato ordinario o costituzionale), anche difendendo la propria lealtà e indipendenza contro giudici direttamente, o indirettamente, di nomina parlamentare.

Poi la crisi d’ agosto e il secondo governo Conte.

Al ministero della giustizia è stato confermato Alfonso Bonafade.

Tra i punti programmatici che hanno animato il dibattito che ha condotto alla nuova alleanza, la questione della giustizia penale ha avuto uno spazio a dir poco esiguo.

Nel discorso programmatico pronunciato dal presidente Conte il 9 settembre alla Camera, ottenendo la fiducia, il tema ha occupato trenta secondi. Ciò avvenne nonostante la compulsiva legislazione illiberale che ci ha accompagnato dal giugno 2018 e ingenerò pessimismo sulla possibilità che la nuova compagine potesse porre rimedio, quanto meno, ai più vistosi sfregi inferti alla fisionomia di un diritto penale liberale.

Il pessimismo si sorreggeva su due considerazioni.

Il garantismo del diritto penale liberale non appartiene a quello che resta della tradizione della sinistra marxista. Quanto alla confusa ideologia dei 5Stelle, un ruolo centrale ha l’esasperato giustizialismo e il sostegno incondizionato alle iniziative delle Procure della Repubblica. Un movimento di tricoteuses.

Altra considerazione: il consenso che ha portato alla conclusione della crisi, si è coagulato non certo su una omogeneità programmatica, considerata la genericità di promesse e parole d’ordine sentite, quanto piuttosto su fondatissimi timori per scelte economiche già attuate o preannunciate, in conflitto con i vincoli europei.

Quanto è avvenuto dal settembre 2019 mi ha confermato che ci troviamo di fronte ad uno scambio scellerato: l’abbandono di un antieuropeismo, spesso demagogico e sguaiato, che ha caratterizzato la precedente esperienza di governo, anche da parte del socio di maggioranza, è “scambiato” con una sostanziale continuità e con la conservazione di quanto già inoculato nel nostro sistema di giustizia penale. Una riflessione che ci riporta ad un tipo di europeismo coerente con scelte illiberali emerse in occasione del caso “Taricco”.

I populisti dominanti e presenti in tutti i partiti della nuova coalizione non hanno avuto imbarazzi ad assecondare il mantenimento delle macerie lasciate dal precedente esecutivo in tema di giustizia penale: si pensava di accreditare l’idea che il truce populismo giustizialista fosse stato monopolio, e colpa, del solo sovranista Salvini.

Un’ illusione: svelata dall’ entrata in vigore, a scoppio ritardato, della Prescrizione di Bonafede: la situazione è disperata ma non seria – non mi stanco di ripetere, forse per tirarmi su!

Cirielli – chi era costui? – con un colpo di reni ebbe la forza di pretendere si dicesse “ex” del pastrocchio del 2005: oggi il nostro ineffabile ministro mena gran vanto della sua legge, mentre i capi del suo sodalizio, tornati in piazza a sostegno del governo di cui sono magna pars – la piazza che darebbe voce a tutto il popolo – si spingono a vedere in lui un grande ministro di giustizia nella storia repubblicana… boom! Certo è stata una storia di Caste corrotte, lontane, se non nemiche, del popolo.

Dicevo, con il populismo giustizialista al potere nel giugno 2018, occorreva che il contrappeso, giudiziario ordinario e costituzionale, trovasse il coraggio per difendere la Repubblica costituzionale.

E qualcosa in effetti è avvenuto. Devo però dire di una mia percezione: mi sembra che nel sentire giudiziario sia prevalsa la convinzione che l’attacco populista fosse solo il frutto delle sguaiate performance dell’onnipresente e impresentabile capo della Lega.

Nulla di più sbagliato: sulla giustizia penale diverse priorità e retoriche corrispondono ad un identico disprezzo verso nemici del popolo, diversamente identificati.

La lotta attorno alla prescrizione di Bonafede ne costituisce la chiara epifania.

È avvenuta una cosa sorprendente, e ora non mi voglio occupare delle alchimie di una torbida situazione politica.

Accade che una riforma, affrettata e posta, insieme ad altre, in una fase di confusa realizzazione di slogan disattenti alla realtà dei complessi congegni del sistema di giustizia penale, sia contrastata dalla avvocatura – genia maledetta di azzeccagarbugli rapaci – ma anche dalla accademia penalistica e – udite, udite – da procuratori generali e presidenti di Corte d’ appello, fino a quello della Corte di Cassazione.

E allora, no pasaran: si mobilita la ANM, è scontato, basta che non si tocchi il CSM, e, duole dirlo, anche qualche bravo professore, che così si sottrae a faziose contrapposizioni, che ascoltando i sondaggi, spiega ai penalisti le nequizie della prescrizione penale, rispetto a quelle del processo civile (!?). E poi non sono forse imprescrittibili già i reati puniti con l’ergastolo? Bonafede ha anche meriti con la sua riforma: è un faro che accende i riflettori sul problema della lentezza del processo penale. Il processo, una volta iniziato non può fermarsi: è il rito della memoria.

E mi fermo io. Non prenda l’ira il sopravvento.

3.Quella dell’Unione Camera Penali si conferma, oggi più che mai, come l’unica voce che meglio esprime la difesa dello stato costituzionale di diritto e torniamo all’ alba delle moderne democrazie liberali.

Ma forse è nella logica delle cose: da sempre sono gli avvocati ad essere vicini alle sofferenze di quei consociati che in una mattina possono vedere cambiata la loro vita, per la decisione di un poliziotto e di un procuratore della Repubblica, restandone appesi per un tempo indefinito.

Oggi, più che mai questa deve essere la voce che non scambia le nostre libertà con il mantenimento di un estabilishment impaurito.