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I VACCINI SPERIMENTALI DEL PROCESSO MEDIATICO – DI LUCA BREZIGAR

I VACCINI SPERIMENTALI DEL PROCESSO MEDIATICO – DI LUCA BREZIGAR

di Luca Brezigar*

In questo momento di crisi, di fronte al pericolo della “disinformazione”, alcuni media divulgano quotidianamente appelli nei confronti di tutti gli organi si stampa, affinché siano rispettate le norme deontologiche, attraverso il controllo più scrupoloso delle notizie. Mentre tutto si è fermato, le nostre aspettative, i nostri impegni, le nostre libertà, i nostri diritti, per essere rimandato ad un prossimo futuro, forse si comincia a riflettere sugli errori passati. Superata questa drammatica fase che stiamo tutti attraversando, avremo forse imparato che soltanto una rigorosa correlazione tra il fatto e la sua notizia può soddisfare l’interesse pubblico all’informazione, così come garantita dall’art. 21 della Costituzione, ma che tale diritto incontra un necessario limite in altri diritti e interessi fondamentali della persona. C’è allora da sperare che quanto sta accadendo ispiri virtù anche nel campo dell’informazione giudiziaria.


Sul caso della bozza di decreto per contrastare l’emergenza coronavirus, anticipata da alcuni organi di stampa, è di recente insorto il Codacons, dichiarando di aver presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Roma.
 
La divulgazione della bozza di una legge emergenziale, non firmata, ancora suscettibile di modifiche, il cui contenuto destava allarme sociale, ha indotto molte persone a fuggire dalle cosiddette zone rosse per tornare a casa, per raggiungere i familiari o magari per cercare riparo dall’infezione laddove il virus non si era ancora manifestato.
 
Migliaia di persone, prese dal panico, si sono messe in viaggio tutte insieme nel timore di perdere i propri contatti familiari, ansiose di riuscire a sottrarsi alla stretta delle misure coercitive emergenziali, all’esilio e alla quarantena, col rischio di portare con sé la malattia e trasmetterla in territori del Paese non ancora interessati dal contagio.
 
A fronte dell’accaduto, l’associazione a tutela dei consumatori chiede, oggi, alla magistratura di accertare chi ha diffuso agli organi di stampa la bozza di decreto, generando il caos tra i cittadini e determinando così spostamenti di massa con treni, pullman ed auto dal Nord al Sud Italia.
 
Chiede di indagare individuando i responsabili e di disporre nei loro confronti la misura dell’arresto in carcere assumendo, addirittura, la violazione degli artt. 110 e 438 del Codice Penale, (concorso in epidemia) che prevede niente meno la pena dell’ergastolo.
 
E non punta soltanto il dito sui politici, o sui loro responsabili per l’informazione, ma muove accuse dirette anche alla stampa, denunciando pubblicamente come “sbagliata” la scelta di molte testate di pubblicare, on line, la bozza del decreto, perché il diritto alla salute sarebbe prevalente rispetto a quello all’informazione, contrariamente a quanto sostenuto da alcuni conduttori di programmi televisivi.
 
Emerge così un dato che va registrato, al di là della fondatezza o meno di questa ipotizzata azione giudiziaria, ed è quello per cui lo “scoop” appare, idealmente, sul banco degli imputati con tutte le sue caratteristiche negative.
 
Dai lavori dell’ultimo convegno di Roma organizzato dall’Osservatorio media e informazione giudiziaria dell’Unione delle Camere Penali Italiane, dal titolo “Il processo mediatico tra diritto di cronaca e presunzione di innocenza: distorsioni e antidoti” è emerso come dato oggettivo il fatto che quasi sempre, i cosiddetti “fake” di cronaca giudiziaria nascono dalla necessità delle testate di arrivare prima della concorrenza.
 
Un’esigenza che incide necessariamente sull’accuratezza del controllo della notizia, a partire dalla stessa fonte, per arrivare a quei dettagli che spesso risultano essenziali al fine di offrire una corretta informazione.
 
Se poi ci si trova assieme sulla linea di partenza, con in mano una “news” importante e tuttavia priva di contorni, la partita si gioca sul terreno del sensazionalismo che fa più “share” ed il gioco è fatto.
 
Basta osservare che succede oggi e cosa abbiamo dovuto leggere o apprendere dai programmi televisivi e dai social network, cercando di informarci, il più possibile, proprio a proposito del Coronavirus:
 
Il virus gira da fine gennaio! ….. No! Almeno da ottobre o novembre …… Nasce dalla zuppa di pipistrello …… ma anche dai serpenti! ….. No! È stato creato in laboratorio dai cinesi …… anzi dagli americani che facevano le prove di Pandemia tre mesi fa …… C’erano anche i Francesi! …… No! è colpa dei Russi! …… È tutta colpa dell’inquinamento …… L’incubazione è di due o tre giorni, ma in alcuni casi anche quattordici ……. Anzi, in rari casi anche ventisette …… Il contagio avviene solo per via aerea …… No! sterilizzate tutto, sulle superfici sopravvive giorni, specie sul metallo …… Ma ha una carica virale innocua …… Anzi se si posa sul metallo diventa più aggressivo …… La mascherina non serve a nulla … Anzi sì! È indispensabile sempre! ……. Tanto col caldo se ne va, muore a 26° ……. No, non è vero! State attenti perché muta … Muoiono soltanto gli anziani ma solo se hanno altre patologie ……  No! Muoiono tutti anziani e giovani! ……” e via così.
 
Sono chiaramente notizie contraddittorie e distorte che gettano la popolazione nell’angoscia e nell’incertezza, con tutto ciò che ne consegue, che possono cagionare pericolose ripercussioni sull’ordine pubblico, in questo delicatissimo momento.
 
Tanto che alcuni media, finalmente, di fronte al pericolo della “disinformazione” divulgano quotidianamente appelli nei confronti di tutti gli organi si stampa, affinché siano rispettate le norme deontologiche, attraverso il controllo più scrupoloso delle notizie e diffondono quindi proclami come questi: “Oggi più che mai l’informazione influenza la nostra sicurezza e la nostra vita” – “Le notizie sono una cosa seria” – “Fidati soltanto dei professionisti dell’informazione” – “Scegli gli editori responsabili, gli editori veri” – “Scegli la serietà”.
 
Mentre tutto si è fermato, le nostre aspettative, i nostri impegni, le nostre libertà, i nostri diritti, per essere rimandato ad un prossimo futuro, forse si comincia a riflettere sugli errori passati, rivisitando completamente priorità, riscoprendo valori ormai dimenticati e travolti dalla frenesia dei nostri moderni stili di vita, dalla quotidiana gara che ci ha coinvolto per stare al passo con i tempi.
 
Sempre durante il convegno tenutosi a Roma sul tema dell’informazione, c’è stato un bel confronto tra tutte le figure professionali interessate al tema del processo mediatico.
 
Tra i relatori erano presenti importanti esponenti dell’avvocatura, della magistratura e del giornalismo e tutti, chi più chi meno, hanno riconosciutogli enormi gli danni che un processo parallelo svolto in televisione, attraverso i talk show, produce sul sistema giudiziario, proprio a causa degli scoop, delle fake news e dei numerosi casi di cosiddetta “disinformazione”. 
 
Da una premessa condivisa sono emerse, tuttavia, idee circa i modi di una possibile gestione del fenomeno assolutamente differenti.
Tra queste, in particolare, sono state esposte le “mise en eouvre” delle linee guida emanate dal CSM nel 2018 sui rapporti tra magistratura e stampa, da parte delle più importanti Procure, come quelle di Napoli e di Milano.
 
In breve, molti problemi si risolverebbero attraverso la predisposizione di conferenze stampa da parte della magistratura inquirente, che avrebbero il pregio di fornire, contemporaneamente e a tutte le testate, le stesse notizie (ovverosia la voce della sola accusa), filtrate dal capo dell’ufficio di Procura, così evitando fughe indiscriminate di notizie, violazioni del segreto istruttorio, salvaguardando il dovuto bilanciamento tra diritto all’informazione e diritto alla riservatezza dei soggetti coinvolti.
Oggi, più ancora di ieri, questa soluzione non ci appare la soluzione corretta o comunque non sembra affatto poter essere la soluzione del problema.
 
Ritenere, ad esempio, pubblicabili dalla stampa le ordinanze di custodia cautelare secondo le linee guida anticipate dal CSM due anni orsono ed oggi recepite da queste circolari, significa fornire, in quella prima delicatissima fase, una notizia obiettivamente incompleta, di parte, a volte (spesso) errata e pertanto suscettibile di ingenerare pericolosi pregiudizi, non solo a danno del giusto processo ma soprattutto dello stesso indagato.  Significa, inoltre, sostanzialmente sdoganare e rendere parzialmente lecita la violazione del segreto istruttorio di seconda fascia, anche alla luce delle nuove norme sulle intercettazioni.
 
A tal proposito, la scelta della cosiddetta contro-riforma Bonafede è stata, si dice, quella di conservare il principio di continenza nella riproduzione delle trascrizioni delle intercettazioni all’interno degli atti cautelari, prevedendo una pacata riproduzione dei soli brani essenziali delle comunicazioni e conversazioni intercettate all’interno delle richieste e delle ordinanze cautelari.
 
Questo meccanismo <<sarebbe funzionale alla scelta, riconducibile alla riforma Orlando e confermata in sede di contro-riforma, di intervenire sul fronte del divieto di pubblicazione degli atti del procedimento (c.d. segreto esterno), laddove l’art. 114, comma 2, c.p.p. esclude ora l’ordinanza applicativa di una misura cautelare, nell’ottica di una più̀ genuina fruizione di informazioni e notizie a beneficio dell’opinione pubblica, dal novero degli atti, seppur non più̀ coperti dal segreto, di cui sia vietata la pubblicazione, anche parziale, fino alla conclusione delle indagini preliminari>>.[1]
 
In pratica, in caso di misura cautelare, essendo consentita la pubblicazione della relativa ordinanza, si è così introdotto un metodo surrettizio per aggirare l’ostacolo della divulgazione di atti di indagine coperti da segreto istruttorio, ora addirittura accompagnati e protetti da nuovi presidi di impenetrabilità sino alla conclusione delle indagini preliminari, come la trascrizione in forma peritale a seguito dell’avvenuto stralcio, in contraddittorio, dei risultati ininfluenti.
 
Il tutto attraverso una moderata riproduzione delle conversazioni e comunicazioni intercettate che dovrebbe esser capace, da sola, di tutelare la riservatezza di terzi estranei al procedimento e degli stessi indagati, per tutti gli aspetti privi di rilevanza investigativa, una modalità comunque suggerita in modo ordinatorio, la cui violazione resta come al solito sprovvista di sanzioni.
 
Per l’effetto, dopo l’esecuzione delle misure cautelari, fase ovviamente monca delle nuove “garanzie” di cui all’art. 268 c.p.p., tutte le conversazioni e comunicazioni richiamate o riportate nel testo dell’ordinanza cautelare sono pubblicabili ai sensi dell’ultimo periodo del 2° comma dell’art. 114 c.p.p., mentre le altre intercettazioni saranno coperte da segreto istruttorio e diverranno ostensibili ai media e all’opinione pubblica al termine delle indagini, previa udienza stralcio, in caso di disaccordo con la difesa, dal giudice per le indagini preliminari.
 
Se queste sono le nuove frontiere per lenire i danni del processo mediatico, davvero non ci siamo.
L’impressione è che le linee guida introdotte dalla magistratura siano più sottili di quanto sembra e che convergano su un obiettivo diverso e ben preciso, ovverosia quello di proteggere la propria categoria dalla violazione del segreto istruttorio, mantenendo il controllo sulle notizie che riguardano le azioni giudiziarie.
 
Del resto, pubblicare i risultati delle intercettazioni anche in tono riassuntivo, attraverso le ordinanze di custodia cautelare, che oramai divengono veri e propri libri da edicola, non getta senz’altro acqua sul fuoco, anzi è tutta farina per il mulino del processo mediatico.
 
Il segreto istruttorio di seconda fascia continua a subire violazioni in modo surrettizio e con condotte che da tempo avrebbero dovuto essere punite con maggiore efficacia deterrente rispetto a quella che è in grado di imprimere di un decreto penale di condanna, oblazionabile con una pena pecuniaria irrisoria.
 
Si tratta di una sanzione perfettamente inutile, come i trentaduemila avvisi di garanzia che in questi ultimi giorni sono stati notificati a coloro che sono accusati di aver violato le restrizioni imposteci dal Governo, in nome del diritto alla salute.
 
Si parla adesso, ogni ora, di bilanciamento di valori in gioco e si afferma che quel diritto sovrasta ogni altro assioma della nostra Carta Costituzionale, legittimando le estese ed inusitate limitazioni che oggi affliggono la nostra libertà di movimento.
 
C’è allora da sperare che quanto sta accadendo ispiri virtù anche nel campo dell’informazione giudiziaria e che finalmente ci si accorga che le ipotesi di accusa sono soltanto una provvisoria “bozza” della realtà, un’idea approssimativa e spesso lontana dal “decreto” definitivo, che non debbono mai essere consacrate come verità assoluta.
 
Forse si prenderà atto in modo concreto del fatto che il processo mediatico rappresenta un danno gravissimo per la giustizia, in quanto causa indebite pressioni e condizionamenti su tutti gli operatori coinvolti, portando l’opinione pubblica ad abbracciare politiche giustizialiste che ci allontanano da quel percorso che il nostro Paese ha faticosamente intrapreso per realizzare pienamente quei valori processuali che sono propri di uno stato liberale, moderno e democratico.
 
Superata questa drammatica fase che stiamo tutti attraversando, avremo forse imparato che soltanto una rigorosa correlazione tra il fatto e la sua notizia può soddisfare l’interesse pubblico all’informazione, così come garantita dall’art. 21 della Costituzione, ma che tale diritto incontra un necessario limite in altri diritti e interessi fondamentali della persona, come l’onore e la reputazione, anch’essi costituzionalmente protetti dagli artt. 2 e 3 Cost. dovendo peraltro, in materia di cronaca giudiziaria, confrontarsi anche con il presidio costituzionale della presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27 della Costituzione, come più volte ha insegnato la Corte di Cassazione.
 
Che la verità di una notizia mutuata da un provvedimento giudiziario sussiste solo ogniqualvolta essa sia fedele al contenuto del provvedimento stesso, senza alterazioni o travisamenti, dovendo il limite della verità essere rigorosamente inteso.
 
Che il sacrificio della presunzione di innocenza richiede che non si esorbiti da ciò che è strettamente necessario ai fini informativi e che anche il rapporto tra giustizia e informazione giudiziaria necessita di un doveroso bilanciamento dei valori e dei beni protetti dalla nostra fonte primaria.
 

 


*Co-Responsabile dell’Osservatorio sull’informazione giudiziaria dell’Unione Camere Penali Italiane


[1] D. Pretti, La metamorfosi delle intercettazioni, Sistema Penale n. 2/2020, § 2.5