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IL PARADIGMA DELLA PREVENZIONE – DI MARCELLO FATTORE

IL PARADIGMA DELLA PREVENZIONE – DI MARCELLO FATTORE

di Marcello Fattore

Il sotto-sistema delle misure di prevenzione costituisce un “paradigma” secondo la definizione di Thomas Kuhn? La sua struttura ha le proprietà razionali, garantistiche, ordinanti, che dovrebbe possedere un sistema gemmato dall’albero penalistico, ovvero non è vero il contrario, ossia che è stato il “Begriff” prevenzionale a fondare quella “controcultura” capace di porsi oggi come un paradigma “esterno alla Legalità”, destinato a soppiantare definitivamente quello penalistico in nome della “efficienza”?

    Le acute e raffinate considerazioni promosse da Francesco Petrelli reclamano di essere costituite ad oggetto di una riflessione aperta, che provi ad abbracciare altre fenomenologie della modernità giuridica, al fine di comprendere se, ad esempio, l’idea della prevenzione – sorta nel sottosuolo del terreno penale, in modo carsico, vena limpida all’occhio ma acida alla gola – non sia nel tempo diventato un paradigma “esterno alla Legalità”, che pretenda oggi di emergere alla luce del sole e di sostituirsi, in quanto “sistema”, al modello di origine in nome di una sorta di “etica dell’effettività”.
            A far tempo dall’unificazione italiana, la politica scoprì che la Legalità funzionava bene declamata nelle aule dei Tribunali, nei convegni scientifici o scritta sulle lavagne delle università ma costituiva addirittura un ostacolo quando doveva diffondere nella popolazione l’idea di una protezione assoluta dell’edificio liberale-borghese, sia nei riguardi delle sue portanti ideologiche, sia dei suoi aggetti.
            Da qui la delega in bianco dello stato ottocentesco alle misure di polizia contro gli anarchici, i briganti, gli operai, i dissidenti politici tout court – chene revocavano in dubbio la filosofia di fondo – e contro le frange della marginalità, dei vagabondi, degli oziosi, che ne insidiavano la tranquillità.
            La scelta del tempo, di tipo funzionalistico, fu proprio quella di derogare alla Legalità – alla materialità, all’offensività, all’extrema ratio,alla colpevolezza intesa ancora in senso psicologico, all’habeas corpus, alle garanzie giurisdizionali – e il prodotto che ne fu la risultante venne smerciato su un mercato parallelo a quello ufficiale, dove i controlli sulla qualitànon erano quelli riservati alla confezione lussuosa del diritto penale ma – molto più alla buona – a una materia destinata ad armare solo la mano dei questurini: beninteso, in via preventiva.
            L’escamotage semantico è stato il paravento capace di occultare la nascita di un sottosistema (rectius:di unparadigma ma ce ne si accorgerà fuori tempo massimo) “esterno alla Legalità”, che dalla matrice penalistica prendeva l’utile – l’arsenale afflittivo-inabilitante – rigettandone il resto.
            I semi che produrranno qualcosa di simile a ciò che oggi definiamo populismo giudiziario erano stati al tempo lanciati.[1]
            Per esigenze di sintesi trascuriamo l’utilizzo dello strumentario in questione durante il regime fascista e i motivi che hanno portato la Corte Costituzionale a salvare il sistema della prevenzione, grazie anche al varo repentino della legge fondamentale del 1956, che, intervenuta sulla censura della Consulta in punto di violazione della riserva di giurisdizione, ingenerò la sensazione netta di una conformità generale del sistema ai principi della Carta.[2]
            Ciò serve solo a confermare che, sin d’allora, il paradigma “esterno alla Legalità” manifestava proprietà autopoietiche che avrebbero dovuto indurre a ritenerlo qualcosa di molto più insidioso dell’ultimo e striminzito capitolo di ogni manuale di diritto penale.
            “Una pre-condizione governa i due fenomeni – quello elitario della nuova legalità e quello trasversale del populismo penale – ed è quella costituita dal disarmo della politica e dall’abdicazione della sua necessaria ed insostituibile opera di mediazione.”
            Francesco Petrelli coglie nel segno nell’individuare le patologiche catene di trasmissione dell’attuale sistema di produzione del diritto penale.
            Esse trovano – forse – origine storica nel dramma del secondo conflitto mondiale e, in particolare, nel fallimento teorico del diritto come sistema scientifico autosufficiente: la Reine Rechtslehre di Hans Kelsen non era riuscita a legare le mani al legislatore del Führer, ciò che venne ritenuta una concausa degli orrori determinatisi[3].
            Da qui il recupero, in Germania, dei dettami della filosofia dei valori, ritenuta capace di ancorare la legge a ciò che universalmente “vale”, al fine di evitare il ripetersi di simili, immani tragedie.[4]
            In Italia, la Costituzione del 1948/49 si legittimava in questo clima a diventare proprio quello scrigno di valori che reclamavano di essere riconosciuti, classificati, comparati, su cui si impegnò la giovane leva della Magistratura italiana, a partire dalla metà degli anni ’60, e precisamente dal Convegno dell’Associazione Nazionale Magistrati di Gardone del 1965.[5]
            Queste condizioni ancora quiescenti – un sistema della prevenzione sopravvissuto alla Carta ed una Magistratura auto-investita di un ruolo attivo nella produzione del diritto – impattarono con la stagione delle emergenze, che costrinse uno Stato in affanno a ricorrere all’appiglio della prevenzione.[6]
            L’articolo 1 della legge 575 del 1965 in materia di misure di prevenzione scopre gli indiziati di appartenere ad associazioni mafiose; la legge Reale del 1975 estende l’applicazione delle misure di prevenzione ai terroristi; la legge Rognoni-La Torre del 1982 forgia il 416-bis e la confisca di prevenzione.
            L’abbraccio tra un Legislatore alla caccia di emergenze da fronteggiare con strumenti “esterni alla Legalità” – allo scopo di dimostrarsi inflessibile per intercettare consensi – e una Magistratura alla ricerca di valori da tutelare, si è consumato sul terreno sperimentale della prevenzione ed in quel laboratorio prosegue ad affinare il paradigma “esterno alla Legalità”, attraverso un modo di produzione del diritto generatosi dal rapporto tra il protagonismo di una Magistratura capace di estendere oltre il limite consentito l’interpretazione della norma e l’accidia politico-criminale di un Legislatore impegnato solo a generalizzare meccanicamente gli epiloghi in malam partem raggiunti dalla giurisprudenza.[7]
            Tutte le modifiche normative più significative degli ultimi anni in materia di prevenzione sono state sistematicamente anticipate dalla giurisprudenza.
            Qualche esempio:
–       prima dell’abrogazione dell’art. 14 L. 55/90 ad opera dell’11-ter DL 92/08, che ha comportato l’estensione soggettiva delle misure patrimoniali ai casi di pericolosità generica, la giurisprudenza di legittimità aveva anticipato la modifica, ritenendo che l’art. 19 L. 152/1975 estendesse ai soggetti indicati nei nn. 1 e 2 del 1 comma dell’art. 1 L. 1423/56 l’applicabilità sia delle misure personali sia di quelle patrimoniali (Sentenze Nicoletti e Marcellino);
–       nella prevenzione patrimoniale, la modifica sulla non indispensabilità del requisito dell’attualità della pericolosità sociale è stata anticipata dalla giurisprudenza in tema di morte del propostoe di prosecuzione del procedimento a carico deglieredi;
–       la prevalenza del sequestro/confisca di prevenzione sulle procedure fallimentari è stata anticipata dalla giurisprudenza, così come:
–       l’applicabilità del sequestro/confisca ai proventi dell’evasione fiscale, e:
–       l’estensione dell’applicabilità del sequestro/confisca ai reati contro la pubblica amministrazione.
            Le norme così create si stabilizzano grazie alla formazione di un diritto vivente che colma per via giurisprudenziale i deficit applicativi derivanti dalla mancanza di approfondimento nella sede propria parlamentare sottraendo così sostanzialmente la norma al sindacato di costituzionalità.
            Emblematica in tal senso è la tipizzazione giurisprudenzialesuccessiva alla aspra censura di Strasburgo sul sistema italiano della prevenzione nel caso De Tommaso, attività posta in essere al verosimile fine di evitare la mannaia della Corte Costituzionale.
            Con la precisazione decisiva che, in questo caso, la tipizzazione non ha riguardato un istituto, una singola norma o un elemento della disposizione legislativa ma l’intero sistema, affrontando problemi in punto di legalità (tipicità, determinatezza) e addirittura colpevolezza.[8]
            “Sono esattamente questi [la rinuncia della politica a un’idea di giustizia e la “politicizzazione” della Magistratura] i diversi elementi che hanno di fatto, nell’ultimo decennio, costituito la base recettiva delle nuove idee circa la necessità di smantellare l’impianto della legalità processuale e sostanziale e l’urgenza di imporre un “nuovo paradigma”, una nuova legalità giudiziaria e sovranazionale del tutto disancorata dalla funzione nomopoietica dei Parlamenti ed accentrata sulla logica sistemica del precedente interpretativo e sul potere cetuale di chi la governa.
            La lucida analisi di Francesco Petrelli si attaglia, a nostro avviso, alla storia delle misure di prevenzione, sistema “esterno alla Legalità” ma intraneo all’afflittività penalistica, il cui paradigma ha per primo avanzato nel tempo la sua candidatura a soppiantare – in nome di un ambiguo quanto sinistro concetto di effettività – quello libertario, garantistico, umanitario, secolarizzato, che abbiamo conosciuto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


[1] Si vedano gli Atti del Parlamento subalpino, Camera dei deputati, sessioni del 1851 e 1852, nella accurata ricostruzione di Mereu, Cenni storici sulle misure di prevenzione nell’Italia ‘liberale’ (1852-1894), in Le misure di prevenzione (atti del convegno di Alghero), Milano, 1975, 197 ss. Altresì, Ferrajoli,  Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, Bari, 1989, 818 e ss., Fiandaca, Misure di prevenzione (profili sostanziali), in Digesto discipline penalistiche, IV, Torino, 1994, 110 ss. In particolare, sul sistema dell’emergenza penale e sulla legislazione in deroga, Troncone, La legislazione penale dell’emergenza in Italia, Napoli, 2001, 33 ss.
[2] Elia, Libertà personale e misure di prevenzione, Milano, 1962.
[3] Kelsen, Lineamenti di dottrina pura del diritto, Torino 2000.
[4] Welzel, Diritto naturale e giustizia materiale, Milano, 1965.
 
[5]La mozione finale, presentatori Benvenuto, Beria di Argentine, Principe, muove dal rifiuto della «concezione che pretende di ridurre l’interpretazione ad una attività puramente formalistica indifferente al contenuto e all’incidenza concreta della norma nella vita del paese» per rilevare che «Il giudice, all’opposto, deve essere consapevole della portata politico-costituzionale della propria funzione di garanzia, così da assicurare, pur negli invalicabili confini della sua subordinazione alla legge, un’applicazione della norma con- forme alle finalità fondamentali volute dalla Costituzione»”, Bruti Liberati, Palamara , (a cura di) Cento anni di associazione magistrati, Milano, 2010, 13.
[6] Fiore C., Ordine pubblico (dir. pen) (voce), in EdD, XXX, Milano, 1981.
[7]Quanto all’ambiguità̀ [dell’esperienza giuridica contemporanea] essa impronta il piano delle scelte legislative riflesse nel linguaggio attraverso il quale esse si esprimono. La sua funzione identitaria dell’esperienza giuridica contemporanea si correla al noto – ed ampiamente indagato – fenomeno di ‘crisi della legge’, a cui non è estraneo il processo di sgretolamento ed opacizzazione della responsabilità̀ politica delle rappresentanze parlamentari, che finisce per trasferire sul ‘giudiziario’ la gestione dei bilanciamenti interni alle strategie normative di tutela di settori eticamente e politicamente ‘caldi’, ovvero di incerta cifra epistemologico/scientifica.”, così, limpidamente,  Maiello V., http://www.penalecontemporaneo.it/d/1621-confisca-cedu-e-diritto-dell-unione-tra-questioni-risolte-ed-altre-ancora-aperte , in Dir. pen. cont. – Riv. trim., n. 3-4, 2012, 43 e ss.,
 
 
[8] Si veda Cass. pen. sez. I, Sent. 43826/18 ove si sostiene che così interpretate le norme censurate “contengono gli spunti tassativizzanti che consentono di ritenerle disposizioni idonee ad orientare le condotte dei consociati in modo congruo”. Per un commento esaustivo, Maiello V., La prevenzione ante delictum da pericolosità generica al bivio tra legalità costituzionale e interpretazione tassativizzante in Giurisprudenza Costituzionale 1/19, 14 e ss.