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LA BABELE DEI COMANDI E DELLE INTERPRETAZIONI – DI FRANCESCO PETRELLI

LA BABELE DEI COMANDI E DELLE INTERPRETAZIONI – DI FRANCESCO PETRELLI

di Francesco Petrelli

Le nuove regole rischiano di non trovare più la necessaria obbedienza e di svelare una più profonda crisi della norma che l’emergenza virus ha solo in parte portato ad emersione. Poiché la norma è mal scritta e contraddittoria, spesso si tratta non solo di interpretarla, ma anche di re-immaginarla. Resta solo da valutare se questa diffusa e dilagante cultura dell’interpretazione delle regole sia funzionale alla complessità del mondo che ci circonda. Una complessità che il proliferare delle regole stesse contribuisce ad alimentare, producendo una oramai ingestibile Babele di precetti la cui interpretazione non costituisce più solo un problema teoretico e tecnico ad uso degli specialisti, ma un profondo e diffuso motivo di disagio sociale che rischia di compromettere la stabilità stessa delle collettività umane.


Il disorientamento è la cifra dei nostri giorni. La fine della quaresima e della quarantena anziché rassicurarci di una prossima resurrezione alla normalità e ad un futuro migliore, ci pongono di fronte a un orizzonte incerto: l’incertezza dei comandi e l’incertezza del futuro coincidono in maniera tanto drammatica quanto paradigmatica. Di fronte a questo disorientamento individuale e collettivo le nuove regole rischiano di non trovare più la necessaria obbedienza e di svelare una più profonda crisi della norma che l’emergenza virus ha solo in parte portato ad emersione.
 
Dire a qualcuno “scappa che il cane ti morde” è un comando che ha molte probabilità di essere rispettato, perché quel che in quel momento più desidera fare il destinatario del comando è proprio scappare a gambe levate. È sufficiente questo banale esempio per comprendere la ragione per cui quando la volontà del comando coincide con la volontà del destinatario, il comando basta a sé stesso e non necessita di ulteriori condizioni. Così dovrebbero funzionare le cose in uno stato di emergenza quando un pericolo incombe su di una intera collettività.  La soluzione del problema sta sempre, a ben vedere, nel riuscire a far incontrare le due diverse volontà, quella dell’autore del comando e del suo destinatario. Cosa non sempre facile neppure nei casi di allarme. Possiamo infatti immaginare alcune variabili del discorso, del tipo: “ma quale cane! Non vedi che è solo un cucciolo?”.
 
Insomma, per far coincidere le due volontà il comando deve essere anche dotato di credibilità e di autorevolezza, con il risultato che tutto si complica quando il comando ha natura ed origini più complesse.  Se infatti le giustificazioni addotte (scientifiche, politiche, morali) risultano controverse o addirittura non condivise, se i comportamenti imposti risultano poco chiari o contraddittori o se non se ne comprendono sufficientemente le motivazioni, le probabilità di una diffusa disobbedienza al comando saranno certamente maggiori. 
 
Altrettanto deve dirsi se l’eventuale sanzione minacciata risulterà sproporzionata alla violazione, se essa sarà percepita come futura ed incerta nella sua applicazione e se l’illecito stesso sarà difficile da accertarsi. Sebbene, almeno in astratto, la “salute pubblica” dovrebbe essere il bene in assoluto più condiviso e come tale istintivamente oggetto di cura e di protezione da parte di ciascuno di noi, sono dunque molteplici gli ostacoli che ci impediscono di vedere realizzata questa condizione ideale anche di fronte agli esiti visibili di un drammatico contagio pandemico.
 
Una generalizzata diffidenza nella scienza e nella politica, le cui scelte oscillano fra precauzione e conoscenza empirica dei fenomeni, e la scarsa fiducia riposta nei soggetti decisori in genere, sono certamente le condizioni che rendono il quadro ideale di una compartecipazione al bene comune, attuata attraverso una convinta adesione al precetto, di non facile realizzazione.
 
Ma a fornire un ulteriore contributo alla perdita di senso della vincolatività delle norme vi è certamente la tendenza sempre più diffusa a reinterpretare il comando in relazione alla propria visione del mondo ed alle proprie scale valoriali. Un abito mentale assai diffuso ci ha in fondo disabituati all’idea stessa della legalità come semplice obbedienza (o disobbedienza) al comando in quanto tale, ovvero alla regola scritta.
 
Tanto l’obbedienza che la disobbedienza non sono mai rivolte infatti alla regola in sé, ma alle finalità cui la regola sarebbe rivolta, ai valori che di volta in volta essa incarna, individuati in maniera soggettiva ed in via interpretativa da ciascuno di noi. E non sono più neppure le ideologie, tramontate da tempo, a determinare le condotte disobbedienti. Non si assaltano i supermercati perché si è contrari alla norma che tutela la proprietà privata, ma solo per impossessarsi di un bene sebbene protetto da quella norma.
 
Nessuno più è soggetto solo alla legge e nessuno più disobbedisce alla legge come è stata scritta, ma alla legge così come da noi stessi interpretata. E si comportano così tanto il destinatario della norma quanto colui che la applica, entrambi convinti di essere investiti di tale potere-dovere da una ulteriore interpretazione.
 
Ma poiché la norma è mal scritta e contraddittoria, spesso si tratta non solo di interpretarla, ma anche di re-immaginarla. E poiché Kant diceva che l’uomo si pone di fronte alla realtà “impugnando dei principi”, finisce inevitabilmente che ciascuno ci metta dentro del proprio. Resta solo da valutare se questa diffusa e dilagante cultura dell’interpretazione delle regole (a fronte di una totale assenza di cultura della formazione e nella giustificazione delle norme) sia funzionale alla complessità del mondo che ci circonda. Una complessità che esce stremata dalle emergenze globalizzate come quella che stiamo vivendo e che le norme non riescono più a ricomporre come sarebbe invece necessario al fine di rendere interiorizzabili i relativi comandi.
 
Una complessità che il proliferare delle regole stesse contribuisce ad alimentare, producendo una oramai ingestibile Babele di precetti la cui interpretazione non costituisce più solo un problema teoretico e tecnico ad uso degli specialisti, ma un profondo e diffuso motivo di disagio sociale che rischia di compromettere la stabilità stessa delle collettività umane. Riflettere sulla necessaria razionalità dei precetti e sulla opportunità di condividerne la elaborazione, piuttosto che impegnarci nella loro interpretazione, è forse ciò che la crisi ci insegna. E ciò tanto più è vero in quanto alla crisi del comando corrisponde certamente una crisi dei diritti e delle garanzie senza le quali una società democratica non può certo sopravvivere.
 
Anche perché vale sempre la morale espressa nel famoso dialogo di Humpty-Dumpty con Alice dove si spiega che il significato delle parole alla fine lo decide sempre chi comanda.