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LA RIANIMAZIONE DEL SENSO CIVICO – DI GIORGIO VARANO

LA RIANIMAZIONE DEL SENSO CIVICO – DI GIORGIO VARANO

di Giorgio Varano*

L’epidemia ci ha posti tutti, volenti o nolenti, innanzi a un qualcosa di nuovo. Ognuno di noi ha delle sensazioni che non riesce a spiegare, perché si sente contemporaneamente partecipe ed estraneo a quello che sta accadendo fuori della propria casa.

Un paese intero agli arresti domiciliari, ognuno di noi espulso temporaneamente dal vivere sociale, con l’illusione di una partecipazione allo stesso attraverso i social network. Il presente ci appare confuso, il futuro enigmatico. Tutto quello che il nostro pensiero non riesce a elaborare ci appare sempre enigmatico.

In questo momento, inoltre, ci accompagna anche una frustrazione le cui cause iniziano a essere decifrabili. Non riusciamo a partecipare al divenire degli accadimenti, ne siamo semplici inerti spettatori ed anche di secondo grado, attraverso dei filtri alle volte un po’ oscuri. Il dualismo tipico dell’uomo, l’essere soggetto agente e cosciente, in questo momento vede fermo l’essere agente, lasciando una prateria al nostro essere cosciente.

Questo spazio forse andrebbe utilizzato per riflettere, per comprendere noi stessi, e non per illuderci di partecipare al divenire degli accadimenti. È anche una lezione di umiltà, a cui siamo tutti forzatamente sottoposti. All’improvviso abbiamo scoperto che non esiste un universo tolemaico, non gira tutto intorno a noi, ma siamo noi a girare intorno, un puntino tra miriadi di altri puntini che girano intorno ad un qualcosa di imperscrutabile.

E allora anche la camera dell’eco, creata dai nostri sistemi di partecipazione virtuale alla vita sociale, si mostra asfittica come del resto è sempre stata. Il nostro dire rimbalza contro i muri di una stanza virtuale che abbiamo creato per illuderci di essere partecipi alla vita sociale, politica e pubblica del nostro Paese. Questi muri in realtà hanno solo creato pregiudizi, polarizzazioni, migrazioni di consensi, radicalizzazioni della modestia che si è fatta pensiero politico, odio sociale, sindrome da soggetto in divisa con il blocchetto delle multe nelle mani, perdita di comprensione e quindi di fiducia nelle istituzioni, nella giustizia, nella competenza.

Un grande contenitore non di ragioni ma di emozioni che non seguono logiche comprensibili. Derive incontrollabili anche da coloro che le hanno create, attraverso un cinico e sapiente utilizzo degli algoritmi, per acquisire un consenso che si è poi dimostrato volatile, come tutto ciò che è fondato solo sulle emozioni indotte.

Però qualcosa sembra iniziare a cambiare. Questa nostra privazione della vera libertà, dopo qualche giorno di spaesamento e il tentativo di nutrirci del succedaneo dei social network per sentirci partecipi e quindi liberi, ci sta mostrando come non possiamo vivere solo nella ricerca o nell’appagamento di emozioni indotte, ma abbiamo necessità di vivere anche e soprattutto di riflessioni, di dialoghi veri e non di asserzioni, di confronti reali e non di editti, di umile competenza e non di orgogliosa incompetenza.

Questa classe politica in perenne bozza sta dimostrando tutta la sua inadeguatezza, tutto il suo vivere di una comunicazione vanitosa, pasticciata e artata, a tratti infantile, nel perenne incubo del consenso. In questo momento, però, nessuno intende chiederle il conto, perché c’è la consapevolezza che non sarebbe in grado di pagarlo e soprattutto che la priorità è salvare il Paese, non giudicare. Allora diventiamo tutti dei soldati semplici, ubbidiamo non alle norme ma al nostro anestetizzato senso civico, in una sorta di rianimazione del nostro essere cittadini, al netto di una frangia di persone irresponsabili e inconsapevoli del dovere civico.

Non comunichiamo più i nostri umori, stimolati con virali giri di bozze con squallide tecniche da “Grande Fratello”. Non riconosciamo più una classe politica come tale, divenuta all’improvviso formalmente classe dirigente solo per l’abdicazione della ragione in favore delle emozioni.

Ragioniamo su cosa significhi essere espulsi dalla società, visto che lo stiamo vivendo un po’ tutti, cosa significhi essere agli arresti, cosa significhi il non governo del Paese, delle emozioni, della ragione, del buon senso. Ragioniamo su quale contributo possiamo dare alla nostra società, ora che lo stiamo dando semplicemente stando a casa per tutelare gli altri e noi stessi.

Stiamo scoprendo come sia possibile bilanciare i nostri diritti con quelli degli altri. Stiamo scoprendo sulla nostra pelle cosa significhi la ghettizzazione delle persone, la insensatezza della ferocia verso gli ultimi, ora che siamo tutti un po’ gli ultimi.

Questa livella, piombata nella nostra società come conseguenza del virus, ci sta facendo percorrere forzatamente un percorso di consapevolezza verso l’essere cittadini, verso l’apprezzamento della competenza, del lavoro duro e silenzioso, dell’importanza della ragionevolezza, della giustizia dal volto umano, della serietà. Verrà il momento del giudizio politico, ma ora tutti noi dobbiamo dimostrare di essere per primi capaci di aiutare, con le nostre competenze o anche solo con il nostro senso civico, la società e la politica a far ripartire il nostro amato Paese.

*editoriale pubblicato su HuffingtonPost Italia qui e concesso dall’autore per la pubblicazione anche su questo sito