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LE CONTRADDIZIONI DELL’ORDINAMENTO GIUDIZIARIO ITALIANO di Carlo Guarnieri

LE CONTRADDIZIONI DELL’ORDINAMENTO GIUDIZIARIO ITALIANO di Carlo Guarnieri

 

di Carlo Guarnieri

Le organizzazioni giudiziarie dei moderni stati costituzionali devono affrontare un dilemma di fondo. Da un lato, devono assicurare che i giudici svolgano in modo soddisfacente la loro funzione istituzionale: risolvere controversie sulla base delle norme del sistema giuridico. Dall’altro, devono garantire a questi stessi giudici garanzie di indipendenza che escludano forme di subordinazione che possano danneggiarne l’imparzialità.

Esistono tradizionalmente due modalità per affrontare questo dilemma, che corrispondono alle due grandi famiglie giuridiche di civil law e di common law. Nel primo caso ci troviamo di fronte a magistrature con un assetto organizzativo di tipo burocratico, che reclutano i propri componenti subito dopo gli studi universitari e poi provvedono alla loro formazione. Al contrario, una magistratura professionale tende a reclutare personale già esperto.

La funzione istituzionale dell’organizzazione viene così perseguita in due modi diversi:

– nelle magistrature burocratiche verificando il comportamento dei propri componenti tramite la cosiddetta carriera ed i vagli che la caratterizzano;

– nelle magistrature professionali grazie alla selettività del reclutamento, cioè inserendo nel corpo personale già formato di cui si è sicuri dell’orientamento a perseguire gli obiettivi dell’organizzazione.

Nella seconda metà del Novecento, questo quadro si è modificato. Anche in Italia, le prerogative del giudice si sono espanse, grazie all’introduzione di forme di controllo di costituzionalità delle leggi. Inoltre, tutte le decisioni che toccano lo status del magistrato sono state affidate ad un organo – il CSM – in larga parte eletto dai magistrati stessi.

Aver affidato al CSM le valutazioni di professionalità ha però generato una sorta di conflitto d’interessi, dato che vengono effettuate da chi viene eletto proprio da coloro che saranno valutati. Non ci si deve stupire se esse si concludono quasi sempre con una valutazione positiva. D’altra parte, le modalità di reclutamento poco sono cambiate dalla riforma introdotta nel 1891 dall’allora ministro della giustizia Giuseppe Zanardelli. Il risultato di questi mutamenti è stato la creazione di una sorta di ibrido fra magistratura burocratica e professionale che ha messo insieme i punti deboli di entrambe.

La mancanza di informazioni affidabili sulle capacità dei candidati – quasi tutti valutati positivamente – apre la strada alle influenze correntizie o politiche, specie quando si devono attribuire posizioni di rilievo. Restano i limiti del reclutamento iniziale nell’individuare i candidati veramente capaci, limiti accentuati dal fatto che si recluta un personale destinato a svolgere un fascio molto ampio di funzioni. Non è facile determinare il profilo del candidato ideale: è evidente che le qualità di un buon pubblico ministero non sono le stesse di un buon giudice della famiglia. È ancora presto per dire quanto l’istituzione della Scuola Superiore della Magistratura abbia ovviato a questi problemi. Pare però che solo superficialmente si sia ridotto l’isolamento della magistratura dalle altre professioni giuridiche: l’autoreferenzialità resta una caratteristica del processo di formazione dei nostri magistrati.

La conseguenza più critica di tale situazione è che si lasciano al giudice spazi di interpretazione dei testi normativi estremamente ampi. Ci si può quindi domandare in che misura la “soggezione alla legge” da parte del giudice possa corrispondere alla realtà. Si tratta di una considerazione che assume particolare rilievo nel caso del pubblico ministero. Qui gli spazi di discrezionalità sono ancora maggiori, visto il carattere inevitabilmente complesso della sua attività. Si tratta di spazi che spesso non trovano nel giudice un valido contrappeso, anche per via del nesso organizzativo che lo lega al pubblico ministero. Il risultato è lo sviluppo di un notevole potere, di fatto privo di efficaci forme di responsabilità.

Per concludere, l’attuale assetto non sembra garantire adeguatamente le capacità professionali dei nostri magistrati. Anzi, proprio la debolezza delle valutazioni di professionalità lascia ampio spazio a pressioni di vario tipo, specie nel processo di nomina alle posizioni di maggiore rilievo. Il dilatarsi poi dei margini di discrezionalità rende sempre più illusoria la “soggezione” del giudice al sistema giuridico. Ne consegue un progressivo indebolimento della garanzia dei diritti del cittadino – affidata alle mutevoli interpretazioni del magistrato – e dello stesso legame con la sovranità popolare, tradizionalmente assicurato dalla “soggezione” del giudice alla legge. Ci troviamo in realtà di fronte ad un processo che, alla lunga, potrebbe innescare un mutamento radicale – e non positivo – del nostro regime politico.