Enter your keyword

LO STRANO CASO DEL DECRETO LEGGE FANTASMA – DI GIOVANNI FLORA

LO STRANO CASO DEL DECRETO LEGGE FANTASMA – DI GIOVANNI FLORA

FLORA – LO STRANO CASO DEL DECRETO LEGGE FANTASMA.pdf

di Giovanni Maria Flora*

La “conversione” nella legge n. 157 del 2019, nuove disposizioni in materia penale tributaria, del d.l. 26 ottobre 2019 n. 124 che aveva una insolita peculiarità: in base al terzo comma dell’art. 39 del decreto in questione esse erano destinate ad “avere efficacia” solo con la conversione in legge del decreto stesso in cui erano collocate. Insomma, un decreto, in parte qua, qualificabile come decreto “fantasma” o meglio, per coloro che non credono ai fantasmi, “inesistente”. La Corte Costituzionale ha già dichiarato la incostituzionalità di norme, inserite in sede di conversione di un decreto legge, che risultino “eccentriche” o “eccedenti” i contenuti di quelle originariamente presenti nel decreto convertito. A maggior ragione potranno esserlo quelle norme che trovino la loro “essenza normativa” “per la prima volta” esclusivamente nella legge di conversione poiché “normativamente inesistenti” nel decreto legge.

Che il principio costituzionale della riserva di legge sia da tempo in crisi lo si sa e se ne conoscono anche le cause. Dalla perdita di autorevolezza del Parlamento, incapace da decenni di varare un prodotto legislativo appena decente[1] che di fatto viene per vero forgiato nel laboratorio dell’Ufficio legislativo del Ministero della Giustizia da sempre occupato da illustri Magistrati (anche se non tutti “illuminati”)[2]; al sopravanzare inarrestabile del “diritto penale giurisprudenziale”, dove è il Giudice (e prima ancora il Pubblico Ministero) ad individuare  ex post la norma regolatrice del caso concreto[3]; all’irrompere delle fonti sovranazionali, in special modo di quelle europee che obbligano il Parlamento “domestico” a recepire indicazioni sulle decisioni da prendere “nel penale” (per usare un linguaggio caro a Roberto Benigni): sia in ordine ai fatti da incriminare, sia in ordine alla struttura delle fattispecie, sia in ordine ai livelli sanzionatori minimi da comminare. Per non parlare di altri fenomeni degenerativi di ricostruzione ex post della tipicità da parte di “fonti socialmente diffuse” ben illustrati da Filippo SGUBBI nel suo saggio “Il diritto penale totale”[4].

Il fenomeno che intendo trattare qui attiene a quell’aspetto della crisi della riserva di legge come principio fondativo del sistema costituzionale liberal democratico che affida il monopolio delle fonti del diritto penale al Parlamento come luogo privilegiato della dialettica tra maggioranza e minoranza che dovrebbe favorire una maggiore ponderatezza e riflessività delle decisioni nel penale, oggi da tempo compromessa dallo strapotere di una maggioranza che, in una sorta di ebbrezza populistica, legifera a colpi di decreti leggi, spesso reiterati (come oggi accade per quelli della “emergenza Covid–19”) e convertiti in legge a colpi di fiducia.  Con conseguente mortificazione della più genuina funzione di controllo del Parlamento sugli atti dell’Esecutivo.

Ma la convinzione (se non l’arroganza) di poter legiferare a piacimento, specie nella tanto redditizia (in termini di consenso popolare) materia penale, anche in dispregio delle regole costituzionali che presiedono all’iter formativo delle leggi, può giocare brutti scherzi: fino ad emanare norme geneticamente viziate da incostituzionalità.

Ed è proprio quello che è accaduto di recente con la “conversione” (poi capirete il perché delle virgolette) nella legge n. 157 del 2019, nuove disposizioni in materia penale tributaria, del d.l. 26 ottobre 2019 n. 124 (“Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili”).

La vicenda è davvero grottesca.

All’interno di quel decreto legge infatti il Governo aveva inserito, ai commi primo e secondo dell’art. 39 anche disposizioni penali, modificative e integrative del d.lgs. n. 74/2000,  destinate a combattere più efficacemente l’odioso fenomeno dell’evasione fiscale, utilizzando a piene mani gli strumenti tipici inizialmente sperimentati nella “lotta alla criminalità organizzata”,  ormai da tempo estesi alla stragrande maggioranza dei reati più gravi, specie di quelli ritenuti particolarmente odiosi (in ossequio alle valutazioni, vere o presunte, della comunità sociale): aumento dei limiti edittali delle pene (soprattutto dei minimi); ampliamento del perimetro di tipicità delle fattispecie; confisca c.d. “allargata” o “per sproporzione” (quindi non solo del profitto, ma anche di tutti i beni posseduti, anche per interposta persona fisica o giuridica, in dimensione sproporzionata al reddito dichiarato o alla attività economica e di cui non si sia in grado di provare la legittima provenienza e fermo restando che “non vale” addurre che si tratta di proventi da evasione fiscale); inserimento dei reati tributari nell’elenco di  quelli che possono dare origine alla responsabilità “amministrativa da reato” degli enti.

Ma quelle disposizioni in materia penale tributaria avevano una insolita peculiarità: in base al terzo comma dell’art. 39 del decreto in questione esse erano destinate ad “avere efficacia” (così sta scritto con evidente “sgrammaticatura” della disciplina delle fonti) solo con la conversione in legge del decreto stesso in cui erano collocate. Insomma, si trattava di disposizioni “normativamente inesistenti”, poiché prive di alcun contenuto precettivo. Siamo in presenza di un decreto, in parte qua, qualificabile come decreto “fantasma” o meglio, per coloro che non credono ai fantasmi, “inesistente”. Qualcuno ha compassionevolmente parlato di “bozza del futuro disegno di legge”[5], altri di “decreto a urgenza differita”[6] perciò stesso sottolineandone però l’estraneità al sistema costituzionale delle fonti.

 Ora sono ben note le discussioni che da tempo si agitano sulla stessa ammissibilità del decreto legge come fonte del diritto penale[7]. E la risposta negativa è ancora quella più convincente perché sono proprio i presupposti legittimanti in via generale la normazione per decreto che contraddicono la  ratio della riserva parlamentare.  “Necessità” e “urgenza” confliggono palesemente con quelle esigenze di ponderatezza della decisione assicurate invece dal “normale” iter parlamentare[8]. Mentre sono consentanee ad una normazione che voglia immediatamente assecondare le irrazionali pulsioni repressivo-vendicative affioranti nella comunità sociale, che un legislatore “populista” intende fare proprie.

Ma, anche a voler prescindere da queste considerazioni, qui difettano proprio i presupposti legittimanti il ricorso al decreto legge in base all’ art. 77 Cost.: devono realmente sussistere i presupposti della “necessità” e “urgenza”; deve trattarsi di disposizioni che abbiano “da subito” natura di vere e proprie “norme” di immediata efficacia, come prevede l’art. 15, comma 3 della l. n. 400/88, secondo il quale “i decreti devono contenere misure di immediata applicazione”.

Orbene, se le disposizioni penali del decreto sono destinate ad entrare nell’ordinamento “a pieno titolo” solo con la legge di conversione, all’evidenza sono emanate fuori dai presupposti di “necessità” e “urgenza”. L’“urgenza differita” è, all’evidenza, una “non urgenza”.

Ma allora quel decreto è, in parte qua, incostituzionale?

La risposta affermativa mi pare ineccepibile, visto che più volte la Corte Costituzionale ha ritenuto di poter censurare la “evidente mancanza” dei presupposti di necessità e urgenza come pure la “manifesta irragionevolezza o arbitrarietà” della valutazione[9] e che qui tale insussistenza è per così dire “confessata” dallo stesso legislatore. Tuttavia quelle disposizioni “fantasma” sono state “convertite” in legge e quindi dovrebbero eventualmente essere le norme della legge ad essere portate sul banco degli imputati davanti alla Consulta. Come più volte ha affermato la Corte costituzionale, infatti, l’incostituzionalità del decreto legge, per violazione dei presupposti legittimanti la sua adozione, si estende anche alla legge di conversione[10]. Incostituzionalità che qui colpirebbe ovviamente solo le norme relative alle innovazioni in materia di reati tributari.

Ma, visto però che le disposizioni in materia di reati tributari erano in realtà” normativamente inesistenti” nel corpo del decreto legge, non si potrebbe sostenere allora che quelle disposizioni trovano la loro legittimità e legittimazione come “vere e proprie norme” “per la prima volta”, proprio nella legge di conversione? Che insomma rinvengano in essa la loro fonte costituzionalmente legittima? Una “conversione” del nulla, per vero! E sarebbe certo paradossale che un palese stravolgimento della corretta procedura costituzionale della produzione delle leggi rimanesse senza sanzione alcuna.

Credo proprio però se ne possa sostenere comunque la incostituzionalità.  Si potrebbero infatti richiamare quelle sentenze della Corte Costituzionale (cfr. Corte Cost. n. 22 del 2012 e n. 32 del 2014) che hanno dichiarato la incostituzionalità di norme, inserite in sede di conversione di un decreto legge, che risultino “eccentriche” o “eccedenti” i contenuti di quelle originariamente presenti nel decreto convertito. A maggior ragione (a fortiori) – potremmo fondatamente sostenere – dovranno allora ritenersi incostituzionali quelle norme che trovino la loro “essenza normativa” “per la prima volta” esclusivamente nella legge di conversione poiché “normativamente inesistenti” nel decreto legge.

* Avvocato, Professore Ordinario di Diritto Penale

[1] Tanto che Ferrando MANTOVANI evidenzia il paradosso della irrinunciabilità del principio e della cronica incapacità del Parlamento a legiferare (“Stupidi si nasce o si diventa?, Compendio di stupidologia”, Pisa, 2015 p. 297).

[2] E del resto se il diritto penale si va sempre più trasformando in un insieme di norme destinate a governare con lo strumento della pena i fenomeni sociali, anziché provvedervi con le necessarie riforme economico sociali di carattere strutturale, è quasi “naturale” che le redini dell’iniziativa legislativa siano rette dall’esecutivo.

[3] Si tratta di un fenomeno ormai da tempo evidenziato ed analizzato (Cfr., da ultimo, F. GIUNTA, Ghiribizzi penalistici per colpevoli, Pisa, 2019, Cap. diciottesimo, “Il burocrate creativo”, p. 147 segg. Tra gli scritti più recenti, v., altresì, A. CADOPPI, Giurisprudenza e diritto penale, Scritti Ronco, Torino, 2017, part. p. 33 segg.; F.CONSULICH, Così è (se vi pare), Sistema penale, 10 aprile 20209  ed al quale lo stesso Legislatore sembra ormai assuefatto consegnando alla prassi fattispecie dalla tipicità ”umbratile” (C. BERNASCONI, Il modello della tipicità umbratile,  Criminalia, 2015, p. 417 segg., anche in www.discrimen.it, 3 settembre 2018; E. AMATI, L’utopia della decenza. La giustizia penale ai tempi del populismo, www.discrimen.it, 16 aprile 2020).

[4] Bologna, 2019, pag. 25 segg.: dalle “aspettative” della vittima, alla ‘percezione soggettiva’ del disvalore del fatto da parte della vittima – è il caso delle “molestie sessuali” – alle forme di condotte socialmente “improprie” trasformate in penalmente rilevanti se perpetrate nei confronti di “minoranze discriminate”.

[5] S. FINOCCHIARO, “In vigore la ‘riforma fiscale’: osservazioni a prima lettura della Legge 157/19 in materia di reati tributari, confisca allargata e responsabilità egli enti”, www.sistemapenale.it, 7 gennaio 2020, pagg. 2-3.

[6] F. DI VIZIO, “La nuova disciplina penale in materia tributaria dopo la conversione del D.L. fiscale: i reati riformati, Il quotidiano giuridico”, 23 dicembre 2019, p. 2.

[7] Come è noto, mentre la giurisprudenza della Corte Costituzionale, pur riservandosi – come si dirà un sindacato di “ragionevolezza” sulla sussistenza dei presupposti di necessità e urgenza, abbraccia la soluzione positiva (cfr. Corte Cost. sentenza n.330 del 29.7.1996), la dottrina minoritaria, ma particolarmente autorevole, propende da tempo per la soluzione negativa (Per tutti, F. BRICOLA, Teoria generale del reato, NNDI, XIX, Torino, 1973, p. 50 segg.; G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale, p. gen. Bologna, 2014, p. 54 segg.; MARINUCCI – DOLCINI- GATTA, Manuale di diritto penale, p. gen., Milano, 2019, p. 31 segg.  F. MANTOVANI, (Diritto penale, p. gen., Padova, 2018, p. 53)  e F. PALAZZO, (Corso di diritto penale, p. gen., Torino, 2018 p.  105), pur possibilisti sulla estensione della riserva di legge anche agli atti aventi forza di legge, sottolineano la irrimediabilità delle lesioni alla libertà personale che il decreto legge può causare nel periodo di vigenza anteriore al controllo del Parlamento.

[8] Sottolinea la inconciliabilità dei presupposti della necessità e urgenza con la necessità di “individuare al fondo della scelta incriminatrice la lesione o la esposizione a pericolo di un interesse determinato, preesistente e preferibilmente consolidato nel contesto sociale di riferimento”, operando un collegamento con i principi costituzionali di offensività e di rieducazione, G. DE VERO, Corso di Diritto penale, Torino, 2012, p. 242 – 243. Ritiene che vi possano essere realmente casi in cui v’è necessità e urgenza di intervenire con nuove disposizioni penali, ricorrendo al decreto legge, G. DE FRANCESCO, Diritto penale. Principi, reato, forme di manifestazione, Torino, 2018, p. 79; M. ROMANO, Corte costituzionale e riserva di legge, in Diritto penale e giurisprudenza costituzionale, a cura di G. VASSALLI, Napoli, 2006, p. 32.

[9] Cfr.  Corte cost. n. 170 del 2017, con ampi richiami di precedenti.

[10] Cfr. Corte Cost. n. 29 del 199, 171 del 2007 e 128 del 2008.