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PROBLEMI DEL PENALE E SCENARI DI CRISI – DI DOMENICO PULITANÒ

PROBLEMI DEL PENALE E SCENARI DI CRISI – DI DOMENICO PULITANÒ

di Domenico Pulitanò


La sospensione della normalità che stiamo vivendo, la straordinaria (in senso descrittivo) esperienza del lock down dell’intero paese, sollecita riflessioni a tutto campo, su problemi che vanno al di là della fase più dura dell’emergenza. Sarebbe bene cominciare a pensare al dopo, non lasciare che la crisi diventi un’occasione sprecata[1]. Ragionare su tutto ciò che riguarda il con-vivere[2]; anche su ciò che non vorremmo ritornasse uguale[3]. In questo quadro rientrano anche i problemi che hanno a che fare con il diritto e la giustizia penale.
1.         La gestione dell’emergenza epidemia è stata ed è (in Italia come altrove) una costruzione normativa ed operativa di restrizioni di libertà particolarmente spinte. In vista del contenimento del contagio, il taglio ‘autoritario’ della tutela giuridica si è dispiegato fino a livelli fuoriuscenti dalla normalità liberale. In concreto, è stata disposta e abbiamo accettato (in stato di necessità) la sospensione dell’esercizio di diritti fondamentali di libertà in forza di precetti di nuovo conio supportati da sanzioni. Stiamo vivendo da settimane chiusi in casa, e ancora per un tempo non breve non saremo liberi di usare diritti fondamentali dei quali vive una società libera.
Sulle modalità normative adottate per la gestione dell’emergenza sanitaria (in particolare sull’ampio ricorso a fonti subordinate) si è aperta una discussione sul piano del diritto costituzionale: problemi di assetto di poteri normativi, che trascendono e comprendono l’orizzonte penalistico. Restrizioni di libertà come la quarantena e obblighi di non allontanarsi da casa abbisognano di un fondamento legale, in una legge che stabilisca presupposti e contenuti delle restrizioni; a fonti subordinate può essere affidata la precisazione di elementi di dettaglio, non la sostanza della restrizione[4].
Il tasso di osservanza del lock down è stato (con qualche smagliatura) elevato, e non per timore delle sanzioni, che pure sono state spesso richiamate e talora enfatizzate nel discorso pubblico. Nell’emergenza sanitaria è emerso evidente come la tenuta della società (della convivenza) sia legata alla dimensione dei doveri. Doveri non semplicemente di rispetto dei diritti, il rispetto reciproco dovuto da ciascuno verso ciascun altro; anche doveri di solidarietà, di adempimento di funzioni e di compiti di varia natura, dai livelli più elevati (per es. nella direzione politica o nel sistema sanitario) fino a compiti umili ma necessari. Lo stato d’emergenza è intessuto di doveri d’osservanza che prevalgono su normali diritti di libertà. L’esperienza che stiamo vivendo mostra con il massimo di evidenza l’importanza dei doveri, del consenso, dell’osservanza di doveri. Il volto precettivo dell’ordinamento giuridico, prima di quello sanzionatorio.
2.         Superata la fase acuta dell’emergenza sanitaria, al prezzo elevatissimo del prolungato lock down, ci troveremo in un mondo prevedibilmente segnato da problemi economici e sociali molto gravi, e più povero di quello in cui abbiamo vissuto negli ultimi decenni. Un mondo che possiamo ipotizzare assai turbolento, ed esposto a rischi di varia natura, anche per la tenuta della democrazia liberale, quale vorremmo sia e resti salda la normalità del dopo emergenza.
Pensando a possibili emergenze future (ritorni emergenziali di natura sanitaria, o turbolenze sociali non imprevedibili in situazioni di povertà diffusa) è prudente prefigurarsi scenari non tranquillizzanti, e progettare modi di farvi fronte senza cedimenti della legalità liberaldemocratica.
Anche con riguardo alle istituzioni penali, il confronto sulle politiche del diritto post emergenza deve fare i conti con la lezione dell’emergenza epidemia, e con previsioni su scenari prossimi venturi. Non sarebbe all’altezza dei problemi del ritorno alla normalità ripartire da un heri dicebamus.
Le discussioni e le politiche penali del periodo immediatamente antecedente, ripensate sullo sfondo dell’attuale sospensione della normalità, appaiono cose d’un altro mondo, nel senso letterale del termine. Sono nate nel mondo di ieri, che la pandemia ha sconvolto, le politiche del più penale, il “penale-spazza” dell’inizio di questa XVIII legislatura, contro cui si è impegnata la cultura giuridica liberale. Alcune significative battaglie sono state vinte dinanzi alla Corte Costituzionale, su di altre è caduta la sospensione della normalità.
In uno scenario che si prevede comunque molto difficile sotto l’aspetto economico, sarà doveroso e necessario porre particolare attenzione a un uso parsimonioso delle risorse disponibili. Anche della risorsa penale, che ha costi elevati sotto ogni aspetto, compreso quello economico. La prospettiva liberale del meno penale possibile (quella di Beccaria, quella delle battaglie contro il “penale-spazza”) si rivela rispondente anche alle esigenze economiche di un periodo di faticosa e costosa ricostruzione dell’economia. È questione di razionalità, di economia nella scelta dei mezzi per il ritorno ad una passabile normalità, una normalità più giusta pur in un contesto prevedibilmente più difficile.
Come sta mostrando la tenuta della convivenza in questo periodo di normalità sospesa, è decisiva l’osservanza di precetti sostenibili ed accettati, ancorché duri quanto sia necessario. Accettabile (transitoriamente) la durezza di precetti necessari nella situazione data. Quanto alle sanzioni, la durezza può costituire un problema anche nell’emergenza, al punto da orientare l’opzione verso la minaccia di sanzioni non penali, ma amministrative (pecuniarie, anche costose, non gravanti sull’apparato giudiziario). Quanto ai doveri inerenti alle prestazioni necessarie nell’emergenza, in questi giorni si è tornati a discutere dei limiti della responsabilità giuridica, in difesa degli operatori contro iniziative inaccettabili. Significative prese di posizione sono state espresse dall’avvocatura[5].
Ovviamente, il diritto penale resta sullo sfondo, nella sua valenza precettiva. La tremenda lezione dell’emergenza sanitaria ha portato in primo piano l’importanza dei precetti, sia quelli della normalità sia quelli dell’emergenza, e della effettiva osservanza. La logica del “penale-spazza”, tutta centrata sul versante sanzionatorio, è stata spiazzata.
Nell’ultimo periodo aveva tenuto la scena la questione del blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, una riforma introdotta (vale la pena ricordare) dalla legge Spazzacorrotti, che esprime un’idea di centralità del problema sanzionatorio, al di là di limitazioni temporali indipendentemente dalla gravità del reato per cui si proceda. Guardata con il senno di oggi, nei giorni dell’emergenza sanitaria e della normalità sospesa, la vediamo del tutto estranea ai problemi che contano per la tenuta della convivenza, quelli dell’osservanza dei precetti. Rispetto alle discussioni ante emergenza, l’attuale angolo d’osservazione mette in luce un profilo che definirei di irrealtà, percepibile (credo) indipendentemente da valutazioni di giustizia relative al problema prescrizione: l’assoluta irrilevanza del blocco della prescrizione rispetto ai problemi della salus rei publicae.
In questo scenario trova conferma il significato di principio dellabattaglia nella quale ci siamo impegnati. Sarebbe bello poter confidare in un ripensamento (un discessus forse meno scomodo nello scenario prossimo venturo) da parte di almeno alcuni fra quelli che fino a ieri si sono accomodati sulla linea del penale a oltranza.
Le urgenze dell’oggi sono altre. Con riguardo al diritto penale sostanziale, restano in primo piano problemi di assetto e di osservanza di precetti, penali e non penali, pertinenti oggi anche al percorso di superamento dell’emergenza. Con riguardo al sistema sanzionatorio, la battaglia culturale e politica contro il “penale-spazza” (in tutti i suoi aspetti) può trovare argomenti nuovi e forti proprio nell’esperienza che stiamo vivendo, quella della centralità dei doveri e dell’osservanza, responsabilità relative alla qualità della con-vivenza.  Problemi di sanzioni vengono dopo, possiamo definirli secondari.
3.         Fra i problemi collegati alla macchina penalistica, l’emergenza sanitaria ha acutizzato i problemi della situazione carceraria, il contingente prodotto di ciò che definiamo giustizia penale. Una situazione che per giudizio unanime è insoddisfacente, non solo per ilsovraffollamento.
Giustamente, i primi interventi a livello normativo e le prime riflessioni hanno riguardato ipossibili rimedi emergenziali. Propongo alcune riflessioni che guardano anche il dopo: questioni di giustizia che non nascono dall’emergenza Covid-19, ma dall’emergenza sanitaria sono aggravate.
Prima notazione: l’ingresso e la permanenza in carcere dipendono da poteri discrezionali del giudice, non a tutto campo, ma in misura molto ampia: provvedimenti di custodia cautelare, commisurazione di pene detentive, gestione di istituti dell’ordinamento penitenziario. Nella situazione di emergenza sanitaria, può il rischio per la salute entrare fra gli elementi di valutazione su cui fondare decisioni discrezionali, nel bilanciamento fra i diversi interessi in gioco? Indipendentemente da specifiche disposizioni legislative, il rischio salute è un elemento di fatto che fa parte del contesto su cui cade la decisione, e come tale merita di essere considerato nel soppesare ragioni poste a fondamento di decisioni discrezionali[6]. Ciò nell’interesse non solo del destinatario del provvedimento, ma anche della salute pubblica e del senso d’umanità.
Seconda notazione: sul piano politico è attribuito un peso molto forte all’idea che l’incarcerazione dei condannati sia una risposta ad esigenze di sicurezza. Ciò può essere vero in una fascia di casi significativa ma ristretta; non è la ragione che fonda la pena detentiva come risposta di giustizia a un commesso reato. La condanna a pena detentiva non presuppone un giudizio di attuale pericolosità del condannato, ma solo l’accertamento di responsabilità e una commisurazione secondo criteri legalmente predefiniti.
Nel caso di condanna per delitti gravissimi, accettiamo o esigiamo come giusta un’esecuzione anche a grande distanza temporale dal commesso delitto, indipendentemente dall’ipotesi di una pericolosità attuale, indebolita nel tempo (vedi caso Battisti, incarcerato dopo 40 anni dagli omicidi per i quali è stato condannato). L’idea della rieducazione (cioè di una pena che possa avere un significato anche per il condannato) ha aperto l’ordinamento a percorsi alternativi al carcere (con l’esclusione, discussa e discutibile, dei casi di c.d. ergastolo ostativo). Vedere in qualsiasi condannato a pena detentiva, sol perché tale, una persona pericolosa, non è realistico né coerente con i principi (di rilevanza costituzionale) sui quali il diritto penale è costruito.
            Emblematico d’una torsione securitaria, nella presente situazione spirituale, è il rilievo attribuito al problema del braccialetto elettronico, ai fini della concessione d’una misura alternativa al carcere. Sul piano della politica politicienne, è una cautela comprensibile nel contesto che oggi etichettiamo (bene o male) come populismo penale: ha che fare con il problema del consenso. Nell’emergenza dell’epidemia, ritenere necessario il braccialetto elettronico indipendentemente da un giudizio personalizzato di pericolosità attuale, sottende una valutazione di prevalenza di esigenze di controllo di persone solo presuntivamente pericolose, rispetto alle esigenze di sicurezza dal rischio sanitario che ha messo in crisi le libertà di tutti.
            Se alziamo lo sguardo al di là della stretta emergenza, cogliendo nella crisi un’occasione da non sprecare, l’emergenza sanitaria del carcere porta in primo piano problemi di riprogettazione della civiltà giuridica del dopo emergenza. Sono davvero di giustizia, l’attuale realtà carceraria e il diritto penale che la produce?
4.         Centrare i problemi di giustizia e di tutela in un’ottica più sostanziale di quella penalistica, è un’indicazione che può essere letta proprio nell’esperienza della crisi. La giustizia della con-vivenza da ricostruire non può essere quella del più penale. Le parole d’ordine del garantismo liberale restano più che mai valide e importanti, anche per contrastare rischi di ‘normalizzazione’ di soluzioni emergenziali di compressione di diritti, e visioni dei problemi della società italiana centrate sul penale. Problemi importanti sono esaminati negli editoriali di questa Rivista.
La tenuta dello Stato liberale di diritto poggia su presupposti che esso non è in grado di garantire, ci ricorda il monito di Böckenförde. L’esperienza della sospensione della normalità a causa della pandemia mostra la precarietà dei presupposti di fatto dell’esercizio delle libertà. La cultura giuridica – in tutte le sue articolazioni professionali – ha a che fare con la qualità della convivenza e del discorso pubblico. È uno fra i presupposti della tenuta dello Stato liberale di diritto. È nostra responsabilità continuare a riflettere e a partecipare al confronto di ragioni in un prevedibile (anzi previsto) scenario prossimo futuro ancora di crisi.


[1]  M. Ferrera, I sacrifici da non sprecare, in Corriere della sera, 1° aprile 2020.
[2] Ex multis, Mario Magatti, La necessità di riconoscere il legame fra l’io e l’altro, in Corriere della sera, 21 marzo 2020.
[3] Paolo Giordano, Il virus, il dopo e quello che non voglio scordare, in Corriere della sera, 21 marzo 2020.
[4] G.L. Gatta, I diritti fondamentali alla prova del coronovirus. Perché è necessaria una legge sulla quarantena, in Sistema penale, 2 aprile 2020.
[5] Cfr. il quotidiano Il Dubbio del 2.04.20 e “Disciplina emergenziale per la celebrazione delle udienze penali. Le osservazioni della Giunta UCPI” del 31.03.20 pubblicato su questa rivista.
 
[6] Merita segnalazione, anche su questo aspetto, il documento della Associazione degli studiosi del processo penale pubblicato il 2 aprile in Sistema penale.