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SEPARAZIONE DELLE CARRIERE DEI MAGISTRATI – DI RENATO G. BRICCHETTI

SEPARAZIONE DELLE CARRIERE DEI MAGISTRATI – DI RENATO G. BRICCHETTI

BRICCHETTI – SEPARAZIONE DELLE CARRIERE DEI MAGISTRATI.PDF 

SEPARAZIONE DELLE CARRIERE DEI MAGISTRATI[1].

di Renato G. Bricchetti*

La trascrizione, rivista dall’autore, dell’intervento alla tavola rotonda del 27 luglio 2020 “SEPARAZIONE DELLE CARRIERE DEI MAGISTRATI: La prima riforma dell’ordinamento giudiziario è in parlamento”, organizzata dall’Unione Camere Penali Italiane.

Premetto che non nutro particolare interesse per il tema della separazione delle carriere; considero tra l’altro estremamente difficoltoso prefigurarne gli effetti.

A mio avviso occorrerebbero cambiamenti radicali del sistema processuale, ma, allo stato attuale delle cose, ritengo arduo delineare i poteri del nuovo procuratore della Repubblica e i controlli cui sarà sottoposto. Probabilmente il mio pensiero denota uno dei tanti miei limiti.

Altri temi, invece, mi hanno appassionato in questi ultimi anni.

Da tempo mi chiedo perché non ci si sia impegnati nell’unica direzione giusta: il rafforzamento normativo e organizzativo (mezzi e persone) della giurisdizione.

Mi riferisco anche alla giurisdizione di controllo nella fase delle indagini preliminari. Su questo punto sconto un peccato originale: nel 1989 quando la maggior parte dei giudici istruttori optarono per la Procura della Repubblica, io ho creduto nella nuova funzione del G.I.P. e nella possibilità di svilupparla, nelle indagini preliminari e nella udienza preliminare. Oggi posso dire di avere sbagliato.

Altra domanda: perché si è consentito alle indagini di essere identificate con la giustizia penale anche per effetto della canalizzazione mediatica? (al punto che, con ironia amara, vi è chi si accontenterebbe della separazione delle carriere di certi p.m. dalle carriere di certi giornalisti); l’attività di indagine produce notizie, curiosità, pregiudizi (di colpevolezza) che alimentano le discussioni.

Molti pubblici ministeri cedono alla tentazione di esaltare la propria personalità, di fare self-marketing, di promuoversi, di essere identificati dall’inchiesta che stanno conducendo.

Pubblico ministero, indagini, attività cautelari sono la “giustizia penale”.

Appare credibile che ne siano convinti anche gli stessi i pubblici ministeri.

Non è a mio parere spiegabile, altrimenti, come mai non si siano levate voci di protesta quando il legislatore ha significativamente ridimensionato il diritto d’appello principale del pubblico ministero e soppresso quello incidentale. Verrebbe da sorridere, se non si trattasse di un fatto grave, quando oggi qualcuno invoca, a titolo di compensazione per la perdita subita, l’abolizione del divieto di reformatio in peius, che ha come unico effetto sicuro la trasformazione del giudice (terzo in un processo di parti) in uno spauracchio (in senso figurato uno spaventapasseri).

Ancora: perché non si è pensato, e non si pensa, alla situazione della maggior parte delle Corti d’appello penali di questo Paese? Alcune di esse versano in situazione di irreversibile dissesto, sommerse da pendenze o meglio da arretrati ingestibili, eliminabili, con le attuali risorse, solo con piani almeno ventennali. E, inoltre, sono afflitte, in generale, da mali curabili soltanto con rimedi straordinari e strutturali, tanto più oggi che la prescrizione (non se ne parla più; sta passando di moda?) è sospesa dopo la condanna in primo grado.

Eppure c’è chi, in questa situazione, si trastulla: ha l’idea di usare parole indegne di un paese civile per indicare una legge (spazzacorrotti), di occuparsi per l’ennesima volta di omicidio stradale, di perdere tempo con l’abuso d’ufficio.

La politica deve proporre soluzioni e, se necessario, riforme radicali, per risolvere i problemi reali del sistema giudiziario penale.  Deve fare elaborare le soluzioni tecniche da chi tra gli avvocati, i magistrati e i professori universitari possa vantare una reale, profonda conoscenza del sistema, scevra da pregiudizi; un tavolo attorno al quale dovrebbe potersi accomodare solo chi non abbia mai creduto di essere l’unico rappresentante (e baluardo) della “giustizia” e dello status quo.

La politica non deve cercare il consenso delle parti interessate, in particolare di quelle che subiscono gli effetti di una riforma.

Confesso che mi capita spesso di chiedermi perché l’ANM che interviene nel dibattito politico (e tecnico) sia identificata con la magistratura tutta e da dove si desuma che sia legittimata a parlare di riforme, se farle e come farle, anche a nome mio.

È fin troppo chiaro che la situazione è per me demoralizzante; per mia fortuna trovo consolazione nel pensare che, comunque, tra un paio d’anni ho finito (e non ho da placare alcuna sete di apparire).

 

*Presidente VI sezione penale Corte di cassazione

 

Post scriptum, ovvero quello che avrei voluto dire se ci fosse stato ancora tempo, dopo gli importanti interventi che si sono susseguiti.

Il presidente AGHINA, con l’acume che lo contraddistingue, ha indicato le statistiche triennali sui passaggi da magistrato inquirente a magistrato giudicante e viceversa. Dati minimi. So di ricordare male, ma ha parlato di percentuali e numeri irrisori di movimenti (1,17% e 0,20%; qualcosa come 80 in tre anni).

Ebbene, questo mi convince ancor di più che ormai si tratta di due mestieri diversi E si sono consolidate mentalità diverse nell’affrontarli.

L’on. BAZOLI (e anche in tal caso mi scuso se il mio ricordo non è perfetto) ha affermato, se non erro riferendosi a Brescia, che almeno il 50% dei processi portati con decreto di citazione diretta a giudizio davanti al Tribunale monocratico si conclude con sentenze di proscioglimento de-gli imputati. E ha dedotto da questo dato che la giurisdizione controlla adeguatamente le iniziative del pubblico ministero.

Io credo, invece, che il discorso sia più complesso e immagino che lo credano anche gli avvocati che sono soliti frequentare il tribunale monocratico (quando tratta – cioè quasi sempre – reati non provenienti da udienza preliminare).

La regola è che questi processi sono trattati da magistrati onorari (e questo di per sé non è “il problema”) ma, soprattutto, la regola è che l’azione penale viene esercitata senza una preliminare attività d’indagine sulla notizia di reato o un’accurata valutazione di quella eventualmente svolta.  Da qui le assoluzioni, che non esigono certo che la giurisdizione mostri i muscoli.

E qui entrerebbe in gioco il tema dell’effettività dell’obbligo di esercitare l’azione penale.

Ma mi fermo perché, in ogni caso, i temi principali del controllo giurisdizionale – come si è accennato – riguardano indagini preliminari, udienza preliminare ed efficacia realmente deflativa dei riti alternativi.

 

[1] Trascrizione, rivista dall’autore, dell’intervento alla tavola rotonda del 27 luglio 2020SEPARAZIONE DELLE CARRIERE DEI MAGISTRATI: La prima riforma dell’ordinamento giudiziario è in parlamento”. Per la videoregistrazione integrale qui.