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BAJRAMI: CONTRADDITTORIO VERSUS ORALITÀ – DI GIORGIO SPANGHER

BAJRAMI: CONTRADDITTORIO VERSUS ORALITÀ – DI GIORGIO SPANGHER

SPANGHER – BAJRAMI CONTRADDITTORIO VERSUS ORALITÀ.PDF

di Giorgio Spangher

La relazione, rivista dall’autore, tenuta nel corso della manifestazione “In difesa del principio di immutabilità del Giudice” durante l’astensione dei penalisti italiani, nella sessione “Le regole, la presa di posizione degli studiosi del processo”.

Lo sciopero degli avvocati, in relazione alla sentenza Bajrami delle Sezioni Unite, relativamente alle implicazioni del mutamento del collegio del dibattimento, ha portato nuovamente all’attenzione degli operatori di giustizia alcuni profili nevralgici del processo penale.
Conseguentemente sono molti i profili implicati dal tema del modello processuale di riferimento, dai suoi risvolti, dalla sua evoluzione, nonché delle prospettive di riforma che apre la materia a discrasie e incongruenze. Forse è meglio procedere per punti, cercando poi di tirare le file del discorso.
La materia, com’è noto, è regolata dall’art. 525 cpv c.p.p. ove si prevede che “alla deliberazione concorrano a pena di nullità assoluta gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento”.
Si tratta dell’estrinsecazione dei principi di oralità, immediatezza e concentrazione.
Il dato trova un ulteriore rafforzamento ed una precisa estrinsecazione nell’art. 146 disp. att. c.p.p. dove è descritta l’aula di udienza ed in particolare dove si afferma che “nella aula di udienza per il dibattimento i banchi riservati al pubblico ministero e ai difensori sono posti allo stesso livello di fronte all’organo giudiziario. Le private siedono a fianco del proprio difensore, salvo che sussistano esigenze di cautela. Il seggio delle persone sottoposte ad esame è collocato in modo da consentire che le persone stesse siano agevolmente visibili sia dal giudice che dalle parti”.
Va detto che la delega al punto 66 prevedeva solo la necessità di assicurare immediatezza e concentrazione così da confermare la formulazione del codice che si voleva abrogare.
La norma difatti trova un suo antecedente nell’art. 472 c.p.p. 1930 ove si prevedeva che la sentenza è deliberata dagli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento.
Il dato più significativo, tuttavia, è costituito dal fatto che a fronte della richiesta della terza sottocommissione di eliminare questa formulazione ritenendola superflua, il Guardasigilli affermò che non vedeva “la ragione dell’asserita superfluità mentre trattasi di una garanzia essenziale della giustizia penale e di una disposizione che serve a indicare da quanti giudici deve essere sottoscritta la sentenza (art. 474 n. 7, n. 47, n. 5)”.
Si prospettarono allora le questioni connesse alla sanzione processuale applicabile in caso di mancato rispetto della previsione.
Secondo Manzini, non poteva configurarsi un problema di nullità in quanto non prevista (principio di tassatività) e non riconducibile nell’art. 185 c.p.p. 1930; peraltro, non mancava chi la sosteneva, prospettando addirittura l’inesistenza (Foschini).
La situazione cambia con la riforma del 1955 che trasforma le nullità di ordine generale in nullità assolute. Secondo Conso, infatti, la violazione dell’art. 472 c.p.p. 1930 si configura come nullità assoluta per violazione della lett. a dell’art. 185 c.p.p. 1930 “nomina le altre condizioni di capacità del giudice stabilito dalla legge d’ordinamento giudiziario e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi giudicanti”.
La premessa di questa elaborazione è rappresentata dalla considerazione che “quando si ha sostituzione del giudice, il collegio viene a trovarsi privo di un suo componente e tale privazione genera nullità assoluta, non sanabile con la sostituzione di un altro giudice, perché questi, non avendo partecipato alla parte del dibattimento già svoltosi, non può ritenersi parte integrante del collegio, di cui è, invece, intervenuto ad alterare l’originaria composizione numerica.
Esattamente, pertanto, il Leone afferma che il rispetto della norma concernente il numero dei giudici necessario per costituire i collegi giudicanti “si riferisce non solo alla mera composizione numerica, ma anche all’inalterabilità della composizione personale del collegio”.
Partendo da questa premessa non può revocarsi in dubbio che la violazione del principio in esame generi nullità assoluta, a norma dell’art. 185 n. 1 e n. 3:il mutamento, infatti, incide sia sul numero del giudice sia sul diritto di difesa dell’imputato.
È chiaro, infatti, che tanto l’oralità quanto l’immediatezza non possono realizzarsi se i singoli atti si svolgono davanti a persone fisiche di volta in volta diverse: l’impressione ricevuta dal giudice, che ha assistito ad uno o più atti, non è trasferibile in chi lo sostituisce, di modo che questi dovrebbe ricorrere alla lettura dei verbali e il dibattimento si trasformerebbe per lui in un processo scritto, con evidente violazione, altresì, del diritto di difesa dell’imputato.
Per le stesse considerazioni riteniamo sussistere la nullità (assoluta) qualora un componente del collegio si allontani dalla sala d’udienza durante lo svolgersi del dibattimento (Leone).
In termini più ampi si faceva notare che quello che viene preso in considerazione in questa situazione non è la composizione numerica del collegio (i tre o più giudici, comunque, vi sono) bensì l’effettiva partecipazione anche spirituale ed intellettiva di tutti i suoi componenti alle attività collegiali dibattimentali. L’assenza spirituale di uno di essi, pur non alterando nella sua composizione fisica il numero dei giudici, ridonda in una non partecipazione spirituale ed intellettiva del componente e fa sì che il collegio non funzioni nel suo numero reale ed effettivo. Cioè a dire il collegio funziona come se non fosse composto regolarmente, donde la nullità assoluta, a norma dell’art. 185 n. 1 c.p.p. 1930, di tutti gli atti del dibattimento (Massa).
Con riferimento al giudice monocratico, cioè, giudice sempre unico, si faceva notare che la violazione poteva essere ricondotta alla lett. b dell’art. 185 c.p.p. 1930, cioè, alla legittima investitura del giudice del dibattimento (così, Conso).
La riflessione sulle implicazioni della violazione dell’art. 472 c.p.p. 1930 cambia ancora a seguito della l. n. 534 del 1977 che divide le nullità di ordine generale in assolute e intermedie.
Con riferimento alle situazioni di cui alla lett. a dell’art. 185 c.p.p. 1930, il legislatore con il novellato comma 2 dello stesso articolo definisce assolute solo la capacità e la costituzione del giudice, mentre il numero dei giudici viene degradato a nullità a regime intermedio.
Di fronte a queste situazioni, ancorché la riforma del 1988 abbia ricondotto tutte le situazioni di cui alla lett. a dell’art. 178 c.p.p., nell’art. 179 c.p.p., cioè nel novero delle nullità assolute ci fu chi chiese espressamente che fosse introdotta la nullità assoluta speciale nell’art. 525 cpv c.p.p. Del resto, la direttiva 7 della legge delega quanto a nullità assolute faceva riferimento “ai vizi di capacità e di costituzione”.
Del resto, non può non sottolinearsi che la norma tutela qualcosa di più e di diverso del diritto di difesa, essendo quest’ultimo, al di fuori delle ipotesi specifiche di cui all’art. 179 c.p.p., garantita con la sola nullità a regime intermedio.
Oltre al riferimento al numero dei giudici, sulla scorta delle considerazioni svolte in precedenza, si potrebbe, forse, riferirsi anche al concetto di incompetenza funzionale, esso pure assicurato con la massima sanzione processuale.
Va evidenziato come tutti questi elementi si inseriscono nella scelta del modello processuale originario del codice del 1988 incentrato sul principio di “adozione del metodo orale”: direttiva n. 2 della l. n. 81 del 1987 contenente la delega per il nuovo codice di procedura penale dove non figurava nessun riferimento al “contraddittorio”.
Va sottolineato che il contesto generale nel quale si colloca la materia è mutato a seguito della riforma dell’art. 111 Cost. dove l’elemento cardine è costituito dal principio del contraddittorio nella formazione della prova.
Il riferimento “al giudice”, non implica che la prova, seppur nell’oralità, non si possa formare anche davanti ad un altro giudice, come chiaramente emerge dalla disciplina dell’incidente probatorio (art. 392 c.p.p.) o della formazione della prova anche in sedi extrapenali (art. 238 c.p.p.).
Invero, questo materiale entra a far parte del fascicolo del dibattimento nel quale va ricompresa anche la prova formata in dibattimento davanti al giudice nella composizione originaria.
Si afferma, quindi, che se è possibile che i giudici del dibattimento possano conoscere il materiale formato da altri giudici, non si vede perché il nuovo giudice non possa conoscere anche il materiale precedentemente formato dai giudici nella diversa composizione.
Di questo mutato contesto, connesso alla riforma del giusto processo e della erosione del sistema bifasico, tiene conto la sentenza Bajrami delle Sezioni Unite che ha ridefinito le situazioni processuali connesse alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale.
Con quella decisione i giudici del Supremo Collegio precisano che “il principio d’immutabilità del giudice, previsto dall’art. 525, comma 2, prima parte, c.p.p., impone che il giudice che provvede alla deliberazione della sentenza sia non solo lo stesso giudice davanti al quale la prova è assunta, ma anche quello che ha disposto l’ammissione della prova, fermo restando che i provvedimenti sull’ammissione della prova emessi dal giudice diversamente composto devono intendersi confermati, se non espressamente modificati o revocati”;
“l’avvenuto mutamento della composizione del giudice attribuisce alle parti il diritto di chiedere, ai sensi degli artt. 468 e 493 c.p.p., sia prove nuove sia la rinnovazione di quelle assunte dal giudice diversamente composto, in quest’ultimo caso indicando specificamente le ragioni che impongano tale rinnovazione, ferma restando la valutazione del giudice, ai sensi degli artt. 190 e 495 c.p.p., anche sulla non manifesta superfluità della rinnovazione stessa”,
“il consenso delle parti alla lettura ex art. 511, comma 2, c.p.p., degli atti assunti dal collegio in diversa composizione, a seguito della rinnovazione del dibattimento, non è necessario con riguardo agli esami testimoniali la cui ripetizione non abbia avuto luogo perché non chiesta, non ammessa o non più possibile”.
Al di là del merito e della soluzione fatta propria dalle Sezioni Unite (la procura generale aveva chiesto l’annullamento con rinvio), va detto che la stessa, pur nella ribadita necessità della rinnovazione, consente il recupero dei verbali di quanto detto in precedenza davanti all’originario collegio.
Ora la prospettata riforma, di cui alla l. n. 134 del 2022 prevede che nell’ipotesi di mutamento del giudice o di uno o più componenti del collegio, il giudice disponga, a richiesta di parte, la riassunzione della prova dichiarativa già assunta; e che, quando la prova dichiarativa è stata verbalizzata tramite videoregistrazione, nel dibattimento svolto innanzi al giudice diverso o al collegio diversamente composto, nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate, il giudice disponga la riassunzione della prova solo quando lo ritenga necessario sulla base di specifiche esigenze.
Invero, in realtà la riforma si limiterà ad assicurare la videoregistrazione in luogo dell’attuale verbale.
Si tratterà comunque solo di una diversa modalità di documentazione dell’atto, cioè di una surrogazione dell’atto originario.
La videoregistrazione non è l’atto, ma solo una sua documentazione più consistente, ma anch’essa prospetta evidenti limiti rispetto all’originalità della dichiarazione.
Naturalmente, si tratterà di verificare la nuova formulazione della disposizione soprattutto in considerazione del fatto che si tratta di una eccezione alla regola generale, non sanzionata con la nullità, condizionata dalla eventuale mancanza dello strumento di documentazione e dalle eventuali ipotesi surrogatorie o compensative che verosimilmente saranno riconducibili nuovamente al verbale.
Il limite di tutte le ricostruzioni è costituito dalla considerazione che mentre si ipotizza una sola sostituzione nulla esclude come in effetti avviene che queste siano molteplici. Non può essere il processo né la giurisprudenza ma il legislatore ad assicurare l’efficienza del sistema.