Enter your keyword

BAMBINI IN CARCERE; BAMBINI E CARCERE:  UN OSSIMORO TREMENDAMENTE DISUMANO, QUANTO ATTUALE – DI ELENA CIMMINO

BAMBINI IN CARCERE; BAMBINI E CARCERE: UN OSSIMORO TREMENDAMENTE DISUMANO, QUANTO ATTUALE – DI ELENA CIMMINO

CIMMINO – SIANI – BAMBINI IN CARCERE, BAMBINI E CARCERE.PDF

BAMBINI IN CARCERE; BAMBINI E CARCERE: UN OSSIMORO TREMENDAMENTE DISUMANO, QUANTO ATTUALE.

CHILDREN IN PRISON; CHILDREN AND PRISON: A TREMENDOUSLY INHUMAN OXYMORON, BUT ACTUAL.

Note a margine dell’intervista all’On. Paolo Siani sulla proposta di legge: “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e alla Legge 21 aprile 2011, n° 62, in materia di tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori (a. C. N° 2298)”

di Elena Cimmino*

In Italia, la detenzione in carcere dei bambini è una realtà ancora esistente che ciclicamente torna all’attenzione del nostro Legislatore, da tempo alla ricerca di una soluzione ad un problema intollerabile per uno Stato che non solo tutela l’infanzia a livello costituzionale ma ratifica la Convenzione ONU dei diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 [1] e, in quanto Stato membro dell’Unione Europea, si impegna a rispettare la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione che, all’ art. 24 [2], sancisce «i bambini hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere» prevedendo altresì che in tutti gli atti relativi ai bambini, l’interesse superiore del bambino debba essere considerato preminente.

In tale cornice normativa si inquadra una foto desolante rappresentata dai numeri dei bambini che in questi anni sono stati “ospitati” dalle nostre galere nonostante la raggiunta consapevolezza dei danni irrimediabili che la detenzione produce alla loro esistenza.

In Italy, the detention of children in prison is a still existing reality that cyclically returns to the attention of our Legislator, who has long been seeking a solution to an intolerable problem for a State that not only protects children at a constitutional level but ratifies the UN Convention on the Rights of the Child of 20 November 1989 and, as a member state of the European Union, undertakes to respect the Charter of Fundamental Rights of the Union which, in art. 24, states «children have the right to the protection and care necessary for their well-being» also providing that in all acts relating to children, the superior interest of the child must be considered of paramount importance.

In this regulatory framework is shown a desolating picture represented by the number of children who in recent years have been “hosted” by our prisons despite the awareness of the irremediable damage that detention produces to their existence.

SOMMARIO: 1. Premessa. Inquadriamo il problema: la legge che autorizza la presenza di bambini in carcere e l’evoluzione legislativa finalizzata ad evitare la “detenzione” dei bambini. – 1.1. Dal quadro delle norme, ai passi in avanti: da cosa si parte e dove si vorrebbe arrivare. – 2. Intervista all’On. Paolo Siani: le ragioni e gli obiettivi della proposta di legge. – 3. Conclusioni.

 

  1. 1. Inquadriamo il problema: la legge che autorizza la presenza di bambini in carcere e l’evoluzione legislativa finalizzata ad evitare la “detenzione” dei bambini.

L’ordinamento penitenziario all’art. 11 comma 9 prevede la possibilità per le madri detenute di tenere presso di sé i figli fino all’età di tre anni. I bambini possono essere curati ed assistiti in appositi asili nido, organizzati presso gli istituti o le sezioni dove sono detenute le madri.

Per evitare la carcerazione dei bambini molto piccoli al seguito delle madri, il nostro codice penale ha però da sempre contemplato specifici meccanismi prevendo all’art.146, l’istituto del differimento obbligatorio dell’esecuzione della pena e all’art. 147, l’istituto del differimento facoltativo della stessa.

Tali norme, originariamente, prevedevano il rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena nel caso di donna che ha partorito da meno di sei mesi e il rinvio facoltativo per la donna che ha partorito da più di sei mesi ma da meno di un anno e non ha modo di affidare il figlio ad altri.

Attualmente, dopo le modifiche apportate dalla legge n° 40/01, l’art. 146 c.p. stabilisce che se la pena deve essere eseguita nei confronti di madre di minore di un anno, l’esecuzione della pena deve essere rinviata e l’art 147 c.p. stabilisce che se la pena deve essere eseguita nei confronti di madre di prole di età inferiore a tre anni, che eserciti la responsabilità genitoriale sul minore, l’esecuzione della pena può essere differita se non sussiste il pericolo della commissione di delitti.

La legge n° 663/86 (nota come legge Gozzini) introduceva all’interno dell’O. p. l’art. 47-terdetenzione domiciliare” secondo cui la pena detentiva non superiore a due anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, può essere espiata dalla madre che allatta la propria prole ovvero dalla madre di prole di età inferiore ad anni tre nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza.

La necessità di tutelare l’infanzia ed evitare che bambini di tre anni venissero staccati dalla madre costretta a fare ingresso in carcere, ha determinato nel tempo l’innalzamento sia dell’entità della pena da poter scontare in detenzione domiciliare che dell’età dei bambini che consente di avanzare l’istanza di concessione della misura.

Con la legge n° 296/93, infatti, veniva modificato l’art. 47-ter O. p. e stabilito che la pena detentiva non superiore a tre anni potesse essere scontata in detenzione domiciliare dalla madre di prole di età inferiore a cinque anni. Con la legge n° 165/98 (nota come legge Simeone) la pena detentiva da poter scontare in regime domiciliare veniva ancora elevata a quattro anni e l’età dei minori a dieci anni.

Il comma 1-ter dell’art. 47-ter dell’O. p., introdotto dalla legge Simeone, ha sancito, poi, che in caso di pena detentiva superiore a quattro anni, quando sussistono le condizioni per disporre il rinvio obbligatorio o facoltativo dell’esecuzione, il Tribunale di sorveglianza può disporre comunque la detenzione domiciliare, stabilendo un termine a tale misura, prorogabile sino a che sussistano le condizioni legittimanti.

Nonostante l’ampliamento della platea delle madri a cui era possibile accedere alla detenzione domiciliare, nel 2000 i bambini in carcere erano ancora molti, circa 80 di cui 50 con meno di tre anni.

Il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa nel frattempo emanava la raccomandazione 2000/1469 in tema di detenzione dei genitori, richiedendo di ricorrere alla pena privativa della libertà solo quale ultima ratio allorché si tratti di donne incinte o di madri di bimbi in età precoce. [3]

Si ripresentava quindi l’esigenza improcrastinabile di mettere in campo nuove misure per evitare, o quantomeno ridurre, la carcerazione dei bambini.

Nel 2001 veniva emanata la legge n° 40/2001 (c.d. legge Finocchiaro), intitolata “misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori”. Oltre a modificare gli artt. 146 e 147 del c.p., dandogli, come precedentemente indicato, la versione attuale, la legge, con l’intento di ampliare ancora la platea delle madri a cui poter concedere la detenzione domiciliare, introduceva nell’O. p. l’art. 47- quinquies che prevede la “detenzione domiciliare speciale”

L’art. 47-quinquies O. p. al comma 1 stabilisce che «quando non ricorrono le condizioni di cui all’art. 47- ter, le condannate madri di prole di età inferiore ad anni dieci, se non sussiste un concreo pericolo di commissione di ulteriori delitti e se vi è la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli, possono essere ammesse ad espiare la pena nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico di cura, assistenza o accoglienza al fine di provvedere alla cura ed assistenza dei figli, dopo l’espiazione di almeno un terzo della pena ovvero dopo l’espiazione di almeno quindici anni nel caso di condanna all’ergastolo» .

La misura quindi veniva pensata per madri condannate a pene detentive elevate e finanche all’ergastolo. Le pene di lungo corso, infatti, fino a quel momento, avevano impedito di accedere alla detenzione domiciliare determinando la carcerazione dei bambini al seguito delle madri.

La concessione della misura speciale veniva -e viene tuttora- subordinata ad un periodo di espiazione della pena e all’insussistenza di un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti, oltre alla possibilità concreta di ripristinare la convivenza con i figli. Tali condizioni hanno in concreto limitato l’operatività della misura soprattutto poiché le madri condannate a pene elevate con figli in tenera età sono molto spesso donne nomadi che non hanno soluzioni abitative alternative al campo nomadi, giudicato spesso domicilio non adatto dalla Magistratura di sorveglianza, nonché donne plurirecidive e, quindi, in gran parte ritenute immeritevoli della prognosi positiva sul futuro comportamento.

Nel 2009, infatti, i bambini detenuti erano ancora 75.

L’esigenza di ritornare sulla questione dei bambini in carcere, unitamente ad una maggiore consapevolezza dei danni irreversibili che il carcere produce sui bambini, determinavano l’urgenza di un nuovo intervento legislativo. Dopo dieci anni dalla legge n° 40/2001, nel 2011 veniva emanata la legge n° 62, titolata “modifiche al codice di procedura penale e alla legge n° 354/75 e altre disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori”.

La legge interveniva su diversi profili, in primo luogo modificava l’art. 275, comma 4, del c.p.p. stabilendo che il divieto di disporre o mantenere la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, si applica a donna incinta e a madre di prole di età non superiore a sei anni. Si innalzava pertanto da tre a sei anni l’età dei bambini che non possono entrare in carcere al seguito della madre destinataria di ordine di applicazione di misura cautelare. Inoltre, introduceva l’art. 285 bis c.p.p. che stabilisce «nelle ipotesi di cui all’art. 275 comma 4, se la persona da sottoporre a custodia cautelare sia donna incinta o madre di prole di età non superiore a sei anni […], il giudice può disporre la custodia presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri, ove le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza lo consentano» [4].

A tale legge, pertanto, dobbiamo l’istituzione dell’ I.C.A.M. (Istituto a Custodia Attenuata per le Madri).

La volontà della legge di ampliare il novero dei luoghi ove i bambini detenuti possano svolgere la propria vita in modo meno penoso e limitativo, si evidenzia anche attraverso il riconoscimento di istituire case-famiglia protette destinate ad ospitare le detenute madri.

All’art. 4 la legge n° 62/11 stabilisce e precisa che con decreto del Ministero della giustizia saranno determinate le caratteristiche tipologiche delle case-famiglia protette e che il Ministro della giustizia, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, può stipulare con gli enti locali convenzioni volte ad individuare le strutture idonee ad essere utilizzate come case famiglia protette.

In sostanza, la legge prevede la possibilità di realizzare le indicate strutture residenziali ma non si assume l’impegno economico necessario alla loro realizzazione che, infatti, non deve gravare sulla finanza pubblica.

In tutta Italia sono stati istituiti solo cinque I.C.A.M. e soltanto due case-famiglia protette [5].

Si deve subito evidenziare che le possibilità offerte dal nuovo comma 1-bis dell’art. 47-quinquies erano precluse alle madri condannate per taluno dei delitti previsti dall’art. 4-bis dell’O. p.

La Corte costituzionale, con la sentenza n° 239/14 dichiarava però l’illegittimità dell’art. 4-bis O. p. per contrasto con gli artt. 3-29-30 e 31 della Costituzione nella parte in cui non escludeva dal divieto di concessione di benefici la misura della detenzione domiciliare speciale. La Consulta evidenziava che la misura in questione persegue, come tutte le misure alternative alla detenzione, la finalità del reinserimento sociale del condannato ma che «è indubbio che nell’economia dell’istituto assuma un rilievo del tutto prioritario l’interesse di un soggetto debole, distinto dal condannato e particolarmente meritevole di protezione, quale quello del minore in tenera età ad instaurare un rapporto quanto più possibile “normale” con la madre (o, eventualmente, con il padre) in una fase nevralgica del suo sviluppo. Interesse che – oltre a chiamare in gioco l’art. 3 Cost., in rapporto all’esigenza di un trattamento differenziato – evoca gli ulteriori parametri costituzionali richiamati dal rimettente (tutela della famiglia, diritto-dovere di educazione dei figli, protezione dell’infanzia: artt. 29, 30 e 31 Cost.)». La Corte costituzionale, inoltre, puntualizzava che: «a fianco dei richiamati imperativi costituzionali – tra cui, anzitutto, quello che demanda alla Repubblica di proteggere l’infanzia, “favorendo gli istituti necessari a tale scopo” (art. 31, secondo comma, Cost.) – vengono in particolare considerazione, sul piano internazionale, le previsioni dell’art. 3, primo comma, della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, e dell’art. 24, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo. Entrambe le disposizioni qualificano, infatti, come «superiore» l’interesse del minore, stabilendo che in tutte le decisioni relative ai minori, adottate da autorità pubbliche o istituzioni private, detto interesse deve essere considerato «preminente»: precetto che assume evidentemente una pregnanza particolare quando si discuta dell’interesse del bambino in tenera età a godere dell’affetto e delle cure materne». La preminenza dell’interesse del minore, sancita dalla normativa internazionale, determinava la Consulta ad affermare che «assoggettando anche la detenzione domiciliare speciale al regime “di rigore” sancito dall’art. 4-bis, comma 1, della legge n. 354 del 1975, il legislatore ha, dunque, accomunato fattispecie tra loro profondamente diversificate». La Corte di legittimità, in sostanza, censurava l’art 4 bis O. p laddove parificava la detenzione domiciliare speciale alle altre misure alternative non considerando che la misura speciale è finalizzata anche e soprattutto alla tutela dell’interesse di un soggetto debole, quale è il minore in tenera età che deve fruire delle condizioni per un migliore e più equilibrato sviluppo fisio-psichico.

La Consulta specificava che il predetto interesse del minore, malgrado il suo elevato rango, non forma però oggetto di protezione assoluta, tale da sottrarlo ad ogni bilanciamento con le esigenze di difesa sociale, ma affermava che «affinché l’interesse del minore possa restare recessivo di fronte alle esigenze di protezione della società dal crimine, occorre che la sussistenza e la consistenza di queste ultime venga verificata, per l’appunto, in concreto – così come richiede la citata disposizione – e non già collegata ad indici presuntivi – quali quelli prefigurati dalla norma censurata – che precludono al giudice ogni margine di apprezzamento delle singole situazioni».

La Consulta quindi dichiarava incostituzionale la preclusione assoluta attribuendo al giudice il compito di contemperare le esigenze di tutela della sicurezza sociale, espresse dall’art. 4-bis O. p., con la tutela del rapporto genitoriale ed estendeva la declaratoria di incostituzionalità anche alla detenzione domiciliare umanitaria ex art. 47-ter comma 1 lettere a) e b)[6].

Con la sentenza n° 76 del 2017, la Consulta ha poi dichiarato incostituzionale anche l’incipit dell’art. 47-quinquies comma 1-bis dell’O. p. «salvo che nei confronti delle madri condannate per taluno dei delitti indicati nell’art. 4 bis O. p.» [7]. La Corte di legittimità, infatti, partendo dal principio espresso nella sentenza n° 239 del 2014 per cui il preminente interesse del minore non può essere sempre recessivo di fronte alle esigenze di protezione della società, la cui sussistenza e consistenza deve essere verificata in concreto dal magistrato, ha dichiarato l’illegittimità della preclusione assoluta contenuta nell’ incipit dell’art. 47-quinquies comma 1-bis dell’O. p. in quanto lesiva dell’interesse del minore e, pertanto, dell’art. 31, secondo comma, della Costituzione.

Non si può non ricordare a questo punto che il 21 marzo 2014 era stato siglato un protocollo d’intesa tra il Ministero della giustizia, l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza e l’associazione “Bambini senza sbarre onlus”. Tale protocollo, nel riconoscere la necessità di favorire il mantenimento dei rapporti tra genitori detenuti e figli minori, raccomanda di individuare nei confronti dei genitori con figli di minore età, misure di attuazione della detenzione che tengano conto del superiore interesse di questi ultimi ed evidenzia la necessità di escludere la permanenza in carcere dei bambini, finanche negli I.C.A.M., e di prevedere, quindi, misure alternative alla detenzione inframuraria. [8]

Precedentemente, con il decreto ministeriale 8 marzo 2013, a firma del Ministro Severino, erano state individuate le caratteristiche tipologiche delle case-famiglia protette che, in sintesi, devono essere collocate in luoghi ove sia possibile l’accesso ai servizi territoriali, socio-sanitari ed ospedalieri, devono avere caratteristiche tali da consentire una vita ispirata a modelli familiari e non devono ospitare più di sei nuclei familiari. Le case-famiglia protette, inoltre, devono avere stanze per il pernottamento e servizi igienici che tengano conto delle esigenze di riservatezza nonché stanze in comune per i servizi indispensabili (cucina, incontri e colloqui con operatori e familiari) ed ancora spazi aperti da destinare al gioco dei bambini.

E’ del tutto evidente che per realizzare tali strutture con le predette caratteristiche, occorrono investimenti rilevanti e l’impossibilità di gravare sulle casse dello Stato- sancita dal Legislatore del 2011- ha determinato, come precedentemente specificato, che su tutto il territorio nazionale sono state realizzate soltanto due case famiglia protette.

Nonostante la raccomandazione del Consiglio dei ministri europei, l’indicato protocollo del 2014 e l’evoluzione legislativa che ha gradualmente ampliato le possibilità di decarcerizzare i bambini infradecenni, nel 2018 i bambini in carcere erano ancora ben 66, decisamente un numero elevato ed incompatibile con le normative sovranazionali (Convenzione Onu per i diritti del fanciullo e Carta di Nizza) nonché con gli intenti dichiarati dai nostri Guardasigilli.

Non si è potuto, pertanto, non prendere atto dell’inadeguatezza degli strumenti messi in campo per evitare che i bambini facessero ingresso in carcere. Punto nodale delle criticità emerse, senza dubbio, è -e resta- la limitazione economica contenuta nel testo della legge n° 62/11.

1.1 Dal quadro delle norme ai passi in avanti: da cosa si parte e dove si vorrebbe arrivare.

Nel dicembre del 2019, è stata presentata alla Camera dei deputati una proposta di legge il cui primo firmatario è l’onorevole Paolo Siani, pediatra noto per la sua esperienza ed attenzione globale al mondo dell’infanzia, che ha illustrato, insieme agli altri deputati proponenti, la necessità di valorizzare l’istituzione della casa-famiglia protetta, considerata la vera soluzione del problema dei bambini in carcere. Nella proposta si evidenzia come, in realtà, anche gli I.C.A.M. mantengano per loro stessa natura una connotazione tipicamente detentiva, con evidenti conseguenze lesive per i minori ospitati e, quindi, si illustra la necessità di eliminare i vincoli economici contenuti nella legge n° 62/2011.

La proposta di legge, attualmente ancora al vaglio in Commissione giustizia, all’art. 3 stabilisce che: «il Ministro della giustizia stipula con gli enti locali convenzioni volte ad individuare le strutture idonee a essere utilizzate come casa famiglia protetta» Essa apporta sostanziali modifiche all’art. 4 della legge n° 62/11 e, in particolare, elimina la clausola «senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica» e sostituisce il «può stipulare» con «stipula».

In sostanza, prevede che lo Stato possa finanziare la realizzazione delle case-famiglia protette.

Sempre all’art. 3, la proposta di legge stabilisce che «i comuni ove sono presenti case famiglia protette adottano i necessari interventi per consentire il reinserimento sociale delle donne una volta espiata la pena detentiva, avvalendosi dei propri servizi sociali». La proposta quindi prevede che venga affidato allo Stato, nelle sue articolazioni territoriali, anche il compito di attivarsi per il reinserimento delle detenute madri. Infine, stabilisce che degli oneri derivanti dalla realizzazione delle case-famiglia protette si faccia carico la Cassa delle ammende.

In realtà, la proposta di legge è ampia ed articolata prevedendo anche la modifica dell’art. 275, comma 4, c.p.p. attraverso l’abolizione delle parole «salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza», nonché la modifica dell’art. 285-bis , comma 1, c.p.p. laddove sostituisce le parole «ove le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza lo consentano» con le parole «ove sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza» strutturando, quindi, un sistema tale per cui le madri di prole di età inferiore a sei anni non possano mai entrare in carcere in stato di custodia cautelare e, solo nei casi in cui sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, debbano fare ingresso negli I.C.A.M..

In tal modo, la struttura di riferimento per l’applicazione della custodia cautelare nei confronti delle madri di minori di sei anni diventa l’abitazione privata o la casa-famiglia protetta, laddove la custodia cautelare in I.C.A.M. diventa l’eccezione.

  1. Intervista all’On. Paolo Siani: le ragioni e gli obiettivi della proposta di legge.

Per comprendere quali siano state le ragioni e le aspirazioni dei proponenti di questo coraggioso progetto di modifica che, almeno in teoria, si presenta come finalmente risolutivo del problema dei bambini piccoli in carcere, si riporta l’intervista gentilmente concessa all’ autore dall’On. Paolo Siani.

D:   In primo luogo vorrei conoscere il Suo punto di vista sugli ICAM e in particolare quali sono state le sue impressioni ed opinioni a seguito della Sua visita presso gli stessi.

R:    Con la commissione bicamerale per l’infanzia e l’adolescenza ho visitato l’ICAM di Lauro e ho potuto vedere con i miei occhi la situazione. Ho ascoltato le detenute, pranzato con loro e con i volontari e, nonostante tutte le donne di Lauro si siano mostrate molto contente di avere con loro i bambini, che considerano una vera e propria salvezza, è evidente che le prigioni, attenuate o meno, non sono luoghi per bambini.

La detenzione dei bambini in strutture carcerarie, anche se attenuate, è una pratica contraria ai diritti umani.

E poi va considerato che i primi 3 anni di vita per i bambini sono quelli probabilmente decisivi, in cui si mettono le basi per la crescita futura. Non possiamo accettare l’idea che questi bambini innocenti siano costretti a vivere in un carcere, in ambienti che non sono adatti alla loro tenera età. Bisogna intervenire in fretta per portare fuori dalle carceri questi bambini, che hanno tutto il diritto di vivere una vita quanto più possibile normale. Chi cresce in un carcere non avrà una vita normale neanche da adulto.

 D:   In qualità di pediatra ritiene che la possibilità delle madri detenute di tenere presso di sé (e quindi in carcere) i figli fino all’età di sei anni sia una possibilità da cogliere sempre? Per un bambino molto piccolo, in generale, è preferibile coltivare il rapporto affettivo con la madre, benché in carcere, oppure, nel caso ovviamente in cui vi sia la possibilità, affidarlo ad altri parenti e quindi “staccarlo” dalla madre detenuta?

R:    Rispondere a questa domanda è complicato, perché se è vero che è molto difficile anche solo pensare di “staccare” un bambino dalla propria mamma, soprattutto nella primissima infanzia, anche se la mamma ha commesso un reato, è altrettanto difficile pensare che una mamma che ha commesso un reato tale da dover scontare una pena in carcere abbia tutti gli strumenti e le possibilità di esercitare al meglio il suo ruolo di genitore.

Sono necessarie da un lato soluzioni alternative alla detenzione in carcere, seppur attenuata, e le case-famiglia possono essere una valida alternativa come del resto la legge attualmente in vigore già prevede, ma servono anche interventi per aiutare queste mamme a esercitare al meglio la loro genitorialità e soprattutto è necessario che qualcuno si interessi e segua la crescita di questi bambini, sia mentre la mamma sconta la sua pena che soprattutto dopo. Questo è il compito dello Stato.

Esiste inoltre la possibilità dell’affido e ci sono esperienze anche in Italia, specie con l’affido a tempo parziale per bambini con mamme detenute, in cui il bambino trascorre con i genitori affidatari solo alcune ore del giorno, o i fine settimana, o eventualmente brevi vacanze. In questo caso i bambini non vengono allontanati del tutto dalle loro mamme, e l’affidatario svolge una funzione di sostegno alla famiglia di origine in difficoltà. Questa, che per alcuni viene ritenuta la migliore soluzione per il bambino, ha tutte le complicazioni di far vivere il bambino in due realtà completamente diverse e doverlo far adattare a una doppia vita. Ma in certi casi può essere una soluzione da perseguire.

Secondo la giurisprudenza, la ratio del divieto legislativo di applicazione della misura cautelare carceraria, in presenza di minori di età inferiore ai sei anni, risiede nella necessità di salvaguardare la loro integrità psicofisica, dando prevalenza alle esigenze genitoriali ed educative su quelle cautelari (entro i limiti precisati), garantendo così ai figli l’assistenza della madre, in un momento particolarmente significativo e qualificante della loro crescita e formazione (Corte di cassazione, sezione VI penale, 23 giugno-1 settembre 2015, n. 35806; Corte di cassazione, sezione VI penale, 30 aprile-4 luglio 2014, n. 29355; Corte di cassazione, sezione I penale, 12 dicembre 2013-31 gennaio 2014, n. 4748; Corte di cassazione, sezione V penale, 15-27 febbraio 2008, n. 8636).

In ogni caso è certo che il bambino fino a 3 anni di vita ha bisogno della madre, ha bisogno di stare vicino alla sua mamma, di essere allattato e nutrito, di essere coccolato e di ascoltare la voce della mamma, anche se, come ci dicono gli operatori che lavorano negli ICAM, i bambini che crescono in carcere, quando cominciano a parlare, la prima parola che imparano dopo “mamma” è “apri”.

D:   Quali sono le differenze strutturali tra la casa-famiglia protetta e gli ICAM? In che modo queste differenze incidono, almeno potenzialmente, sul rapporto affettivo madre/figlio e sullo sviluppo evolutivo del minore?

R:    Provo a rispondere in forza dell’esperienza vissuta. Oltre all’ICAM di Lauro, ho avuto modo di visitare la Casa di Leda a Roma. Si tratta di una casa protetta per donne detenute con figli minori. È ospitata in un elegante villino all’EUR, confiscato a un boss mafioso, con un bel giardino intorno, un grande salone, una stanza con i giochi dei bambini e altre 5 stanze, dotate di bagno per le mamme recluse. I bambini vanno tutti al nido o alla scuola materna e le mamme si alternano nei lavori di casa. Certamente è molto diversa da un carcere, non ci sono i cancelli, non ci sono le celle, e i bambini possono giocare in giardino, hanno ampi spazi nella casa per poter giocare e leggere, possono andare a scuola accompagnati dalle loro mamme. Non possono frequentare altri bambini fuori dagli orari di scuola, ma la loro è una vita molto simile a quella di una famiglia normale. E tutte le mamme sono ben contente di poter scontare la loro pena in questo tipo di istituto. Ecco, una simile esperienza certamente incide in misura positiva sia sul rapporto affettivo madre/figlio che sullo sviluppo evolutivo del bambino.

D:   Le limitazioni economiche contenute nella legge n° 62/11 all’istituzione della casa-famiglia che la Sua proposta di legge tenta di superare, hanno determinato un “insuccesso” della legge nel senso che sull’intero territorio nazionale ne sono state costituite solo due. Crede che l’auspicato superamento di queste limitazioni e quindi l’esclusione della clausola “senza oneri per lo Stato” riuscirà ad impegnare concretamente lo Stato (nei suoi apparati locali) a farsi carico del problema dei bambini che vivono in carcere atteso che l’argomento carcere suscita sempre e comunque polemiche e gli investimenti in questa istituzione risultano puntualmente impopolari?

R:    Purtroppo è vero che l’argomento carcere suscita molte perplessità, ma lo Stato, nelle sue articolazioni, deve farsi carico di questo problema, senza ombra di dubbio. Trovo che sia veramente contraddittorio provare da un lato a recuperare le mamme che hanno commesso un reato e dall’altro condannare i loro bambini a un inizio della vita tutt’altro che favorevole e felice all’interno di un carcere, per quanto a custodia attenuata. L’ambiente accogliente e allegro della Casa di Leda a Roma di cui parlavo prima è il parametro che deve guidare la rieducazione di queste donne, con uno sguardo attento e premuroso ai loro figli. Ci auguriamo che l’istituzione di un fondo per l’inserimento dei nuclei mamma-bambino all’interno di case-famiglia e comunità alloggio sia finalmente l’occasione per restituire la necessaria centralità alla tutela della salute dei piccoli finora detenuti in carcere assieme alle loro madri.

Ma nonostante in legge di bilancio sia stato approvato un mio emendamento che destina un milione e mezzo di euro all’anno per i prossimi tre anni all’istituzione delle case-famiglia, il Ministero della Giustizia non ha dato ancora seguito a questa norma. Per questo motivo stiamo preparando un’interrogazione al Ministro.

D:   Nella Sua pregevole proposta di legge, gli ICAM restano un’ipotesi residuale nel senso che la custodia in questi istituti verrebbe ad essere disposta solo in caso di sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Ebbene, poiché la legge, per come abbiamo compreso, intende tutelare l’infanzia più che la genitorialità stessa, come si concilia il fatto che bambini di madri che presentino esigenze cautelari rilevanti, debbano poi essere destinatari comunque di una detenzione per poter vivere il rapporto affettivo con la madre? In qualche misura si farebbero “ricadere le colpe” dei genitori sui loro figli piccoli non ancora in grado di comprendere le esigenze di sicurezza collettiva. Sarebbe possibile secondo Lei, anche un domani, proporre che il sistema del “doppio binario” non interessi mai l’infanzia e che questa possa essere considerata sempre un bene superiore?

R:    Si tratta di far convivere il supremo interesse del minore, che va sempre tutelato, e la necessità di dover rieducare una mamma che ha commesso un reato grave da dover scontare una pena in un carcere. Certamente non è facile e comunque il numero delle donne con bambini molto piccoli e costrette in un carcere è un numero assolutamente basso.

Siamo infatti di fronte a una situazione residuale, della quale certamente va tenuto conto, ma che resta residuale e riferita solo a casi di eccezionale rilevanza. L’impianto della proposta di legge considera l’infanzia in termini di assoluta priorità, al pari di altri provvedimenti parlamentari che ho promosso in questi anni. Basti ricordare che nel PNRR c’è un capitolo espressamente dedicato all’infanzia, che recepisce i contenuti di una mozione che ho presentato insieme al collega Paolo Lattanzio e che è finalizzato a dare centralità ai bambini in quanto destinatari e beneficiari diretti di interventi e azioni e non più da considerare residuali. Questo stesso spirito alimenta anche la proposta di legge per l’istituzione delle case-famiglia.

Il vero problema però è riuscire a individuare prima queste situazioni e intervenire prima che il danno si sia instaurato. Porre riparo a un danno è infatti sempre molto più difficile che prevenirlo.

Esistono esperienze in Italia, ma anche in Europa, che dimostrano come una visita domiciliare effettuata in gravidanza o alla nascita di una bambina o di un bambino sia in grado di individuare precocemente il rischio, intervenire e orientare al meglio la vita sociale e anche sanitaria di questi bambini e delle loro mamme.

Questa sarebbe la misura migliore per trovare un’alternativa al carcere.

Durante il lockdown, nel carcere femminile di Rebibbia, sono state attuate misure che hanno dimostrato che è possibile adottare soluzioni alternative al carcere al fine di permettere a madri e figli di vivere in condizioni di sicurezza, continuando, comunque, a scontare la propria pena. Il DL n. 18/2020 prevedeva, infatti, di estendere “fino al 30 giugno 2020 la disciplina già prevista a regime dalla legge n.199 del 2010, in base alla quale la pena detentiva non superiore a 18 mesi, anche se parte residua di maggior pena, può essere eseguita presso il domicilio”, proprio perché gli istituti penitenziari non erano ritenuti luoghi sicuri sul versante sanitario per l’assenza di mascherine, gel disinfettante, nonché per il contagio che poteva essere potenzialmente veicolato dagli agenti di polizia penitenziaria o da tutti coloro che avevano contatti con l’esterno.

Concludo dicendo che, oltre alla mia proposta di legge, ne sono state presentate altre due che andranno abbinate e che avranno bisogno di essere discusse in commissione per poi arrivare a una proposta unica. Sono stati anche presentati gli emendamenti alla mia proposta di legge che certamente la migliorano.

Insomma, un tema che sembrava residuale e di scarso interesse per la politica si sta dimostrando invece attraente. Spero che si riesca a trovare una mediazione efficace e a legiferare prima che termini la legislatura.

Paolo Siani

  1. Conclusioni.

L’intervista ha illustrato chiaramente le ragioni ispiratrici della proposta di legge che, nel suo complesso, ha l’obiettivo di impedire l’ingresso in carcere dei bambini, anche se per poco tempo [9] ed almeno fino ai sei anni. La proposta prevede, infatti, che il differimento obbligatorio ex art. 146 c.p. potrà essere richiesto, coerentemente all’intero sistema sotteso alla proposta di legge, dalle madri di bambini fino ai tre anni, mentre il differimento facoltativo ex art. 147 c.p. potrà essere invocato dalle madri di bambini di età compresa tra tre e sei anni.

L’On. Siani ha spiegato come sia necessario che all’infanzia siano destinate misure specifiche e dirette a riconoscere “la centralità dei bambini” e come, generalmente, sia fondamentale per i bambini fino a tre anni crescere con la propria madre, essere nutriti ed accuditi dalla stessa in un ambiente il più possibile “normale” come certamente piò essere una casa-famiglia protetta.

Nonostante l’iter parlamentare si presenti ancora lungo, l’On. Siani si è dimostrato ottimista affermando di aver trovato da parte della Politica maggior interesse di quello sperato per un tema, quello dei bambini in carcere, che inizialmente gli sembrava essere di importanza residuale per il Parlamento.

Ebbene, la circostanza che per il Parlamento italiano il dramma dei bambini in carcere avesse importanza residuale in realtà si era intuito giacché, nonostante nel corso degli anni il numero dei bambini in carcere, sebbene decrescente, fosse ancora importante, gli interventi legislativi sono stati effettuati comunque con comodi cicli più o meno decennali e si sono dimostrati sempre piuttosto cauti.

Occorre che il Legislatore comprenda che investire sui bambini significa avere rendimenti elevati nel prossimo futuro e che consentire e tollerare la detenzione dei bambini ha, invece, un costo umanitario ma anche economico incalcolabile poiché come ha affermato l’On. Siani «chi cresce in un carcere non avrà una vita normale neanche da adulto».

Nel frattempo, nel 2021 il numero dei bambini in carcere è ancora alto: secondo il XVII rapporto sulle condizioni di detenzione dell’associazione Antigone, al 31 gennaio 2021 erano ancora 29 i bambini dietro le sbarre.[10]

*Avvocato del Foro di Napoli, Direttivo de Il Carcere possibile onlus

[1] La Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (Convention on the Rights of the Child – CRC), approvata all’unanimità dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 è stata ratificata dall’Italia il 27 maggio 1991 con la Legge n. 176. Dal 1989. La Convenzione è divenuta il trattato in materia di diritti umani con il più alto numero di ratifiche: oggi sono 196 gli Stati che si sono vincolati giuridicamente al rispetto dei diritti in essa riconosciuti. La Convenzione è composta di 54 articoli e il testo è ripartito in tre parti: la prima contiene l’enunciazione dei diritti (artt. 1-41), la seconda individua gli organismi preposti e le modalità per il miglioramento e il monitoraggio della Convenzione (artt. 42-45), mentre la terza descrive la procedura di ratifica (artt. 46-54), in www.unicef.it/convenzione-diritti-infanzia/

[2] La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (o Carta di Nizza) proclamata nel corso del Consiglio Europeo di Nizza del 20 dicembre 2000, sancisce il carattere fondamentale e la portata dei diritti umani per i cittadini dell’Unione. All’art. 24 -Diritti del bambino- afferma: 1.I bambini hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Essi possono esprimere liberamente la propria opinione; questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità. 2.In tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente. 3.Ogni bambino ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse.

IT18.12.2000 Gazzetta ufficiale delle Comunità europee C 364/13

[3] Council of Europe, Parliamentary Assembly, Recommendation 1469 (2000), Mothers and Babies in Prison (adopted on June 30, 2000)

[4] La legge n° 62/11 all’art. 1 comma 4 stabilisce “le disposizioni di cui al presente articolo si applicano a far data dalla completa attuazione del piano straordinario penitenziario, e comunque a decorrere dal 1° gennaio 2014”.

La legge n°62/11 ha anche ampliato l’operatività della detenzione domiciliare speciale aggiungendo all’art. 47-quinquies dell’ordinamento penitenziario, il comma 1-bis che prevede che l’espiazione di almeno un terzo della pena o di 15 anni in caso di condanna all’ergastolo, possa avvenire presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri ovvero, se non sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti o di fuga, nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza e che, in caso di impossibilità di espiare la pena nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora, la stessa possa essere espiata nelle case famiglia protette, ove istituite.

[5] Attualmente gli I.C.A.M. sono situati a Milano-S. Vittore, a Venezia-Giudecca, a Torino-Lorusso/Cotugno, a Lauro in provincia di Avellino e nelle prossimità di Cagliari mentre le case-famiglia protette si trovano a Milano, gestita dall’associazione C.I.A.O., ed a Roma “La Casa di Leda”.

[6] La sentenza n° 239/14 ha esteso la dichiarazione di illegittimità costituzionale, in via consequenziale, alla misura della detenzione domiciliare ordinaria prevista dall’art. 47-ter, comma 1, lettere a) e b), della legge n° 354 del 1975: ciò, per evitare che una misura avente finalità identiche alla detenzione domiciliare speciale, ma riservata a soggetti che debbono espiare pene meno elevate, resti irragionevolmente soggetta ad un trattamento deteriore in parte qua.

[7] In particolare si riporta un passaggio fondamentale della sentenza della Corte Costituzionale n°76/17:«A causa della disposizione censurata, vengono del tutto pretermessi gli interessi del minore ad instaurare un rapporto quanto più possibile “normale” con la madre, nonché la stessa finalità di reinserimento sociale della condannata, non estranea, come si è già detto, alla detenzione domiciliare speciale, quale misura alternativa alla detenzione. Questa sorta di esemplarità della sanzione – la madre deve inevitabilmente espiare in carcere la prima frazione di pena – non può essere giustificata da finalità di prevenzione generale o di difesa sociale (sentenza n. 313 del 1990). Infatti, le esigenze collettive di sicurezza e gli obiettivi generali di politica criminale non possono essere perseguiti attraverso l’assoluto sacrificio della condizione della madre e del suo rapporto con la prole».

[8] Il protocollo è stato successivamente rinnovato nel 2016 e nel 2018 per la terza volta a conferma dell’interesse che le parti riconoscono alle condizioni che vivono i figli minori di genitori detenuti e alle difficoltà che in tante occasioni si trovano ad affrontare, sia che vivano assieme a loro, condividendone le limitazioni degli ambienti di detenzione, sia che li incontrino in carcere nel tempo loro concesso dalla legge.
in www.bambinisenzasbarre.org/3-rinnovo-della-carta-dei-diritti-dei-figli-dei-genitori-detenuti/

[9] Tale obiettivo è reso manifesto dalle importanti modifiche che si apportano agli articoli 293 e 656 del codice di rito riguardanti rispettivamente la fase dell’esecuzione dell’ordinanza cautelare e dell’ordine di carcerazione.

In particolare, all’art. 293 c.p.p. vengono inseriti il comma 1 quater secondo cui «l’ufficiale o l’agente incaricato di eseguire l’ordinanza il quale, nel corso dell’esecuzione, rilevi la sussistenza di una delle ipotesi di cui all’art. 275 comma 4, deve darne atto nel verbale di cui al comma 1 ter. In questo caso il verbale è trasmesso al giudice prima dell’ingresso dell’arrestato nell’istituto di pena» ed il comma 1-quinquies per cui nei casi di cui al comma 1 quater, il giudice può disporre la sostituzione della misura cautelare con altra meno gravosa o modalità esecutive meno gravose prima dell’ingresso dell’arrestato nell’istituto di pena.

La stessa ratio, vale a dire evitare anche per poco tempo l’ingresso in carcere di madri di bambini, è sottesa alla proposta di modifica dell’art. 656 c.p.p. che prevede l’inserimento del comma 4-quinquies a mente del quale se nel corso dell’applicazione dell’ordine che dispone la carcerazione, emergano circostanze tali da poter determinare il differimento obbligatorio ex art. 146 c.p., il Pubblico Ministero informa immediatamente il magistrato di sorveglianza che procede secondo le forme dell’art. 684 comma 2 c.p.p..

[10] Al 31 gennaio 2021 erano 29 i bambini, 13 dei quali stranieri, in carcere con le proprie 26 madri. Erano alloggiati nell’ICAM di Lauro (8), nell’ICAM affiliato al carcere di Torino (6), nel carcere femminile di Rebibbia (5), nelle carceri di Salerno e Venezia (3), nel carcere di Milano Bollate (2), e nelle carceri di Foggia e Lecce (un unico bambino per ciascuna delle due strutture). In www.rapportoantigone.it/diciassettesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/donne-e-bambini/