Enter your keyword

FILIPPO SGUBBI: IL DIRITTO PENALE TOTALE – DI FRANCESCO D’ERRICO

FILIPPO SGUBBI: IL DIRITTO PENALE TOTALE – DI FRANCESCO D’ERRICO

D’ERRICO – FILIPPO SGUBBI IL DIRITTO PENALE TOTALE.PDF

di Francesco D’Errico*

Da poco più di un mese il professore e avvocato Filippo Sgubbi ci ha purtroppo lasciati. La scorsa estate veniva pubblicata quella che è divenuta la sua opera definitiva: “Il diritto penale totale. Punire senza legge, senza verità, senza colpa”. A distanza di un anno dall’uscita, si propone una presentazione di questo lucidissimo pamphlet, “la cui densità concettuale e l’ampiezza di orizzonte” sono “inversamente proporzionali al numero occupato dalle pagine del testo” (come scritto nella prefazione dal professor Tullio Padovani), nel tentativo di descriverne i tratti fondamentali e i passaggi più illuminati e illuminanti.

 

Correva l’anno 1990 e Filippo Sgubbi definiva il reato come un “rischio sociale”. Nel suo “Il reato come rischio sociale. Ricerche sulle scelte di allocazione dell’illegalità penale”[1], infatti, il professore sosteneva che “lo spazio di libertà dei singoli si riduce progressivamente […] al punto che, oggi, è davvero raro rintracciare condotte che possano dirsi con certezza estranee all’area di operatività del diritto penale”. Con queste parole, descriveva efficacemente gli effetti dell’ipertrofia del diritto terribile, analizzava le conseguenze nefaste della sua incessante voracità patologica e ne evidenziava il contrasto con il suo tradizionale carattere di “frammentarietà”, tanto da rilevare “un drastico rovesciamento dei postulati tradizionali” perché, concludeva il ragionamento, “frammentaria è ora la libertà”.

A trent’anni da quella celebre opera, è uscito “Il diritto penale totale”[2], nel quale il penalista bolognese ha descritto e denunciato, tramite l’esposizione di venti tesi, il consolidamento e soprattutto gli ulteriori sviluppi di quella degenerazione, già in atto da decenni.

Scorrendo le pagine, ci si imbatte in una impietosa e lucidissima analisi del presente, ma anche in riflessioni e ipotesi sui possibili risvolti futuri di questa esondazione che, almeno per ad oggi, appare inarrestabile.

Si è giunti, secondo l’autore, alla realizzazione di un diritto penale concepito e percepito, sia dalla politica che dalla società nel suo complesso, come “il rimedio giuridico a ogni ingiustizia e ogni male sociale”, che ha assunto nel tempo una pericolosa e innaturale connotazione palingenetica, distante e addirittura contraria alla sua tradizionale funzione. Tutto è cominciato dall’irreversibile crisi del principio di legalità – “l’identificazione tra diritto penale e legge è tramontata” – , che ha creato lo spazio per la nascita di “fonti sociali di creazione e definizione di precetti penali”, grazie alle quali il vittimo-centrismo e l’emotività sono divenuti la bussola con cui il Parlamento e le corti si orientano nella  propria attività.

Se si è venuta a creare una “indebita assimilazione fra ragione di giustizia quale risoluzione imparziale di un conflitto e ragione di parte quale soddisfazione unilaterale del proprio personale interesse”, è anche perché si è imposta una “sensazione puramente soggettiva di verità”, secondo la mentalità perversa dell’ “it’s true because i feel it”, che ha dato vita alla categoria del “reato percepito”, con buona pace dei principi di materialità e di offensività.

Ecco che condotte prive di una tangibile e attuale lesività vengono impropriamente assorbite in artificiali, e spesso artificiose, fattispecie di reato, dando vita ad alcuni paradossi, come la reificazione del plurisecolare fenomeno della maleducazione (leggere per credere) o la previsione di illeciti a tutela di beni giuridici ancora inesistenti al momento della realizzazione della condotta, (in materia di tutela ambientale, ad esempio).

Secondo Sgubbi abitiamo una società caratterizzata dalla cultura del sospetto, nella quale si dividono gli individui nelle categorie dei puri e degli impuri, dove diritto e morale si confondono, si sovrappongono al punto che “l’etica pubblica si trasforma in diritto penale”; difficile dargli torto in un paese in cui è sufficiente un avviso di garanzia per essere ritenuti urbi et orbi colpevoli fino a prova contraria.

Questo a causa dell’assenza di una tavola di valori socialmente condivisi e della sempre più opprimente cappa del puritanesimo contemporaneo, rappresentato dal politically correct e dal movimento #metoo – responsabile, secondo l’autore, di aver “ribaltato inevitabilmente il canone dell’onere della prova”.

Se questo è il presente, il processo di erosione delle garanzie individuali potrebbe essere in un futuro prossimo incentivato dalle nuove tecnologie. Più in particolare, il maestro interviene sull’entrata in scena dello strumento algoritmico e sulla possibile apertura alla “predittività” nella decisione giudiziale.

L’intelligenza artificiale non costituirebbe un’utile soluzione per evitare le attuali storture del sistema. Anzi, ad oggi “ancora intriso di incognite e variabili”, potrebbe perfino rappresentare un acceleratore di difetti e di disfunzionalità, aprendo “nuovi canali di discriminazione e incarcerazione o di ostacolo alla scarcerazione per fasce socialmente più deboli” – come evidenziato da recenti ricerche – anche perché caratterizzato dalla segretezza e la non trasparenza dei suoi codici computazionali (il grande tema dell’open source).

Il rischio, quindi, sarebbe quello amplificare gli umani pregiudizi, di riprodurli e accentuarli, perché coperti e anzi avvalorati dalla presunta aura di impenetrabile e impeccabile infallibilità della tecnologia. Meglio seguire con attenzione il fenomeno, dunque, poiché il rischio è quello di svegliarsi dentro Minority Report, senza aver avuto il tempo di rendersene conto.

In attesa che la politica riacquisisca la credibilità e lo spessore necessari per non dover rincorrere, o peggio, alimentare le pulsioni punitive, quali soluzioni si possono adottare in via transitoria per “mitigare gli effetti involutivi prodotti dal diritto penale totale”? Rispondere a questo interrogativo, privando il lettore del gusto di trovare la risposta tra le conclusioni, sarebbe imperdonabile. Solo un’anticipazione, per finire, sperando che non sia già troppo: non sarà lo Stato a risolvere il problema.

*Francesco d’Errico, Presidente associazione Extrema Ratio

 

[1] “Il reato come rischio sociale. Ricerche sulle scelte di allocazione dell’illegalità penale”, ed. Il Mulino, 1990.

[2] “Il diritto penale totale. Punire senza legge, senza verità, senza colpa. Venti tesi”, ed. Il Mulino, 2019