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GIURISTI ACCADEMICI E AVVOCATURA DI FRONTE AI PROBLEMI DEL PENALE di Domenico Pulitanò

GIURISTI ACCADEMICI E AVVOCATURA DI FRONTE AI PROBLEMI DEL PENALE di Domenico Pulitanò

di Domenico Pulitanò

1.         Un incontro ravvicinato fra i mondi (contigui e fra loro intrecciati) della cultura penalistica accademica e dell’avvocatura, è maturato nella situazione italiana attuale, nel confronto e contrasto contro linee di involuzione delle politiche del diritto penale.

Il tempo presente è un momento punitivo, caratterizzato da sempre maggiore severità e dalla focalizzazione del discorso e dell’azione pubblica sulle questioni di sicurezza. Il problema dovrebbe essere il crimine, “con il momento punitivo è il castigo a diventare il problema”. Così un antropologo francese (Didier Fassin) in un recente libro intitolato “Punire. Una passione contemporanea”. Richieste di severità punitiva provengono da parti diverse (da destra e da sinistra) della società e del mondo politico, con riguardo a diverse tipologie di delitto, o di autori e vittime. Politiche populiste sono una risposta (buona o cattiva) a bisogni di protezione reali o supposti, talora artificiosamente alimentati dalla politica che se ne serve.

Una forte presa di posizione contro le passioni del punire e il populismo penale è stata il manifesto UCPI per un diritto penale liberale, elaborato anche con il contributo della cultura accademica. In esso è enunciata una serie di principi di natura costituzionale e politica condivisi da tutta la scienza penale e una dichiarata rotta di collisione con le politiche penali governative degli ultimi tempi (così uno fra i più colti penalisti italiani, Massimo Donini). La sostanza politica del manifesto sta nell’affermazione che “il diritto penale non può che essere liberale”.

Donini propone una variazione lessicale: “non può non essere garantista”. Il garantismo formale del principio di legalità non è ancora liberalismo; e non è garanzia di liberalismo la legittimità costituzionale, che lascia spazio a politiche penali diverse, anche securitarie e autoritarie.

Le nostre gratificanti proclamazioni (“non può non essere liberale”, “non può non essere garantista”) non descrivono la realtà; enunciano un programma, un auspicato dover essere. Di fatto, gli ordinamenti penali positivi possono essere – sono stati e sono – non liberali e non garantisti.

2.         Il diritto penale ha direttamente a che fare con il monopolio della forza nelle mani dello Stato Leviatano, è una risposta al problema della sicurezza hobbesiana. È da qui che dobbiamo partire, per porre il problema di una possibile configurazione liberale.

Il manifesto dell’UCPI rispecchia un sentire comune degli avvocati penalisti, professionalmente impegnati nella difesa, che è anche un sentire comune della cultura penalistica italiana. Ricompone in un modello liberale unitario i piani del diritto sostanziale e del processo: sul piano del diritto sostanziale il principio di legalità, e sul piano processuale il paradigma cognitivo del garantismo: il giusto processo come luogo di confronto di ragioni, sul fatto e sul diritto, in relazione ad ipotesi d’accusa chiaramente profilate, dinanzi a un giudice imparziale. Il criterio dell’oltre il ragionevole dubbio, ai fini dell’affermazione di responsabilità penale, è il risvolto processuale del principio di legalità.

Anche il diritto penale ripensato dall’illuminismo è diritto penale del Leviatano, ora in versione liberale, cui chiediamo sicurezza e libertà. La novità del discorso di Beccaria è il collegare il problema dei delitti e delle pene ad una filosofia politica liberale. “Fu la necessità che costrinse gli uomini a cedere parte della propria libertà: è adunque certo che ciascuno non ve ne vuol mettere nel pubblico deposito che la minima porzione possibile, quella sola che basti ad indurre gli altri a difenderlo. L’aggregato di queste minime porzioni possibili forma il diritto di punire; tutto il di più è abuso, e non giustizia, è fatto, ma non già diritto[1].

I principi liberali recepiti nella nostra Costituzione sono stati determinanti per l’evoluzione dell’ordinamento italiano, con il contributo della giurisprudenza costituzionale e della cultura giuridica che si è formata entro l’orizzonte costituzionale. Non sono solo i principi garantisti relativi al diritto penale. Condizione necessaria di un diritto criminale liberale è il rispetto dei diritti e delle libertà costituzionali. Condizione politica di un diritto punitivo liberale è il criterio del minimo penale possibile, messo in rilievo nel manifesto UCPI (n. 3,4,5).

Il principio di legalità è la struttura dell’edificio: disegna la forma del diritto criminale/penale, e affida al legislatore le politiche del diritto. L’inserimento nel sistema multilivello che fa capo all’Unione europea e alla Convenzione EDU ha arricchito (e complicato) il quadro della legalità. La nostra Costituzione e le altre carte sono documenti pressoché coetanei, figli della medesima cultura dei diritti. L’ingresso della Convenzione EDU e della giurisprudenza di Strasburgo nella cultura penalistica italiana è servito come sollecitazione culturale, a far maturare sensibilità nuove (non solo in direzione liberale, ma anche per l’effettività della tutela dei diritti), a rimediare a distorsioni applicative.

I possibili contenuti e i confini invalicabili del penale sono segnati da principi sul cui significato ‘di giustizia’ c’è (almeno a parole) un consenso di fondo, e che il manifesto UCPI richiama: il principio di offensività (n. 11) quale criterio di selezione di interessi da tutelare e delle soglie di tutela; il principio di colpevolezza (n. 12) quale criterio e limite dell’attribuzione di responsabilità personale, “secondo aspetto del principio di legalità” (Corte Cost. n. 364 del 1988), diritto di protezione dell’individuo di fronte all’autorità, insuscettibile di deroghe per nessuna ragione (Corte Cost. n. 322/2007).

Principio di legalità, principio d’offensività, principio di colpevolezza sono principi di struttura di un diritto criminale che, anche in versione liberale, è comunque strumento dell’autorità, espressione del principio responsabilità. Sono principi che trovano fondamento in entrambi i poli – autoritario e liberale – del diritto criminale/penale. Sono condizioni necessarie, non sufficienti, del carattere liberale dell’ordinamento.

Nel mondo liberaldemocratico – anche in Italia – il livello di sicurezza è più elevato che altrove. Una sicurezza di fondo – sia individuale sia collettiva – è stata garantita da principi di delimitazione dell’intervento statuale (garanzie di habeas corpus e diritti di libertà). Emergenze gravissime – come gli anni di piombo del terrorismo politicamente motivato – sono state superata senza uscire dalla legalità liberale, pur nella necessaria ricerca di contemperamenti difficili fra contrapposte esigenze. Possiamo “ritenere che le società occidentali odierne, benché minacciate da criminalità e terrorismo, siano le più sicure mai esistite al mondo[2].

3.         Il diritto penale – anche il più garantista – è arma a doppio taglio, dice la ben nota caratterizzazione di v. Liszt, il fondatore della scuola moderna di diritto penale. La giustizia dei precetti e dei criteri di attribuzione di responsabilità ha che fare con il rapporto fra libertà individuali e norme obbliganti di convivenza, cioè con la natura dell’ordinamento giuridico, fra i poli del liberalismo e dell’autoritarismo. Dal diritto criminale/penale ci si attende un contributo alla protezione di un modello di convivenza da fatti criminosi, attraverso una ragionevole capacità deterrente e dissuasiva.

Nelle leggi ci sono nominate le bricconerie chiare, proprio come succedono; e per ciascheduna, il suo buon gastigo[3]: Manzoni, nipote di Beccaria, mette questa la frase in bocca a Renzo vittima d’ingiustizia, uomo del popolo che esprime un bisogno di protezione e giustizia, di sicurezza dei suoi diritti. La legge penale – composta da precetto e minaccia di sanzione – ha senso (dovrebbe avere senso) di protezione o garanzia dei diritti di tutti, in particolare dei più deboli. La sua legittimazione etico-politica è il principio di responsabilità.

Il diritto penale è farmakon, medicina o veleno secondo le dosi e i modi di somministrazione. Ha comunque costi elevati, è strutturalmente a rischio di produrre ingiustizie; la storia, anche del nostro tempo, offre esempi terribili. La politica del diritto penale ha il problema di dosare farmaci: dosi terapeutiche vanno ricercate fra un troppo poco e un tossico troppo.

Per la sicurezza dei diritti, la macchina penalistica (le incriminazioni, le pene, il processo) è, ad un tempo, strumento di garanzia e fonte di pericolo. Istituti di contenuto coercitivo collegati al penale, ma non saldamente ancorati al paradigma del garantismo, sono un fattore di rischio particolarmente spinto.

In Italia, nelle politiche dell’avvio di questa XVIII legislatura, è elemento nuovo, pur nella continuità con alcuni aspetti delle politiche penali precedenti, il capovolgimento totale della direzione indicata da Beccaria, quella di un diritto penale contenuto nei limiti della stretta necessità, oltre la quale c’è abuso, e non giustizia. La politica criminale ridotta al profilo punitivo: ad aumenti di severità proclamata, espressione di un diritto penale del risentimento (o del nemico), con ad effetti auspicati di maggiore carcerazione. L‘ideologia del penale/spazza dà per scontato che pena più severa significa maggiore tutela: il più penale (e più carcere) è un messaggio che sembra avere successo. Nel mondo politico, voci diverse hanno poca forza; linee alternative vanno incontro a difficoltà di comunicazione.

L’enfatizzazione del penale sposta i problemi sulle istituzioni giudiziarie, cui compete l’accertamento e la punizione dei reati. È, a ben vedere, una fuga dalle responsabilità di governo politico di fenomeni sociali. Per la politique politicienne anche questo è un vantaggio: la politica si finge adempiente, con il passare il cerino acceso ad altre mani.

4.         La discussione attuale si è concentrata sul tema della prescrizione, anzi su un aspetto particolare, oggetto di una riforma mirata nella legge c.d. Spazzacorrotti, proclamata epocale dal ministro che se la ha intestata: il blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, cioè la trasformazione, a quel punto, di qualsiasi reato, anche il più bagatellare, da prescrittibile in imprescrittibile.

A questa riforma si è opposto un ampio schieramento, con buone ragioni. Il dibattito ha talora assunto aspetti paradossali. Da entrambi i fronti è stata spesa molta retorica, e sono state presentate ragioni di diversa consistenza. I problemi più sostanziali, rimasti sullo sfondo, sono i problemi ‘di giustizia’ legati allo scorrere del tempo, con riguardo alle risposte a reati di gravità diversa, per i quali i tempi della memoria e dell’oblio possono essere diversamente valutati. Il dibattito in corso sulla riforma Bonafede, pur importante e necessario, è solo l’inizio (anzi un prologo) di una riflessione all’altezza dei problemi.

I principi fondanti del liberalismo politico ci dicono che la giustizia di una pena – legalmente prevista e/o giudizialmente applicata, o semplicemente proposta – è sempre discutibile sul piano etico-politico. Anche le nostre personali idee e valutazioni relative al punire rientrano nel quadro della discutibilità etica e politica.

La cultura giuridica si colloca nell’orizzonte della libertà di pensiero e di manifestazione del pensiero, garantita dai principi costituzionali. Come giuristi, siamo legittimati a parlare al pari di tutti gli altri, con maggiori responsabilità per quanto concerne i problemi di diritto e giustizia. Abbiamo la responsabilità di partecipare al confronto, riportando i problemi specifici (fra cui il problema prescrizione) dentro il contesto dei problemi del diritto criminale/penale. Problemi, in parte di legittimità costituzionale, in parte maggiore problemi di politica del diritto, negli spazi che i principi costituzionali (fra cui il principio di legalità) delimitano e lasciano aperti al legislatore.

Il contributo della cultura giuridica può consistere innanzi tutto nell’intelligenza dei problemi: capacità di lettura critica (e autocritica) delle diverse posizioni, messa a fuoco dei problemi di giustizia dei fini e di razionalità dei mezzi, e anche moderazione delle passioni e delle retoriche che lo scontro tende a enfatizzare. Ferma, ovviamente, la difesa dei principi fondamentali di civiltà del diritto.


[1] C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, §. 2.

[2] M. Barberis, Non c’è sicurezza senza libertà, Bologna 2017, p. 93.

[3] A. Manzoni, I promessi sposi, Cap. XIV.