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I RAVE PARTY E LA TAUTOLOGIA DEL POTERE – DI IACOPO BENEVIERI

I RAVE PARTY E LA TAUTOLOGIA DEL POTERE – DI IACOPO BENEVIERI

BENEVIERI – I RAVE PARTY E LA TAUTOLOGIA DEL POTERE.PDF

di Iacopo Benevieri*

Alcune considerazioni sul nuovo art. 434-bis c.p., introdotto con affannata urgenza per impedire quei sediziosi raduni trasgressivi nominati “rave party”.[1]

            Esiste un Paese, ancora frequentato dai sognatori, nel quale l’Apparenza nelle leggi è severamente vietata. È un luogo che terrestre non sembra, nel quale non si possono produrre regole e divieti che “appaiono” disciplinar qualcosa, ma in realtà non regolano nulla perché son privi di significato. È un Paese nel quale la comunità civile è consapevole che l’Apparenza è terribile e lo è sopra ogni evidenza quando parla con la voce del Legislatore. Perché l’Apparenza nelle leggi non regola, ma atterrisce e confonde. Perché l’Apparenza non ordina né disciplina, ma diluisce e imbroglia. L’Apparenza nelle leggi è sinistra, triviale, potente, terribile. Se le parole che il Legislatore usa alludono ma non chiariscono, se descrivono ma non informano, se queste parole ci offrono un orizzonte sapientemente contorto per non dir nulla, ci dobbiamo chiedere perché in altri Paesi e in altre terre, come la nostra, esistano ancora Legislatori che parlino la grammatica dell’Apparenza.

            Per esempio ce lo dovremmo chiedere leggendo il nuovo art. 434-bis c.p., introdotto con affannata urgenza per impedire quei sediziosi raduni trasgressivi nominati “rave party”. Una norma che vien battezzata con quel “-bis”, patronimico che la alloca tra le secondogenite viziate, come tali sfuggenti e irresponsabili. Si legga il primo comma della nuova disposizione, che introduce la fattispecie di reato di “invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”. Il testo è così scritto: «L’invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica consiste nell’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica».

            Non si può non esser tautologici, verrebbe da dire.

            Che “l’invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica” consista “nell’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati […]quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”, credo che nessuno abbia da obiettare alcunché.

            Sotto il profilo della logica formale l’enunciato, come si dice, non fa una piega.

            D’altronde la tautologia è proprio “ciò che è tautologico” (e ovviamente anche questa definizione è essa stessa tautologica). La tautologia esprime un’affermazione sempre vera, vera cioè per definizione. Affermare che «un padre è sempre un padre» (Du Marsais) significa pronunciare un enunciato di evidente verità. Un enunciato tautologico, in quanto vero per definizione, è tuttavia sempre privo di valore informativo e regolativo: le tautologie sono sempre vere perché non dicono nulla di più di ciò che dicono.

            La tautologia è la parola d’ordine del Legislatore dell’Apparenza. Difatti nell’argomentazione giuridica la tautologia rende, appunto, l’argomentazione apparente. Ne subisce la stigmatizzazione dalla Suprema Corte che equipara la tautologia all’assenza di motivazione, ovvero a una motivazione autoreferenziale che non giustifica il proprio percorso argomentativo ma, appunto, si impone come vera per sé. È insuscettibile di confutazione e di argomentazione contraria.

            Dunque destino simile dovrebbe andar incontro alle norme tautologiche, che sono norme apparenti. Esse, esprimendo un enunciato incondizionatamente vero (“l’invasione di terreni o edifici consiste nell’invasione di terreni o edifici“), sono infatti prive di senso, dunque di capacità regolatoria, ma non sono insensate. Lo scrisse a inizio Novecento Wittgenstein nel “Tractatus logico-philosophicus”: le proposizioni tautologiche sono prive di senso ma non sono insensate perché dicono tutto della realtà di chi le ha prodotte e appartengono alla dimensione simbolica. Che è la dimensione nella quale si muove il Potere. La tautologia, infatti, è l’enunciato del Potere che non ha bisogno di chiarire, di definire, di giustificare, di informare perché, simbolicamente, gli è sufficiente esser pronunciata e prodotta per manifestarsi come atto di Potere.  Una norma tautologica non fornisce alcuna informazione all’interprete, è autoimpositiva, rischia d’esser perennemente applicabile. La legge tautologica è insuscettibile di interpretazione, di esegesi, di critica, attività nella quale si cimentano, ahimè, i giuristi in uno Stato di diritto.

            La norma tautologica è il monologo del Potere.  In termini psicoanalitici, diremmo, è una norma egocentrica. In termini giuridici, sosterremo, è una norma incostituzionale. In termini politici è una disposizione inapplicabile. Oppure pericolosamente sovra-applicabile, in quanto la tautologia nel diritto rende tutto Kaos, apparendo però d’applicare un lucido Cosmo.

*Avvocato del Foro di Roma, autore del blog www.giustiziaparole.com

[1] Articolo pubblicato su www.giustiziaparole.com l’1.11.2022 e concesso dall’autore per la pubblicazione su Diritto di Difesa.