Enter your keyword

IL RUMORE SORDO E PROLUNGATO DELLA BATTAGLIA -(Riflessioni a partire dalla ordinanza di rimessione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 67, co. 8, codice antimafia, sollevata da T.A.R. Friuli-Venezia Giulia con ordinanza n. 160 del 26.5.2020) – DI MARCELLO FATTORE

IL RUMORE SORDO E PROLUNGATO DELLA BATTAGLIA -(Riflessioni a partire dalla ordinanza di rimessione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 67, co. 8, codice antimafia, sollevata da T.A.R. Friuli-Venezia Giulia con ordinanza n. 160 del 26.5.2020) – DI MARCELLO FATTORE

FATTORE – IL RUMORE SORDO E PROLUNGATO DELLA BATTAGLIA.PDF

IL   RUMORE   SORDO   E   PROLUNGATO   DELLA   BATTAGLIA[1]

(Riflessioni a partire dalla ordinanza di rimessione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 67, co. 8, codice antimafia, sollevata da T.A.R. Friuli-Venezia Giulia con ordinanza n. 160 del 26.5.2020)

di Marcello Fattore*

Il Giudice amministrativo friulano stima irragionevole che il delitto di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche possa essere riconducibile in via diretta all’attività delle associazioni criminali, rimettendo gli atti alla Corte costituzionale. Questa vicenda sintomatica dell’allargamento indiscriminato del catalogo dei reati strumentali all’attività delle associazioni criminali costituisce anche l’occasione per una valutazione complessiva del sotto-sistema penale d’eccezione del codice antimafia.

Sommario: 1. La questione sollevata. – 2. Lo straripamento costante dello Stato di eccezione – 3. I punti di attrito costituzionale. – 4. Il futuro è storia. – 5. Dal contrasto alla mafia all’afflittività unplugged. – 6. Osservazioni conclusive. Il diritto penale nella Società della prestazione

  1. La questione sollevata

Con l’ordinanza n. 160 pubblicata il 26 maggio 2020, la prima sezione del T.a.r. Friuli-Venezia Giulia, in sede di rinvio, ha sollevato questione di costituzionalità dell’art. 67, co. 8, del d. lgs. n. 159/2011 – introdotto dall’art. 24, co. 1, lett d) del d.l. n. 113/2018, convertito con modificazioni dalla l. n. 132/2018[2] – per violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, ex art. 3 Costituzione, e degli articoli 25, 27, 38 e 41 della stessa Carta, ove viene previsto che gli effetti automaticamente interdittivi all’ottenimento di «altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominati» conseguono alla condanna, anche non irrevocabile, per il reato di cui all’art. 640-bis c.p.

Il Giudice amministrativo territoriale era stato originariamente adito in via cautelare per l’annullamento di un provvedimento interdittivo, emesso dal Prefetto di Udine ai sensi del 67, co. 8, codice antimafia, nei confronti di una persona alla quale era stata applicata, ex art. 444 e ss. c.p.p., la pena di mesi tre e giorni diciotto di reclusione, convertita nella multa di euro ventisettemila, per il delitto di cui al 640-bis c.p. commesso nell’anno 2013, secondo cui l’imputato conseguiva fondi europei per euro 42.000, facendo risultare lavori di ristrutturazione di un immobile per finalità di commercializzazione dell’acquacoltura regionale, “in luogo della vera natura degli interventi, che erano funzionali alla ristrutturazione di un immobile ad uso abitativo nell’interesse dell’imputato e del suo nucleo familiare”.

Benché i Difensori del ricorrente avessero prospettato sin dall’inizio il dubbio di costituzionalità della norma-presupposto, il T.a.r Friuli-Venezia Giulia,  con ordinanza n. 74 del 12 settembre 2019, rigettava l’istanza cautelare ritenendo condivisibili le argomentazioni difensive della difesa erariale, per la quale «“L’art. 640 bis c.p., introdotto dal legislatore come causa ostativa al rilascio della liberatoria antimafia, è una disposizione quanto mai opportuna, considerato il carattere pervasivo e la capacità di espansione geografica delle attività imprenditoriali da parte delle associazioni mafiose>, il che vale di per sé, non solo a giustificare l’estensione dell’applicazione dei commi 1, 2 e 4 dell’art. 67 del d.lgs. 159/2011 a reati non tipicamente “mafiosi”».

A seguito di appello cautelare, la terza sezione del Consiglio di Stato – con ordinanza n. 5291 del 18 ottobre del 2019 – riformava però la decisione di primo grado ed accoglieva l’istanza cautelare con ampi richiami in motivazione ai «temi decisori relativi alla portata retroattiva della nuova previsione di cui all’art. 67, comma 8, ultimo periodo e, in ogni caso, [a]i temi relativi alla intrinseca ragionevolezza della disposizione, anche in relazione ai profili di non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale prospettati dalla parte ricorrente e comunque rilevabili di ufficio».

A quel punto, all’esito della discussione all’udienza pubblica, il T.a.r. friulano, condividendo e facendo proprie le motivate osservazioni del Consiglio di Stato in punto di mancata ragionevolezza della norma, con la citata ordinanza collegiale n. 160 del 26 maggio 2020, ha, come detto, dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 67, co. 8, del d. lgs. n. 159/2011, laddove parifica, in via automatica, gli effetti interdittivi derivanti dall’applicazione di una misura di prevenzione personale “qualificata”,  alla diversa situazione relativa alla condanna non irrevocabile in sede penale per il delitto di cui al 640-bis c.p., il quale «non ha struttura associativa, risulta punito con sanzioni molto inferiori e, nella sua configurazione normativa, non è necessariamente correlato ad attività della criminalità organizzata (come, del resto, risulta in concreto accertato dalla sentenza di condanna patteggiata subita dall’appellante)»; la perplessità in punto di ragionevolezza aumenta – ha proseguito il T.a.r., ancora una volta richiamando quanto già osservato dal Giudice di secondo grado in sede di esame dell’appello cautelare – lì dove si consideri che la condanna per quel delitto, oltre ad altri, è valutata nell’art. 84, co. 4, lett. a), codice antimafia, come «elemento da cui è possibile inferire (senza, però, alcun automatismo probatorio) la sussistenza di un rischio concreto di infiltrazione mafiosa o della criminalità organizzata, ai fini dell’adozione di un’informativa interdittiva».

A tali considerazioni, il T.a.r. ne ha aggregate di ulteriori, in punto di sproporzione tra mezzo previsto – l’effetto interdittivo automatico derivante dalla condanna per un reato «non riconducibile tout court alla criminalità organizzata di tipo mafioso» – e scopo prefisso, quello di prevenire «il dilagare dell’ingerenza da parte della criminalità organizzata nel tessuto socio-economico», tale da determinare il venire meno della funzione di profilassi in favore della configurazione di una finalità tipicamente sanzionatoria.

  1. Lo straripamento costante dello Stato di eccezione

La vicenda appena ricostruita ed attualmente al vaglio della Corte costituzionale rilancia – al di là del rilievo contingente della questione in odore di illegittimità – il tema più ampio della continua erosione dei fronti dello Stato di diritto ad opera dei flutti dello Stato di eccezione[3], che, sotto la luce abbacinante della “lotta alle mafie”, guadagna aree eterogenee sempre più vaste, attraendole al governo dei regimi derogatori semplificati in punto di presupposti naturalistici dai quali muovere, di eterointegrazione giurisprudenziale, di natura del procedimento (se giurisdizionale o amministrativo), di proprietà epistemica dell’accertamento, di standard probatori, di profondità e consistenza della giustificazione, di spettro dei profili di impugnazione.

Emblematico è il fatto che il capo del titolo del “Decreto sicurezza” ove è inserita la parte sospetta di illegittimità è nominato “Disposizioni in materia di prevenzione e contrasto alla criminalità mafiosa”, pur avendo essa ad oggetto due classici delitti monosoggettivi contro il patrimonio, la cui asintomaticità rispetto alla mafia può essere testimoniata – in modo un po’ pigro quanto provocatorio – dalla lettura della casistica di qualsiasi commentario.

La principale tecnica normativa di attrazione delle materie in predicato di entrare nei canali preferenziali dei sottosistemi di eccezione è quella del costante aggiornamento dei contenitori di alimentazione dei tre congegni costituenti il fronte avanzato di contrasto al nemico del mese: le misure di prevenzione – sinistra maschera dello Stato liberale, paradigma originario del doppio binario, tra galantuomini e bricconi[4] – con la punta di diamante dell’ablazione ex art. 24 d. lgs. n. 159/11; la confisca allargata del 240-bis c.p., vertigine senza fondo e senza appigli, strumento afflittivo dalle caleidoscopiche funzioni, e le interdittive antimafia, rasoio di ultima generazione, celato allo sguardo penalistico nell’imballaggio amministrativo.

Tutti e tre questi dispositivi sono stati storicamente battezzati sull’onda di gravissime, violente aggressioni portate dalla grande criminalità associata e nel contrasto a questa hanno trovato la loro legittimazione, in deroga ai canoni della modernità penalistica.

È però un discorso che cercheremo di sviluppare – sempre in via sintetica e per chi avrà la pazienza di arrivarci – dopo aver inquadrato la questione al vaglio della Consulta.

  1. I punti di attrito costituzionale

Come scritto, con la modifica introdotta dal decreto sicurezza del 2018 i delitti di truffa aggravata ai danni dello Stato o di altro ente pubblico e di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche sono stati posizionati al fianco del catalogo dei reati previsti dal 51, co. 3-bis, c.p.p., quali illeciti la cui condanna penale, anche non irrevocabile, determina gli stessi divieti, sospensioni, decadenze, derivanti dall’applicazione definitiva di una misura di prevenzione personale qualificata.

In realtà, il reato di cui all’art. 640-bis c.p. già era stato inserito dalla l. n. 161/17 all’interno delle ipotesi di pericolosità qualificata di cui all’articolo 4 del codice antimafia, mentre la figura del truffatore seriale era stata sagomata dalla giurisprudenza di merito – confermata in sede di legittimità – per trovare collocazione sui banchi della pericolosità generica, ex lettere a)[5] e b) dell’articolo 1 del codice antimafia[6].

Per completare il quadro degli innesti delle due figure all’interno dei circuiti normativi di tipo preventivo, va ricordato che, con l’avvento del codice antimafia, la condanna non definitiva per il reato di cui all’art. 640-bis c.p. (o l’applicazione di misura cautelare o anche l’esercizio dell’azione penale) costituisce la spia dalla quale il Prefetto “desume” il tentativo di infiltrazione mafiosa che dà luogo all’informazione interdittiva[7].

Dunque – rinviando a dopo le considerazioni sull’elevato grado di promiscuità dei reati-matrice per l’applicazione di misure ablative o interdittive[8] – si può sin d’ora dire che la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche era già entrata nel fuoco della prevenzione, quale fatto la cui provvista indiziaria e quota di pericolosità sociale determina le conseguenze afflittive indicate.

Al contrario, la truffa ai danni dello Stato o di un ente pubblico era ritenuta distante da una ipotetica strumentalità a fatti associativo-criminali.

 Attraverso l’inserimento dei due delitti fraudolenti nel 67, co. 8, d. lgs. 159/11, il legislatore del 2018 ha compiuto, a nostro avviso, una mossa avventata sulla scacchiera della prevenzione, da un duplice punto di vista:

  • laddove ha equiparato ai reati per i quali scatta la competenza distrettuale inquirente/requirente – previsti, come noto, dall’art. 51, co. 3-bis, c.p. – i due delitti contro il patrimonio;
  • lì dove ha parificato il provvedimento definitivo di applicazione della misura di prevenzione personale qualificata alla sentenza non definitiva di condanna in sede penale.

Ciò è stato probabilmente determinato dal fatto che per entrambe le fattispecie il riconoscimento di una piattaforma indiziaria già consentiva l’applicazione di misure preventive: per il 640-bis c.p. – inserito nella griglia di reati dell’art. 4 codice antimafia dalla l. n. 161/17 – tutte quelle di cui al successivo art. 67, co. 1 e 2, (divieti, decadenze, sospensioni), nonchè il sequestro/confisca di prevenzione (naturalmente laddove fosse ritenuto integrato il requisito della pericolosità sociale); per la truffa ai danni dello Stato o ente pubblico – in relazione alla quale era stata plasmata, come detto, la figura del truffatore seriale – il solo sequestro/confisca di prevenzione, ove fosse riconosciuta l’abitualità a vivere con proventi delittuosi.

Evidentemente, per il legislatore securitario residuava uno spazio che – in via simbolico-repressiva – doveva essere ulteriormente trincerato da misure preventive, a pena però di una irragionevolezza che spande i propri riflessi in più direzioni, a parte la questione di fondo sulla rapacità del sotto-sistema penale d’eccezione[9].

Innanzitutto, l’equiparazione straniante tra i due delitti in esame e i reati per i quali scatta il coordinamento investigativo distrettuale: tutte le fattispecie previste dall’art. 51, co. 3-bis, c.p.p. hanno struttura associativa con l’eccezione delle “Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti”, previsto dall’articolo 452-quaterdecies c.p. – che è però reato abituale a pluralità di condotte – e del sequestro di persona a scopo di estorsione, stimato tuttavia come un reato sostanzialmente associativo, considerate le ipotesi di “dissociazione” di cui al quarto e quinto comma, a tacer della pena base che bascula tra i 25 e 30 anni di reclusione. Tutti i delitti del catalogo sono comunque strettamente collegati alle attività della grande criminalità organizzata[10].

Del resto, la omogeneità degli illeciti inseriti nella norma processuale indicata è espressione proprio di quell’articolato fenomeno – la criminalità organizzata – presupposto dell’organizzazione di una struttura inquirente distrettuale operante secondo linee di intervento “dotate della necessaria coerenza, organicità, programmazione” – una vera e propria “centrale del coordinamento investigativo” – e giustificabile solo per quella categoria, vista la deroga alla disciplina procedurale ordinaria che comporta[11].

  L’assenza di familiarità tra i due delitti contro il patrimonio e quelli dell’art. 51, co. 3-bis, non trova un temperamento nel fatto – già evidenziato – della presenza del 640-bis c.p. tra i titoli di reato la cui base indiziaria consente l’applicazione di misure di prevenzione personali e reali, stante la parziale sovrapponibilità tra i due insiemi, quello previsto dalla norma procedurale sul coordinamento investigativo – più compatto ed omogeneo – e l’art. 4 codice antimafia, che contiene il primo ma ne stempera grandemente la carica identitaria, affiancando alle originarie vicende associativo-criminali e di matrice sovversiva una serie di ipotesi che hanno fatto ruotare l’asse della pericolosità verso il polo degli accumuli di ricchezza, così determinando lo slittamento della ratio preventiva da una dimensione pubblicistica di rischio per la sicurezza pubblica a una marcatamente individuale di recupero dei patrimoni.

É, dunque, evidente che nel caso all’esame della Corte costituzionale il legislatore ha dettato una presunzione assoluta arbitraria, non rispondente a un dato di esperienza generalizzato – ossia che i due delitti di truffa siano assimilabili a quelli dell’art. 51, co. 3-bis, c.p.p. – presunzione stessa limitativa di diritti fondamentali della persona, ciò che integra la violazione del principio di uguaglianza[12].

Il secondo profilo di irragionevolezza ha riguardo, come sopra già accennato, all’equiparazione tra il provvedimento definitivo di applicazione della misura di prevenzione personale e la sentenza di condanna penale non definitiva, perché:

  • in punto di giudizio prognostico – senza il quale è un fuor d’opera parlare di anticipazione della tutela – il procedimento di prevenzione è marcatamente più sintomatico del processo penale, perché strutturato proprio sul sistema binario pericoloso-non pericoloso, e non sull’epilogo innocente-colpevole, come il secondo;
  • la divergenza epistemica e di scopo tra i due giudizi risalta ancor di più sul versante delle conseguenze inabilitanti – che sono il risultato finale cui mira il legislatore della riforma – ove si tenga presente che solo nel procedimento di prevenzione, e non in quello penale, si possono applicare in via provvisoria gli effetti interdittivi ex 68 codice antimafia; inoltre, gli stessi effetti non possono colpire il convivente del condannato in sede penale o il condannato-amministratore di società dopo la sentenza definitiva, perché sempre l’articolo 68 prevede questa ipotesi esclusivamente per il giudizio di prevenzione.

Riemerge, poi, in modo prepotente la natura simbolico-repressiva della riforma sol si consideri che l’art. 640-quater c.p. già prevede, in caso di condanna per i reti di cui agli artt. 640 e 640-bis c.p., l’applicabilità della misura di sicurezza della confisca del profitto o del prezzo del reato – anche per valore corrispondente – e che gli artt. 32-ter e 32-quater c.p. consentono di aggiungere alla pena principale quella accessoria dell’incapacità a contrattare con la pubblica amministrazione, sovrapponibile a parte delle conseguenze interdittive di cui all’art. 67, 1 e 2, codice antimafia.

Questi stessi effetti possono dunque nella sostanza ritenersi o una pena accessoria atipica, perché sganciata dalle vicende del giudicato penale, ad onta dell’art. 20 c.p., o una misura di sicurezza atipica, perché applicabile senza una valutazione di pericolosità, prevista dagli artt. 199, 202 e 203 c.p.

All’orizzonte di questa ultima ipotesi riluce un altro profilo di incostituzionalità, considerato il fatto che le misure di sicurezza hanno, come noto, copertura costituzionale specifica in punto di legalità-tassatività e che l’art. 67, co. 8, codice antimafia, nel far rinvio generalizzato “alle disposizioni dei commi 1, 2 e 4”, omette di “determinare il tipo di misura applicabile[13].

Altro aspetto da considerare nella valutazione complessiva è quello della astratta gravità delle due fattispecie contro il patrimonio, tale da giustificare il loro innalzamento al soglio dei circuiti dell’antimafia.

Ebbene, nessuno dei due reati è incluso nei sotto-insiemi di illeciti che derogano ai regimi procedurali ordinari e che sono stati ritenuti identificativi della categoria dei “delitti di criminalità organizzata” [14]:

  • in relazione alla competenza inquirente distrettuale, come già visto (art. 51, co. 3-bis, c.p.p.);
  • all’avocazione delle indagini per mancato coordinamento (art. 372, co. 1-bis, c.p.p.);
  • all’obbligo di immediata comunicazione in forma orale della notizia di reato (art. 347, co. 3, c.p.p.);
  • all’estensione dei termini di durata massima delle indagini preliminari (art. 407, co. 2, c.p.p.);
  • a una serie di norme eccezionali che richiamano la classe appena indicata dell’art. 407, co. 2, c.p.p. in relazione: all’estinzione di misure cautelari per esigenze probatorie (art. 301 c.p.p.); ai termini di esercizio dell’azione penale (art. 405 c.p.p.); ai provvedimenti in caso di scarcerazione per decorrenza dei termini (art. 307 c.p.p.); alla comunicabilità di iscrizioni nel registro notizie di reato (art. 335 c.p.p.); alla sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare (art. 304 c.p.p.).

Con specifico riferimento, poi, alla normativa del codice antimafia può essere ulteriormente evidenziato che:

  • l’art. 640 c.p. e l’art. 640-bisp. non sono indicati tra i reati per i quali è previsto il più lungo termine per la riabilitazione[15];
  • per l’art. 640 c.p. non è previsto il fermo obbligatorio, non sono consentite intercettazioni telefoniche in deroga, non sono previste verifiche fiscali, economiche e patrimoniali, non c’è obbligo di comunicare le variazioni patrimoniali.

Infine, ultimo ma essenziale aspetto da considerare – vista la omogeneità tra le materie – è quello delle inibizioni derivanti da una condanna penale nel campo dei contratti pubblici: l’art. 80 del dlgs 50/2016 prevede, come motivo di esclusione di un operatore economico a una procedura d’appalto e concessione, la condanna con sentenza definitiva (o decreto penale di condanna irrevocabile o sentenza di applicazione di pena – anche riferita a un subappaltatore) per una serie di reati ma non per il 640 e 640-bis c.p.[16].

  1. Il futuro è storia[17]

Rialzando lo sguardo dalla vicenda contingente per cercare di recuperare una prospettiva di insieme che possa restituire il senso delle cose e la loro traiettoria, possiamo – innanzitutto – dare per scontata la ricostruzione storico-ordinamentale sulla nascita ed evoluzione dello “Stato dell’eccezione mafiosa”, a partire dal 1965, quando il prototipo dell’indiziato di appartenere ad associazioni mafiose irruppe sulla scena politico-criminale e giudiziaria italiana, cesellato nella legge sulle misure di prevenzione titolata Disposizioni contro la mafia.[18]

Non potevano che essere le misure di prevenzione a battezzare tale fenomenologia perché la coppia regola–eccezione è stato il presupposto concettuale del diritto di polizia: “L’ozio e il vagabondaggio … sono un delitto eccezionale … Se propongo una disposizione eccezionale egli è perché qui si tratta di un delitto eccezionale, il quale, come ho già detto, è occasione e fonte di tutti gli altri reati e crimini … [Essendo] origine di tutti gli altri [richiede per speciale considerazione] che siano forniti al governo i mezzi necessari per reprimerli vigorosamente[19].

In questo eloquente passaggio di un dibattito del Parlamento subalpino del 1852 (sic!) – recuperato da quel grande storico del diritto che è stato Italo Mereu – rinveniamo la matrice di ciò che viene acutamente identificato come il mutamento legale delle regole del gioco[20].

Non solo questo ritroviamo nel brano trascritto quant’anche la eterna vocazione della politica ad intercettare i consensi attraverso l’enfasi posta sulla esigenza di sicurezza [21].

Tralasciando il terrorismo politico – che costituisce l’altro campo di materia sul quale si è costituito e sviluppato il diritto penale dell’emergenza – la lotta alla mafia si è avvalsa, negli ultimi quarant’anni, come risaputo, di tre dispositivi – confisca di prevenzione, confisca allargata, misure interdittive – nati nel brodo di coltura della prevenzione ma progressivamente affinati nelle loro caratteristiche repressivo-inabilitanti, in una sorta di evoluzione della specie: tre meccanismi para-normativi articolati tra Tribunali diversi (penale, amministrativo), sezioni differenti (Giudice penale, Giudice della sezione misure di prevenzione, Giudice dell’esecuzione), Autorità amministrative (Prefetto, Questore) e giurisdizionali, e che vengono attivati da indizi di fattispecie sovrapposte in modo confuso e asistematico tra loro per ipotetica contiguità con strutture associativo-criminali.

Lo spaccato finale ingenera forti dubbi sul rispetto della congruenza – nell’esercizio dei pubblici poteri posto in forma di tutela anticipata – tra legittimità dello scopo da perseguire e situazione di valore da sacrificare, indipendentemente dalla usurata e un po’ ipocrita querelle sulla natura punitiva o preventiva delle misure[22].

Il campo di applicazione della prevenzione è stato esteso nel tempo attraverso tecniche differenti – intersecate sovente tra loro verso l’esito da raggiungere – che comunque hanno visto e vedono il momento interpretativo precedere ed innescare il potere legislativo[23]:

  • l’aumento per omogenesi dei reati-impulso, spesso anticipato dalla giurisprudenza, come nei casi delle figure presepiali della pericolosità generica – il corruttore socialmente pericoloso, il trufffatore seriale, l’evasore fiscale socialmente pericoloso[24] – poi inserite o come forme di pericolosità qualificata o come reati presupposto per l’applicazione del 240-bis, c.p.;
  • gli interventi di laparoscopia riformatrice, tra i quali quello mirato quanto decisivo del 2008-2009, sulla disgiunzione tra misure di prevenzione personali e reali, e sulla non indispensabilità del requisito di immanenza della pericolosità per l’applicazione del sequestro e della confisca di prevenzione, anticipati anch’essi dalla giurisprudenza, quando si ritenne la possibilità di proseguire il procedimento di prevenzione a carico degli eredi del proposto deceduto, così svuotando dall’interno il connotato prognostico della pericolosità sociale[25];
  • l’interpretazione costitutivo-estensiva della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato sui significati della legge.

Con riguardo alla prima metodica, quella maggiormente utilizzata, l’aggregazione per amalgama è stata la metafora concettuale attraverso cui si è ipertrofizzata l’eccezione a discapito della regola: ciò ha consentito di rendere meno visibile e meno scabrosa la lacerazione dei principi a vantaggio di una propaganda contro l’emergenza di giornata che ha visto ingaggiate le forze politiche in una spirale al rialzo.

Il fenomeno non è certo nuovo ed è significativo che un preciso antecedente si rinvenga ancora una volta con le misure di prevenzione dell’Italia pre-unitaria[26].

Ecco, questo ragionamento per affinità è sopravvissuto sino ad oggi ed ha consentito un aumento quantitativo della eccezione che si è infine trasformato in una modifica qualitativa – secondo il noto postulato di Hegel[27] – consistente nel progressivo scivolamento dell’anticipazione della tutela sui versanti patrimoniali, esito favorito anche dalla combinazione tra questa metodica e la seconda tecnica di allargamento dei campi di applicazione, quella di tipo chirurgico-riformatore.

  1. Dal contrasto alla mafia all’afflittività unplugged

Con le riforme del 2008-2009, la confisca di prevenzione ha cambiato identità, divenendo, definitivamente, uno strumento di recupero degli accumuli di ricchezza formatasi in modo presuntivamente illecito[28].

Dal punto di vista delle condizioni di operatività del dispositivo, a partire dal 2008 – anno nel quale con il primo “pacchetto-sicurezza” la confisca di prevenzione è stata agganciata ai reati di cui all’art. 51, comma 3-bis, c.p.p. – una serie di provvedimenti legislativi in rapida successione ha esteso la possibilità di applicazione dell’ablazione ex art. 24 d. lgs. 159/11 ad altri reati[29], fermo restando, come già evidenziato, l’impegno della giurisprudenza engagée a sperimentare nuovi tipi d’autore nel settore della pericolosità non qualificata.

L’unicità del catalogo dei reati-impulso tra misure personali e reali e – correlativamente – la separazione a partire dal 2008-2009 tra i due tipi di dispositivi, ha ostacolato un chiaro riconoscimento di quanto stava accadendo, corrispondente all’estensione progressiva del meccanismo repressivo a fatti distonici con la matrice originaria; inoltre, la duttilità della materia ha consentito e consente non solo di includere nuovi tipi, quant’anche – addirittura – di non escludere quelli formalmente espunti, come conferma la recente prassi inveratasi dopo la pronuncia di incostituzionalità dell’art. 1, co. 1., lett. a), codice antimafia, ad opera della sentenza n. 24/19, laddove i fatti che prima sarebbero stati iscritti nella categoria dei “traffici delittuosi” hanno ricevuto improvvisa ospitalità nella successiva lettera b), sopravvissuta al giudizio della Corte costituzionale.

Riguardo alla confisca allargata, una tendenza della norma a volgere verso il recupero dei patrimoni si può cogliere già nelle diverse epigrafi dei due decreti legge che introdussero la misura – quella poi dichiarata incostituzionale e quella di adozione del dispositivo – le quali, a distanza di meno di due anni, scrivono di misure di contrasto alla “criminalità mafiosa” la prima, e di “gravi reati di criminalità organizzata” o “reati strumentali al proliferare della stessa” la seconda.

La crescente lassità del nesso di dipendenza con la criminalità organizzata ha consentito al dispositivo dell’art. 240-bis di fagocitare aree sempre più estese di fattispecie eterogenee tra loro e, comunque, tutte molto poco prossime alla matrice identitaria di origine[30], così da chiedersi – giunti a questo punto – perché solo le tipologie di reato indicate possono determinare l’ablazione degli illeciti arricchimenti ingiustificati e non altre[31].

Proprio sull’allargamento indiscriminato del catalogo è però intervenuta nel 2018 la Corte Costituzionale.

            La Corte di appello di Reggio Calabria, quale giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 17 marzo 2015 rimise d’ufficio alla Consulta questione di legittimità costituzionale dell’art. 12-sexies d. l. n. 306/1992, convertito nella l. n. 356/92, per violazione del principio di ragionevolezza, nella parte in cui include la ricettazione tra i reati per i quali, in caso di condanna o applicazione della pena, è sempre prevista la confisca di cui al medesimo art. 12-sexies.

            Il Giudice a quo dubitava che il delitto in esame fosse univocamente sintomatico di forme di accumulazione continuata.

            La Corte adottò un provvedimento interpretativo di rigetto a mente del quale la ricettazione è «un delitto idoneo a determinare un’illecita accumulazione di ricchezza e suscettibile, secondo l’osservazione “sociologica”, di essere perpetrato in forma “professionale” o, comunque sia, continuativa», pur osservando che «il giudice conservi la possibilità di verificare se, in relazione alle circostanze del caso concreto e alla personalità del suo autore … il fatto per cui è intervenuta condanna esuli in modo manifesto dal “modello” che vale a fondare la presunzione di illecita accumulazione di ricchezza da parte del condannato», così trasformando per via interpretativa, se così può dirsi, un’ipotesi di confisca obbligatoria in facoltativa[32].

Interessante è sia il rilievo della Corte sull’allargamento progressivo e disinvolto del contenitore dei reati-spia[33], sia il monito finale che la Consulta ha indirizzato al legislatore – di limitazione del catalogo a fattispecie realmente sintomatiche di illecito arricchimento[34].

Tra l’altro, in sede di commento sulla sentenza, la più attenta Dottrina anticipò ciò che ha sostenuto il TAR Friuli-Venezia Giulia sulla vicenda da cui ha preso spunto questa nota, ossia che l’eterogeneità del delitto presupposto rispetto alla ratio dell’istituto determina una distorsione delle finalità della misura, trasformandole da preventive in sanzionatorie[35].

            Nel catalogo dei reati-spia per l’applicazione del 240-bis c.p. sono state introdotte fattispecie non solo estranee alla criminalità associativa quant’anche alla finalità di colpire gli arricchimenti patrimoniali ingiustificati, come, ad esempio, il disastro ambientale, la prostituzione e la pornografia minorile[36], mentre dal 2019 – come già scritto – anche ai reati tributari commessi attraverso fraudolenza è applicabile la confisca allargata, fatto invero precedentemente reclamato da parte della Dottrina[37].

Tuttavia, è sempre d’uopo rammentare come l’originaria matrice di contrasto alle mafie dei tre congegni – che ha fatto chiudere più di un occhio, soprattutto in Europa[38], sulla dismissione delle garanzie, a fronte di una straordinaria portata afflittiva – si è disciolta nelle logiche di rincorsa dell’emergenza di turno[39]; emergenza stessa che, reale, enfatizzata, inesistente, ha comunque favorito un clima di generale approvazione dell’allargamento del catalogo.

Sul terzo fenomeno attraverso cui la macchina preventiva estende i margini della propria capacità repressiva – quello inerente alla costitutività dell’interpretazione giurisprudenziale – valga ciò che accade attualmente in materia di documentazione antimafia, ove la giurisprudenza amministrativa ha smontato il concetto dei tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese[40] – che resta tipico anche al di fuori di un’esegesi strettamente penalistica: il tentativo ha una struttura oggettiva e rinvia comunque a un “fatto” – e lo ha rimpiazzato con una situazione di “rischio di infiltrazione mafiosa” o di “possibile ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata” o ancora di “situazione di pericolo” o, infine, di “sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali – secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale – sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata[41], che arretra ulteriormente la soglia di tutela rispetto alla scelta del legislatore, evocando – e, dunque, legittimando – situazioni meramente sintomatiche, slabbrate nei margini, equivoche.

Nel delta degli accumuli di ricchezza è sfociata – diluendosi – l’originaria proprietà organolettica del contrasto alla mafia, attraverso cui si è inaugurato lo Stato di eccezione.

Della criminalità organizzata sovente non si rinviene più traccia – al più una dichiarata strumentalità, da dimostrare sul piano empirico – e su cui si può scrivere tutto e il suo contrario, così com’è avvenuto proprio nella vicenda della rimessione alla Corte costituzionale nel caso che occupa.

In prima battuta, il Giudice amministrativo friulano aveva rigettato la richiesta di spostamento della questione al palazzo della Consulta con una motivazione apparentemente tranciante: «L’art. 640 bis c.p., introdotto dal legislatore come causa ostativa al rilascio della liberatoria antimafia, è una disposizione quanto mai opportuna, considerato il carattere pervasivo e la capacità di espansione geografica delle attività imprenditoriali da parte delle associazioni “mafiose”, il che vale di per sé, non solo a giustificare l’estensione dell’applicazione dei commi 1, 2 e 4 dell’art. 67 del d.lgs. 159/2011 a reati non tipicamente “mafiosi”».

Richiamato dal Consiglio di Stato a rivalutare la questione, lo stesso T.a.r. scrive: «Nel caso di specie, il dubbio di costituzionalità riguarda una norma la quale fa derivare un effetto interdittivo automatico a carico di soggetti che sono stati condannati per un reato (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche) che non è riconducibile tout court alla criminalità organizzata di tipo mafioso e che può, al più, costituire mera circostanza da cui desumere, nello specifico caso concreto e attraverso una compiuta e diffusa valutazione di carattere necessariamente discrezionale, elementi sintomatici di contiguità al fenomeno mafioso della specifica condotta posta in essere. La disposizione, laddove fa derivare automatici effetti ostativi, appare, quindi, eccedere lo scopo che si propone che è quello di contrastare, mediante apposite misure di carattere preventivo, il dilagare dell’ingerenza da parte della criminalità organizzata nel tessuto socio-economico, che – come ripetutamente evidenziato dal Consiglio di Stato – ha effetti inquinanti e falsanti il libero e naturale sviluppo dell’attività economica nei settori infiltrati, con grave vulnus, non solo per la concorrenza, ma per la stessa libertà e dignità umana (ex multis Cons. Stato, sez. III, 24 aprile 2020, n. 2651)».

Una materia – quella della prevenzione antimafia – nata e tuttora radicata nella penalità.

Indizi di reato, per attivare la confisca di prevenzione; reati indotti da un giudizio di sproporzione su accumuli di ricchezza, per applicare la confisca allargata; tentativo di infiltrazione mafiosa tendente a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società ovvero ricavato da una condanna (anche non definitiva) per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali, per applicare misure interdittive.

Reati che si assumono in tesi ma dei quali non si è riusciti a provare l’esistenza.

In presenza di una dimostrazione procedimentale d’avanspettacolo, ci si sarebbe atteso l’esatto contrario di quel che è accaduto, ossia il rinforzamento delle garanzie.

La nota risposta all’obiezione rimanda alla differenza tra ambito preventivo e punitivo.

Ebbene, pur se le pieghe prese dalle vicende della vita sembrano aver relegato nella soffitta degli ideali le considerazioni svolte da Maestri della penalistica italiana[42] – i cui rilievi sul punto, però, non sono mai stati controvertiti in modo convincente – riteniamo un dovere ribadire il fatto che la nostra Carta rinnega una prevenzione repressiva.

Lo statuto solidaristico-sociale implementato con l’avvento della Costituzione repubblicana e il mancato inserimento in essa del modello preventivo-afflittivo avrebbero dovuto condurre il legislatore ordinario a una rimeditazione di fondo del congegno, innanzitutto attribuendo al termine “prevenzione” un significato normativo armonizzato con i nuovi principi espressi dalla stessa Costituzione.

L’impianto dei valori fondanti il pactum societatis contenuti negli articoli 2 e 3 vincolavano l’interprete a considerare la prevenzione come un complesso di attività volte a reinserire il soggetto emarginato in un’area assiologicamente orientata, attraverso misure idonee a diminuirne i rischi di attrazione verso ambiti delinquenziali, ma non certamente ad accentuarli.

Anche a non voler indulgere oltre su questo versante, non può però non evidenziarsi la dispnea sistematica derivata dall’incasellamento di queste misure nella categoria proto-penalistica della prevenzione, a partire dalla mancanza di un fatto, o meglio, dall’evanescenza dei presupposti naturalistici di origine delle risposte ordinamentali invalidanti.

Per di più, i margini sbreccati delle vicende fattuali vengono ancor di più erosi ad opera della giurisprudenza di legittimità, anche sulla base di recenti affermazioni della Corte costituzionale, che hanno assegnato alle pronunce di legittimità forza “costitutiva” nella definizione delle condizioni per l’applicazione dei diversi dispositivi.

Questo concetto è stato per l’appunto ribadito in termini molto espliciti dalla Corte – sia nella sentenza 24/2019 di chiusura della parabola aperta con la decisione, della Grande Camera, De Tommaso c. Italia[43] – sia in un ancor più recente provvedimento, la pronuncia n. 57 del 2020[44], in tema di cumulo degli effetti di cui all’art. 67, 1 e 2 co., codice antimafia, quando l’informazione antimafia tiene luogo della comunicazione antimafia.

In entrambe si esalta un’immagine del Giudice che sembra pervertire l’idea di un Organo di mera interpretazione.

Invero, il punto non è solo quello dell’astratta possibilità di un’opera di tassativizzazione di concetti elastici – deputati a disciplinare una materia che, così si opina, assume forme sempre cangianti – quanto quello di stabilirne i margini, non limitandosi l’organo di giustizia costituzionale a predeterminare le “condizioni in presenza delle quali può legittimamente limitarsi un diritto costituzionalmente e convenzionalmente protetto”, quanto di costituirle, per addivenire a un risultato altro, non più riflesso nella situazione ante-interpretazione, così come si è visto poc’anzi con lo sfarinamento del tentativo di infiltrazione mafiosa.

Eppure, proprio la sentenza. n. 57 del 2020 conferma – indirettamente – l’impossibilità di costruire un sistema di tassatività sostanziale attraverso lo “sviluppo” ed il “completamento” del dato legislativo.

Difatti, quando la Corte costituzionale ha provato nel concreto ad esemplificare alcune situazioni-tipo per l’applicazione dei provvedimenti, ha individuato sia la condivisione da parte dell’interdicendo di un sistema di illegalità, sia – all’esatto opposto – la presenza in quegli di un apparente “volto di legalità”, situazioni, queste, prive di selettività alcuna, nel loro vagare senza esito all’interno di presunte vicende paradigmatiche del tentativo di infiltrazione mafiosa.

È questo un fallimento argomentativo che si iscrive – come tutti gli altri in materia di prevenzione – nel codice della dissoluzione del fatto e nei connessi limiti di “qualità della legge”, messi a nudo dal massimo consesso sovranazionale nel caso De Tommaso c. Italia.

Non meno agghiacciante da affrontare è il tema processuale che, per i due tipi di confisca, si sviluppa sulla dimensione minerale del rito di esecuzione, appena in grado di fregiarsi del titolo di procedimento giurisdizionale[45].

Ci si trova del tutto al di fuori del modello accusatorio, solo a voler ritenere la non neutralità del Giudice sui risultati dell’attività investigativa, allegati alla richiesta dell’Accusa; o i rigurgiti acidi del rito inquisitorio, considerata l’acquisizione quasi-integrale degli atti di indagine o delle attività dibattimentali penali, compressivi delle autonome sperimentazioni critiche del Giudice; ovvero l’epistemologia omeopatica di un dibattimento che – particolarmente nella procedura reale – avrebbe bisogno della capacità di penetrazione di ben altro strumentario cognitivo[46].

Nel caso poi delle comunicazioni antimafia, la combinazione tra il grado di afflizione della misura e la mancanza di giurisdizionalità nella relativa applicazione dà il senso della brutalità funzionale del congegno: la raccolta degli elementi da parte degli organi di polizia, l’inesistenza di un accostamento critico alla ricostruzione del “fatto” da parte del Prefetto, l’assenza di contraddittorio, previsto solo in forma eventuale e nella prassi mai attivato[47]; la regola di giudizio a maglie larghe del “più probabile che non[48], la sindacabilità del provvedimento solo sotto l’asfittico profilo dell’eccesso di potere[49], ciò che responsabilizza oltre i propri limiti l’autorità amministrativa e, ancor più a monte, la polizia operante, abilitandoli a ritenere il tentativo di infiltrazione anche sulla base di indizi insufficienti[50].

            In definitiva, pur possedendo astrattamente il grado maggiore di anticipazione della tutela – profilandosi, dunque, come la prima misura da applicare – l’interdittiva si configura nella realtà come la sanzione residuale, ove il procedimento penale e quello di prevenzione non abbiano colto nel segno[51].

  1. Osservazioni conclusive. Il diritto penale nella Società della prestazione

L’avvento del codice antimafia ha formalmente inaugurato la post-modernità sanzionatoria.

Il diritto penale liberale – per come conosciuto da coloro che sono nati nel secolo scorso – è divenuta una meta-narrazione verso cui molti sono oggi increduli[52].

Del resto, se è vero che siamo collocati nella Società della prestazione[53] – ove l’efficienza e la positività si impongono come regola non scritta ma pienamente recepita – appare realistico ritenere come fosse destinato ad estinguersi, almeno nella forma assunta dopo l’avvento della Costituzione repubblicana, un sistema di tutela di valori mediante sanzioni, subordinato però a mezzi giuridicamente prestabiliti dalla legge, in modo vincolato.

La manifestazione più visibile della post-modernità del diritto penale è costituita dalla flogosi preventiva, definita – in prospettiva di stabilizzazione ultima – come un diritto penale “mite”[54].

È un concetto che non convince, innanzitutto sul piano rappresentativo-metodologico, nella misura in cui lascia intravedere lo sfondo mercantile e seducente di un aliud pro alio: patrimonio e iniziativa economica contro libertà personale.

È una grande occasione – sembrerebbe sostenersi – non lasciamola sfuggire.

In realtà, noi crediamo che il concetto di violenza sia sempre presente, anche nel diritto penale mite, pur se con sembianze mistificate.

Essa violenza si perpetua perché la prevenzione non parte da un fatto per arrivare all’uomo – come il “vecchio” diritto penale e il “vecchio” diritto processuale penale – ma vive dell’assenza del fatto e dell’uomo.

La violenza, anche in questa forma post-moderna, esiste e si manifesta in vari modi.

Se ne affacciano due alla mente.

La strutturale incapacità del sistema di prevenzione – per quel che si è scritto, ad altissima marginalità di errore – di garantire la protezione dell’innocente, altro caposaldo su cui sono stati invece edificati il diritto penale e il diritto processuale penale della modernità[55].

L’impossibilità, poi, della macchina preventiva di poter giustificare la sua stessa esistenza e di motivare la sua applicazione[56].

Il suo essere muta – e per questo violenta[57].

Allora, forse, sarebbe meglio non cullarsi troppo sull’idea un po’ romantica della mitezza.

Dietro si avverte sempre il rumore sordo e prolungato della battaglia.

 

*Avvocato del Foro di Napoli, componente dell’Osservatorio UCPI sulle misure di prevenzione e del comitato di redazione di questa rivista

[1] “In questa unità centrale e centralizzata, effetto e strumento di complesse relazioni di potere, corpi e forze assoggettate da dispositivi di carcerazione multipli, oggetti per discorsi che sono a loro volta elementi di quella strategia, bisogna discernere il rumore sordo e prolungato della battaglia”: così v. Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Torino, 1975, p. 340.

[2] Identificato come “Decreto sicurezza” o “Decreto Salvini” dal nome del Ministro degli Interni dell’epoca, composto da tre titoli: il primo riguardante la riforma del diritto d’asilo e della cittadinanza, il secondo inerente alla sicurezza pubblica, prevenzione e contrasto della criminalità organizzata, il terzo sulla amministrazione e gestione dei beni sequestrati e confiscati. Per un inquadramento complessivo, Aimi, Il “decreto sicurezza”: i profili penalistici, in Riv. It. Dir. Proc. Pen, fasc. 1, 1° marzo 2019, p. 135.

[3] Carl Schmitt individua nella sovrapposizione della “decisione” alla “norma” il dispositivo che consente di definire comunque giuridico lo Stato di eccezione – fatto che presenta suggestivi profili di analogia con la nostra ricostruzione, come vedremo più avanti – pur conservando la norma stessa la sua vigenza ma rimanendone sospesa l’applicazione, in Schmitt, Le categorie del ‘politico’. Saggi di teoria politica (a cura di G. Miglio), Bologna, 2014. p. 1 ss. Sui concetti di “Sottosistema penale di eccezione”, “Stato di necessità”, “Stato di diritto”, v. Ferrajoli, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, Bari, 1989, p. 844 ss. Più in generale, per una ricostruzione del concetto di “Stato di eccezione” e “Stato di necessità” ad opera di Autori del secolo scorso e di quello attuale, si può vedere: Benjamin, Angelus Novus, Torino, 1995; Santi Romano, Sui decreti-legge e lo stato di assedio in occasione dei terremoti di Messina e Reggio Calabria, in Scritti minori, vol. I, Milano 1990; Agamben, Stato di eccezione, Torino, 2003; Schmitt, Le categorie del ‘politico’, cit., 1 e ss., nonché, dello stesso A., Die Diktatur – La dittatura. Dalle origini dell’idea moderna di sovranità alla lotta di classe proletaria, Bari, 1975. Per un’interessante ricostruzione sull’applicazione di norme eccezionali e compressione di diritti fondamentali nell’emergenza pandemica attuale, Forlani, La protezione della salute pubblica nell’emergenza pandemiologica. I nuovi strumenti di controllo sociale: prevenzione o repressione?, in www.dirittodidifesa.eu, 18 aprile 2020.

[4] Il decreto sicurezza in esame ha operato una smerigliatura delle vicende penalistiche della mendicità urbana e dell’impiego di minori nel parcheggio abusivo a comprova del fatto che ritornano – non crediamo solo come suggestione – le figure riconducibili ai tipi delle misure di prevenzione di 150 anni fa. Sulle figure della mendicità cd. invasiva e non invasiva si può leggere C. Cost., 15 dicembre 1995, n. 519.

[5] Come noto, la lettera a) è stata dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 24/2019.

[6] Naturalmente, i casi di pericolosità generica non rilevano ai fini dell’applicazione delle misure interdittive, che sono limitate alle ipotesi di cui al capo II del titolo I codice antimafia.

[7] Per il procedimento inferenziale è sufficiente l’applicazione della misura cautelare, l’esercizio dell’azione penale o la sentenza non definitiva.

[8] Su cui, magistralmente, Maiello V., La prevenzione ante delictum: lineamenti generali, in Maiello V., (a cura di), La legislazione penale in materia di criminalità organizzata, misure di prevenzione ed armi, Torino, 2015, 327 e ss.; ancora Maiello V., La corruzione nel prisma della prevenzione ante delictum, in www.discrimen.it, 4 dicembre 2018.; Consulich, Le misure di prevenzione personali tra Costituzione e Convenzione, in Mezzetti, Lupària Donati, (a cura di), La legislazione antimafia, Torino, 2020, 592 e ss.; Mazzacuva Fr., Le persone pericolose e le classi pericolose, in Furfaro, (a cura di), Misure di prevenzione, Milano, 2013, 93 e ss.

[9] Così, Ferrajoli, Diritto e ragione, cit., p. 844.

[10] I delitti dell’art. 51 co. 3-bis e 3-quater derogano anche ai limiti massimi dell’aumento del tempo necessario a prescrivere il reato in caso di interruzione dei relativi termini.

[11] Si veda Relazione di accompagnamento al d.d.l. n. 3066/S di conversione in legge del d.l. 20 novembre 1991 n. 367, in Dir. e giustizia, 1991, 12, 159.

[12] C. Cost., 4 dicembre 2019, n. 253.

[13] Così, Cass. Pen., sez. I, 25 giugno 2019, n. 37843. Altresì, C. Cost., 9 novembre 1972, n. 157.

[14]Questa espressione, nel vigente ordinamento penale, ha un significato ben preciso ed indica non già una fattispecie autonoma, ma una categoria di reati, la più grave, la più pericolosa, la più bisognevole di essere perseguita sino in fondo. Una categoria ben definita, il cui contenuto non necessita di essere di volta in volta ricostruita attraverso l’analisi comparata delle molteplici fonti normative che ad essa si riferiscono, essendo sufficiente in proposito, il chiaro disposto degli artt. 407, comma 2, lett. a; 372, comma 1 bis; 51, comma 3 bis e 54 del codice di procedura penale. Queste norme, infatti, per il loro specifico contenuto, definiscono compiutamente la categoria dei delitti di criminalità organizzata, attraverso l’analitica indicazione delle singole fattispecie. Ciò balza evidente ove si consideri che l’art. 407, comma 2, lett. a) è l’attuazione della direttiva n. 48 della legge delega dettata in tema di durata massima delle indagini preliminari “in caso di processi per criminalità organizzata”; che l’art. 3 comma 1 d.l. 9 settembre 1991, n. 292 – convertito nella legge 8 novembre 1991 n. 356 -, nel modificare, attraverso l’inserimento del comma 1 bis nell’art. 372 cod. proc. pen., la disciplina dell’avocazione “dei procedimenti di criminalità organizzata” conferisce al procuratore generale presso la corte di appello il potere di avocare le indagini “relative a taluno dei delitti previsti dall’art. 407, comma 2, lett. a) …”; che gli artt. 51, comma 3-bis e 54 ter concernono proprio la “criminalità organizzata”. L’indicazione dei delitti di criminalità organizzata, poiché incide sui provvedimenti limitativi della libertà personale, è tassativa e non può andare oltre le ipotesi espressamente previste.”, Cass. Pen., VI sez., 24 febbraio 1995, n. 6159.

[15] Art. 70, co. 4, codice antimafia.

[16] Secondo le linee-guida n. 6 dell’ANAC (quella aggiornata al d. lgs. n. 56/2017 e quella rimasta sotto forma programmatica, non approvata dal Consiglio) né l’art. 640 c.p., né l’art. 640-bis rientrano nel catalogo di cui all’art. 80, co. 5, lett. c) riguardante gli “illeciti professionali gravi tali da rendere dubbia l’integrità del concorrente o la sua affidabilità” (“In particolare, rilevano le condanne non definitive per i reati di seguito indicati a titolo esemplificativo, salvo che le stesse configurino altra causa ostativa che comporti l’automatica esclusione dalla procedura di affidamento ai sensi dell’art. 80 del codice:

  1. abusivo esercizio di una professione;
  2. reati fallimentari (bancarotta semplice e bancarotta fraudolenta, omessa dichiarazione di beni da comprendere nell’inventario fallimentare, ricorso abusivo al credito);
  3. reati tributari ex d.lgs. 74/2000, i reati societari, i delitti contro l’industria e il commercio;
  4. reati urbanistici di cui all’art. 44, comma 1 lettere b) e c) del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 con riferimento agli affidamenti aventi ad oggetto lavori o servizi di architettura e ingegneria;
  5. reati previsti dal d.lgs. 231/2001.

Rileva, altresì, quale illecito professionale grave, che la stazione appaltante deve valutare ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c) del codice, la condanna non definitiva per taluno dei reati di cui agli artt. 353, 353 bis, 354, 355 e 356 c.p., fermo restando che le condanne definitive per tali delitti costituiscono motivo di automatica esclusione ai sensi dell’art. 80, comma 1, lett. b) del codice.

[17] L’esercito delle dodici scimmie, 1995, Stati Uniti, regia di Terry Gilliam.

[18] Da ultimo, Ciconte, Storia ed evoluzione dei provvedimenti antimafia, in Mezzetti, Lupària, Donati (a cura di), La legislazione antimafia, Torino, 2020, p. 3 ss.; Troncone, Origine ed evoluzione delle misure preventive antimafia, in Amarelli, Sticchi Damiani (a cura di), Le interditive antimafia e le altre misure di contrasto all’infiltrazione mafiosa negli appalti pubblici, Torino, 2019, p. 1 ss.; più risalente, Tessitore, Emergenza e garantismo nella legislazione antimafia. Profili storici dall’Unità d’Italia al fascismo, in Nuovi quaderni del meridione, n. 92, 1985, p. 408 ss.

[19] Parlamento subalpino, Camera dei deputati, sessione del 1851, tornata del 28 gennaio 1852, p. 3977, in Mereu, Cenni storici sulle misure di prevenzione nell’Italia ‘liberale’ (1852-1894), in Le misure di prevenzione (atti del convegno di Alghero), Milano, 1975, p. 198.

[20] «L’eccezione, d’altra parte, forma di solito la fonte più o meno latente di legittimazione esterna di ogni pratica giudiziaria consapevolmente difforme dalle regole ordinarie. Le prassi, infatti, ogniqualvolta sono ostacolate da impacci legali e garantisti, sono sempre vissute con sentimento d’eccezione, cioè con l’idea che il caso concreto, tanto più se politicamente o socialmente grave ed allarmante, è “eccezionale” rispetto alla regola»: illuminante, con queste parole, è Ferrajoli, Diritto e ragione, cit., p. 845.

[21] Per una approfondita indagine criminologica sul tema della paura virtuale della criminalità, del ruolo dei media e delle conseguenti scelte di politica criminale, da ultimo, Bianchetti, La paura del crimine, Milano, 2018. Sugli aspetti sociologici della deriva repressiva degli ultimi anni, Fassin, Punire. Una passione contemporanea, Milano, 2017.

[22] Sul punto: Viganò, La neutralizzazione del delinquente pericoloso nell’ordinamento italiano, in Riv. it. dir. proc. pen., 2012, p. 1361 e ss.; Mazzacuva Fr., Le pene nascoste, Torino, 2017, p. 7 ss.; Masera, La nozione costituzionale di materia penale, Torino, 2018, p. 205 ss.; più di recente, Di Paola, La natura ripristinatoria della confisca di prevenzione: l’ultima frode delle etichette?, in www.dirittodidifesa.eu, 3 giugno 2020.

[23] Sul fenomeno attuale della cd. ‘crisi della legge’, si veda la raffinata sintesi di Maiello V., http://www.penalecontemporaneo.it/d/1621-confisca-cedu-e-diritto-dell-unione-tra-questioni-risolte-ed-altre-ancora-aperte, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., n. 3-4, 2012, 43 e ss.).

[24] Si veda Tribunale di Cremona, 23 gennaio 2013, e Tribunale di Chieti, 12 luglio 2012, con riferimento alla figura dell’evasore socialmente pericoloso, poi avallata in sede di legittimità sin dalla sentenza n. 32032 del 23.7.2013 e, con riferimento all’attualità, Cass., sez. II, 15 gennaio 2020, n. 12001, naturalmente in relazione alla lett. b) dell’art. 1 DLgs 159/11, sopravvissuta all’intervento della Corte Costituzionale, sentenza n. 24/2019. Da ultimo, con riguardo al truffatore seriale Cass. Pen., sez I, 8 gennaio 2021, n. 13951.

[25] Prima dell’abrogazione dell’art. 14 l. n. 55/90 ad opera dell’art. 11-ter d. l. n. 92/08, che ha comportato l’estensione soggettiva delle misure patrimoniali ai casi di pericolosità generica, la giurisprudenza di legittimità aveva anticipato l’ampliamento. ritenendo che l’art. 19 della l. n. 152/1975 estendesse ai soggetti indicati nei nn. 1 e 2 del 1 comma dell’art. 1 della l. n. 1423/56 l’applicabilità sia delle misure personali sia di quelle patrimoniali – sentenze “Nicoletti” e “Marcellino”; ma possiamo ancora ricordare l’anticipazione giurisprudenziale in ordine alla prevalenza del sequestro di prevenzione sulle procedure fallimentari; di applicabilità del sequestro/confisca ai proventi dell’evasione fiscale; di estensione dell’applicabilità del sequestro/confisca ai reati contro la PA.

[26] Queste misure sono state – nel tempo – proposte, promulgate, ampliate, indipendentemente dalla natura politica dell’esecutivo in carica: trattasi dunque di misure bipartisan, userebbe dire oggi, a comprova anche della loro strumentalità al mantenimento ed allargamento dei bacini elettorali (fino al 1876 la maggioranza parlamentare era della destra storica, poi salì al potere la sinistra con Depretis). Inoltre, in termini di esiti prodotti, è da rimarcare – sin d’allora – la parziale efficacia dei provvedimenti adottati, che era enfatizzata da ogni forza politica in carica per chiedere al parlamento un inasprimento delle misure ovvero variazioni ritenute migliorative dei meccanismi applicativi (“Dirà Rattazzi – che ad interim regge il ministero dell’Interno – che la legge non ha funzionato come si sperava”; “A poco sono servite le leggi precedenti, in quanto per il loro meccanismo procedurale, non hanno consentito un pronto e sicuro intervento della polizia”, (dalla relazione di Francesco Crispi alla Camera dei Deputati del 1874), in Mereu, cit., 201, 206.). Da ultimo, il fatto che in diversi casi queste modifiche erano contenute nel ventre di provvedimenti che avevano come obiettivo principale la repressione di fenomeni di grande allarme sociale – come, ad esempio, il brigantaggio nel meridione e il malandrinaggio in centro Italia – in tal modo collegando le prime agli altri quali manifestazioni delinquenziali di carattere omogeneo, suscitanti pari preoccupazione.

[27] Hegel, Scienza della logica, Bari, 1974, p. 833 e ss., richiamato in Galimberti, I miti del nostro tempo, Milano, 2009, p. 215.

[28] Maiello V., La prevenzione ante delictum: lineamenti generali, cit., p. 306 ss. e Corte Costituzionale, sentenza n. 24/2019.

[29] Trasferimento fraudolento di valori (L. n. 94/09); reati commessi durante le manifestazioni sportive (D.L. n. 119/14); assistenza agli associati, truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche, associazione per delinquere finalizzata a una serie di delitti contro la PA (314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322, 322-bis c.p.); maltrattamenti in famiglia (L. n. 161/17); atti persecutori (L. n.  69/19). Prima del 2008, essa già si applicava: agli indiziati di appartenere alle associazioni di cui all’art. 416 bis c.p.; a coloro che pongano in essere atti preparatori diretti al sovvertimento dell’ordinamento dello Stato, nonché alla commissione di reati con finalità di terrorismo anche internazionale; a color che abbiano fatto parte di associazioni politiche disciolte; a coloro che compiano atti preparatori diretti alla ricostituzione del partito fascista; a coloro che sono stati condannati per violazione sulla legge di disciplina delle armi, ove siano considerati proclivi a delinquere; agli istigatori, mandanti, finanziatori dei reati indicati nelle lettere precedenti; alle ipotesi di agevolazione di gruppi o persone che si sono resi protagonisti di fatti violenti durante le manifestazioni sportive.

[30] Dal 2001 ad oggi la misura si applica anche: ai reati commessi per finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine costituzionale; a quelli di riduzione in schiavitù, tratta di persone, acquisto e alienazione di schiavi, nonché associazione per delinquere finalizzata a commettere tali delitti; a rilevante parte dei delitti contro la pubblica amministrazione; alla contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni; alla introduzione nello stato di prodotti con segni falsi, alla usurpazione della proprietà industriale, alla contraffazione di indicazioni geografiche o denominazione di origine dei prodotti agroalimentari nonché all’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di tali reati; ai reati di prostituzione minorile (limitatamente al comma 1), pornografia minorile (limitatamente ai commi 1 e 2), pornografia virtuale, iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile; al delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro; all’associazione per delinquere finalizzata alla commissione dei delitti di falsificazione di monete, spendita ed introduzione nello Stato di monete falsificate, alterazione di monete, contraffazione di carta filigranata in uso per la fabbricazione di carte di pubblico credito e di valori di bollo, fabbricazione e detenzione di filigrane; ai delitti di autoriciclaggio, corruzione tra privati, utilizzo indebito di carte di credito; ai reati informatici di cui agli artt. 617-quinquies, 617-sexies, 635-bis, ter, quater e quinquies; ad alcune ipotesi di reati tributari.

[31] In tal senso, Abbagnano Trione, Fiorella, L’ipotesi particolare di confisca, in Maiello V. (a cura di), Manuale di diritto penale della criminalità organizzata, (in corso di pubblicazione), p. 6. Analogamente, Della Ragione, La confisca allargata, in Mezzetti, Lupària Donati, (a cura di) La legislazione antimafia, cit., p. 269 e ss.  Per un’esaustiva ricostruzione, Piombino, La confisca ex art. 240-bis c.p., in Osservatorio Misure Patrimoniali UCPI (a cura di), L’arcipelago delle confische, Milano, 2019, p. 1 e ss.

[32] Corte costituzionale, 21 febbraio 2018, n. 33, sui cui molteplici aspetti trattati si può leggere la completa ricostruzione di Piccardi, Legittima la confisca “allargata” nel caso di condanna per ricettazione, in Cass. Pen., fasc. 9, 2018, p. 2816B.

[33] «In prosieguo di tempo, peraltro, il catalogo dei reati presupposto è stato arricchito in modo progressivo ed “alluvionale”, da una serie di interventi novellistici. Tale processo di implementazione – proseguito senza soluzione di continuità anche dopo l’odierna ordinanza di rimessione – si è ispirato, in più di un caso, a logiche chiaramente estranee a quella primigenia dell’istituto».

[34] «A fronte del ricordato processo di accrescimento della compagine dei reati cui è annessa la misura ablativa speciale, questa Corte non può astenersi, peraltro, dal formulare l’auspicio che la selezione dei “delitti matrice” da parte del legislatore avvenga, fin tanto che l’istituto conservi la sua attuale fisionomia, secondo criteri ad essa strettamente coesi e, dunque, ragionevolmente restrittivi. Ad evitare, infatti, evidenti tensioni sul piano delle garanzie che devono assistere misure tanto invasive sul piano patrimoniale, non può non sottolinearsi l’esigenza che la rassegna dei reati presupposto si fondi su tipologie e modalità di fatti in sé sintomatiche di un illecito arricchimento del loro autore, che trascenda la singola vicenda giudizialmente accertata, così da poter veramente annettere il patrimonio “sproporzionato” e “ingiustificato” di cui l’agente dispone ad una ulteriore attività criminosa rimasta “sommersa” ».

[35] «Diversamente – sembrerebbe sottintendere con un obiter dictum la Corte – rispetto a figure delittuose differenti e non fisiologicamente connesse alla criminalità organizzata, quali la ricettazione … la previsione di questa misura ablativa finirebbe con l’assumere, prevalentemente, caratteri afflittivo-repressivi e, dunque, per connotarsi come sanzione sostanzialmente penale, piuttosto che come misura di sicurezza atipica»: così v., con la consueta limpidezza, Amarelli, Confisca allargata e ricettazione; in attesa di una riforma legislativa la Corte fissa le condizioni di legittimità con una sentenza interpretativa di rigetto dai possibili riflessi su altri ‘reati-matrice’, in Giurisprudenza Costituzionale, LXIII, fasc. 1, 2018, p. 314.

[36] «Tra le tante figure delittuose ‘altre’ che oggi sono contemplate nelle fila dei delitti-presupposto di questo strumento di ablazione patrimoniale si segnalano, oltre ai reati contro la p.a., l’ambiente e la libertà sessuale del minore, introdotti in tempi più recenti, anche quelli di reimpiego dei proventi del reato, vale a dire i delitti di cui agli artt. 648 (esclusa l’ipotesi di lieve entità di cui al comma 2), 648-bis, 648-ter e 648-ter.1 c.p., previsti sin dal principio»: v. così ancora, Amarelli, Confisca allargata e ricettazione, cit., p. 309. Altresì, Cantone, La confisca per sproporzione, in Maiello V., (a cura di), La legislazione penale, cit., 137 e ss.

[37] Mentre «continuano a rimanere invece inspiegabilmente esclusi i reati tributari, parimenti non compresi nel novero delle fattispecie indicate nell’art. 4 d.lgs. 159/2011 (sebbene all’evasore ‘seriale’ la confisca di prevenzione venga comunque applicata ai sensi dell’art. 1 del medesimo decreto) …»: v. in tal senso Finocchiaro, La Corte costituzionale sulla ragionevolezza della confisca allargata. Verso una rivalutazione del concetto di sproporzione?, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., n. 2, 2018, p. 136, in nota.

[38] «Resta però da verificare se quest’ingerenza sia sproporzionata al legittimo scopo perseguito. In proposito, la Corte sottolinea che la misura controversa rientra nell’ambito di una politica di prevenzione della criminalità e ritiene che, nell’attuazione di tale politica, il legislatore debba avere un ampio margine di manovra per pronunciarsi sia sull’esistenza di un problema di interesse pubblico che richiede una normativa che sulla scelta delle modalità applicative di quest’ultima. Tra l’altro, la Corte osserva che il fenomeno della criminalità organizzata ha raggiunto, in Italia, dimensioni davvero preoccupanti. I guadagni smisurati che le associazioni di stampo mafioso ricavano dalle loro attività illecite danno loro un potere la cui esistenza mette in discussione la supremazia del diritto nello Stato, Quindi, i mezzi adottati per combattere questo potere economico, ed in particolare controversa, possono risultare indispensabili per poter efficacemente combattere tali associazioni», Corte EDU, 5 gennaio 2010, Buongiorno e altri c. Italia; «Il fenomeno della criminalità organizzata ha raggiunto in Italia proporzioni davvero preoccupanti. I profitti smisurati che le associazioni di stampo mafioso traggono dalle loro attività illecite conferiscono loro un potere la cui esistenza mette in discussione la supremazia del diritto nello Stato. Così, i mezzi utilizzati per contrastare questo potere economico – quali la confisca denunciata nel caso di specie – possono risultare indispensabili per contrastare efficacemente tali associazioni», Corte EDU, 17 giugno 2014, Cacucci, Sabatelli c. Italia.

[39] «Non vi è dubbio, d’altra parte, che siano assai elevati i costi che si pagano all’emergenza, in termini di successo, anzi di decollo, di un’autentica politica criminale. L’emergenza, infatti, non solo fa passare fulmineamente in seconda linea gli obiettivi di fondo di ogni possibile politica criminale ed inibisce una seria ricerca delle cause della criminalità emergente e, quindi, dei mezzi più idonei a combatterla; ma addirittura porta con sé una tendenza oggettiva a ridurre la stessa politica penale generale a una “politica penale dell’ordine pubblico», illuminante, come sempre, Fiore C., Ordine pubblico (Diritto penale), Enciclopedia del Diritto, XXX, 1980.

[40] Questa “fattispecie” è una delle due descritte all’interno del codice antimafia ed è riprodotta nella stessa forma in altre norme dello stesso testo (artt. 92, 94, 95). L’altro tipo è descritto nel 91, co. 6, ed è definibile come un “tentativo di infiltrazione” tout court, ciò che però non osta alla ricostruzione operata, laddove l’elemento qualificante – il tentativo – rimanda sempre ad un “fatto”.

[41] Su cui: C. Stato, III sez., 18.4.18, n. 2343, C. Stato, III sez., 29.3.2018, n. 1972. Conformi C. Stato, III sez. 25.5.2018, n. 1109, C. Stato, III sez., 4 aprile 2017, n. 1559, C. Stato, III sezione, 14.2.2017, n. 669, C. Stato, III sez., 8.3.2017, n. 1109.

[42] Bricola, Forme di tutela ante delictum e profili costituzionali della prevenzione, in Le misure di prevenzione (Atti del convegno di Alghero), Milano, 1975, 62 ss.; Fiore C., Il controllo della criminalità organizzata nello Stato liberale, in Studi storici, XXIX, 1988; Fiandaca, Misure di prevenzione (profili sostanziali) in Dig. disc. pen., IV, Torino, 1994 112 ss.; Elia, Libertà personale e misure di prevenzione, Milano, 1962; Amato, Potere di polizia e potere del giudice nelle misure di prevenzione, Pol. dir., 1974, 329 ss.; Gallo E., Misure di Prevenzione (voce), in Enciclopedia Giuridica, XX, Roma, 1996, 3; Ferrajoli, Diritto e ragione, cit., 820; Mereu, Cenni storici, cit., Mereu, Storia dell’intolleranza in Europa. Sospettare e punire, Milano, 197; Barile, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Bologna, 1980.

[43] «In materia di responsabilità penale, invero, questa Corte ha da tempo sottolineato come “l’esistenza di interpretazioni giurisprudenziali costanti non valga, di per sé, a colmare l’eventuale originaria carenza di precisione del precetto penale” … Tuttavia, allorché si versi – come nelle questioni ora all’esame – al di fuori della materia penale, non può del tutto escludersi che l’esigenza di predeterminazione delle condizioni in presenza delle quali può legittimamente limitarsi un diritto costituzionalmente e convenzionalmente protetto possa essere soddisfatta anche sulla base dell’interpretazione, fornita da una giurisprudenza costante e uniforme, di disposizioni legislative pure caratterizzate dall’uso di clausole generali, o comunque da formule connotate in origine da un certo grado di imprecisione»: v. così la sentenza 24 del 2019 della Corte costituzionale, sui cui si veda l’acuta analisi di Maiello V., La prevenzione ante delictum da pericolosità generica al bivio tra legalità costituzionale e interpretazione tassativizzante, in Giurisprudenza Costituzionale, 1/19, p. 332 e ss.

[44] «Il risultato di questo impegno [interpretativo del Consiglio di Stato] è la individuazione di un nucleo consolidato (sin dalla sentenza del Consiglio di Stato, sezione terza, 3 maggio 2016, n. 1743, come ricorda la sentenza della terza sezione, 5 settembre 2019, n. 6105) di situazioni indiziarie, che sviluppano e completano le indicazioni legislative, costruendo un sistema di tassatività sostanziale. Tra queste: i provvedimenti “sfavorevoli” del giudice penale … Si tratta di puntualizzazioni di cui va apprezzata la rilevanza alla luce di quella giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 24 del 2019) che, anche se relativa a fattispecie diversa, ha valorizzato l’apporto fornito da una giurisprudenza costante e uniforme, al fine di delimitare l’applicazione di disposizioni legislative incidenti su diritti costituzionalmente protetti, pure caratterizzate da una certa genericità»: punto 5.3 del Considerato in diritto, della sentenza 57 del 2020 della Corte costituzionale.

[45] Non per Cordero, Procedura penale, Milano, 2001, 1241 ss.

[46] Su cui, di recente, De Caro, Il procedimento giurisdizionale per l’applicazione delle misure di prevenzione, in Maiello V., (a cura di) La legislazione penale, cit., Torino, 2015, p. 471 ss.; Lupària Donati, Linee del “modello” processuale differenziato per l’accertamento dei reati di mafia, in Mezzetti, Lupária Donati (a cura di) La legislazione antimafia, cit., p. 383 ss.

[47] «Né il successivo controllo giurisdizionale di una informativa interdittiva dinanzi al TAR ricompone il baricentro dei valori costituzionali interessati dalla vicenda poiché, come innanzi evidenziato, la giurisdizionalizzazione anticipata dell’interdittiva antimafia non farebbe arretrare lo Stato rispetto al pericolo di eventuali infiltrazioni mafiose sterilizzando, al contempo, il costo immediato a carico dell’impresa»: così, in modo acuto, Piombino, A quali costi? L’efficacia estensiva dell’informazione interdittiva antimafia (Nota a sentenza – Corte Costituzionale 14.01.2020, n. 57), in www.dirittodidifesa.eu, 11 maggio 2020.

[48] Su cui si può vedere Cass. Pen., sez. III, n. 15709/11 e Consiglio di Stato, III sez., 7 ottobre 2015, n. 4657.

[49] Riguardante – come noto – esclusivamente profili molto laschi di accuratezza dell’istruttoria, completezza dei dati acquisiti, valutazione dei fatti non travisata, sufficienza della motivazione, logicità e ragionevolezza delle conclusioni. Cfr. Noccelli, I più recenti orientamenti della giurisprudenza nella legislazione antimafia’, in www.giustizia-amministrativa.it, 2018, p. 1; Fr. Mazzacuva, La natura giuridica delle interdittive, in Amarelli, Sticchi Damiani, (a cura di) Le interdittive antimafia, cit., p. 71.

[50] Scoca, Le interdittive antimafia e la razionalità, la ragionevolezza e la costituzionalità della lotta “anticipata” alla criminalità organizzata, in www.giustamm.it, 2018. Segnala, invece, nella l. 190/12 un’ipotesi non inabilitante di prevenzione amministrativa della corruzione, Maiello N.M., Le misure di straordinaria e temporanea gestione dell’impresa, in Amarelli, Sticchi Damiani, (a cura di) Le interdittive antimafia, cit., p. 323 ss.

[51] Durante, L’interdittiva antimafia, tra tutela anticipatoria ed eterogenesi dei fini, in www.giustizia-amministrativa.it, n. 12/2018, pp. 13-14.

[52] Lyotard, La condizione postmoderna, Milano, 1981.

[53] «Al contrario del soggetto d’obbedienza, il soggetto di prestazione è libero, poiché non è sottomesso a nessuno. Non è il dovere, bensì il poter fare a definire la sua costituzione psichica. Dev’essere padrone di se stesso. La sua esistenza non è caratterizzata da precetti e divieti, bensì dalla libertà e dall’iniziativa. L’imperativo della prestazione fa si che la libertà si trasformi in costrizione. Al posto dello sfruttamento esterno l’autosfruttamento: il soggetto di prestazione sfrutta se stesso fino al collasso. Violenza e libertà collimano, e la violenza diventa in tal modo autoreferenziale. Lo sfruttatore è lo sfruttato. Il carnefice è al contempo vittima»: queste le parole di Byung-Chul Han, Topologia della violenza, Milano, 2020, e-book, pos. 1300.

[54] «Al contrario, nelle più evolute forme di “confisca senza condanna” – come le misure di prevenzione patrimoniali – è agevole intravedere il difficile ma fertile percorso di ripensamento delle tradizionali categorie giuridiche che prefigura un nuovo passaggio storico: quello della costruzione di un diritto penale “mite” di stampo postmoderno, capace di superare il vecchio modello “individualistico” fondato su un orizzonte statocentrico e sul primato della pena detentiva, per indirizzarsi decisamente verso la percezione della natura collettiva e della dimensione economica dei più gravi fenomeni delittuosi, la progressiva diversificazione dei modelli sanzionatori, l’inserimento degli ordinamenti nazionali nelle linee di tendenza emergenti a livello europeo ed internazionale, la sinergia tra istituzioni pubbliche e società civile nelle dinamiche di prevenzione della criminalità. Si tratta di una prospettiva nella quale, sin dall’inizio, efficienza e garanzia sono stati visti come due fattori capaci di rafforzarsi a vicenda»: si v. così Balsamo, Le misure di prevenzione patrimoniali. Profili processuali, in Mezzetti, Lupária, Donati (a cura di) La legislazione antimafia, cit., p. 761.

[55] «Al centro del rapporto tra libertà e sicurezza si situa la separazione tra innocenti e colpevoli: ciò che le democrazie non possono permettersi è, soprattutto, la punizione di innocenti»: v. così Stella, Giustizia e modernità. La protezione dell’innocente e la tutela delle vittime, Milano, 2003, p. 23.

[56] Ancora una volta tornano le considerazioni dei grandi Maestri della penalistica italiana, già richiamati nella nota 41. La nostra Costituzione non prevede la prevenzione repressiva ma quella integrativa. Il diritto penale è già “preventivo”.

[57] Arendt, Sulla rivoluzione, Milano, 1983, p. 12.