IN RICORDO DI FILIPPO SGUBBI – DI TOMMASO GUERINI
GUERINI – IN RICORDO DI FILIPPO SGUBBI.PDF
IN RICORDO DI FILIPPO SGUBBI[1]
di Tommaso Guerini, a nome di tutta la rivista
“I bravi avvocati non muoiono mai, svaniscono lentamente”. Il ricordo del Prof. Avv. Filippo Sgubbi, componente del comitato scientifico della nostra rivista, attraverso le parole di Tommaso Guerini, componente del nostro comitato di redazione e suo allievo.
“Grande giurista, uomo buono”.
Così Marcello Gallo, decano di tutti noi penalisti, ha voluto ricordare il Professor Sgubbi, nel momento dell’estremo saluto.
Mi permetto di aggiungere: avvocato dallo stile e dalla tecnica ineguagliabili, punto di riferimento per intere generazioni di penalisti italiani.
Con Filippo Sgubbi non scompare soltanto un alfiere del diritto penale liberale, inteso e proiettato a tutelare i diritti e le garanzie di un cittadino che rimane tale anche se indagato, imputato o giudicato colpevole.
Un teorico – e un pratico – della penalistica come scienza del limite.
Ci lascia un avvocato generoso, corretto e rispettato, che nell’intera sua carriera professionale, con una coerenza assoluta, nell’eterno conflitto tra istituzioni e individuo aveva scelto senza mai un ripensamento da quale parte stare e che non ha mai mancato di far sentire la sua voce – spesso critica, comunque pacata – ogniqualvolta un nuovo tassello si aggiungeva al mosaico di quel sistema di delitti e di pene che da frammentario si stava facendo sempre più ‘totale’, aggettivo che ha voluto scolpire nel titolo del suo ultimo, fortunatissimo libro[2].
Un libro che rappresenta il culmine di una analisi che Sgubbi aveva avviato già sul finire degli anni ’80, quando concepì e scrisse “Il reato come rischio sociale”[3], un testo per certi versi eretico rispetto ai dogmi della Scuola bolognese, nel quale si prendeva atto del tramonto dell’epoca aurea del diritto penale italiano degli anni Settanta, quando l’afflato politico – del quale era pervasa una rivista ormai entrata nel mito, La questione criminale – si accompagnava all’idea di una riscrittura del sistema in una prospettiva rigidamente costituzionale.
Già allora Sgubbi aveva compreso – quasi vaticinato – come il periodo che si stava aprendo avrebbe portato a una stagione di violente controriforme, che hanno dato i frutti – in gran parte avvelenati – che stiamo raccogliendo ancora oggi.
Non ultimo, una sempre maggiore polarizzazione tra Avvocati e Magistrati, che il Professore non apprezzava e non condivideva, poiché troppo distante dalla sua idea per cui il dialogo – soprattutto se franco e leale – è alla base di qualsiasi relazione umana.
Scompare, infine, un Maestro inflessibile, ma paziente e disponibile, tanto rigoroso, quanto generoso.
Come osserva in uno scritto recente Ivano Dionigi, la parola maestro “soffre di particolare mortificazione e rimozione”, pur essendo “parola concorrente con “padre” e “madre” per bellezza e potenza evocativa”[4].
Era, invece, una parola che piaceva molto al Professor Sgubbi, il quale la intendeva in una accezione ampia, tale da abbracciare tanto la tradizione delle Scuole universitarie e professionali, quanto di cogliere l’aspetto più intimo di un rapporto che attiene – come suggerisce l’etimologia stessa del lemma, che rimanda al verbo tradere – alla consegna e alla trasmissione di un sapere.
In una delle tante conversazioni che ho avuto l’onore di intrattenere con il Professor Sgubbi, che di solito si tenevano in studio nella tarda mattinata del sabato, commentammo un passaggio di un recente scritto di Gustavo Zagrebelsky, ove l’Autore spiegava le ragioni che lo portavano a prendere le distanze dalla diffusa immagine “del nano sulle spalle del gigante” e ciò in ragione del fatto che “i suoi sottintesi non sempre sono accettabili. Innanzitutto, la conoscenza come accumulazione, laddove spesso essa è, manifestamente, almeno nelle scienze umane, una correzione, una ritrattazione e un ricominciare da capo con diversi paradigmi; inoltre, l’argomento ex auctoritate, che essa implicitamente evoca, autorizzando chi si siede sul gigante, che in quel momento sembra più grande, ad alzar la voce e a zittire quella degli altri; infine, la giustificazione di atteggiamenti culturali sterilmente chiusi in sé stessi[5].
Come Zagrebelsky, anche Filippo Sgubbi interpretava la figura del Maestro – quindi sé stesso – non come colui che si carica sulle spalle un peso per percorrere la strada in luogo dell’allievo, quanto piuttosto come la guida paziente, che percorre una tappa dello stesso percorso, davanti, ma assieme all’allievo, mostrandogli una via dalla quale questi potrà un giorno deviare, seguendo le proprie attitudini, le proprie convinzioni morali, le proprie idee.
Se assumiamo questa prospettiva, non possiamo fare a meno di osservare come Filippo Sgubbi sia stato un Maestro immenso, che ha aperto la strada a decine di allievi universitari e a centinaia e centinaia di magistrati e avvocati che quotidianamente esercitano il mestiere delle leggi con il rigore e con l’impegno che lui pretendeva da tutti, ma prima di tutto imponeva a sé stesso.
Tra le innumerevoli manifestazioni di cordoglio di questi giorni, una mi ha colpito e mi ha commosso in modo particolare.
Un caro amico e collega, l’Avvocato Andrea Mattioli, ha scritto: “I bravi avvocati non muoiono mai, svaniscono lentamente”.
È un’immagine che conserverò sempre nel mio cuore.
Perché se è vero che i Maestri ci aprono la strada, camminando davanti a noi, allora mi piace pensare che il Professor Sgubbi non ci abbia abbandonati, ma abbia piuttosto accelerato il passo, sparendo dietro una curva.
È una visione che rende più dolce il momento del saluto finale.
Immaginare il Professor Sgubbi che si allontana all’orizzonte, elegante come sempre, con il suo loden e la toga sottobraccio, per andare a raggiungere gli altri grandi avvocati come lui e, tra questi, il suo Maestro, Franco Bricola, attenua il dolore di un distacco avvenuto troppo presto.
A noi che restiamo, il compito di onorarne l’esempio e gli insegnamenti, guadagnandoci giorno dopo giorno l’onore e il privilegio di poterci ritrovare assieme, un domani, dall’altra parte della curva.
[1] Si tratta del testo, rivisto e corredato di alcune note essenziali, dell’intervento pronunciato il 28 luglio 2020 nel corso di un breve ricordo del Professor Avvocato Filippo Sgubbi che si è tenuto prima dell’avvio della quotidiana attività giudiziale, presso il Tribunale di Ravenna.
[2] F. Sgubbi, Il diritto penale totale, Il Mulino, 2019.
[3] F. Sgubbi, Il reato come rischio sociale, Il Mulino, 1990.
[4] I. Dionigi, Parole che allungano la vita, Raffaello Cortina Editore, 2020, 43.
[5] G. Zagrebelsky, Mai più senza maestri, Il Mulino, 2019, 23-24.