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LA CODIFICAZIONE DELL’ARRESTO IN FLAGRANZA “DIFFERITA”.  DALLA VIOLENZA NEGLI STADI ALLA VIOLENZA SULLE DONNE E NEI CONFRONTI DEL PERSONALE SANITARIO:  ESPERIMENTI DI PREVENZIONE E REPRESSIONE DI REATI – DI DILETTA PERUGIA

LA CODIFICAZIONE DELL’ARRESTO IN FLAGRANZA “DIFFERITA”. DALLA VIOLENZA NEGLI STADI ALLA VIOLENZA SULLE DONNE E NEI CONFRONTI DEL PERSONALE SANITARIO: ESPERIMENTI DI PREVENZIONE E REPRESSIONE DI REATI – DI DILETTA PERUGIA

PERUGIA – LA CODIFICAZIONE DELL’ARRESTO IN FLAGRANZA “DIFFERITA”. DALLA VIOLENZA NEGLI STADI ALLA VIOLENZA SULLE DONNE E NEI CONFRONTI DEL PERSONALE SANITARIO: ESPERIMENTI DI PREVENZIONE E REPRESSIONE DI REATI.PDF

LA CODIFICAZIONE DELL’ARRESTO IN FLAGRANZA “DIFFERITA”. DALLA VIOLENZA NEGLI STADI ALLA VIOLENZA SULLE DONNE E NEI CONFRONTI DEL PERSONALE SANITARIO: ESPERIMENTI DI PREVENZIONE E REPRESSIONE DI REATI.

di Diletta Perugia*

Sommario: 1. L’arresto in flagranza “differita”: dalle leggi speciali al codice di procedura penale. 2. Ancora dubbi di legittimità costituzionale in tema di arresto ritardato. 3. Digital evidence e flagranza “differita”: un connubio rischioso?

  1. L’arresto in flagranza “differita”: dalle leggi speciali al codice di procedura penale

A distanza di più di venti anni dal D.L. 20 agosto 2001, n. 336[1], che, per la prima volta, ha introdotto nel nostro ordinamento la misura precautelare dell’arresto in flagranza “differita” [2] al fine di reprimere episodi di violenza in occasione delle manifestazioni sportive, il legislatore ha definitivamente inserito tale istituto nel codice di rito. Con la L. 24 novembre 2023, n. 168[3] recante “Disposizioni per il contrasto alla violenza sulle donne e della violenza domestica” trova, infatti, collocazione nel codice di procedura penale l’art. 382-bis c.p.p. Secondo tale ultima disposizione, in caso di delitti di violenza di genere[4], la polizia giudiziaria procede alla restrizione della libertà personale di colui il quale, sulla base di documentazione video-fotografica o di altra documentazione legittimamente ottenuta da dispositivi di comunicazione informatica o telematica da cui emerga inequivocabilmente il fatto, si considera comunque in stato di flagranza, sempre che l’arresto sia compiuto non oltre il tempo necessario alla sua identificazione entro le quarantotto ore dal fatto stesso.

Ma vi è di più. E, infatti, a poco meno di un anno dall’inserimento dell’art. 382-bis c.p.p. nel codice di rito, il legislatore si è lasciato trasportare dal risalto ottenuto dal nuovo istituto precautelare applicato per contrastare l’emergenza della violenza sulle donne per spingersi oltre e in contesti differenti.

Con il D.L. 1 ottobre 2024, n. 137[5], convertito con la L. 18 novembre 2024, n. 171, aggiungendo all’art. 382-bis c.p.p. il comma 1-bis, il legislatore ha previsto che «le disposizioni di cui al comma 1 si applicano, altresì, nei casi di delitti non colposi[6] per i quali è previsto l’arresto in flagranza, commessi all’interno o nelle pertinenze delle strutture sanitarie … , in danno di persone esercenti una professione sanitaria o socio-sanitaria nell’esercizio o a causa delle funzioni o del servizio …, quando non è possibile procedere immediatamente all’arresto per ragioni di sicurezza o incolumità pubblica o individuale ovvero per ragioni inerenti alla regolare erogazione del servizio».

Le novelle in esame, con il consolidamento di tale misura precautelare all’interno del codice, non sorprendono, così, gli osservatori disincantati, che, sin dall’entrata in vigore dell’arresto differito nel 2001, avevano preconizzato il rischio di una potenzialità espansiva dell’arresto in flagranza “differita” – nato come misura “a tempo” – quale strumento volto a prevenire e reprimere fenomenologie criminose eterogenee e non già circoscritte ai cosiddetti “reati da stadio”[7].

In origine, difatti, l’arresto differito, ai sensi dell’art. 8, comma 1-bis della L. n. 401/1989[8],  era pensato, nel caso di reati commessi con violenza alle persone o alle cose in occasione o causa di competizioni agonistiche, per limitare la libertà personale fino a quarantotto ore successive alla commissione del fatto «qualora non [fosse] possibile procedere nell’immediatezza ma [fossero] stati acquisiti elementi dai quali [emergessero] gravi, precisi e concordanti indizi di colpevolezza». La misura veniva, così, prevista, a garanzia dei cittadini, per tutelare l’ordine e la sicurezza pubblica in aree ad elevata concentrazione di persone ed intervenire al di fuori dei limiti imposti dal tradizionale art. 382 c.p.p. La concitazione dei momenti vissuti durante le manifestazioni sportive induceva, infatti, a differire l’adozione della misura sia per motivi di cautela, sia per evitare di coinvolgere soggetti che solo apparentemente sembravano aver preso parte agli episodi di violenza[9].

Già in sede di commento al citato art. 8, comma 1-bis L. n. 401/1989 erano state mosse severe obiezioni nei confronti di un meccanismo che operava un completo stravolgimento dei connotati distintivi dell’istituto della flagranza[10]. A tal riguardo, lo iato temporale tra la condotta e la limitazione della libertà personale appariva ictu oculi incompatibile con il “tradizionale” concetto di flagranza delineato dall’art. 382 c.p.p., il cui genoma risulta, invece, indissolubilmente connesso proprio alla contestualità tra l’azione delittuosa e la privazione della libertà personale. Come noto, infatti, lo stato di flagranza, previsto in via “ordinaria” dall’art. 382 c.p.p., indica una stretta relazione temporale tra la commissione del reato, l’individuazione dell’autore da parte di un soggetto estraneo alla condotta delittuosa e la privazione della libertà[11]. L’essenza della flagranza viene, cioè, ravvisata «nella relazione di simultaneità intercorrente tra il momento commissivo e la sua percezione ad opera di un terzo»[12] essendo tale legame idoneo ad integrare la prova specifica ed evidente della riferibilità del fatto al soggetto che l’ha commesso[13].

Niente di tutto ciò è dato, invece, rinvenire nella figura della flagranza differita. In quest’ultima ipotesi, si prescinde totalmente dalla predetta relazione fattuale e si realizza una sorta di “evaporazione” del concetto di attualità della condotta insito nello stato di flagranza che consente alla polizia giudiziaria di riconoscere il destinatario della misura successivamente alla verificazione del fatto di reato, anche sulla base di una mera ripresa video-fotografica, la quale rappresenta, per definizione, un evento già passato e, quindi, non più attuale[14]. Il che finisce per qualificare la flagranza differita alla stregua di un tertium genus rispetto alla flagranza propria ed alla “quasi flagranza” di cui all’art. 382 c.p.p.

Nel tentativo di rimediare alla mancata simultaneità tra azione posta in essere e rilevazione della stessa da parte di un terzo, il legislatore, con la L. n. 377/2001, sostituiva, pertanto, la misura dell’arresto differito con il fermo di indiziato di delitto. Al riguardo, se, per un verso, è vero che l’operazione di innesto della misura precautelare del fermo dissipava i dubbi derivanti dall’improprio riferimento alla nozione di flagranza, per altro verso, è altrettanto innegabile che la scelta di estendere il perimetro applicativo dell’istituto tratteggiato dall’art. 384 c.p.p. ha contribuito a generare ulteriori incertezze, risultando poco verosimile che, in capo agli autori dei reati compiuti nel contesto dei disordini da stadio, potesse ravvisarsi il pericolo di fuga quale presupposto essenziale del fermo di indiziato di delitto[15]. Da qui, la decisione del legislatore di tornare sui propri passi e di reintrodurre, con un intervento d’urgenza[16], l’arresto in flagranza “differita”.

            A tal fine, l’art. 1, comma 1-ter della L. n. 88/2003, riscrivendo l’art. 8, comma 1-ter L. n. 401/1989, si faceva carico di stabilire che, nelle ipotesi di reato previste dagli artt. 380 e 381 c.p.p. e in quelle di cui agli artt. 6, commi 1 e 6, e 6-bis, comma 1, della medesima L. n. 401/1989[17], ogni qualvolta non fosse possibile procedere immediatamente all’arresto per ragioni di sicurezza e di incolumità pubblica, l’autore del reato doveva considerarsi comunque in stato di flagranza ai sensi dell’art. 382 c.p.p., se, in base a documentazione video-fotografica o di altri elementi oggettivi, «emerg[esse] inequivocabilmente il fatto».

Attraverso la rimodulazione delle tipologie di reato alla base dell’arresto in flagranza “differita”, quest’ultimo istituto veniva, di fatto, elevato al rango di principale strumento di prevenzione e di repressione degli episodi di violenza commessi in occasione delle manifestazioni sportive[18].

            Sempre in un’ottica di dissuasione e repressione di fenomeni violenti in contesti altamente affollati, oltre che a conferma della piena “fiducia” nutrita in sede legislativa verso l’efficacia dell’arresto ritardato, si colloca pure la L. n. 173/2020 con la quale il legislatore ha introdotto un nuovo comma 7-bis nell’art. 14 D.lgs. n. 286 del 1998 (T.U. imm.), prevedendo tale misura precautelare per i delitti commessi all’interno dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio.

            In particolare, la predetta L. n. 173/2020 ha stabilito che, nei casi di delitti commessi con violenza alle persone o alle cose in occasione del trattenimento nei centri di permanenza per il rimpatrio o negli hotspot, rispetto  ai quali pur essendo previsto l’arresto obbligatorio o facoltativo in flagranza non è possibile procedervi immediatamente per ragioni di sicurezza o incolumità pubblica, si considera in stato di flagranza, ai sensi dell’art. 382 c.p.p., colui il quale, anche sulla base di documentazione video-fotografica, risulta autore del fatto di reato, purché l’arresto sia effettuato entro le quarantotto ore dal fatto.

            In simili ipotesi, a fondamento della riforma apportata dalla L. n. 173/2020 è agevole intravedere un’impropria assimilazione tra le situazioni di pericolo connesse a fenomeni di violenza da stadio e quelle che trovano, invece, la scaturigine nell’ambito dei centri di detenzione per gli immigrati clandestini in attesa del rimpatrio. Questi ultimi contesti, al pari degli spalti di stadio, rappresenterebbero, nell’ottica legislativa, scenari talmente insidiosi per la tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico da imprimere un potenziamento del sistema precautelare e dei correlati poteri della polizia giudiziaria, chiamata a constatare l’avvenuta commissione del reato sulla base di mere immagini video-fotografiche [19].

             

  1. Ancora dubbi di legittimità costituzionale in tema di arresto ritardato.

L’esportazione dell’arresto in flagranza “differita” in contesti ulteriori rispetto a quello originario finisce, inevitabilmente, per riproporre le stesse incertezze in termini di compatibilità della misura precautelare con il canone costituzionale previsto dall’art. 13, comma 3 Cost., secondo cui la libertà personale può essere limitata solo in casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati in modo tassativo dalla legge.

In particolare, i dubbi sulla conformità dell’arresto ritardato al canone appena richiamato riguardano il mancato riferimento, nella disciplina della misura in esame, alla necessità e all’urgenza di agire da parte della polizia giudiziaria. E, infatti, proprio la previsione di una dilatazione temporale fino a quarantotto ore consente agli agenti e ufficiali di polizia giudiziaria di intervenire anche in un momento successivo all’immediata commissione del fatto. La stessa polizia giudiziaria procederà dopo aver individuato l’autore del reato dalla documentazione video-fotografica a disposizione e solo dopo che la condotta delittuosa sia cessata al di fuori, dunque, della sussistenza dell’eccezionale urgenza nel provvedere.

I richiamati dubbi interpretativi legati all’arresto in flagranza “differita”, quale strumento elettivo di prevenzione e repressione degli episodi di violenza che generano particolare allarme sociale, non paiono superati neanche dal recente l’inserimento dell’art. 382-bis, commi 1 e 1-bis, nel codice di rito dalla L. 24 novembre 2023, n. 168 e dalla L. 18 novembre 2024, n. 171

Secondo l’art. 382-bis, comma 1 c.p.p., nei casi di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, di maltrattamenti contro familiari e conviventi e di atti persecutori, si considera comunque in stato di flagranza colui il quale, sulla base di documentazione video-fotografica o di altra documentazione legittimamente ottenuta da dispositivi di comunicazione informatica o telematica, dalla quale emerga inequivocabilmente il fatto, ne risulta autore, sempre che l’arresto sia compiuto non oltre il tempo necessario alla sua identificazione e, comunque, entro le quarantotto ore dal fatto.

Va innanzitutto segnalato il limitato ambito di applicazione della misura de qua ai soli delitti previsti dagli artt. 387-bis, 572 e 612-bis c.p. Per tali reati, l’esigenza della contestualità eziologica tra il delitto e l’accertamento della commissione dello stesso da parte della polizia giudiziaria appare di difficile ricostruzione. In questo senso, la condotta di reato si estrinseca in più atti criminosi che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi anche se collegati da un nesso di abitualità ed avvinti nel loro svolgimento da un’unica intenzione criminosa di ledere l’integrità fisica o morale del soggetto passivo. In questi specifici contesti, non appare, dunque, semplice evincere l’elemento indefettibile dell’attualità che contraddistingue, ad esempio, il reato di cui all’art. 572 c.p. dal mero dato fotografico o documentale ottenuto da dispositivi di comunicazione informatica o telematica.

Emergono, allora, anche per il contesto ambientale previsto dalla recente legislazione una serie di delicate obiezioni riferite all’arresto ritardato. Il ricorso a tale misura precautelare si pone in contrasto con l’immediata ed autonoma percezione, da parte di chi procede all’arresto, delle tracce del reato e del loro collegamento inequivocabile con l’indiziato per provare la contestualità tra delitto e privazione della libertà personale.

Di qui, una ulteriore dissonanza rispetto ai precedenti legislativi in tema di arresto ritardato. Diversamente dalle formulazioni adottate dalle leggi speciali in tema di manifestazioni sportive e di immigrazione clandestina, balza evidente il mancato riferimento, nel nuovo testo dell’art. 382-bis, comma 1 c.p.p., alle ragioni di sicurezza e di incolumità pubblica che giustificano l’arresto in flagranza, quando non è possibile procedervi nell’immediatezza del fatto.

L’assenza di tale previsione acuisce ulteriormente i dubbi di legittimità costituzionale[20] già segnalati, risultando essi insuperabili sia pure alla luce dell’interpretazione fornita in materia dalla risalente pronuncia della Corte di cassazione[21] secondo cui la flagranza “differita” non violerebbe i canoni previsti dall’art. 13, comma 3, Cost., in quanto «essa è [comunque ispirata] alla tutela di valori parimenti assistiti da rilevanza costituzionale, quali quelli della sicurezza e della pubblica incolumità». In base a tale ultimo assunto, sebbene con l’arresto ritardato si incida sul diritto fondamentale della libertà personale, la salvaguardia dell’incolumità pubblica renderebbe necessario differire l’intervento delle forze dell’ordine il cui compito è quello di limitare scontri di persone. Una lettura così orientata porterebbe a concludere che la legittimità costituzionale dell’arresto ritardato si sostanzia in ragione del delicato contesto ambientale caratterizzato da una elevata concentrazione di persone.

Quest’ultima interpretazione giurisprudenziale non può, tuttavia, adattarsi alla novella legislativa in esame, priva, per l’appunto, di ogni riferimento alla tutela della sicurezza o dell’incolumità pubblica o alla presenza di un elevato numero di persone coinvolte.

La “svista” legislativa circa il mancato inserimento del predetto richiamo nella recente normativa, mal si concilia anche con la più attuale giurisprudenza della Corte di legittimità, che per la prima volta è intervenuta a proposito dell’art. 382-bis, comma 1 c.p.p. Sul punto, la Suprema Corte ha affermato, infatti, chiaramente che «la misura precautelare dell’arresto in flagranza differita [è prevista] in funzione di tutela della vita e dell’integrità fisica delle persone vittime di violenza domestica o di condotte di stalking»[22]. I giudici di legittimità sembrano, qui, addirittura non pensare ad un possibile appiglio di natura costituzionale per giustificare il ricorso alla misura precautelare ma, piuttosto, mirare chiaramente alla tutela della vittima di violenza di genere.

Discorso diverso merita l’art. 382-bis, comma 1-bis c.p.p. che, contrariamente al comma 1, prevede un esplicito riferimento alle ragioni di sicurezza o di incolumità pubblica o alle ragioni inerenti la regolare erogazione del servizio (medico-sanitario). In questo caso specifico, il legislatore rimedia, dunque, alla disattenzione evidenziata rispetto all’art. 382-bis, comma 1 c.p.p. e giustifica l’arresto in flagranza sulla base di una doppia tutela.

In quest’ottica, l’impossibilità di procedere all’immediata restrizione della libertà personale di colui che pone in essere un delitto nei confronti degli esercenti la professione medica o di ausilio a questa, è ricollegata anche al diritto fondamentale costituzionalmente protetto dall’art. 32.

Il diritto alla salute entra, così, nell’ottica di un bilanciamento con l’ulteriore diritto inviolabile di cui all’art. 13 Cost. e prevale, insieme alla tutela della sicurezza pubblica – per cui già si era pronunciata a favore la risalente giurisprudenza di legittimità[23] – al fine di salvaguardare l’incolumità degli individui che si trovano all’interno di strutture sanitarie o sociosanitarie e consentire alla polizia giudiziaria di arginare eventuali scontri già in atto per poi procedere all’arresto in flagranza “differita” dei soggetti individuati negli scontri.

Ma al di là della previsione dell’arresto differito rispetto alla verificazione dell’evento, comunque ispirato alla salvaguardia di valori costituzionali come le ragioni di sicurezza o incolumità pubblica o l’erogazione del servizio sanitario, resta evidente  la profonda debolezza testuale del nuovo art. 382-bis c.p.p. laddove non offre alcuna espressa indicazione per ritardare, fino a quarantotto ore dal fatto, l’intervento della polizia giudiziaria al di fuori dei richiamati canoni costituzionali di necessità e urgenza della misura restrittiva. Non occorre, invero, molto senso pratico per intuire che un arresto operato fino a quarantotto ore dopo la commissione del reato si risolva, di fatto, in un aggiramento della garanzia prevista dall’art. 13, comma 3, Cost., dal momento che, una volta cessata la condotta lesiva, viene automaticamente meno il fine di impedire ulteriori conseguenze dannose, essendo il reato ormai del tutto consumato. Anzi, a ben vedere, la possibilità di procedere all’arresto in flagranza a distanza di quarantotto ore dalla commissione del fatto di reato finisce per suggerire una implicita smentita anche del presupposto dell’urgenza. In questo senso, la previsione di un arresto “differito” equivale, infatti, ad un autentico non sense giuridico, giacché «l’arresto sarebbe indifferentemente attuabile nei confronti di chi si fosse dato o stesse per darsi alla fuga e nei confronti di chi si fosse impegnato nelle sue ordinarie attività quotidiane … ormai fuori e distaccato dal tempo e dal luogo dell’ipotizzato commesso reato»[24].

A ciò si aggiunga che il ritardato arresto non è legittimato neanche dalla valutazione effettuata dalla polizia giudiziaria, chiamata ad intervenire nel caso concreto, circa la sussistenza dei requisiti di eccezionale necessità e urgenza. In simile prospettiva, infatti, risulterebbe violata «la stretta riserva di legge, formulando la quale la Costituzione ha sottolineato che la costruzione delle fattispecie da parte del legislatore ordinario deve essere tassativa»[25].

Non basta, pertanto, come appare chiaramente dal testo dell’art. 382-bis, comma 1 c.p.p., considerare «comunque in stato di flagranza»[26] colui il quale risulta autore del fatto sulla base di documentazione video-fotografica o di altra documentazione informatica o telematica, per attribuire a quest’ultima i caratteri di necessità e urgenza dell’atto privativo della libertà personale[27].

Ampliare la nozione di flagranza attraverso la fictio iuris di ritenere ancora in atto qualcosa che in realtà non lo è più, significa, infatti, “attentare” alle fondamentali garanzie previste dall’art. 13 Cost. poste a presidio dei cittadini da eventuali abusi nella limitazione della propria libertà personale.

  1. Digital evidence e flagranza “differita”: un connubio rischioso?

Ad allontanare definitivamente l’arresto in flagranza “differita” dall’alveo dei classici canoni costituzionali in tema di libertà personale e dal concetto di evidenza probatoria è il nuovo presupposto normativo rappresentato dalla prova digitale, valido per le ipotesi individuate dall’art. 382-bis, commi 1 e 1-bis c.p.p.

Come già sottolineato, l’art. 382-bis, comma 1 c.p.p. individua, infatti, quale fondamento dell’arresto ritardato, la documentazione legittimamente ottenuta da dispositivi di comunicazione informatica o telematica che, assieme alla documentazione video-fotografica, costituisce prova dell’effettiva commissione del fatto di reato.

Abbandonato, così, una volta per tutte, il criterio degli “altri elementi oggettivi”[28], previsto, sin dai primordi dell’istituto in esame, quale parametro a disposizione del giudice per assicurare con maggiore certezza l’attribuzione del reato all’indagato, il legislatore ha introdotto una nuova categoria di prova riconducibile a documenti provenienti da dispositivi di comunicazione informatica o telematica. Tale novella in termini probatori richiede, pertanto, una valutazione in ordine all’idoneità della prova nel fornire un coefficiente attendibile per ricondurre con certezza il fatto di reato all’autore e legittimare, così, la restrizione della libertà personale.

Analoga attenzione sul piano valutativo si ritiene debba essere posta anche con riguardo alla ripresa video-fotografica. Quest’ultima, infatti, sconta la mancanza di un’evidenza epistemologica idonea ad asseverare la sicura riconducibilità del reato al proprio autore. Ogni qualvolta venga fatto uso di simili strumenti, estrapolando i filmati di telecamere che riprendono le condotte perpetrate all’interno degli stadi o dei centri di permanenza per il rimpatrio, ovvero, nel caso di specie, all’interno delle mura domestiche diviene, infatti, consistente il rischio di bias cognitivi dovuti proprio all’immagine video-fotografica che fissa solo un momento di quanto ripreso, senza poter osservare un prima e un dopo.

Del resto, ad ipotizzare margini di errore nell’individuazione dell’effettivo responsabile del reato per il tramite delle immagini video, è intervenuta la stessa Corte di cassazione[29], chiamata ad offrire la propria interpretazione dei presupposti applicativi dell’arresto in flagranza “differita”, sia pure con specifico riferimento alla normativa in materia di reati “da stadio”.

A tal proposito, infatti, i giudici di legittimità hanno riconosciuto espressamente che le riprese video-fotografiche offrono limitate garanzie sul piano probatorio, considerato che un’immagine fotografica «fissa un momento statico di un determinato fatto o comportamento, lasciando solo intuire il prima o il dopo di quel fatto o quel comportamento diacronicamente decontestualizzato e che, perciò, necessita di un filtro interpretativo»[30]. In altre parole, secondo la Corte di cassazione, per avere certezza sull’effettiva riconducibilità del reato all’autore immortalato dall’immagine si dovrebbe osservare il reo «per un ragionevole periodo di tempo, precedente e successivo alla commissione del reato», al fine di evitare una interpretazione eminentemente soggettiva delle immagini tratte dalle videoriprese. Il che trova ulteriore conferma nella circostanza per cui le immagini estrapolate da video forniscono una diversa rappresentatività dell’evento ripreso a seconda del tipo di inquadratura, della distanza o dell’estensione del piano di ripresa, ovvero di analoghi fattori, variamente controllabili solo in un momento successivo alla ripresa stessa.

Anche con riferimento alla documentazione proveniente da dispositivi di comunicazione informatica o telematica, le garanzie sul piano probatorio appaiono piuttosto labili. Affinché, di fatti, possa essere legittimamente utilizzata nel processo penale, la digital evidence[31], ottenuta da strumenti di tipo informatico o telematico, richiede la presenza di riscontri probatori da cui inferire l’evidente riconducibilità del fatto all’identificato autore, tanto da giustificarne un arresto in flagranza “differita”. Tale verifica di carattere probatorio non è di agevole compimento. Nonostante la tipologia di prova in parola costituisca, al giorno d’oggi, un ausilio spesso indispensabile alle indagini penali[32], il riscontro probatorio dei dati digitali risulta complesso, in quanto essi, seppure nel loro contenuto informativo vengano immediatamente percepiti, non sono sempre dotati di una materialità ictu oculi percepibile. La raccolta e l’analisi delle informazioni provenienti da apparecchi informatici[33] non è di facile gestione e richiede un’elevata accuratezza per evitare la dispersione della stessa prova[34]. Ciò si verifica a prescindere dal tipo di apparecchiatura e di documento in questione.

Con specifico riferimento alla modifica normativa in discorso, giova prendere atto che la documentazione legittimamente ottenuta da dispositivi di comunicazione informatica o telematica di cui all’art. 382-bis, comma 1 c.p.p. è alquanto generica e, dunque, destinata a ricomprendere qualunque strumento di natura tecnologica. Nello specifico, con riferimento ai delitti di cui all’art. 382-bis, comma 1 c.p.p., trattandosi di reati le cui condotte vengono poste in essere all’interno delle mura domestiche, e che, pertanto, possono concretizzarsi in appostamenti o chiamate e messaggi ripetuti, è dato ipotizzare che gli insidiosi strumenti di comunicazione informatica o telematica, da cui si ricavano i dati digitali rappresentati da messaggi di testo o multimediali, video, foto, e-mail o tabulati telefonici, possano venire individuati tra smartphone, ipads, computers. Analoga considerazione vale per i delitti ex artt. 583-quater, comma 3 e 635, comma 4 c.p. – sottesi alla previsione di cui all’art. 382-bis, comma 1-bis c.p.p. – che, commessi all’interno delle strutture sanitarie pubbliche o private, possono essere ripresi da telecamere a circuito chiuso o, presumibilmente, da smartphone di persone presenti all’interno delle stesse strutture.

Tali dispositivi acquisiscono, così, la caratteristica di «contenitori destinati a veicolare una mole enorme di dati, molti dei quali suscettibili di rivestire un ruolo di primo piano nella prospettiva processuale»[35].

Si pone, a questo punto, il problema delle modalità con cui tale documentazione informatica venga introdotta nel processo e del relativo impiego probatorio; utilizzo che, occorre ribadirlo, legittima, nel caso di specie, la convalida della misura precautelare e, eventualmente, la celebrazione del rito nelle forme acceleratorie del giudizio direttissimo. Aspetto saliente della questione risiede, in particolare, nella circostanza che, ormai con sempre maggior frequenza, «semplici screenshot estratti dai social network siano presentati e, di conseguenza, acquisiti … quali prove documentali ai sensi dell’art. 234 c.p.p., mediante una semplice stampa del file originale, solitamente ad opera della polizia giudiziaria o della persona offesa»[36]

Ciò spiega la preoccupazione circa una acquisizione non genuina del materiale digitale proveniente dal dispositivo elettronico, essendo tale materiale «per natura volatil[e] e suscettibil[e] di continua trasformazione»[37]. Il rischio che si corre, insomma, è quello dell’alterazione o della dispersione del dato originale senza che il difensore possa procedere ad un riscontro con quanto prodotto all’autorità giudiziaria. Si pensi, ad esempio, al possibile inquinamento probatorio determinato dalla modifica, da parte dell’utente, del dispositivo telematico od informatico oppure ai numerosi casi di falsificazione delle stampe di materiale digitale.

Tramite l’utilizzo di dispositivi informatici o di comunicazione è nota, infatti, la possibilità di cancellare dalla chat alcuni messaggi di testo o, addirittura, di “scaricare” apposite applicazioni per la creazione di messaggi falsi che, una volta riportati su supporti cartacei, si sottraggono ad una verifica di falsificazione e vengono tout court acquisiti a fini processuali. Analogo discorso vale per i messaggi sms o le informazioni tratte da rete telematica: anch’essi suscettibili di manipolazioni, alterazioni e cancellazioni.

Il che conferma la necessità di un’accurata verifica in ordine alla genuinità dell’acquisizione del materiale informatico, onde assicurare «che la riproduzione … sia fedele alla matrice digitale e, come tale, idonea a garantire un accertamento attendibile dei fatti rappresentati»[38].

Orbene, tale operazione di riscontro, nel contesto applicativo dell’arresto differito, grava in capo all’organo giudicante chiamato a verificare l’attendibilità della documentazione prodotta dalla polizia giudiziaria a sostegno del ritenuto stato di flagranza[39], onde poter procedere alla convalida di tale misura precautelare nei tempi strettissimi individuati dalla Carta costituzionale[40]. Il tradizionale documento probatorio disciplinato dall’art. 234 c.p.p. non richiede alcuna esigenza di autenticità, dal momento che il contenuto informativo è “incorporato” all’interno di un supporto materiale, risultando impossibile sia la percezione dell’informazione in assenza del relativo supporto, sia la sua manipolazione, in ragione del rapporto di immedesimazione che lega contenuto e contenitore. Il documento proveniente dall’apparecchio digitale, al contrario, si connota per il carattere di immaterialità che – come noto – lo rende accessibile anche in “contenitori” diversi rispetto a quello in cui è stato generato[41]. A ciò consegue che l’organo giurisdizionale viene, in tal caso, chiamato a verificare l’assenza di eventuali alterazioni dei predetti dati nel corso della procedura di “trasferimento”. Una verifica, quest’ultima, che esige di adottare specifiche cautele, a meno di determinare ricadute anche gravi proprio sull’affidabilità dell’evidenza digitale ed impedire la convalida dell’arresto per mancanza dei requisiti previsti ex lege.

Non servono, allora, troppi giri di parole per affermare che l’evidenza della prova sottesa alla flagranza “differita”, ove basata sulla documentazione proveniente da dispositivi informatici o telematici, rischia di fondarsi su nient’altro che elementi spuri o, peggio ancora, artefatti.

Nella pratica, appare difficilmente superabile il dubbio che la stampa di un dato digitale possa presentarsi come una copia o, viceversa, come un numero di originali pari al numero di stampe effettuate.

In quest’ottica di incertezza, la documentazione proveniente da strumenti di comunicazione telematica o informatica rende ancora più difficile attribuire la commissione del reato all’imputato e, pertanto, individuare l’attualità della condotta sulla base di una situazione probatoria non controversa. La difficoltà si acuisce quando, per giunta, si tratta di delitti la cui condotta manifesta carattere di abitualità, per l’accertamento della quale sarebbe necessaria «l’osservazione della documentazione videofotografica o informatica dimostrativa del fatto, valutata, …avvalendosi di altre fonti di prova»[42].

Anche con riferimento al nuovo presupposto della documentazione proveniente da dispositivi tecnologici, è, pertanto, opportuno seguire quanto già indicato, sul punto, dalla Corte di cassazione[43] in tema di violenza negli stadi. Si avverte, infatti, l’esigenza di osservare il reo prima e dopo la commissione del reato, per attribuire con certezza il fatto al relativo autore, evitando un’interpretazione soggettiva legata solo ed esclusivamente alla documentazione estrapolata da un apparecchio informatico che fornisce la “fotografia” di un unico momento in assenza di qualsivoglia simultaneità tra commissione del fatto e percezione di esso da parte di un terzo.

Come suggerito dai giudici di legittimità, l’ulteriore riscontro probatorio rispetto alla documentazione fotografica o a quella proveniente da dispositivi telematici o informatici è necessario proprio alla luce di un intervento legislativo mal strutturato che poco si adatta alle ipotesi di flagranza e di “quasi flagranza” di cui all’art. 382 c.p.p., le quali, da sole, giustificano il requisito dell’evidenza della prova necessaria per l’adozione della misura precautelare.

Ben si comprende, allora, che l’idea dell’ultimo legislatore sia stata, in modo neanche troppo velato, quella di voler collocare nel sistema processuale penale uno strumento di repressione il quale, più che fungere da subcautela[44] destinata a garantire l’esecuzione dell’eventuale misura cautelare disposta dal giudice[45], mira a rimediare all’emergenza sociale determinata dalla commissione di specifici delitti e ad assicurare che l’autore degli stessi reati sia destinatario di un rapido processo.

* Avvocato del foro di Roma, collaboratrice della cattedra di diritto processuale a Roma Tre e attualmente assegnista di ricerca a Torino

[1] Si tratta del Decreto-legge 20 agosto 2001, n. 336 recante Disposizioni urgenti per contrastare i fenomeni di violenza in occasione di competizioni sportive, in G.U., 21 agosto 2001, n. 193 che inserisce l’arresto in flagranza “differita” all’art. 8- bis della L. n. 401/1989.

[2] Sull’istituto dell’arresto in flagranza differita, v., ex multis, M. Laudi, La nuova legge contro la violenza negli stadi: un timido passo in avanti, in Dir. pen. proc., 2002, p. 279 ss.; L. Palamara, Arresto in flagranza: “sterzata” sul vecchio regime, in Guida dir., 2001, n. 42, p. 103 ss.; A. Liguoro, La sfida della legittimità costituzionale. Il fermo è già utile per evitare la “trascorsa flagranza”, in Dir. giust., 2001, n. 41, p. 11.

[3] L. 24 novembre 2023, n. 168 pubblicata in G.U. del 24.11.2023, n. 275.

[4] L’art. 3, lett. d) Conv. Istanbul fornisce per la prima volta la definizione della violenza contro le donne basata sul genere ritenendo come tale «qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato». Per un maggior approfondimento in tema cfr. F. Cassibba, Le vittime di genere alla luce delle convenzioni di Lanzarote e di Istanbul, in A.A.V.V. (a cura di), Vittime di reato e sistema penale. La ricerca di nuovi equilibri, Giappichelli, Torino, 2017, p. 67 ss.

[5] Si tratta del D.L. 1° ottobre 2024, n. 137 coordinato con la legge di conversione 18 novembre 2024, n. 171, recante «Misure urgenti per contrastare i fenomeni di violenza nei confronti dei professionisti sanitari, socio-sanitari, ausiliari e di assistenza e cura nell’esercizio delle loro funzioni nonchè di danneggiamento dei beni destinati all’assistenza sanitaria», in Gazz. Uff., Serie Generale, n.276 del 25-11-2024.

[6] In particolare, l’art. 2, lett. a) D.L. 1 ottobre 2024, n. 137 inserisce all’art. 380, comma 2 c.p.p. la lett. a-ter) e la lett. a-quater) al fine di ricomprendere nel novero dei reati per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza il delitto disciplinato dall’art. 583-quater, comma 2 c.p. di lesioni personali commesso a danno di personale esercente una professione sanitaria o socio-sanitaria e di chiunque svolga attività ausiliarie ad essa funzionali nonché il delitto di danneggiamento previsto dall’art. 635, comma 4 c.p. introdotto dall’art. 1 del medesimo decreto.

[7] In tal senso, cfr. M. F. Cortesi, Le novità tra gli strumenti di prevenzione e di repressione, in Dir. pen. proc., 2007, p. 727 ss., secondo cui «il pericolo che si palesa è che attraverso l’istituto della “flagranza differita” […] si possa determinare nel tempo una applicazione estensiva a casi simili come le manifestazioni di piazza, i cortei, i concerti o altre situazioni, che, al di fuori della occasione sportiva, radunino insieme un numero considerevole di persone, per cui possano ritenersi allo stesso modo sussistenti le […] “ragioni di sicurezza ed incolumità pubblica”, con conseguenze di assai dubbia coerenza con il sistema costituzionale».

[8] Legge 13 dicembre 1989, n. 401, Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di competizioni agonistiche, in G.U, 18 dicembre 1989, n. 294.

[9] Sul punto v. Relazione governativa al decreto legge 28/2003, in Guida dir., n. 9, 2003, p. 20 secondo cui «disporre di uno strumento giuridico che consenta di procedere all’arresto dei responsabili di fatti criminosi in un momento successivo al fatto, riduce il rischio di coinvolgimento  indotto di persone estranee e consente alla polizia giudiziaria di raccogliere più precisi elementi di colpevolezza riferiti ad individui ben identificati; evitando, quindi, che nella concitazione del momento siano adottati provvedimenti di natura penale, anche restrittivi, nei confronti di persone solo apparentemente coinvolte nelle violenze».

[10] V., tra tutti, P. Molino, Le nuove norme contro la violenza negli stadi: la questione dell’arresto del “tifoso” violento, in Riv. pol., 2001, p. 744, secondo cui «concepire un intervento della polizia non più connesso al suo inseguimento, vuoi perché mai iniziato vuoi perché separato da un intervallo di tempo nel quale l’inseguimento ha definitivamente riconquistato la piena libertà fisica sottraendosi al controllo anche a distanza degli operanti, significa forzare decisamente la stessa ragione d’essere dell’arrestato, che è quella appunto di arrestare, porre fine ad un reato in corso di esecuzione ovvero, quando esso si è già perfezionato e consumato, impedire il pieno compimento degli effetti».

[11] Per un approfondimento sui presupposti dello stato di flagranza cfr. G. F. Bonetto, voce Flagranza, in Enc. dir., vol. XVII, Giuffrè, Milano, 1985, p. 764: «la “sorpresa”, dunque, consiste nell’osservazione immediata e diretta del fatto da parte del terzo»; G. G. Loschiavo, voce Flagranza di reato, in Nuovo dig. it., vol. VI, Utet, Torino, 1957, p. 36: «il colpevole s’intenda sorpreso durante la consumazione del fatto o nel momento immediatamente successivo […] allorché ancora permanga il turbamento sociale, apportato dalla sua azione, ovvero presso di lui si abbiano tracce, che dimostrano, con piena evidenza, la partecipazione “ancora calda”, vicina, immediata, dell’azione delittuosa»; A. Santoro, voce Flagranza del reato (diritto penale e diritto processuale penale), in Nov. dig. it., vol. VII, Utet, Torino, 1957, p. 405; E. Foti, voce Flagranza di reato, in Enc. for., vol. III, Vallardi, Milano, 1958, p. 787; E. Marzaduri, voce Flagranza del reato, in Nov. dig. it., Appendice, Utet, Torino, 1982, p. 794; E. Bellizzi, voce Flagranza (arresto in), in Dig. disc. pen., Utet, Torino, 1994, p. 256; F.P.C. Iovino, Brevi riflessioni sulla “nuova” nozione di flagranza, in Cass. pen., 1991, p. 257.

[12] In tal senso G. F. Bonetto, voce “Flagranza”, cit., p. 762.

[13]Vedi G. Brichetti, L’“evidenza” nel diritto processuale penale, Napoli, 1950, p. 160: «l’istituto della flagranza venne trattato ampiamente dai pratici medievali, e tutti concordavano nell’affermare che nell’ipotesi di flagranza, il reato è già, per sé stesso, manifesto, notorio, così che non occorre ulteriore prova per accertarlo». Cfr. anche M. Scaparone, Sulla legittimità costituzionale dell’arresto in flagranza, in Giur. cost., 1972, p. 11.

[14] Così G. Frigo, Tutti i rischi delle ricognizioni fotografiche, in Guida dir., 2003, n. 9, p. 27, secondo cui «con una semplicità quasi disarmante si è creduto di assimilare tale situazione a quella della flagranza, confondendo la flagranza reale con la sua rappresentazione video fotografica e trascurando che la flagranza implica attualità, mentre la sua rappresentazione implica un passato. La flagranza fotografica è un non senso. Di questo passo alla rappresentazione video fotografica si potrebbe finire per assimilare, lungo un piano inclinato assai pericoloso, ad esempio, la rappresentazione dichiarativa di avvenuto riconoscimento di una certa persona».

[15] , V. M. Laudi, La nuova legge contro la violenza negli stadi: un timido passo in avanti, cit., p. 280, nonché E. D’Angelo, L’azione di contrasto alla violenza nelle manifestazioni sportive, in G. Di Chiara (a cura di), Il processo penale tra politiche della sicurezza e nuovi garantismi, Giappichelli, Torino, 2003, p. 158.

[16] Decreto-legge 24 febbraio 2003, n. 28, Disposizioni urgenti per contrastare i fenomeni di violenza in occasione di competizioni sportive, in G.U., 24 febbraio 2003, n. 45, convertito con la Legge 24 aprile 2003, n. 88, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 febbraio 2003, n. 28, recante disposizioni urgenti per contrastare i fenomeni di violenza in occasione di competizioni sportive, in G.U., 24 aprile 2003, n. 95.

[17] Si tratta del delitto di violazione del divieto di accesso imposto dal questore alla manifestazione sportiva e del delitto di lancio di materiale pericoloso nei luoghi in cui si svolgono le manifestazioni sportive o in quelli interessati alla sosta o al transito o al trasporto delle persone che assistono o partecipano alle manifestazioni sportive.

[18] Con un successivo decreto d’urgenza, il D. L. n. 8/2007, convertito con L. n. 41/2007, il legislatore modificava ancora una volta l’art. 8, comma 1-ter L. n. 401/1989, consentendo l’arresto “ritardato” non solo nei confronti di chi si fosse reso responsabile del lancio di materiale pirotecnico, ma anche nei confronti di chi fosse stato trovato in possesso di razzi, bengala, petardi e simili, nonché di oggetti contundenti nelle adiacenze dello stadio.

[19] Per un maggior approfondimento sul tema cfr., volendo, D. Perugia, Processo penale e sicurezza: il “ritorno” dell’arresto in flagranza “differita”, in Arch. nuova proc. pen., 2, 2021, pp. 110 ss.

[20] Cfr. P. Spagnolo, Le nuove disposizioni processuali in materia di contrasto alla violenza sulle donne e alla violenza domestica, in Leg. Pen., 2024, p. 17.

[21] In questo senso Cass., sez. VI, 4 maggio 2007, n. 17178, Dinoi, in Giur. it., 2008, 7/8, p. 2043.

[22] Cass., sez. VI, 20.3.2024, n. 16668, in Guida dir., 2024, p. 18.

[23] Cass., sez. VI, 4 maggio 2007, n. 17178, Dinoi, cit., p. 2043.

[24] In questo senso si è espresso G. Frigo, Tutti i rischi delle ricognizioni fotografiche, cit., p. 27.

[25] V. G. Frigo, Vademecum sull’esistenza degli elementi di fatto, in Guida dir., 2003, n. 20, p. 69.

[26] Su questo punto il legislatore, con la L. 24 novembre 2023, n. 168, ha tentato di porre rimedio alle lacune di natura costituzionale omettendo di inserire l’esplicito riferimento all’art. 382 c.p.p. nel considerare comunque in stato di flagranza l’autore della violenza di genere.

[27] In sede esegetica è stato rilevato che la flagranza differita tali caratteri «dovrebbe averli davvero e, invece, non li ha … ovvero dovrebbe comunque presentare autonomamente i connotati dell’eccezionalità, della necessità e della urgenza», così G. Frigo, Tutti i rischi delle ricognizioni fotografiche, cit., p. 27

[28] In effetti, la necessità di un ampliamento della base probatoria giustificativa dell’arresto in flagranza differita era stata avvertita anche dal legislatore. La L. n. 88/2003 aveva ampliato il fondamento epistemologico dell’arresto in flagranza “differita”, prevedendo che, oltre alle immagini video-fotografiche, potessero essere impiegati anche altri elementi oggettivi in grado di provare la commissione di un reato. Tuttavia, come in precedenza evidenziato, tale ultimo requisito è venuto meno per effetto della L. n. 41/2007, lasciando un ampio potere discrezionale alla polizia giudiziaria che procede all’individuazione e alla identificazione dell’autore del reato, la quale è stata sgravata dal compito di ricercare ulteriori riscontri idonei a supportare un giudizio di colpevolezza sufficientemente affidabile. Con la conseguenza che il substrato alla base dell’evidenza probatoria finiva, di fatto, per risolversi nelle sole riprese video, troppo spesso oggetto di interpretazioni equivoche legate alla qualità ed alla frammentarietà delle immagini. Per alcune annotazioni in merito agli «altri elementi oggettivi» quale presupposto dell’arresto in flagranza “differita”, cfr. G. Frigo, Tutti i rischi delle ricognizioni fotografiche, in Dir. giust., 2006, 47, p. 27; ID., Vademecum sull’esistenza degli elementi di fatto, cit., p. 68; P. Molino, Il nuovo decreto antiviolenza negli stadi: il ritorno dell’arresto “differito”, in Riv. pol., 2003, p. 301 nonché, volendo, cfr. D. Perugia, Violenza negli stadi ed arresto in flagranza “differita”: vecchie e nuove perplessità, in Giur. it, 2008, p. 2044.

[29] Cass., sez. VI, 4 maggio 2007, n. 17178, cit., p. 2043.

[30] Così, ancora, Cass., sez. VI, 4 maggio 2007, n. 17178, cit.

[31] Cfr. L. Marafioti, Digital evidence e processo penale, in Cass. pen., 2011, p. 4509 il quale ha utilizzato la dizione americana digital evidence intendendola quale contenitore ove ricomprendere «qualsiasi informazione probatoria la cui rilevanza processuale dipende dal contenuto del dato o dalla particolare allocazione su di una determinata periferica, oppure dal fatto di essere stata trasmessa secondo modalità informatiche o telematiche». Per uno più ampio approfondimento sul tema si rinvia a M. Pittiruti, Digital evidence e procedimento penale, Giappichelli, Torino, 2017.

[32] In tema, secondo L. Marafioti, Note di sintesi a margine di un dibattito, in L. LupÁria-L. Marafioti-G. Paolozzi (a cura di), Dimensione tecnologica e prova penale, Giappichelli, Torino, 2019, p. 273 «il tema della prova tecnologica appare ormai destinato a diventare sempre di più croce e delizia del processual-penalista».

[33] Sul punto si veda M. Pittiruti, Digital evidence e procedimento penale, cit., p. 1 e ss.

[34] Sebbene il contenuto informativo dei dati digitali sia di immediata percezione per l’utente attraverso il display del cellulare, essi consistono, in realtà, in impulsi privi di sostanza materiale che vengono elaborati e, conseguentemente, decifrati per mezzo di sofisticati sistemi tecnologici contenuti all’interno del supporto mobile, dal quale le informazioni possono essere estratte solo con complesse operazioni tecniche. Finalizzate proprio al recupero, a fini processuali, dei dati contenuti in reperti digitali costituiti da telefoni cellulari, dalle SIM card e dagli smartphones, le attività poste in essere dagli esperti della Mobile Forensics esigono una conoscenza specializzata ed aggiornata delle caratteristiche hardware e software di tali dispositivi, che consenta di garantire l’assoluta integrità del dato probatorio, assicurando la perfetta corrispondenza tra questo e le informazioni presenti nel supporto mobile. Questa esigenza di cautela nella fase di acquisizione e valutazione dell’evidenza informatica avvertita dalla legge n. 48 del 2008 di ratifica della Convenzione di Budapest sul Cybercrime, in materia di ispezione, perquisizione e sequestro probatorio, non ha trovato, però, esplicito riconoscimento in tema di prova documentale. Il ripetuto richiamo legislativo alla necessità di assicurare la conservazione dei dati originali e di impedirne l’alterazione, circoscritto alle investigazioni informatiche, sembra lasciare inalterato il livello di tutela (pressocché inesistente) della genuinità del documento disciplinato dall’art. 234 c.p.p., con evidenti ricadute in tema di attendibilità delle informazioni ivi contenute.

[35] Cfr. R. Del Coco, Acquisizione di dati telefonici e prova documentale, in Proc. pen. e giust., 3, 2018, p. 533.

[36] Così M. Pittiruti, Digital evidence e procedimento penale, cit., p. 25.

[37] In tale ultimo senso Cass., sez. lavoro, 16.2.2004, n. 2912, in C.E.D. Cass., rv. 570140.

[38] G. Fiorelli, Lo screenshot quale prova documentale: regole acquisitive e garanzie di affidabilità, in Dir. internet, 3, 2020, p. 507.

[39] Sul difficile adeguamento delle categorie probatorie tradizionali allo sviluppo tecnologico cfr. L. LupÁria, La disciplina processuale e le garanzie difensive, in LupÁria-Ziccardi (a cura di) Investigazione penale e tecnologia informatica. L’accertamento del reato tra progresso scientifico e garanzie fondamentali, Milano, Giuffrè, 2007, p.127 ss.; L. LupÁria, Computers crimes e procedimento penale, in G. Garuti (a cura di) Modelli differenziati di accertamento, in Trattato di procedura penale, diretto da Spangher, vol. VII, Tomo I, Utet, Torino, 2011, p. 369 ss; M. Daniele, La prova digitale nel processo penale, in Riv. dir. proc., 2011, p. 284.

[40] In senso critico sull’operato dell’organo giurisdizionale cfr. G. Fiorelli, Lo screenshot quale prova documentale: regole acquisitive e garanzie di affidabilità, cit. p. 509, secondo cui «l’assenza di controlli sull’autenticità dei dati in­corporati nel documento finisc[e] per avallare pericolose scorciatoie probatorie, utili a veicolare all’interno del procedimento informazioni di dubbia provenienza, at­traverso la mera stampa del file, generalmente ad opera della polizia giudiziaria o della persona offesa».

[41] Per un maggior approfondimento in tema v.  G. Fiorelli, Lo screenshot quale prova documentale: regole acquisitive e garanzie di affidabilità, cit., p. 505.

[42] Cass., sez. VI, 20.3.2024, n. 16668, cit.

[43] Cass., sez. VI, 4 maggio 2007, n. 17178, cit., p. 2043.

[44] L’espressione utilizzata è di F. Cordero, Procedura penale, Milano, Giuffrè, 2012, p. 487.

[45] In questo senso cfr. F. Cordero, Procedura penale, cit., p. 488.