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LA CORTE DI CASSAZIONE RITORNA SULL’APPLICABILITÀ DEL D.LGS. N. 231/2001 ALLA S.R.L. UNIPERSONALE: UNA NUOVA PROSPETTIVA ESEGETICA CON LE STESSE PROBLEMATICHE APPLICATIVE – DI MARIKA FARDO

LA CORTE DI CASSAZIONE RITORNA SULL’APPLICABILITÀ DEL D.LGS. N. 231/2001 ALLA S.R.L. UNIPERSONALE: UNA NUOVA PROSPETTIVA ESEGETICA CON LE STESSE PROBLEMATICHE APPLICATIVE – DI MARIKA FARDO

FARDO – LA CORTE DI CASSAZIONE RITORNA SULLA APPLICABILITÀ DEL D.LGS. N. 231-2001 ALLA S.R.L. UNIPERSONALE.PDF

LA CORTE DI CASSAZIONE RITORNA SULL’APPLICABILITÀ DEL D.LGS. N. 231/2001 ALLA S.R.L. UNIPERSONALE: UNA NUOVA PROSPETTIVA ESEGETICA CON LE STESSE PROBLEMATICHE APPLICATIVE

COURT OF CASSATION RETURNS ON THE APPLICABILITY OF LEGISLATIVE DECREE NO. 231/2001 TO A SINGLE-MEMBER LIMITED LIABILITY COMPANY: A NEW EXEGETICAL PERSPECTIVE WITH THE SAME APPLICATION PROBLEMS

di Marika Fardo*

Cass. pen., Sez. VI, 15 febbraio 2021 (dep. 6 dicembre 2021), n. 45100, Pres. Fidelbo, – Est. e Rel. Silvestri (ann. con rinvio)

Responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato – Destinatari della disciplina –Società unipersonali a responsabilità limitata.

(Artt. 1, 5, 6 e 7 D.lgs. n. 231/2001)

La Sesta Sezione penale ha affermato che, nell’ipotesi di società a responsabilità limitata unipersonale, per affermare la responsabilità dell’ente, in base alla disciplina di cui al d.lgs. n. 231 del 2001, è necessario che il giudice accerti se sia in concreto identificabile un interesse sociale distinto da quello della persona fisica del rappresentante, tenuto conto della struttura organizzativa, dell’attività esercitata, delle dimensioni dell’impresa e dei rapporti tra socio unico e società.

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La Corte di cassazione affronta la questione dell’imputabilità dell’illecito amministrativo ex D.lgs. n. 231/2001 alle s.r.l. unipersonali, scegliendo un approccio sostanziale basato sulla distinzione tra soggezione formale alla disciplina e responsabilità concreta dell’ente. La soluzione, pur nell’apprezzabile intento di conciliare il dato letterale con i principi costituzionali di matrice penalistica, è destinata a riproporre le problematiche applicative preesistenti.   

 The Court of cassation tackles the question of the imputability of the administrative offence pursuant to Legislative Decree no. 231/2001 to single-member limited liability companies, opting for a substantial approach based on the distinction between formal subjection to the discipline and the concrete liability of the company. This solution, although the appreciable intention of reconciling the literal content of the rule with the constitutional principles of criminal law, is destined to re-propose the pre-existing application problems.   

Sommario: 1. La vicenda e le questioni di diritto. – 2. La “soggettività” dell’ente: inclusione delle s.r.l. unipersonali nel perimetro di applicazione del D.lgs. n. 231/2001. – 3. I profili di criticità nell’applicazione del D.lgs. n. 231/2001 alle s.r.l. unipersonali di piccole dimensioni. – 4. La “responsabilità” dell’ente: l’applicazione del criterio dell’interesse o vantaggio alle società unipersonali. – 5. Una soluzione di compromesso non pienamente soddisfacente.

1. La vicenda e le questioni di diritto.

Il Giudice per le indagini preliminari disponeva la misura cautelare interdittiva del divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione nei confronti di tre società a responsabilità limitata unipersonali, gravemente indiziate dell’illecito amministrativo dipendente dal reato di corruzione propria ascritto ad un unico soggetto che rivestiva funzioni apicali all’interno di tutti gli enti sottoposti a giudizio.

Accogliendo l’appello proposto dal difensore delle persone giuridiche, il Tribunale annullava il provvedimento cautelare affermando, per quanto qui di interesse, l’inapplicabilità della disciplina enucleata nel D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 alle società sottoposte ad indagine, in considerazione del loro carattere unipersonale. In particolare, il Giudice del gravame rilevava che dette società erano composte e gestite dall’ autore del reato presupposto, considerata l’assenza del consiglio di amministrazione e di altri soggetti titolari di funzioni aziendali. Tali elementi fattuali venivano quindi valorizzati per sostenere la piena identificazione tra le persone giuridiche e il socio unico, con pedissequa conclusione per l’assimilazione sostanziale delle prime ad imprese individuali, come tali non soggette alle disposizioni sulla responsabilità amministrativa dipendente da reato.

Il Procuratore della Repubblica proponeva ricorso per cassazione e censurava la decisione del Tribunale sotto il profilo della violazione di legge, attraverso il richiamo ai precedenti giurisprudenziali a favore dell’applicabilità del D.lgs. n. 231/2001 alle s.r.l. unipersonali[1].

La Sezione Sesta, con la pronuncia in commento, ha accolto il ricorso annullando con rinvio l’ordinanza impugnata.

Pur collocandosi pienamente nel quadro degli approdi giurisprudenziali favorevoli alla formale assoggettabilità delle società a responsabilità limitata unipersonali al D.lgs. n. 231/2001, la sentenza in commento posiziona un nuovo e pionieristico tassello, spostando il focus di attenzione dell’interprete dalla definizione del perimetro di applicazione soggettiva della disciplina all’accertamento sostanziale dei presupposti di imputazione dell’illecito amministrativo dipendente da reato.

Questo mutamento di prospettiva emerge chiaramente dall’ordito motivazionale, dove la Cassazione dapprima affronta il tema della riconducibilità della s.r.l. unipersonale alla nozione di “ente” ai sensi dell’art. 1 D.lgs. n. 231/2001, per poi porre una seconda e subordinata questione, vale a dire se sia possibile trascendere dal dato letterale della suddetta disposizione e ritenere che un soggetto  formalmente destinatario della normativa possa esserne concretamente sottratto, in forza di un accertamento di fatto che ne escluda la sua qualificazione come autonomo centro di imputazione giuridica.

Insomma, la vexata quaestio dell’imputabilità ex D.lgs. n. 231/2001 delle s.r.l. unipersonali deve essere affrontata, ad avviso della Suprema Corte, tenendo distinti i differenti profili della “soggettività” e della “responsabilità” dell’ente[2].

2. La “soggettività” dell’ente: inclusione delle s.r.l. unipersonali nel perimetro di applicazione del D.lgs. n. 231/2001.

 Quanto al profilo della “soggettività”, l’art. 1 D.lgs. n. 231/2001, nel definire l’ambito di operatività del sistema normativo, espone al rischio di sanzioni amministrative tutti gli enti forniti di personalità giuridica, nonché ogni società (qualunque sia la forma legale prescelta) e le associazioni anche se prive di personalità giuridica.

Il legislatore, dunque, perentoriamente assoggetta qualsiasi entità di tipo societario alla disciplina sulla responsabilità amministrativa dipendente da reato, senza ammettere – quantomeno expressis verbis – alcuna scappatoia fondata su criteri quantitativi (quali, ad esempio, il numero di soci, le dimensioni economiche dell’impresa e la complessità dell’architettura gestionale) o funzionali (come la sussistenza di un centro di imputazione di interessi autonomo per l’ente).

Coglie dunque nel segno l’indirizzo ermeneutico, condiviso anche dalla pronuncia in commento, secondo cui tutte le s.r.l. unipersonali rientrerebbero a pieno titolo nell’elenco di cui all’art. 1 D.lgs. n. 231/2001[3]. Per quanto tale scelta legislativa – come si avrà modo di vedere – sia foriera di problematiche applicative di non poco momento, non si può che prendere atto che il dettame normativo non lasci spazio ad opposte soluzioni interpretative: ogni società è destinataria della disciplina, per il solo fatto di appartenere a tale categoria giuridica, peraltro compiutamente e diffusamente disciplinata della legislazione civile.

Il discorso muta completamente per le imprese individuali, le quali non sono espressamente citate dalla norma in argomento e, al contrario, sono ormai pacificamente escluse dall’ambito di operatività del Decreto, in quanto non riconducibili alla nozione di “ente”, inteso come “soggetto di diritto metaindividuale”[4].

La Sezione Sesta si dimostra peraltro consapevole che, nei casi di estrema semplificazione della struttura organizzativa, gestionale ed economica della s.r.l. unipersonale, sia difficoltoso percepire sul piano pratico e operativo una significativa differenza rispetto all’impresa individuale. Del resto, dal punto di vista empirico, è innegabile che il successo dell’istituto giuridico in esame nel sistema produttivo italiano sia in gran parte dovuto alla capacità dello schermo societario di ridimensionare la responsabilità della persona fisica, tant’è che la costituzione della società unipersonale è in molti casi scelta preferita rispetto all’apertura dell’impresa individuale proprio per beneficiare della garanzia dell’autonomia patrimoniale[5].

Nondimeno, un simile dato statistico non è sufficiente a legittimare l’interpretazione contra legem dell’art. 1 D.lgs. n. 231/2001, finalizzata a sottrarre le s.r.l. unipersonali dal perimetro di operatività della responsabilità amministrativa degli enti, sulla scorta di una pretesa assimilazione sostanziale e funzionale che alcune realtà presentano rispetto alla fattispecie dell’impresa individuale[6].

Ciò perché, come precisato dalla sentenza in commento, anche nei casi di maggiore somiglianza operativa, i due istituti rimangono profondamente diversi sotto il profilo tecnico-giuridico: la società unipersonale è un «soggetto giuridico autonomo e distinto dalla persona fisica dell’unico socio» ed ha «un proprio patrimonio autonomo» con un «autonomo centro di imputazione di interessi», dunque è «un soggetto metaindividuale a cui la legge riconosce, in presenza di determinati presupposti, una personalità diversa rispetto a quella della persona fisica»; al contrario, le imprese individuali – che siano dotate di un’organizzazione interna elementare o complessa – «non sono enti e dunque per ciò solo sono escluse dall’ambito di applicazione della responsabilità degli enti».

In definitiva, tutte le società a responsabilità limitata unipersonali sono destinatarie della normativa enucleata nel D.lgs. n. 231/2001, in quanto enti dotati di propria soggettività giuridica e patrimonialmente autonomi rispetto al socio unico, senza che siano ammissibili esclusioni interpretative fondate su una riconosciuta natura sostanziale di impresa individuale, quale quella operata dall’ordinanza sottoposta al vaglio della Cassazione.

3. I profili di criticità nell’applicazione del D.lgs. n. 231/2001 alle s.r.l. unipersonali di piccole dimensioni.

Se quanto appena esposto risulta essere la soluzione esegetica obbligata alla luce dell’attuale formulazione dell’art. 1 D.lgs. n. 231/2001, non si può d’altra parte negare che le proposte di esclusione “per analogia” delle s.r.l. unipersonali dal perimetro applicativo del Decreto siano animate dal condivisibile proposito di evitare indebiti pregiudizi a fondamentali prerogative di stampo penalistico.

Preliminarmente, è appena il caso di specificare che, al di là dell’etichetta apposta alla responsabilità da reato dell’ente, non vi è dubbio che il compendio normativo in esame sia parte del più vasto sistema punitivo e presenti evidenti elementi di contiguità con la legislazione criminale, ragion per cui è «doveroso interrogarsi sulla compatibilità della disciplina legale con i principi costituzionali dell’ordinamento penale»[7].

Conscia di ciò, la Suprema Corte si appalesa sensibile alle preoccupazioni sulla potenziale lesione del principio – non espresso, ma immanente nell’ordinamento giuridico nostrano – del ne bis in idem sostanziale che vieta duplicazioni della risposta sanzionatoria penale su un medesimo fatto[8].

In effetti, posta la sostanziale appartenenza della responsabilità ex D.lgs. n. 231/2001 alla “materia penale”[9], la contestuale applicazione, da un lato, della pena all’autore del reato presupposto e, dall’altro, della sanzione amministrativa alla società unipersonale interessata o avvantaggiata da detto reato rischierebbe di risolversi in un inaccettabile cumulo sanzionatorio laddove sia sfuggente l’alterità tra la persona fisica e quella giuridica. In altri termini, se la s.r.l. unipersonale rappresenta per il socio un mero strumento giuridico per la gestione dei propri affari nel perseguimento di un personale interesse economico che esaurisce l’intero scopo sociale, tanto da configurare una sovrapposizione sostanziale tra la persona fisica e quella giuridica, il socio – già punito penalmente – verrebbe ulteriormente afflitto dalla sanzione irrogata all’ente che si riverbererebbe esclusivamente sul suo patrimonio[10].

La dottrina non ha mancato di sottolineare che la configurabilità di un bis in idem sostanziale tra reato-presupposto e illecito amministrativo è in contraddizione con la tesi, consolidata in giurisprudenza[11] e avallata dalla pronuncia in nota, secondo cui l’ente risponde di una fattispecie complessa, nell’ambito della quale il reato è solo uno degli elementi costitutivi, unitamente alla qualifica soggettiva (apicale o subordinata) della persona fisica e al collegamento teleologico tra il comportamento di quest’ultima e l’interesse o vantaggio del soggetto collettivo. Se, invero, persona fisica ed ente rispondono di “fatti in senso giuridico” diversi – la prima del reato e il secondo di non aver adottato misure organizzative idonee alla prevenzione di esso – allora difetta il presupposto cardine, appunto “la medesimezza del fatto”, per l’operatività del principio in argomento[12].

Ogni antinomia logica verrebbe agevolmente superata se solo si sottoponesse la questione qui in esame al banco del principio di colpevolezza, di fronte al quale si appalesano – senza i dubbi di compatibilità sopra rilevati  – tutte le criticità dell’applicazione della responsabilità da reato a enti privi di una netta dualità tra persona fisica e giuridica, ma che la Cassazione è restia ad accostare alla disciplina del D.lgs. n. 231/2001, probabilmente per evitare riaperture di dibattiti già faticosamente assopiti[13].

Invero, il criterio di imputazione soggettiva dell’illecito amministrativo, vale a dire la cosiddetta “colpa di organizzazione”, si sostanzia nell’omessa adozione delle cautele necessarie ad evitare la commissione di determinati reati mediante iniziative di carattere organizzativo-gestionali consacrate in un documento (il Modello di organizzazione, gestione e controllo) ovvero nella mancata o insufficiente attività di vigilanza sul rispetto delle misure preventive implementate[14].

Ora, quando la società unipersonale si identifica pienamente nel socio unico, nel senso che quest’ultimo assolve tutte le funzioni gestorie e non esistono altre posizioni aziendali capaci di adottare decisioni di rilevanza sociale, questi – in veste di amministratore unico – è, da un lato, chiamato ad assolvere l’onere dell’adozione del Modello organizzativo e, dall’altro, è di fatto l’unico soggetto esposto al rischio di commissione dei reati di rilevanza 231 nell’interesse o a vantaggio della società. Pertanto, laddove gli illeciti vengano effettivamente commessi, l’applicazione della sanzione amministrativa all’ente troverebbe fondamento sul rimprovero soggettivo alla persona fisica, già punita penalmente, di non aver adottato adeguate misure per controllare sé stessa. In questa prospettiva, è evidente che lo sforzo organizzativo la cui omissione integra la “colpa” dell’ente si sostanzierebbe in una condotta inesigibile, in palese contrasto con il principio di colpevolezza.

Così inquadrata la tematica de qua, ben si comprendono anche i moniti in ordine alla potenziale lesione del principio del ne bis in idem sostanziale, poiché se la componente distintiva del “fatto” dell’ente – vale a dire, appunto, l’omessa adozione di misure idonee alla prevenzione del reato verificatosi – è inesigibile nel caso concreto, allora il rimprovero alla società si appiattisce sull’avvenuta commissione del reato da parte della persona fisica, per il quale quest’ultima è già punita penalmente.

4. La “responsabilità” dell’ente: l’applicazione del criterio dell’interesse o vantaggio alle società unipersonali.

Nella prospettiva di elidere gli attriti con principi di rilievo costituzionale prodotti dalla generalizzata applicazione del D.lgs. n. 231/2001 alle società unipersonali, la Sezione Sesta introduce una questione inedita nel panorama delle pronunce della giurisprudenza di legittimità sull’argomento. Si interroga, nello specifico, sulla possibilità di superare il dettato dell’art. 1 D.lgs. n. 231/2001, sottraendo l’ente sottoposto a giudizio a condanna, non sulla base della non assoggettabilità alla disciplina, ma in forza di un accertamento in concreto dell’assenza di responsabilità, alla luce dei criteri di imputazione oggettiva e soggettiva dell’illecito amministrativo delineati nelle norme successive del Decreto.

Il riferimento è, oltre alla “colpa di organizzazione”, anche e soprattutto all’art. 5, recante il sistema di connessione teleologica del fatto illecito all’ente, articolato nel presupposto (positivo) della ravvisabilità di un interesse o vantaggio tratto dal reato-presupposto e nell’alter ego (negativo) che la persona fisica non abbia agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi. Trattasi, cioè, di un meccanismo di ascrizione dell’illecito amministrativo che presuppone la possibilità di identificare un interesse dell’ente che sia autonomo e distinto dall’interesse della persona fisica[15].

Sotto questo profilo, a parere della Cassazione, non si pongono problematiche applicative quando il socio unico sia una società di capitali o se la s.r.l. presenti un elevato livello di patrimonializzazione o una struttura organizzativa complessa, poiché in queste ipotesi è «percettibile, palpabile, l’esistenza di un centro di imputazione di interessi giuridici autonomo ed indipendente rispetto a quello facente capo al singolo socio».

Le difficoltà si manifestano, invece, per le società unipersonali di piccole dimensioni, nell’ambito delle quali «la particolare struttura dell’ente rende labile e difficilmente percettibile la dualità soggettiva tra società ed ente, tra l’imputazione dei rapporti alla persona fisica ed imputazione alla persona giuridica».

In questi ultimi casi, conclude la Corte, la verifica sull’identificabilità di un interesse sociale distinto da quello della persona fisica del legale rappresentante deve essere oggetto di un accertamento in concreto, affidato al giudice di merito[16].

Nella sentenza vengono anche forniti i parametri attraverso cui deve snodarsi tale accertamento. Si tratta di criteri di tipo quantitativo, come l’architettura organizzativa della società, l’attività in concreto posta in essere e la dimensione della impresa, e criteri di tipo funzionale, come i rapporti intercorrenti tra socio unico e società, oltre all’esistenza di un interesse sociale e del suo effettivo perseguimento[17].

Laddove l’esito di siffatta verifica sancisca l’«impossibilità di distinguere un interesse dell’ente da quello della persona fisica che lo “governa”», si deve concludere per l’«impossibilità di configurare una colpevolezza normativa dell’ente – di fatto inesigibile – disgiunta da quella dell’unico socio», con conseguente “assoluzione” dell’ente, non per la non assoggettabilità alla normativa, ma per assenza di responsabilità.

5. Una soluzione di compromesso non pienamente soddisfacente.

La Corte di cassazione sceglie di adottare un approccio sostanziale al problema dell’applicazione della normativa sulla responsabilità amministrativa da reato alle s.r.l. unipersonali, offrendo una soluzione che ha il merito di rispettare – almeno formalmente – il dato letterale, avendo d’altra parte cura di salvaguardare imprescindibili standard penalistici.

Una proposta ermeneutica che, peraltro, poggia sulla presa di coscienza dell’impossibilità di fornire – alla luce della normativa ad oggi vigente – una conclusione univoca alla questione controversa, considerato che sotto il cappello giuridico della “s.r.l. unipersonale” sottostanno le più variegate realtà aziendali, da strutture organizzative complesse caratterizzate da sofisticate architetture gestionali a enti di piccole dimensioni ove vi è piena sovrapposizione tra la decisione del singolo e quella dell’ente[18]. Ragion per cui la generalizzata inclusione o esclusione delle s.r.l. unipersonali dal perimetro di applicazione del D.lgs. n. 231/2001 comporterebbe inaccettabili violazioni del principio di uguaglianza; nel primo caso, in pregiudizio della società unipersonale che opera alla stregua di un’impresa individuale e, nel secondo caso, a danno di tutte le società pluripersonali che presentano una struttura gestionale e un livello di patrimonializzazione ridotto rispetto a taluni enti a compagine monosoggettiva.

Se, per quanto detto, la Suprema Corte compie uno sforzo interpretativo motivato da intenti più che apprezzabili, il risultato finale lascia tuttavia una sensazione di irrisolto.

Per superare l’inequivocabile tenore letterale dell’art. 1 D.lgs. n. 231/2001, la Sezione Sesta richiede all’organo giudicante di effettuare un accertamento aggiuntivo rispetto a quello ordinario: ovvero verificare se, nel caso concreto, sia identificabile o meno un interesse sociale dell’ente distinto da quello del socio, dovendosi concludere in caso negativo per l’assenza della responsabilità della persona giuridica.

Ci si deve, innanzitutto, interrogare sulla reale natura di siffatta valutazione e se davvero questa competa al giudice di merito. Tale controllo è presentato come un «accertamento concreto della responsabilità della s.r.l. unipersonale alla luce dei parametri di imputazione soggettiva e oggettiva dell’illecito» ma, a ben vedere, non si tratta di verificare se l’ente abbia avuto un interesse o un vantaggio rispetto allo specifico fatto di reato contestato alla persona fisica ma se, a prescindere dal fatto in contestazione, la società possa essere o meno qualificata come un autonomo centro di interessi. Insomma, a fronte di una s.r.l. unipersonale l’organo giudicante è chiamato ad effettuare una valutazione – preliminare rispetto a quella di merito – che si risolve in una verifica sulla compatibilità tra l’ente sottoposto a giudizio e i criteri di imputazione dell’illecito, quindi in ultima analisi un controllo di applicabilità della disciplina legale.

Allora, se l’espediente dell’“accertamento di merito” è utile a superare il dato letterale fungendo contestualmente da palliativo a rischi di incostituzionalità, a ben vedere il thema decidendum ritorna a riguardare il perimetro di applicazione soggettiva del Decreto, la cui definizione non può essere totalmente affidata ai giudici di merito, salvo incorrere in palesi violazioni del principio di legalità e del principio di uguaglianza.

Basti, al riguardo, osservare come i parametri attraverso i quali deve essere compiuto il neo-introdotto accertamento preliminare – vale a dire, l’organizzazione della società, l’attività in concreto posta in essere, la dimensione della impresa, i rapporti intercorrenti tra socio unico e società e l’esistenza di un interesse sociale e del suo effettivo perseguimento – sono delle mere linee guida di carattere generale, prive di una minima forma di tipizzazione, come diversamente non poteva essere preteso dal Giudice di legittimità  nell’esercizio della sua funzione di nomofilachia. Ciascun interprete, quindi, sarà libero di attribuire il significato che riterrà più opportuno a ciascuno degli elementi indicati e di valorizzarne l’uno o l’altro per sostenere o escludere la sussistenza di un interesse sociale autonomo dell’ente, con l’inevitabile ritorno ad applicazioni ad intermittenza della disciplina sulla responsabilità da reato, anche a fronte di realtà aziendali analoghe.

In definitiva, pare che la soluzione interpretativa offerta dalla Sezione Sesta, benché formalmente corretta alla luce del compendio normativo del Decreto, non sia sufficiente a sedare il dibattito sull’imputabilità ex D.lgs. n. 231/2001 delle società unipersonali, riproponendo – seppure sotto la veste della “responsabilità” anziché di quella della “soggettività” – le stesse problematiche applicative pregresse.

Si auspica, dunque, un intervento risolutore del Legislatore sulla disposizione di apertura del Decreto, stante la sua manifesta inadeguatezza a circoscrivere con sufficiente precisione il perimetro di operatività della disciplina, come dimostrato dalle molteplici incertezze applicative ancora aperte. È necessaria, cioè, una riformulazione della nozione di “ente” destinatario della disciplina che, attraverso criteri dimensionali e organizzativi quanto più possibile oggettivi, sottragga ai gravosi oneri connessi al rischio di sanzioni 231 tutte quelle entità giuridiche con assetto gestionale e consistenza economica incompatibili con la struttura dell’illecito amministrativo dipendente dal reato[19].

*Avvocato del Foro di Milano

[1] Con il secondo motivo di ricorso, non rilevante in questa sede, il Procuratore deduceva il vizio di motivazione apparente con riferimento ad un elemento di fatto (l’assenza di soggetti, diversi dall’autore del reato presupposto, titolari di funzioni aziendali) posto dal Tribunale a sostegno dell’assimilazione sostanziale delle s.r.l. unipersonali indagate a imprese individuali.

[2] In particolare, si legge nella sentenza in commento, che «si tratta di un ragionamento che deve esplicitato sulla base della distinzione tra soggettività dell’ente e responsabilità dello stesso, tra il profilo relativo all’assoggettamento della società unipersonale al sistema del d.lgs. n. 231 del 2001 e quello riguardante l’accertamento della responsabilità dell’ente sulla base delle norme previste dal d.lgs. n. 231/2001».

[3] La Sezione Sesta ribadisce le argomentazioni già espresse da Cass. pen. Sez. VI, 25 luglio 2017, n. 49056, in C.E.D. Cass. n. 271564, secondo cui «la disciplina del D.Lgs. n. 231 del 2001 è […] riferita agli enti, sintagma che evoca l’intero spettro dei soggetti di diritto non riconducibili alla persona fisica […] indipendentemente dal conseguimento o meno della personalità giuridica e dallo scopo lucrativo o meno perseguito dagli stessi», ragione per cui se […] il presupposto indefettibile per l’applicazione del diritto sanzionatorio degli enti è l’esistenza di un “soggetto di diritto metaindividuale” […] quale autonomo centro di interessi e di rapporti giuridici, è certamente ascrivibile al novero dei destinatari del D.Lgs. n. 231 del 2001 anche la società unipersonale, in quanto soggetto di diritto distinto dalla persona fisica che ne detiene le quote». La proposta interpretativa è condivisa in dottrina da V. Giglio, L’enigma delle SRL unipersonali nel rapporto con la responsabilità degli enti. Nota a Cass. pen., sez. VI, sentenza n. 45100/2021, in Sistema 231, 1, 2021, pp. 61 e ss., F. D’Arcangelo, La responsabilità da reato nelle società unipersonali nel d.lgs. 231/2001, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 3, 2008, pp. 145 ss.

[4] Perviene per prima a tale soluzione Cass. pen., Sez. VI, 3 marzo 2004, n. 18941, in C.E.D. Cass n. 228833 secondo cui «quale che sia la natura giuridica di questa responsabilità “da reato” […] è certo che in tutta la normativa (convenzioni internazionali; legge di delegazione; decreto delegato) e, segnatamente, nell’art. 1, comma 1, del decreto legislativo n. 231 del 2001 essa è riferita unicamente agli “enti”, termine che evoca l’intero spettro dei soggetti di diritto metaindividuali» e, conseguentemente, «soltanto sugli enti dotati di personalità giuridica che siano strutturati in forma societaria o pluripersonale, possono farsi gravare gli articolati obblighi nascenti dal testo normativo in esame». A seguito di una sola pronuncia di segno opposto (Cass. pen., Sez. III, 15 dicembre 2010, n. 15657, in C.E.D. cass. n. 249320), la giurisprudenza successiva si è uniformata al principio dell’esclusione delle imprese individuali dal perimetro di applicazione della normativa (Cass. pen., Sez. VI, 16 maggio 2012, n. 30085, in C.E.D. cass. n.  252995).

[5] Occorre comunque ricordare che, ai sensi dell’art. 2642 c.c., viene meno il beneficio dell’autonomia patrimoniale, con conseguente reviviscenza della responsabilità patrimoniale illimitata del socio unico nel caso in cui i conferimenti non siano stati effettuati secondo quanto previsto dall’articolo 2464 c.c. o fin quando non sia stata attuata la pubblicità prescritta dall’articolo 2470 c.c.

[6] In dottrina, sollevano dubbi sull’applicabilità del D.lgs. n. 231/2001 alle s.r.l. unipersonali in relazione ai casi in cui le stesse siano comparabili a imprese individuali C. Piergallini, Responsabilità dell’ente e apparato sanzionatorio, in G. Lattanzi (a cura di), Reati e responsabilità degli enti. Guida al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, Giuffrè Editore, 2010, pp. 228 e ss.; L. Stortoni – D. Tassinari, La responsabilità degli enti: quale natura? Quali soggetti?, in L’indice Penale, 6, 2008, pp. 7 e ss.; P. Bartolomucci, D.lgs. 231/2001 ed imprenditori individuali: interpretazione dell’art. 1 e presunte esigenze penal preventive nell’imprevisto revirement della Cassazione, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 2011, p. 166 secondo cui, laddove «l’unico socio persona fisica rivesta il ruolo di amministratore unico e manchi il collegio sindacale», la struttura organizzativa della s.r.l. è interamente accentrata sul socio, il quale riveste un ruolo «assimilabile alla condizione dell’imprenditore individuale» e tale da «accomuna[re] la sostanza economica delle due figure».

[7] In questi termini, Cass. pen., S.U., 24 aprile 2014, n. 38342, in Cass. pen., 2015, p. 426, relativa al celebre caso Thyssenkrupp, che qualifica la responsabilità da reato degli enti come un «tertium genus», in quanto «sistema che coniuga i tratti dell’ordinamento penale e di quello amministrativo nel tentativo di contemperare le ragioni dell’efficienza preventiva con quelle, ancor più ineludibili, della massima garanzia».

[8] La Cassazione, infatti, evidenzia «l’esigenza di evitare violazioni del principio del ne bis in idem sostanziale, che si realizzerebbe imputando alla persona fisica un cumulo di sanzioni punitive per lo stesso fatto». L’ambito di operatività del principio del ne bis in idem sostanziale è chiaramente definito da Cass. pen., Sez. VII, 1° ottobre 2020, n. 32631, in C.E.D. cass. n. 280774, che ne definisce i contorni in rapporto al fratello principio del ne bis in idem processuale, consacrato normativamente dall’art. 649 c.p.p.: «il principio del ne bis in idem sostanziale ed il principio del ne bis in idem processuale hanno confini ed ambiti applicativi (almeno parzialmente) diversi: il bis in idem sostanziale, infatti, concerne le ipotesi di qualificazione normativa multipla di un medesimo fatto, e, mediante il criterio regolativo della specialità (artt. 15 e 84 c.p.), fonda la disciplina del concorso apparente di norme, vietando che una stesso fatto sia accollato giuridicamente due volte alla stessa persona; il bis in idem processuale, invece, concerne non già il rapporto astratto tra norme penali, bensì il rapporto tra il fatto ed il giudizio, vietando l’esercizio di una nuova azione penale dopo la formazione del giudicato». Nello specifico, continua la Corte, «il bis in idem sostanziale […] concerne il rapporto tra norme incriminatrici astratte». In ossequio a tale principio, nel caso che qui ci occupa, occorre tenere a mente il rapporto tra la norma incriminatrice e la previsione del D.lgs. n. 231/2001 che disciplina l’illecito amministrativo dipendente dal reato punito dalla disposizione penale.

[9] È utile, a tal fine, richiamare le ragioni di contiguità del sistema di responsabilità ex D.lgs. n. 231/2001 con l’ordinamento penale riconosciute da Cass. pen., S.U., 24 aprile 2014, n. 38342, cit., vale a dire la «connessione con la commissione di un reato, che ne costituisce il primo presupposto, della severità dell’apparato sanzionatorio, delle modalità processuali del suo accertamento». Trattasi di elementi che possono essere valorizzati a sostegno dell’appartenenza della sanzione amministrativa dipendente da reato alla “materia penale”, secondo la nozione offerta dalla Corte EDU a partire dalla celebre sentenza Engel e altri c. Paesi Bassi dell’8 giugno 1976. Per un approfondimento, si veda A.F. Tripodi, L’ente nel doppio binario punitivo. Note sulla configurazione metaindividuale dei doppi binari sanzionatori, in Sistema Penale, 2020; D. Cimadomo, Ne bis in idem: un principio in evoluzione – Illecito amministrativo e reato: un’apparente ipotesi di bis in idem, in Giurisprudenza Italia, 6, 2019, p. 1457.

[10] In questo senso, C. Piergallini, Responsabilità dell’ente e apparato sanzionatorio, op. cit., p. 202. Contra F. D’Arcangelo, La responsabilità da reato nelle società unipersonali nel d.lgs. 231/2001, op. cit. p. 152, secondo cui non è prospettabile un bis in idem sostanziale tra il reato commesso dal socio unico e l’illecito amministrativo ascrivibile alla s.r.l. unipersonale perché manca il requisito della medesimezza della persona destinataria delle sanzioni, in quanto la società unipersonale non «può essere giuridicamente assimilata all’esercizio in forma individuale dell’attività d’impresa, in quanto la società evidenzia pur sempre un’autonomia patrimoniale che la rende soggetto distinto dal suo titolare e la assoggetta ad un regime giuridico diverso ed irriducibile a quello dell’imprenditore individuale».

[11] C. Cost., 08 luglio 2014, n. 218 che, proprio escludendo l’ipotesi della compartecipazione criminosa tra ente e persona fisica in un unico illecito penale, dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 83 c.p.p. e delle “disposizioni integrali” del D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 nella parte in cui non permettono che le persone offese del reato possano costituirsi parte civile nei confronti dell’ente imputato dell’illecito amministrativo per il risarcimento dei danni subiti a causa del comportamento illecito della persona fisica. La Cassazione, come rammentato e condiviso dalla sentenza in commento, ha in più occasioni sottolineato che l’illecito dell’ente «non si identifica con il reato commesso dalla persona fisica, ma semplicemente lo presuppone». In questi termini, Cass. pen., Sez. VI, 5 ottobre 2010, n. 2251, in C.E.D. cass. n. 248791. Nello stesso senso, le note pronunce Cass. pen., S.U., 23 gennaio 2011, n. 34474, in C.E.D. cass. n. 250347, relativa al caso Deloitte & Touche e Cass. pen., S.U., 30 gennaio 2014, n. 10561, in Quotidiano Giuridico, 2014, con nota di C. Santoriello, relativa al caso Gubert.

[12] Mette in luce tale contraddizione, insita nell’apparato motivazionale della sentenza in commento V. Giglio, L’enigma delle SRL unipersonali nel rapporto con la responsabilità degli enti. Nota a Cass. pen., sez. VI, sentenza n. 45100/2021, op. cit., p. 66 che ricorda che, a differenza di quanto accade per il “divieto di secondo giudizio”, le verifiche sul rispetto della versione sostanziale del principio del ne bis in idem coinvolgono, non l’idem factum, ma l’idem legale, inteso come raffronto astratto tra le norme che puniscono reato e illecito.

[13] I dubbi sulla compatibilità della disciplina del D.lgs. n. 231/2001 con il principio di colpevolezza avevano, in particolare, riguardato il meccanismo ex art. 6 D.lgs. n. 231/2001 di imputazione all’ente dell’illecito amministrativo dipendente da un reato commesso da un soggetto in posizione apicale, secondo cui spetta all’ente l’onere della prova sull’assenza di colpa di organizzazione (attraverso, al contrario, la dimostrazione che il reato è stato commesso mediante elusione fraudolenta del Modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo alla prevenzione della fattispecie incriminatrice realizzazione  e nonostante la diligente attività di controllo dell’Organismo di Vigilanza), secondo il meccanismo tipico delle esimenti. Le Sezioni Unite della Cassazione, nella già citata sentenza 24 aprile 2014 n. 38342, hanno escluso ogni violazione del principio di colpevolezza, affermando che «la responsabilità dell’ente si fonda sulla […] colpa di organizzazione» e hanno negato ogni forma di inversione dell’onere della prova, «gravando comunque sull’accusa la dimostrazione della commissione del reato da parte di persona che rivesta una delle qualità di cui al D.Lgs. n. 231, art. 5, e la carente regolamentazione interna dell’ente, che ha ampia facoltà di offrire prova liberatoria».

[14] Cass. pen., Sez. VI, 18 febbraio 2010, n. 27735, in C.E.D. cass. n. 247665 esclude che il D.Lgs. n. 231 delinei un’ipotesi di responsabilità oggettiva, «prevedendo, al contrario, la necessità che sussista la c.d. “colpa di organizzazione” dell’ente, il non avere cioè predisposto un insieme di accorgimenti preventivi idonei ad evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato; il riscontro di un tale deficit organizzativo consente una piana e agevole imputazione all’ente dell’illecito penale realizzato nel suo ambito operativo».

[15] Spiega, sul punto, la Corte che «l’imputazione dell’illecito all’ente richiede un nesso “funzionale” tra persona fisica ed ente; ciò che conta, si legge nella relazione al D.Lgs. n. 231 del 2001, è che “l’ente risulti impegnato dal compimento (…) di un’attività destinata a riversarsi nella sua sfera giuridica”». In particolare, l’art. 5 D.lgs. n. 231/2001 «stigmatizza il caso di “rottura” dello schema di immedesimazione organica; si riferisce cioè alle ipotesi in cui il reato della persona fisica non sia in alcun modo riconducibile all’ente perché non realizzato neppure in parte nell’interesse di questo e, ove risulti per tal via la manifesta estraneità della persona giuridica, il giudice non dovrà neanche verificare se essa abbia per caso tratto un vantaggio».

[16] Specifica la Corte che, nell’ambito di questa valutazione, «deve essere conciliata l’esigenza di evitare violazioni del principio del bis in idem sostanziale, che si realizzerebbero imputando alla persona fisica un cumulo di sanzioni punitive per lo stesso fatto, e quella opposta, quella, cioè, di evitare che la persona fisica, da una parte, si sottragga alla responsabilità patrimoniale illimitata, costituendo una società unipersonale a responsabilità limitata, ma, al tempo stesso, eviti l’applicazione del D.Lgs. n. 231 del 2001, sostenendo di essere una impresa individuale».

[17] La selezione dei parametri di accertamento dell’esistenza di un interesse sociale distinto da quello del socio unico è criticata da V. Giglio, L’enigma delle SRL unipersonali nel rapporto con la responsabilità degli enti. Nota a Cass. pen., sez. VI, sentenza n. 45100/2021, op. cit., p. 67, il quale rileva una che nessuno degli elementi indicati nella pronuncia in commento coincide con quelli richiamati dalle norme del codice civile ai fini della perdita del beneficio dell’autonomia patrimoniale. Tale «contraddizione di sistema» rischia di generare il paradosso per cui «una SRL unipersonale potrebbe […] da un lato essere perfettamente conforme al modello legale previsto dalla legislazione civilistica e quindi operare come centro autonomo di imputazione giuridica e godere del regime dell’autonomia patrimoniale perfetta e dall’altro essere considerata il risultato di una condotta elusiva» ai fini dell’applicazione del D.lgs. n. 231/2001.

[18] Per estremizzare G. Morgese, SRL unipersonali e 231: un connubio non sempre possibile, in Giurisprudenza Penale Web, 12, 2018, p. 1 pone a raffronto «le SRL unipersonali di grandi dimensioni, con struttura e organizzazione societaria particolarmente complesse (si pensi, ad esempio, alla SRL dotata di importanti asset aziendali, partecipata al 100% da una società di capitali avente, a sua volta, una propria autonoma struttura organizzativa)» con «le SRL unipersonali partecipate unicamente dal socio persona fisica, prive di dipendenti o comunque di soggetti titolari di specifiche funzioni aziendali, la cui gestione è affidata esclusivamente al socio unico».

[19] Del resto, occorre rammentare che la politica criminale sottesa alla normativa in argomento risiede nell’esigenza di garantire un’efficace risposta sanzionatoria a manifestazioni criminose realizzate all’interno di «soggetti a struttura organizzata e complessa». Invero, nella Relazione ministeriale di accompagnamento al d.lgs. 231/2001 viene dato atto che «le principali e più pericolose manifestazioni di reato sono poste in essere […] da soggetti a struttura organizzata e complessa» tanto che «l’incremento ragguardevole dei reati dei “colletti bianchi” e di forme di criminalità a questa assimilabili, ha di fatto prodotto un sopravanzamento della illegalità di impresa sulle illegalità individuali, tanto da indurre a capovolgere il noto brocardo, ammettendo che ormai la societas può (e spesso vuole) delinquere».