LA CORTE DICHIARA ANCORA LEGITTIMA LA PROCEDIBILITÀ D’UFFICIO PER LE LESIONI STRADALI GRAVI O GRAVISSIME, EX ART. 590-bis c.p.: TRA VECCHI E NUOVI PROFILI DI COSTITUZIONALITÀ, ED IL (PRIMO) MONITO AL LEGISLATORE – DI ANTONIO RAGAZZO
RAGAZZO – LA CORTE DICHIARA ANCORA LEGITTIMA LA PROCEDIBILITÀ D’UFFICIO PER LE LESIONI STRADALI GRAVI O GRAVISSIME.PDF
LA CORTE DICHIARA ANCORA LEGITTIMA LA PROCEDIBILITÀ D’UFFICIO PER LE LESIONI STRADALI GRAVI O GRAVISSIME, EX ART. 590-bis c.p.: TRA VECCHI E NUOVI PROFILI DI COSTITUZIONALITÀ, ED IL (PRIMO) MONITO AL LEGISLATORE
THE COURT STILL DECLARES LEGITIMATE THE EX OFFICIO PROSECUTION FOR GRIEVOUS OR VERY GRIEVOUS ROAD INJURIES, EX ARTICLE 590-bis OF THE penal code: BETWEEN OLD AND NEW PROFILES OF CONSTITUTIONALITY, AND THE (FIRST) WARNING TO THE LEGISLATOR
di Antonio Ragazzo*
Cort. cost., 4 novembre 2020 (dep. 25 novembre 2020), n. 248, Pres. Morelli – Red. Viganò.
Condizione di procedibilità – riserva di legge – eccesso di delega – ragionevolezza.
(D. Lgs. 10 aprile 2018, n. 36, art. 590-bis c.p.)
Il contributo affronta in chiave critica la pronuncia con cui la Corte costituzionale ha ritenuto costituzionalmente legittima la disciplina della procedibilità d’ufficio per le ipotesi di reato sanzionate dall’art. 590-bis, c.p.
Muovendo da questo dato, nella prima parte, dopo aver proposto una rapida disamina degli argomenti spesi dai giudici remittenti, lo scritto si sofferma sull’analisi dei delicati rapporti tra il ricorso allo strumento della legge-delega ed il principio della riserva di legge nella materia penale; mentre, nella seconda, restringe lo spettro d’indagine al solo profilo della ragionevolezza, estrinseca ed intrinseca, della disposizione de qua nella parte in cui non prevede la procedibilità a querela per tutte le ipotesi diverse da quelle di cui al secondo comma. Da ultimo, si lascia spazio a delle brevi considerazioni conclusive, anche alla luce del recente dialogo “collaborativo” che la Consulta ha deciso di intessere con l’organo parlamentare.
The contribution offered by this paper addresses critically the ruling of the Constitutional Court that considered the discipline of the ex officio prosecution to be constitutionally legitimate for the offenses sanctioned by the article 590-bis of the Italian Penal Code. Starting from this data, and after conducting a quick examination of the arguments spent by the remitting judges, the first part of the paper focuses on the analysis of the delicate relationships between the use of the instrument of the delegation law and the principle of the legal reserve in the criminal matter. The second part narrows the spectrum of investigation to the profile of the reasonableness, both extrinsic and intrinsic, of the provision in question since it does not allow prosecution for cases not explicitly mentioned in the second paragraph of the article. Finally, space is left for brief conclusive considerations, in view of the recent “collaborative” dialogue that the Council has decided to have with the parliamentary committee.
Sommario: 1. Premessa. – 2. Le ordinanze di rimessione – 3. Il discusso problema della legalità delegata. – 4. Profili di (ir)ragionevolezza dell’art. 590-bis c.p. 4.1. L’intrinseca irragionevolezza della procedibilità a querela per l’ipotesi base del primo comma. 4.2. La dubbia questione di irragionevolezza estrinseca sollevata rispetto al 590-sexies. c.p. – 5. Quali prospettive per la procedibilità delle lesioni stradali gravi o gravissime.
- Premessa
Con la sentenza in commento la Corte costituzionale si è nuovamente[1] pronunciata sul tema della procedibilità prevista per il delitto di cui all’art. 590-bis c.p. La decisione, infatti, segue solo ad un anno di distanza la pronuncia n. 223 del 2019 della Consulta che, per la prima volta, aveva affrontato in termini simili, anche se non identici, la questione.
Come in quel caso, anche nel giudizio di legittimità che ci occupa i rimettenti erano stati chiamati a decidere in materia di lesioni stradali gravi o gravissime, causate in violazione delle norme del codice della strada[2], pur in assenza della specifica querela presentata della persona offesa.
- Le ordinanze di rimessione[3].
Alla luce delle tre ordinanze che ne sono scaturite la Consulta ha dovuto confrontarsi con la decisione dell’Esecutivo che, nel dare seguito alla delega contenuta nella L. 23 giugno 2017, n. 103[4], all’art. 1, comma 16, lettera a) e b) e 17, per quanto attiene al regime di procedibilità di «taluni reati», col decreto legislativo n. 36 del 2018[5], ha ritenuto di non ricomprendere nell’alveo di quelli procedibili ad istanza di parte l’ipotesi delle lesioni stradali personali gravi o gravissime derivanti dalla “sola” violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale. Così facendo, secondo i rimettenti, il legislatore delegato sarebbe incorso in un eccesso di delega.
Difatti, nell’escludere la procedibilità ad istanza di parte per l’ipotesi di cui al 590-bis, primo comma, c.p., il Governo avrebbe disatteso l’indicazione parlamentare che, nel prescrivere i criteri di attuazione della detta procedibilità[6], li aveva anzitutto legati al quantum di pena, circoscrivendo invece quella speculare d’ufficio solo a quei casi di significativa gravità: tra questi si segnala quello in cui la «persona offesa sia incapace per età o per infermità».
Infatti, proprio in relazione a tale ultimo aspetto, i giudici a quibus censurano l’interpretazione fornita dal Governo secondo cui la decisione di escludere la procedibilità ad istanza di parte per l’art. 590-bis c.p., primo comma (che alla luce del quantum di pena sarebbe rientrato tra i delitti procedibili a querela) sarebbe stata giustificata dalla «piena fungibilità [che intercorre] tra la nozione di malattia e quella di incapacità».
Invero, i rimettenti muovono dei dubbi in ordine alla lettura del problema fornita dal delegato, che vede la situazione di incapacità della persona offesa, vittima dei comportamenti censurabili di cui all’ art. 590-bis, primo comma, c.p., comunque «in qualche modo collegata […] ad una infermità»[7] che si identifica con «l’effetto diretto della condotta lesiva»: la malattia, appunto.
Un simile assunto, nella lettura delle diverse ordinanze, contrasterebbe con la ratio della delega – circostanza peraltro comprovata dal parere espresso dalla Commissione giustizia della Camera sul punto, nella prima analisi allo schema di decreto[8] – dal momento che l’esclusione della procedibilità a querela, nella logica del delegante, risulterebbe collegata ad uno stato di incapacità che non può che essere preesistente alla condotta criminosa, e non da essa cagionato. In tale chiave di lettura, il meccanismo di tutela “rafforzato” che si associa alla procedibilità d’ufficio sarebbe giustificato solo per quelle ipotesi in cui la vittima versi già al momento di consumazione dell’illecito in una condizione di «soggezione» rispetto all’autore del reato: condizione, questa, non ravvisabile nel caso della malattia derivante dal sinistro stradale.
Alla luce delle argomentazioni sin qui esposte, risulterebbe ulteriormente violato l’art. 25, secondo comma, della Carta poiché l’Esecutivo si sarebbe ingiustificatamente discostato da quelle scelte di politica-criminale che, per la materia penale, sono di esclusiva pertinenza del Parlamento. L’interpretazione del Governo, inoltre, si sarebbe posta in contrasto con la ratio sottesa alla L. n. 103 del 2017, la quale, nell’ estendere le ipotesi di procedibilità a querela e nel prevedere l’introduzione dell’istituto di cui all’art. 162-ter c.p., sarebbe ispirata ad una chiara ottica deflattiva.
La tematiche promosse, che attengono al delicato rapporto intercorrente in materia penale tra contenuto della delega e contenuto del decreto legislativo, vengono poi affiancate – il che costituisce l’elemento di assoluta novità rispetto alle questioni affrontate nella decisione precedente – ad una ulteriore valutazione, avente ad oggetto, questa volta, la legittimità costituzionale dello stesso art. 590-bis c.p. ma «nella parte in cui non prevede la procedibilità a querela di parte per le lesioni colpose stradali non aggravate dalle ipotesi di cui al comma 2».
- Il discusso problema della legalità delegata.
Il primo argomento rimesso all’attenzione della Corte costituzionale, come anticipato, concerne il ricorso in materia penale allo strumento del decreto legislativo quale tecnica di normazione attuata attraverso principi e criteri direttivi[9].
Per dirla diversamente, il punto cruciale della riflessione promossa dai giudici a quibus ruota intorno a quella che è stata acutamente definita in dottrina[10] come la “fedeltà” da parte del Governo al mandato ricevuto dal Parlamento, dal momento che è proprio il dovere di fedeltà che sta in capo al delegato a rappresentare il momento di ancoraggio della sua attività alla garanzia parlamentare, nell’ottica del principio di riserva di legge enunciato all’art. 25, secondo comma, Cost.
Ora, se questa è la cornice all’interno della quale si colloca la pronuncia, la decisione della Corte di dichiarare manifestamente infondate le questioni sollevate rispetto agli artt. 3, 25, 76 e 77 della Costituzione attraverso un rinvio per relationem alla sentenza n. 233 del 2019, appare un’occasione mancata per (ri)considerare i rapporti tra la delega e l’attività del delegato; almeno per tutti quei casi, come il nostro, in cui è in gioco la tutela della libertà personale, affinché i principi fondanti le garanzie costituzionali ad essa legati non siano ridotti a nudi simulacri.
Invero, guardando alle argomentazioni della prima pronuncia, l’organo di legittimità costituzionale ritenne che il Governo non avesse travalicato i fisiologici margini di discrezionalità impliciti in qualsiasi legge delega, avendo l’Esecutivo inteso il concetto di “incapacità” in modo non implausibile, in ciò evidenziando come la formula utilizzata dal legislatore fosse «in radice ambigua» e perciò idonea ad essere interpretata in modo diverso[11].
Ebbene, proprio il riconoscimento di quella asserita ambiguità, e del modo in cui la stessa è stata “artatamente” utilizzata, avrebbe potuto indurre la Corte, chiamata nuovamente a pronunciarsi sulla questione, a porre nuovi basi per una riflessione più ampia che tenesse conto di quell’approccio culturale che vede, oggi, tanto ridimensionato il ruolo del Parlamento[12] nella produzione delle Leggi in materia penale, quanto in “crisi”[13] il “buon vecchio”[14] principio liberale della riserva di legge[15]: in questo modo tracciando un primo e necessario argine alle conseguenze negative che da esso derivano. Difatti, converrà ricordare che il costituente ha inteso conferire alla Legge, e dunque solo al Parlamento, il monopolio della formulazione della fattispecie penalmente sanzionata[16], poiché solo quell’organo, espressione della voluntas popolare, può essere investito del delicato compito di definire i limiti e gli spazi di operatività del rimprovero penale[17].
E, se questo è, risulta innegabile che lo strumento della delegazione ponga in sé una fisiologica tensione con il principio appena richiamato[18], poiché nessuna delega che si proponga di individuare i criteri e i principi direttivi a cui il delegato è tenuto ad attenersi è dotata di quel grado di specificazione idoneo ad escludere ogni margine di discrezionalità nella fase esecutiva[19].
Sostenerne l’inammissibilità nella materia penale, come pur autorevole dottrina[20] ha tentato, sembra tuttavia porsi in una direzione antistorica, atteso che la giurisprudenza costituzionale è ormai pacifica e consolidata nell’ammetterne l’utilizzo; ed anzi, la delegazione costituisce oggi uno degli strumenti più diffusi di normazione.
Tuttavia, proprio perché «l’attribuzione al potere esecutivo di scelte politiche è un dato immanente alla tecnica della delega legislativa» – per citare la stessa Corte Costituzionale in altra pronuncia[21] – allora lo sforzo di ricondurre quanto più è possibile tale strumento al rispetto di quella fedeltà, a cui si è fatto prima riferimento, si rende tanto più necessario.
E così, le criticità evidenziate rendono quantomeno auspicabile che tale tecnica normativa sia ricondotta entro margini di maggior rigore.
In altri termini: una lettura costituzionalmente orientata della questione dovrebbe indurre l’Esecutivo, almeno in materia penale, a rispettare in modo ossequioso il tenore letterale della delega, a maggior ragione se è lo stesso Legislatore a suggerirlo – come accaduto nel nostro a fronte del parere emesso dalla Commissione giustizia. Orientare la propria funzione ad una maggiore fedeltà non esclude la discrezionalità intrinseca di ogni delega, ma quantomeno evita il profilare di quelle interpretazioni pretestuose da parte dell’Esecutivo che, seppur plausibili, di fatto si allontanano dal significato più evidente. Diversamente, il riconoscimento di un’interpretazione a maglie larghe finirebbe per legittimare quelle che sono, di fatto, scelte di politica criminale, maturate al di fuori del monopolio parlamentare.
Sul piano dei controlli, inoltre, ciò consentirebbe alla stessa Corte di effettuare un sindacato più incisivo sul rispetto dell’art. 25 Cost., compiendo un primo passo verso un più rigoroso rispetto della legalità.
- Profili di (ir)ragionevolezza dell’art. 590-bis p.
- L’intrinseca irragionevolezza della procedibilità a querela per l’ipotesi base del primo comma.
Il reale novum della sentenza in commento, come anticipato, attiene alla compatibilità dell’art. 590-bis. c.p. rispetto all’art. 3 della Carta, nella parte in cui la norma non prevede il regime di procedibilità a querela per tutte le ipotesi diverse da quelle aggravate, previste al secondo comma. Nella logica del rimettente, infatti, una simile scelta si risolverebbe in una inaccettabile irragionevolezza.
Le censure mosse dal giudice pisano si articolano su un duplice piano valutativo: da una parte, la previsione della procedibilità d’ufficio sarebbe foriera di una irragionevole disparità di trattamento tra il delitto in questione e quello di lesioni gravi o gravissime commesse nell’esercizio della professione sanitaria, procedibile invece a querela; dall’altra, la decisione di prevedere il medesimo regime di procedibilità sia per l’ipotesi base sia per la fattispecie aggravata dall’ebbrezza alcolica o dall’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope sarebbe in sé «intrinsecamente irragionevole», atteso il diverso grado di disvalore delle fattispecie[22].
Il sindacato della Corte si è così concentrato sulla ragionevolezza della disciplina[23], con la precisazione che, in questo caso, la valutazione di legittimità ha attinto il trattamento giuridico esaminato nel suo complesso – ossia la scelta della condizione di procedibilità – e non, come più frequentemente accade, il solo trattamento sanzionatorio previsto dalla fattispecie incriminatrice[24]. Seguendo dunque l’ordine di indagine fatto proprio dalla Corte, la ragionevolezza è stata vagliata dapprima sul versante c.d. intrinseco e, solo in un secondo momento, è stato attenzionato il rapporto tra l’art. 590 bis e il tertium comparationis individuato dal remittente (ragionevolezza c.d. estrinseca)[25].
Per quanto attiene al primo profilo di interesse, conviene anzitutto ribadire che è detta intrinseca quella irragionevolezza della fattispecie incriminatrice che si risolva in un contrasto irrisolvibile con i principi immanenti all’ordinamento espressi nella Carta, e che si appalesi in maniera «manifesta, evidente, ictu oculi»[26]. Difatti, come pure è stato osservato, il giudizio de quo è «oggetto di intuizione immediata ed aspira ad una condivisione che non richiede di essere provata»[27], oltre a non richiedere il necessario raffronto con alcuna altra norma dell’ordinamento (il tertium comparationis). Ipotesi, quest’ultima, che come è noto, informa le decisioni sulla ragionevolezza estrinseca, di cui si dirà di qui a poco.
Il terreno su cui muove un simile giudizio è, quindi, inevitabilmente scivoloso[28]. A ben vedere, esso incontro il limite rappresentato dalla congenita discrezionalità delle scelte politiche che, alla luce della classica ripartizione dei poteri dello Stato, ridimensiona notevolmente il sindacato del giudice, non potendo questi sostituirsi al Legislatore[29]. Ciò è tanto più vero nel campo del diritto penale, in cui l’imperante operatività del principio della riserva di legge impone che solo al Legislatore venga riconosciuto il potere di individuare i fatti umani passibili della sanzione più afflittiva[30].
Da qui, allora, la maggior cautela con cui la Corte ha nel corso degli anni approcciato a questo tipo di sindacato, adottando decisioni che, come ribadito nella sentenza in commento, muovono entro i limiti della manifesta irragionevolezza[31]. Tale standard vige anche per le scelte relative al regime di procedibilità dei singoli reati[32], essendo anche queste il frutto di una discrezionalità eminentemente politica.
Pur condividendo tali premesse, non convince, però, la decisione della Consulta che, nel dichiarare non manifestamente irragionevoli le censure mosse, ritiene che la scelta di prevedere la procedibilità d’ufficio per il reato di cui all’art. 590-bis c.p. sia legittima, dal momento che la stessa si iscrive nel quadro di un complesso intervento volto ad inasprire il trattamento sanzionatorio per i reati commessi nell’ambito della circolazione stradale, ritenuti di particolare allarme sociale, a fronte dell’elevato numero di vittime di incidenti che ogni anno si registrano.
La poca persuasività dell’argomento speso dalla Consulta appare evidente se si considera la casistica dalla stessa riportata nel provvedimento, per la quale sarebbe parimenti prevista oggi una procedibilità d’ufficio, pur a fronte di condotte che non manifestano un’elevata offensività, rispetto alle quali, tuttalpiù, si pone un problema limitato al solo risarcimento della vittima.
Il riferimento è al caso dello sventurato ciclista che incappi in un incidente stradale da cui derivino lesioni gravi o gravissime a causa della propria condotta colposa, o a quello del conducente che sia stato protagonista di una banale occasionale distrazione, magari anche se esperto guidatore.
In altre parole, dietro il ragionamento della Corte, si cela un’evidente incongruenza con la logica immanente del nostro ordinamento per cui «l’idea della pena come integrazione sociale impone che la legge punisca solo quei comportamenti, che realmente turbino le condizioni di una pacifica coesistenza diffusamente avvertita come tale»[33].
Invero, se si muove dall’assunto assiologico per cui il principio di offensività debba essere utilizzato come canone di controllo delle scelte di politica criminale[34], seppur nei limiti prima tracciati, e allo stesso tempo si riconosce che, a fronte di una lesione di interessi di natura prevalentemente personali, debba essere riconosciuta all’offeso la possibilità di valutare l’opportunità di ricorrere alla sanzione penale[35], non vi è chi non veda che proprio quelle considerazioni avrebbero dovuto porsi alla base di una declaratoria di intrinseca irragionevolezza.
In definitiva: per talune ipotesi colpose, quali quelle che rientrerebbero nelle semplici violazioni al codice della strada di cui al primo comma del 590-bis c.p., non sembra esserci margine per sostenere una procedibilità automatica, sia per il minimo carattere offensivo che tali condotte esprimono, sia per ragioni di economicità processuale.
Del resto, la stessa Corte, in una sorta di voce dal sen fuggita, pare suggerire che la declaratoria di non manifesta irragionevolezza sia giustificata per lo più dal fatto che il rimettente, facendo riferimento alla generalità delle ipotesi previste dal medesimo articolo con l’unica eccezione delle fattispecie aggravate dal secondo comma, non abbia debitamente tenuto in considerazione della differenza d’essenza tra le ipotesi di cui al primo capoverso, e quelle previste ai commi successivi al secondo, essendo queste ultime caratterizzate da un rischio notevolmente maggiore per l’incolumità pubblica; cosicché non appare in realtà preclusa la possibilità che, in futuro, si possa agevolmente provvedere con una dichiarazione di incostituzionalità, formulata nei termini della procedibilità a querela, per la sola ipotesi base.
In questo caso, infatti, si eviterebbe di assoggettare alla regola della procedibilità ad istanza di parte quelle fattispecie caratterizzate da violazioni delle norme sulla circolazione stradale commesse con piena consapevolezza e certamente foriere di rischi significativi non circoscritti al singolo[36]. La questione, dunque, si presenta potenzialmente ancora aperta[37].
- La dubbia questione di irragionevolezza estrinseca sollevata rispetto al 590-sexiesp.
Così come, da un lato, la Corte ha ritenuto non fondato, nei termini della «manifesta irragionevolezza», la scelta di prevedere una procedibilità d’ufficio per tutte le ipotesi previste dall’art. 590-bis c.p., dall’altro, ha ritenuto di non accogliere nemmeno la censura riguardo la paventata disparità di trattamento con la condizione di procedibilità prevista all’art. 590-sexies c.p. Fattispecie, quest’ultima, che disciplina i casi di morte o di lesioni colpose in ambito sanitario e che, alla luce del generale richiamo all’ art. 589 c.p. contenuto al primo comma, ammette una procedibilità a querela della persona offesa.
Il remittente, più in particolare, ha messo in discussione la ragionevolezza di concepire un regime di procedibilità differenziato, in ragione del fatto che le due norme si appaleserebbero sostanzialmente omogenee.
Il proposito da cui si muove è che tanto la circolazione stradale quanto l’attività medica appartengono al novero dei settori essenziali della società contemporanea, spesso definita come “società del rischio”. In questa prospettiva, le norme che vigono in materia di circolazione stradale non divergerebbero dai modelli prudenziali e dai protocolli vigenti in campo medico[38].
In altri termini, il giudice a quo ha affermato la censurabilità della scelta di politica criminale adottata al 590-bis c.p., in quanto ingiustificatamente diversa rispetto alla disciplina di maggior favore prevista al 590-sexies c.p, – c.d. tertium comparationis– alla luce dell’art. 3 della Costituzione, secondo quel noto schema triadico di giudizio che punta al controllo di «coerenza normativa» all’interno dell’ordinamento (ragionevolezza estrinseca)[39].
Per quanto apprezzabili, le argomentazioni del giudice pisano non sembrano cogliere completamente nel segno.
Infatti, questi si limita ad un’analisi che si concentra sulla valutazione dei “rischi”, tanto dell’attività medica quanto di quella della circolazione stradale, omettendo di confrontarsi però con la diversa ratio ispiratrice posta alla base delle due condotte colpose interessate. E se, come è vero, la premessa principale del giudizio di ragionevolezza estrinseca invocato consiste, e si risolve, in un giudizio in ordine all’omogeneità tra le norme invocate, l’attenta ricostruzione dei due istituti che si assumono a confronto[40] non potrà mai, in nessun caso, mancare di guardare a quelle che sono le ratio di disciplina poste a fondamento di ciascuno di essi.
Ora, la scelta della procedibilità a querela per le ipotesi di colpa medica si giustifica con l’interesse del Legislatore[41] ad arginare il fenomeno della c.d. medicina difensiva, nell’ottica di garantire altresì la sicurezza delle cure[42], laddove la diversa scelta adottata nell’ ambito della circolazione stradale risponde all’esigenza di ridurre il numero di sinistri fatali o altamente dannosi. Cosicché se in materia medica si coglie con evidenza che il regime di procedibilità sia indissolubilmente legato alla tutela del diritto alla salute del cittadino, poiché consente ai professionisti di operare con maggiore serenità, condivisibilmente la Corte ha ritenuto non fondata la questione de qua, dal momento che in materia di lesioni da incidenti stradali, come detto, una eventuale previsione della procedibilità ad istanza di parte è tutta e solo legata ad una valutazione – intrinseca – che attiene al disvalore della condotta contestata.
- Quali prospettive per la procedibilità delle lesioni stradali gravi o gravissime.
Le riflessioni sin qui condotte portano a concludere che la soluzione adottata dal delegato nell’attuazione della delega presenti plurimi indici di criticità, che impongono al Legislatore di intervenire.
Ne è consapevole, del resto, anche la stessa Corte che, in linea con quell’ approccio che la vuole oggi impegnata in un aperto dialogo[43] con il Parlamento, si è lasciata andare ad un inciso finale in cui augura una «complessiva rimeditazione sulla congruità dell’attuale regime di procedibilità per le diverse ipotesi di reato contemplate dall’art. 590-bis cod.pen.»[44].
All’ appello così formulato dalla Corte, a dire il vero, ha fatto seguito un atteggiamento apparentemente commendevole del Legislatore che non si è dimostrato – almeno negli intenti – del tutto indifferente rispetto alla questione. Basti pensare, a tal proposito, ai numerosi disegni di legge presentati negli ultimi anni[45] che mirano proprio all’introduzione della procedibilità a querela per il reato che ci occupa.
Tuttavia, se la produzione di iniziative non è stata carente, spiace constatare che nessuno dei progetti di legge interessati sia davvero avviato verso un serio iter di trattazione.
L’auspicio, a questo punto, è che l’organo parlamentare torni a ricoprire quel ruolo da protagonista nelle scelte di politica criminale che gli appartiene, e che l’art. 25 gli riconosce, senza che perda anch’ Esso l’(ennesima) occasione per riportare la produzione normativa di matrice penale entro i binari garantisti tracciati dalla Carta.
*Praticante avvocato del Foro di Napoli
[1] Cort. cost., 25 novembre 2019, n. 223, in www.cortecostituzionale.it; per il cui commento si rimanda a N. Canzian, La procedibilità d’ufficio per il reato di lesioni stradali gravi o gravissime: l’omissione del legislatore delegato è legittima per la vaghezza della legge di delega, in Riv. it. dir. e proc. pen., 4, 2019, pp. 2213 ss.
[2] D. Lgs. 285/1992.
[3] G.i.p. Trib. ordinario di Treviso, 11 aprile 2019, ordinanza n. 183, in www.gazzettaufficiale.it; Trib. ordinario di Milano, 24 maggio 2019, ordinanza n. 225, in www.gazzettaufficiale.it; Trib. ordinario di Pisa, 12 luglio 2019, ordinanza n. 5, in www.gazzettaufficiale.it.
[4] Recante «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario».
[5] Recante «Disposizioni di modifica della disciplina del regime di procedibilità per taluni reati in attuazione della delega di cui all’articolo1, comma 16, lettere a) e b), e 17, della legge 23 giugno 2017, n.103».
[6] Di cui si riporta il testo: «la procedibilità a querela per i reato contro la persona puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, fatta eccezione per il delitto di cui all’articolo 610 del codice penale, e per i reati contro il patrimonio previsti dal codice penale, salva in ogni caso la procedibilità d’ufficio qualora ricorra una delle seguenti condizioni: 1) la persona offesa sia incapace per età o per infermità; 2) ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale ovvero le circostanze indicate nell’articolo 339 del codice penale, 3) nei reati contro il patrimonio, il danno arrecato alla persona offesa sia di rilevante gravità».
[7]Relazione illustrativa allo schema di D. Lgs. recante: “Disposizioni di modifica della disciplina del regime di procedibilità per taluni reati in attuazione della delega di cui all’articolo 1, comma 16, lettere a) e b), e 17, della legge 23 giugno 2017, n. 103”, in www.governo.it, p. 6.
[8] L’organo parlamentare ha espresso il proprio parere favorevole, in prima lettura, allo schema del decreto legislativo richiedendo tuttavia, alla condizione indicata sub 3), che la procedibilità a querela fosse ampliata anche al delitto previsto dall’ art. 590-bis c.p. in quanto la condizione di incapacità richiamata dalla legge-delega dovrebbe «ritenersi riferibile ai casi in cui le particolari condizioni di vulnerabilità, per età o per infermità, preesistono al comportamento criminoso dell’autore del reato e siano perciò da questo indipendenti. La maggiore gravità del fatto, cui si lega la scelta di mantenere ferma la perseguibilità d’ufficio, sembrerebbe, quindi, essere ancorata ala circostanza che l’agente, per la realizzazione del reato, ha sfruttato una situazione di minorata difesa della vittima, antecedente alla condotta punita, che ha reso più agevole l’esecuzione, piuttosto che ad una situazione di infermità procurata anche a seguito della condotta criminosa».
[9] Per tutti, C. Cupelli, La legalità delegata. Crisi e attualità della riserva di legge nel diritto penale, Esi, 2012.
[10] Così, C. Cupelli, Il problema della legalità penale segnali in controtendenza sulla crisi della riserva di legge, in Giur. cost., 1, 2015, p. 191.
[11] Ritenendo che l’Esecutivo «si sia mantenuto […] entro il perimetro sancito dal “legittimo esercizio della discrezionalità spettante al Governo nella fase di attuazione della delega, nel rispetto della ratio di quest’ultima e in coerenza con esigenze sistematiche proprie della materia penale»; vd. Anche Cort. cost., 12 aprile 2017, n. 127, in www.cortecostituzionale.it.
[12] Sul tema, diffusamente, A. M. Dell’Osso, Riserva di legge e principio democratico: una questione di metodo, in Dir. pen. cont., 4, 2018, p.70 ss., che efficacemente distingue tra le cause per così dire fisiologiche, e quelle patologiche all’origine del problema; inoltre, per un ulteriore approfondimento L. Eusebi, L’insostenibile leggerezza del testo: la responsabilità perduta della progettazione politico-criminale, in Riv. it. dir. e proc., 4, 2016, p. 1670.
[13] Senza alcuna pretesa di esaustività, tra i contributi più ricorrenti in letteratura, che tracciano in maniera impeccabile le coordinate della questione si veda il confronto avviato in Verso un equivalente funzionale della riserva di legge?, in Criminalia 2011, pp. 77 ss., con Nota introduttiva di F. Giunta e contributi di G. Fiandaca, Crisi della riserva di legge e disagio della democrazia rappresentativa nell’età del protagonismo giurisdizionale, pp. 79 ss.; A. Gargani, Verso una ‘democrazia giudiziaria’? I poteri normativi del giudice tra principio di legalità e diritto europeo, pp. 99 ss.; e C.F. Grosso, Il fascino discreto della conservazione (Considerazioni in margine all’asserita crisi del principio di riserva di legge in materia penale), pp. 125 ss. E ancora, D. Pulitano’, Crisi della legalità e confronto con la giurisprudenza, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1, 2015, pp. 29 ss. e più di recente V. Maiello, La legalità della legge e il diritto dei giudici: scossoni, assestamenti e sviluppi, in Sist. pen., 3, 2020, pp. 129 ss.; V. Maiello, La legalità della legge nel tempo del diritto dei giudici, Editoriale scientifica, 2020, anche se in una prospettiva che muove dal rispetto del rigoroso principio di legalità, per approfondire ulteriori tematiche ad esso contigue.
[14] Ancora, V. Maiello, Appunti sparsi di ‘lotta per il diritto’, in questa rivista, 1, 2020, p.33.
[15] Per una lucida analisi del principio in parola, l’interessante riflessione di V. Maiello, Legge e interpretazione nel ‘sistema’ di Beccaria, Editoriale scientifica, 2021, pp. 35 ss.
[16] M. Gallo, Diritto penale italiano. Appunti di parte generale, Giappichelli, 2019, pp. 35 ss.; e anche V. Maiello, Il bicameralismo asimmetrico nello specchio della riserva di legge in materia penale, in federalismi.it, 15, 2016, pp 9 ss. che affronta il punto nella prospettiva della proposta di riforma costituzionale avanzata negli scorsi anni, poi mai attuata.
[17] Sull’interessante passaggio dalla ratio garantista a quella democratica della riserva di legge, per tutti G. Fiandaca, Crisi della riserva di legge e disagio della democrazia rappresentativa nell’età del protagonismo giurisdizionale, cit., pp. 82-83; G. Fiandaca, Legalità penale e democrazia, pp. 1247 ss. e F. Palazzo, Legalità penale: considerazioni su trasformazione e complessità di un principio ‘fondamentale’, pp. 1281 ss., in AA.VV., Principio di legalità e diritto penale(per Mario Sbriccoli) in Quad. fior. per la storia del pensiero giuridico moderno, 36, 2007.
[18] Si richiamano, a tal proposito, le interessanti riflessioni condotte da I. Pellizzone, Profili costituzionali della riserva di legge in materia penale, FrancoAngeli, 2015, pp. 21 ss che, muovendo da questa premessa, allargano efficientemente l’analisi ai rapporti tra il principio di riserva di legge ed i poteri normativi riconosciuti al Governo.
[19] In questo senso C. Cupelli, L’insider trading e la legalità «delegata»: spunti sulla ammissibilità del ricorso al decreto legislativo in materia penale, in Cass. pen., 1, 2004, p. 243.
[20] Vd. nota n.4 e contra n.7, C. Cupelli, L’insider trading e la legalità «delegata»: spunti sulla ammissibilità del ricorso al decreto legislativo in materia penale, cit., pp. 242-243.
[21]Cort. cost., 24 luglio 1995, n. 362, in Giur. cost., 1995, p. 2697.
[22] Sul punto, in questi termini, anche il giudice a quo rimettente, Trib. ordinario di Pisa, 12 luglio 2019, ordinanza n. 5, in www.gazzettaufficiale.it.
[23] Sulla tutt’altro che inusuale tecnica di contestazione della legittimità penale che richiama l’art. 3 della Costituzione, N. Recchia, Le declinazioni della ragionevolezza penale nelle recenti decisioni della Corte costituzionale. Nota a Corte cost., 8 aprile 2014, n. 80, Pres. Silvestri, Rel. Frigo; nota a Corte cost., 8 aprile 2014, n. 81, Pres. Silvestri, Rel. Frigo; nota a Corte cost., 28 maggio 2014, n. 143, Pres. Silvestri, Rel. Frigo, in Dir. pen. cont., 2, 2015, p. 61, che chiaramente ha affermato: «il giudizio di ragionevolezza ha assunto le vesti di vera e propria grammatica basilare del controllo di costituzionalità esercitato dalla Corte costituzionale italiana, divenendo il parametro scontato di qualsivoglia questione di legittimità in materia penale che le venga sottoposto». Sul punto anche M. Cartabia, I principi di ragionevolezza e proporzionalità nella giurisprudenza costituzionale italiana, in Conferenza trilaterale delle Corte costituzionali italiana, portoghese e spagnola, p.1.
[24] Vd. anche, V. Manes, Principi costituzionali in materia penale (Diritto penale sostanziale), in www.cortecostituzionale.it, 2013, p. 51.
[25] Per una efficace sintesi dei vari archetipi di giudizi di ragionevolezza, N. Recchia, Le declinazioni della ragionevolezza penale, cit., p. 61; e G.Zagrebelsky, Su tre aspetti della ragionevolezza, in AA.VV., Il principio di ragionevolezza nella giurisprudenza della corte costituzionale: riferimenti comparatistici: atti del Seminario svoltosi in Roma, Palazzo della Consulta nei giorni 13 e 14 ottobre 1992, Giuffrè, 1994, pp. 180 ss. e ancora M. Fierro, La ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale italiana, in AA.VV., I principi di proporzionalità e ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale, anche in rapporto alla giurisprudenza delle Corti europee, 2013, in www.cortecostituzionale.it.
[26]M. Fierro, La ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale italiana, in AA.VV., I principi di proporzionalità e ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale, anche in rapporto alla giurisprudenza delle Corti europee, cit., p.15.
[27]M. Fierro, op. cit., p. 15.
[28] Sul punto, con dirompente chiarezza ed incisiva schiettezza, V. Manes, V. Napoleoni, La legge penale illegittima, Giappichelli, 2019, p.353, in cui si legge: «non si vuole [e può] certo nascondere quanto poliedriche e multiformi siano le ‘forme’ della ragionevolezza, declinate su paradigmi sempre disputabili e provvisori, che spesso sono tanto mutevoli quanto la composizione del collegio giudicante, e che sono – non di rado – persino condizionate dai ‘gusti’ del singolo giudice relatore».
[29] Vd. art. 28, L. 87 del 1953 e l’interessante spunto di A. Longo, Il sindacato di ragionevolezza in materia penale. Brevi riflessioni a partire da alcune ordinanze di rimessione alla Corte costituzionale, in Arch. pen., 3, 2017, p.11: «il giudizio di ragionevolezza su una legge penale costituisce […] la declinazione più problematica del sindacato di costituzionalità, ponendoci davanti alla composizione di un paradosso: la forma più libera e logicamente evanescente di giudizio applicata alla forma necessariamente più libera (perché politicamente più delicata) della funzione legislativa».
[30] Ancora, sul punto, N. Recchia, op. cit., p. 66.
[31] Come confermato da altre recenti pronunce che pure vengono ricordate dalla stessa Corte Costituzionale nel testo del provvedimento, quali, senza pretesa di esaustività, Cort. cost., 8 luglio 2020, n. 190; Id., 8 maggio 2019, n. 155; Id., 23 gennaio 2019, n. 40, tutte in www.cortecostituzionale.it.
[32] Ancora la Corte costituzionale richiama ad una propria precedente ordinanza, Cort. cost., 19 maggio 2003, n. 178, in www.giurcost.org, insieme ai precedenti ivi contenuti.
[33]C. Iasevoli, La procedibilità a querela: verso la dimensione liquida del diritto postmoderno?, in lalegislazionepenale.eu, 7 dicembre 2017, p. 6.
[34]V. Manes, I recenti tracciati della giurisprudenza costituzionale in materia di offensività e ragionevolezza, in Dir. pen. cont., 1, 2012, p.1.
[35]C. Iasevoli, La procedibilità a querela: verso la dimensione liquida del diritto postmoderno?, cit., p. 6.
[36] Nello stesso senso A. Gargani, Riforma Orlando: la modifica della disciplina del regime di procedibilità per taluni reati, in Dir. pen. e proc., 5, 2018, p. 588 : «com’è stato opportunamente evidenziato nel parere della Commissione giustizia della Camera sul primo schema di decreto, in ambito colposo si dovrebbe tenere conto della rilevanza delle regole cautelari: se appare, ad es., condivisibile la scelta del delegato di mantenere la procedibilità d’ufficio per le più gravi ipotesi di cui all’art. 590 bis, comma 1, c.p. (lesioni personali stradali gravi o gravissime, cagionate attraverso la violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, ma non in stato di ubriachezza o di alterazione psicofisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti). L’indebito e irrazionale livellamento del regime di procedibilità riservato alle lesioni colpose stradali determina l’ulteriore inconveniente di precludere irragionevolmente l’operatività delle cause estintive incentrate sul risarcimento del danno in favore della persona offesa (remissione della querela; condotte riparatorie, ex art. 162 ter c.p.), facendo di riflesso venir meno l’interesse e l’inventivo ad un risarcimento insuscettibile di determinare una pronunzia liberatoria.»
[37] Si rimanda, a mero titolo esemplificativo, alla vicenda che ha avuto ad oggetto la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 73, primo comma, T.u. Stup. risolta da Cort. cost., 23 gennaio 2019, n. 40, in www.cortecostituzionale.it e alle osservazioni di detta pronuncia proposte da P. Insolera, in Ind. pen., 2, 2019, pp. 24 ss.
[38] In questo senso l’ordinanza di remissione del giudice pisano.
[39] Così, N. Recchia, op. cit., p. 61.
[40]N. Recchia, op. cit., p. 64.
[41]Per la cui completa e lucida analisi si rimanda a C. Cupelli, L’art. 590-sexies c.p. nelle motivazioni delle Sezioni Unite: un’interpretazione “costituzionalmente conforme” dell’imperizia medica (ancora) punibile, in Dir. pen. cont., 3, 2018, pp. 13 ss.; Id., L’anamorfosi dell’art. 590-sexies c.p. L’interpretazione “costituzionalmente conforme” e i problemi irrisolti dell’imperizia medica dopo le Sezioni unite, in Riv. it. dir. e proc. pen., 4, 2018, pp. 1969 ss.
[42]Cass. pen., S.U., 21 dicembre 2017, n. 8770, C.E.D. Cass. n. 272174.
[43] Il riferimento è a quella particolare modalità di pronunce c.d. di “incostituzionalità differita”. A tal proposito, si rimanda a Cort. cost., ord. 23 ottobre 2018, n. 207; e alla successiva Cort. cost., 24 settembre 2019, n. 242, entrambe in www.cortecostituzionale.it, che hanno risolto la nota “vicenda Cappato”, anche oggetto di riflessione in C. Cupelli, Il caso Cappato e i nuovi confini di liceità dell’agevolazione al suicidio. Dalla “doppia pronuncia” della Corte costituzionale alla sentenza di assoluzione della Corte di assise di Milano, in Cass. pen., 4, pp. 1428 ss; e ancora, a Cort. cost., ord. 9 giugno 2020, n. 132, in www.cortecostituzionale.it per la delicata questione di legittimità costituzionale che ha interessato l’ipotesi di diffamazione a mezzo stampa, che sarà trattata alla prossima udienza del 22 giugno. Da ultimissimo, inoltre, merita un richiamo dapprima il comunicato del 15 aprile 2021, Ergastolo ostativo incompatibile con la Costituzione ma occorre un intervento legislativo. Un anno di tempo al Legislatore, in www.cortecostituzionale.it e, poi, la successiva Cort. cost., ord. 23 marzo 2021, n. 97, in www.cortecostituzionale.it con cui la Corte ha dichiarato, de facto, il c.d. ergastolo ostativo incompatibile con la Costituzione, ma ha rimesso la trattazione definitiva del caso al 10 maggio 2022.
Per una interessante riflessione su questa nuova prospettiva di “leale collaborazione” che vede coinvolti, da un lato, la Corte e, dall’altro, il Parlamento sia consentito l’ulteriore rimando a N. Zanon, I rapporti tra la Corte costituzionale e il legislatore alla luce di alcune recenti tendenze giurisprudenziali, in federalismi.it, 3, 2021, pp. 91 ss. e a G.Zagrebelsky, Se la Corte sceglie di non decidere, su La Stampa, 16 aprile 2021, p. 11.
[44] Si evidenzia che con la stessa modalità la Corte aveva in precedenza affrontato anche la questione di legittimità costituzionale dell’art. 131-bis c.p., nella parte in cui la causa di non punibilità ivi prevista, non trovava applicazione per casi di ricettazione – punita nel massimo a sei anni – ancorché “lievi”, poiché l’ esclusione della punibilità operava solo per quei reati puniti con la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni (ovvero con pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena).
Si rimanda, a tal proposito, a Cort. cost., 24 maggio 2017, n. 207 in www.cortecostituzionale.it, in cui la Corte ha suggerito un intervento del Legislatore affinché «oltre alla pena massima edittale, al di sopra della quale la causa di non punibilità non possa operare, potrebbe prevedersi anche una pena minima, al di sotto della quale i fatti possano comunque essere considerati di particolare tenuità. […] Per evitare il protrarsi di trattamenti penali generalmente avvertiti come iniqui.» E, a Cort. cost., 24 giugno 2020, n. 156, in www.cortecostituzionale.it, in cui, proprio la circostanza che il legislatore non abbia tenuto conto dell’invito rivolto dal Giudice della Legge, ha “imposto” a quest’ultimo di intervenire, dichiarando «l’illegittimità costituzionale dell’art. 131-bis del codice penale, inserito dall’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28, recante “Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67”, nella parte in cui non consente l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ai reati per i quali non è previsto un minimo edittale di pena detentiva». Per un approfondimento sul tema, che tenga conto di altre pronunce della Corte, si rimanda a P. Insolera, S. Romano, L’evoluzione del controllo di proporzionalità delle sanzioni penali nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in questa rivista, 2, 2020, pp. 344 ss.
[45] Di seguito, i progetti di legge presentati nei due rami del Parlamento: S.1968, C. 2227, C.1883, S. 1314, C.1765, S.1045, C.1322, C.471, in www.senato.it.