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LA PREVALENZA DELLA RECIDIVA REITERATA NUOVAMENTE AL VAGLIO DELLA CORTE COSTITUZIONALE – DI ALESSANDRO CODEN

LA PREVALENZA DELLA RECIDIVA REITERATA NUOVAMENTE AL VAGLIO DELLA CORTE COSTITUZIONALE – DI ALESSANDRO CODEN

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LA PREVALENZA DELLA RECIDIVA REITERATA NUOVAMENTE AL VAGLIO DELLA CORTE COSTITUZIONALE

THE PREVALENCE OF REPEATED RECIDIVISM ONCE AGAIN UNDER REVIEW BY THE CONSTITUTIONAL COURT

di Alessandro Coden*

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Tribunale di Parma, Giudice Dott. Luca Agostini, Ordinanza del 8 ottobre 2024 – Non ancora pubblicata

Circostanze – Divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62-bis sulla recidiva reiterata – Questione di legittimità costituzionale – Proporzionalità della pena.

(Art. 69 comma 4 c.p. – Artt. 3 e 27 Cost.)

È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del codice penale, come sostituito dall’articolo 3 della Legge 5 dicembre 2005, n. 251, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti di cui all’articolo 62-bis del codice penale sulla recidiva reiterata ai sensi dell’articolo 99, comma 4°, del codice penale.

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La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale di Parma, relativa al divieto, ex art. 69, comma 4 cod. pen., di riconoscere prevalenza delle attenuanti generiche sulla recidiva reiterata, valorizza i punti di frizione degli effetti indiretti del recidivismo con l’impianto costituzionale, evidenziando il progressivo lavoro di erosione svolto della Corte costituzionale di un’irrazionale presunzione iuris et de iure di pericolosità sociale del recidivo reiterato.

The constitutional legitimacy issue raised by the Preliminary Hearing Judge of the Court of Parma, concerning the prohibition, under Article 69, paragraph 4, of the Italian Penal Code, of recognizing the prevalence of mitigating circumstances over repeated recidivism, highlights the points of friction between the indirect effects of recidivism and the constitutional framework, underscoring the Constitutional Court’s progressive efforts to dismantle the irrational iuris et de iure presumption of social dangerousness associated with repeated recidivism.

Sommario: 1. La vicenda processuale. – 2. La rilevanza, la non manifesta infondatezza e l’insostenibilità di un’interpretazione conforme. – 3. I plurimi interventi delle Corte costituzionale– 4. Il contrasto con il principio di uguaglianza, proporzionalità e offensività. – 5. Conclusioni.

1. La vicenda processuale. – Tramite l’ordinanza in epigrafe, gli effetti indiretti della recidiva sono stati, nuovamente, sottoposti a controllo di costituzionalità data la loro – non troppo celata – frizione con gli articoli 3 e 27 della Costituzione. Il Giudice dell’Udienza Preliminare del Tribunale di Parma ha, infatti, disposto rinvio pregiudiziale alla Corte costituzionale, rinvenendo, nel regime automatico-presuntivo dell’articolo 69, 4 comma c.p., una tensione con il principio di uguaglianza e con il principio rieducativo, segnatamente con l’individualizzazione punitiva.

La vicenda processuale da cui la questione è tratta si origina dal ritenuto compimento di una condotta ex art. 628 c.p., dacché l’autore, con violenza contro la persona offesa, avrebbe sottratto da un esercizio commerciale due bottiglie di superalcolici – di cui una distruttasi durante la fuga – dal valore complessivo di otto euro.

Ebbene, a fronte dell’agevole ricostruzione dei fatti in causa, l’Autorità rimettente ha rinvenuto nel panorama normativo un’ingiustificata limitazione dei propri poteri di dosimetria sanzionatoria e, di conseguenza, una lesione degli articoli 3 e 27 della Costituzione. Secondo il giudice a quo, infatti, il proprio potere-dovere di parametrazione del trattamento sanzionatorio al disvalore del fatto sarebbe stato sottoposto ad una drastica e ingiustificata limitazione da parte delle precedenti condanne dell’imputato, le quali, in quanto specifiche, infraquinquennali e caratterizzate da omogeneità rispetto al reato in accertamento, renderebbero ineludibile l’imprimatur dell’art. 99 comma 4 e, per giocoforza, produrrebbero l’irrogazione di una sanzione sproporzionata in quanto non bilanciabile con le pur sussistenti e prevalenti circostanze attenuanti generiche.

L’ordinanza in commento si concentra, quindi, sull’articolo 69 comma 4 c.p. e sull’ivi divieto di prevalenza delle attenuanti generiche sulla recidiva reiterata, evidenziandone le molteplici aporie con il tessuto costituzionale.

2. La rilevanza, la non manifesta infondatezza e l’insostenibilità di un’interpretazione conforme. – Da un punto di vista procedurale, la questione risulta, indubbiamente, rilevante e non manifestamente infondata. Le evidenti conseguenze pregiudiziali per l’imputato e le non trascurabili tensioni con principi cardine del diritto penale rendono, infatti, ineludibile una completa analisi del divieto, al fine di identificare compiutamente un trattamento sanzionatorio non sproporzionato e, quindi, costituzionalmente accettabile.

Inoltre, le censure mosse dall’autorità rimettente non appaiono sanabili nemmeno attraverso un’attività ermeneutica tesa a ricondurre a costituzionalità – senza cadere nel superamento dei limiti semantici – il sistema ex art. 69 comma 4 c.p.

Non appare, infatti, una soluzione particolarmente persuasiva quella di rimediare al vulnus costituzionale omettendo di riconoscere la recidiva reiterata, come, per altro, sostenuto in dottrina e nella giurisprudenza risalente[1]. La recidiva, seppur pacificamente discrezionale[2], non può essere celata quando la condotta appaia, oggettivamente, sintomatica di una maggiore colpevolezza e di un’accresciuta pericolosità sociale. Secondo la Corte è «possibile sostenere che il giudice debba procedere al giudizio di bilanciamento – soggetto al regime limitativo di cui all’art. 69, quarto comma, cod. pen. – unicamente quando ritenga la recidiva reiterata effettivamente idonea a determinare, di per sé, un aumento di pena per il fatto per cui si procede: il che avviene solo allorché il nuovo episodio delittuoso appaia concretamente significativo […] sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo»[3]. Dunque, la discrezionalità in capo al giudicante risulta sottoposta ad una significativa compressione ogniqualvolta il nuovo episodio delittuoso risulti indicativo di una maggiore colpevolezza, tale da giustificare sia gli effetti diretti che, in virtù di una discutibile presunzione di pericolosità, quelli indiretti[4].

In altri termini, se la compresenza di effetti diretti basati su una maggiore colpevolezza e di effetti indiretti derivanti da una presunta e correlata maggiore pericolosità generino asimmetrie e mettano in luce le irrazionalità del sistema[5], l’escamotage della negazione non può assurgere a valido palliativo. Questo, sia perché il divieto di prevalenza si pone in momento logico successivo[6], sia perché negare, per finalità sanzionatorie, la sussistenza di una maggiore colpevolezza – concretamente ravvisabile – determinerebbe una fictio iuris[7], idonea a deviare il trattamento sanzionatorio, negando gli ulteriori effetti pregiudizievoli che, a tale incremento, la legge riconnette.

Analogamente, non appare convincente la soluzione alternativa tesa a non rinvenire nel divieto di prevalenza alcuna lesione del potere dosimetrico, poiché il giudice della cognizione potrebbe comunque «discrezionalmente determinare [la pena] tra il minimo e il massimo edittale, alla luce dei criteri stabiliti dall’articolo 133 c.p. incidendo di riflesso anche sull’incremento della recidiva»[8]. Un tale meccanismo, dapprima utilizzato come giustificazione anche dalla stessa Corte costituzionale, in primis può rivelarsi inidoneo ad attenuare adeguatamente il trattamento e, secondariamente, confonde recidiva e capacità a delinquere, le quali, in realtà, sono valutazioni distinte. La prima retrospettiva radicata sul passato criminale e incardinata sulla maggiore colpevolezza del reo, la seconda prognostica, ossia funzionale a valutare, in base ai precedenti penali e giudiziari, la probabilità che il soggetto commetta un nuovo reato[9].

3. I plurimi interventi delle Corte costituzionale. – Il tema oggetto di accertamento costituzionale non risulta inedito per il Giudice delle Leggi, tanto che egli non potrà esimersi da un raffronto con i propri precedenti orientamenti[10].

Com’è noto, la Corte costituzionale ha progressivamente eroso l’assolutezza del divieto previsto all’articolo 69, 4 comma c.p. Quest’ultimo – introdotto con la Legge n. 251 del 2005 – aveva come preciso scopo quello di mitigare gli ampi spazi di discrezionalità riconosciuti al giudice dopo la riforma del 1974, la quale, modificando radicalmente l’originario impianto codicistico, aveva esteso il bilanciamento tra circostanze ad effetto speciale[11]. Di conseguenza, tramite una vera «opera demolitoria»[12], i Giudici del Palazzo della Consulta hanno progressivamente smantellato la blindatura presuntiva della norma impugnata, riconoscendo, caso per caso, la prevalenza di specifiche circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata. La Corte, del resto, già nel 2012 aveva icasticamente affermato come la recidiva «riflett[esse] i due aspetti della colpevolezza e della pericolosità» che, «pur essendo pertinenti al reato, non possano assumere, nel processo di individualizzazione della pena, una rilevanza tale da renderli comparativamente prevalenti rispetto al fatto oggettivo: il principio di offensività è chiamato ad operare non solo rispetto alla fattispecie base e alle circostanze, ma anche rispetto a tutti gli istituti che incidono sulla individualizzazione della pena e sulla sua determinazione finale. Se così non fosse, la rilevanza dell’offensività della fattispecie base potrebbe risultare “neutralizzata” da un processo di individualizzazione prevalentemente orientato sulla colpevolezza e sulla pericolosità»[13].

Appare, quindi, ormai consolidato quell’orientamento giurisprudenziale teso a rilevare specifiche e plurime distonie tra il divieto ex art. 69 comma 4 c.p. e i principi costituzionali e che, come anticipato, ne ha delineato un ampio decalogo di eccezioni, tra cui la seminfermità mentale, prevista all’ art. 89 c.p.[14], ovvero il concorso anomalo ex art. 116 comma 2 c.p.[15].

In proposito, la stessa Corte costituzionale – riordinando la propria giurisprudenza – ha individuato, nelle pronunce di illegittimità del divieto di prevalenza, tre rationes decidendi comuni, segnatamente: la particolare ampiezza della divaricazione tra la pena base prevista per il reato non circostanziato e quella risultante dall’applicazione dell’attenuante, l’esigenza di bilanciare la particolare ampiezza della fattispecie del reato non circostanziato che accomuna condotte marcatamente diverse e il carattere personale della responsabilità penale[16]. Questa triplice direttrice, unita ad una frizione con principi comuni, ha recentemente fondato l’illegittimità costituzionale del divieto di prevalenza proprio in un giudizio sul reato di rapina. In quell’occasione la Corte ha, infatti, riconosciuto la prevalenza della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, ex art. 62, comma 1, n. 4 c.p., sulla recidiva reiterata, rilevando come le circostanze attenuanti svolgano un necessario «effetto calmierante» rispetto «all’elevato minimo edittale previsto dal legislatore per i delitti di rapina»[17].

Sostanzialmente, l’elevano numero di pronunce uniformi con quanto richiesto dal giudice del merito certificano la solidità della questione e come, in caso di accoglimento, la pronuncia segnerebbe un definito superamento del divieto di prevalenza. È innegabile, infatti, che l’apertura alle attenuanti generiche rafforzerebbe la ripercorsa giurisprudenza, permettendo un adeguamento del trattamento sanzionatorio a specifiche e puntuali caratteristiche del singolo fatto di reato o del suo autore, anche nei casi privi di circostanze speciali a questo adibite[18]. Del resto, l’accoglimento della questione si porrebbe anche in continuità con le specifiche motivazioni in fatto, ossia con la volontà del giudice a quo di valutare positivamente il ravvedimento post-delittuoso dell’imputato, che in plurime prenunce della Corte costituzionale ha già comportato la caducazione del divieto[19].

4. Il contrasto con il principio di uguaglianza, proporzionalità, e offensività. – All’esito di questo percorso ricostruttivo, risultano pienamente condivisibili le argomentazioni sviluppate dal giudice del merito.

Anzitutto, appare fondata la ricostruzione dell’Autorità rimettente, secondo cui gli effetti preclusivi della recidiva disincentivino l’imputato dal risarcire – anche solo parzialmente – la persona offesa; impediscano di valorizzare adeguatamente eventuali cambiamenti nella vita dell’autore capaci di incidere sulla sua maggiore colpevolezza o pericolosità sociale; impongano l’applicazione dello stesso trattamento sanzionatorio a condotte dal disvalore diverso; nonché, per quanto concerne la finalità rieducativa, enfatizzino in modo abnorme il ruolo dell’aggravante ex art. 99 c.p., neutralizzando la rilevanza di qualsiasi condotta susseguente al reato sotto il profilo del trattamento sanzionatorio.

È evidente, infatti, come il sistema preclusivo contestato imponga un’anomala omologazione delle condotte commesse dai recidivi reiterati, nei confronti dei quali ogni comportamento sintomatico di una minore esigenza di trattamento, come, ad esempio, la condotta post delictum, risulta essenzialmente irrilevante sul piano sanzionatorio. Gli effetti indiretti dell’art. 99 comma 4 c.p. impediscono, appunto, di distinguere, di differenziare e, in ultima, di personalizzare il trattamento punitivo, con simultanea violazione dell’articolo 3 e dell’articolo 27 Cost.

In prima facie, quindi, il divieto oggetto della questione si rivela foriero di illegittime perequazioni, puramente funzionali ad avvalorare un’irrazionale presunzione di pericolosità sociale, ossia, per utilizzare le parole della stessa Corte costituzionale, una «alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti nella strutturazione della responsabilità penale tramite l’applicazione di pene identiche per violazioni di rilievo penale marcatamente diverso»[20].

Appurata la violazione dell’articolo 3 Cost., l’aporia con il tessuto costituzionale continua, in modo ancora più evidente, in relazione al diritto a non subire pene sproporzionate[21]. Il contrasto tra l’articolo 69 comma 4 c.p. e la proporzionalità della pena è, infatti, temporalmente risalente[22], incardinato in una contrapposizione più generale tra una pena orientata alla colpevolezza per il fatto e l’inasprimento sanzionatorio imposto dalla recideva. In argomento, va precisato che se l’inasprimento sanzionatorio – purché fondato su un’accertata maggiore colpevolezza – non appare ex se contrario al principio di proporzionalità[23], i suoi precipitati sul bilanciamento delle circostanze, spostando la parabola sanzionatoria su posizioni di sicurezza sociale, si rivelano intollerabili. Specificatamente contrari all’art. 27, comma 3, I e II parte, ossia al divieto di subire pene contrarie al senso di umanità, fonte costituzionale del principio di proporzionalità, e, anche allo stesso finalismo rieducativo[24]. Infatti, la sanzione fornita dal meccanismo censurato non appare parametrata sulla condotta colpevole effettivamente posta in essere, risultando, di conseguenza, priva di legittimazione in relazione alla lesione obiettivamente realizzata.

Del resto, il sistema qui contestato risulta anche incompatibile con la Raccomandazione del Consiglio d’Europa sull’armonizzazione delle prassi sanzionatorie, che vieta l’uso meccanico delle precedenti condanne per inasprire il trattamento sanzionatorio, senza che vi sia un’effettiva proporzione con la gravità del reato[25].

Inoltre, si potrebbe anche richiamare il rapporto tra l’istituto sottoposto al vaglio di costituzionalità e un diritto penale improntato ai principi di materialità e offensività. Se, sul punto, la questione si riconnette ad un ampio e sfaccettato dibattito a cui si rimanda[26], in merito al petitum individuato nell’ordinanza si potrebbero comunque intravedere ulteriori distonie. Il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti e il conseguente irrigidimento normativo potrebbero, infatti, rivelarsi forieri di una sanzione illegittimamente incurvata su posizioni soggettivistiche anziché, come richiesto dalla trama costituzionale, oggettivistiche.

Infine, il divieto si contrappone anche con stessa ratio delle circostanze: se gli accidentalia delicti sono un istituto funzionale a garantire un «giudizio di valore globale del fatto»[27], ossia una più puntuale individualizzazione della responsabilità penale, con una conseguente più accorta modulazione del trattamento sanzionatorio[28], appare evidente come il divieto di prevalenza sia portatore di un’insanabile contraddizione.

Conclusivamente, risulta chiaro come gli automatismi punitivi ledano la trama costituzionale, soprattutto quando impongano non solo la prevalenza di una valutazione retrospettiva, ma anche un sistema di omologazione punitivo foriero di gravi squilibri sanzionatori[29]. Conservare tale sistema, e segnatamente il divieto di prevalenza delle circostanze generiche sulla recidiva reiterata, equivale a legittimare un diritto penale, ancora, reconditamente, legato ad impostazioni “d’autore” ed a una legislazione simbolica[30], ove il recidivo è, indipendentemente da qualsiasi altra circostanza personale e una riconsiderazione critica del proprio operato, soggetto ad un automatico incremento sanzionatorio.

5. Conclusioni. – La Corte costituzionale è, quindi, chiamata a ristabilire piena discrezionalità giudiziale nella fase di determinazione del trattamento sanzionatorio, superando opinabili automatismi.

Richiamando le rationes decidendi individuate dalla giurisprudenza costituzionale, al Giudice delle leggi è, infatti, richiesto di censurare l’illegittimità di abusive presunzioni iuris et de iure che, come nel caso di specie, non solo si pongono in aperto contrasto con plurimi principi costituzionali, ma generano, da una parte, un’ampia divaricazione tra la pena base prevista per il reato non circostanziato e quella risultante dall’applicazione dell’attenuante, dall’altra, accomunano condotte marcatamente diverse violando il carattere personale della responsabilità penale.

Segnatamente, il sistema preclusivo comporterebbe, per l’imputato del giudizio a quo, l’irrogazione una pena – già ridotta in virtù della scelta processuale – di anni tre, mesi quattro, anziché di anni due, mesi due di reclusione, e, quindi, neppure sostituibile con il lavoro di pubblica utilità; lo accomunerebbe a soggetti sostanzialmente passivi nel post delictum, non prendendo in considerazione il tentativo infruttuoso di riparazione e, infine, lo sottoporrebbe ad un ingiustificato e sproporzionato aggravamento del trattamento sanzionatorio, costruito sullo status soggettivo e non sul fatto commesso.

Ebbene, l’eventuale accoglimento della questione eviterebbe l’irrogazione di una sanzione puramente retrospettiva, incapace di parametrarsi sull’intrinseca offensività della condotta, strutturalmente guasta dacché non adatta a differenziare e, quindi, a personalizzare la sanzione.

Si tratta perciò di capire se il processo di consunzione dell’articolo 69 comma 4 c.p. sia, effettivamente, arrivato ad un definitivo sviluppo teso a garantire, ancora una volta, una pena costituzionale anche a chi ha già subito un infruttuoso trattamento.

*Dottorando di ricerca in Diritto penale presso l’Università degli Studi di Parma

[1] F. Rocchi, La recidiva tra colpevolezza e pericolosità. Prospettive d’indagine nel sistema penale integrato, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2020, 195 e Corte cost., sentenza del 5 giugno 2007 n. 192.

[2] Corte cost., sentenza 14 giugno 2007 n. 192 ove la Corte afferma come «la recidiva pluriaggravata e la recidiva reiterata rappresentano mere “species” della figura generale delineata dal primo comma dell’art. 99 cod. pen.: il che implicherebbe che la struttura della recidiva resti quella – indubbiamente facoltativa – ivi contemplata, limitandosi i commi successivi a derogare alla relativa disciplina solo in relazione all’entità degli aumenti di pena»; sul punto anche R. Bartoli, Lettura funzionale e costituzionale della recidiva e problemi di razionalità del sistema, in Scritti in onore di Alfonso M. Stile, (a cura di) A. Castaldo–V. De Francesco–M. Del Tufo–S. Manacorda–L. Monaco, Napoli, Editoriale Scientifica, 2013, 419-421.

[3] Corte cost., ordinanza 30 novembre 2007, n. 409.

[4] Come chiarito in Corte cost., sentenza del 15 giugno 2023, n. 120, ove la Corte chiaramente afferma che «per analoghe ragioni non è pertinente quanto la difesa statale ha eccepito nel giudizio promosso dal Tribunale di Roma riguardo alla facoltatività dell’applicazione della recidiva, deduzione che sembra alludere a un esercizio della discrezionalità del giudice per fini diversi da quelli propri dell’istituto».

[5] Per una trattazione completa sulle discrasie tra effetti diretti ed indiretti della recidiva, soprattutto in merito al divieto di prevalenza ex art. 69 comma 4, si rinvia a R. Bartoli, Op. cit., 410.

[6] E.M. Ambrosetti, Recidiva e discrezionalità giudiziale, in AA.VV, Studi in onore di Mario Romano, II, Napoli, 2011, 689 s.

[7] A. Vallini, voce Circostanze del reato, Dig. disc. pen., I, Torino, UTET, 2000, 48.

[8] Così Corte cost. ordinanza 4 aprile 2008 n. 91.

[9] E.M. Ambrosetti, Recidiva e recidivismo, Padova, CEDAM, 1997, 80-92.

[10] In particolare: Corte cost., sentenza 5 novembre 2012, n. 251; Corte cost., sentenza 14 aprile 2014, n. 105; Corte cost., sentenza 14 aprile 2014, n. 106; Corte cost., sentenza 7 aprile 2016, n. 74 Corte cost., sentenza 17 luglio 2017, n. 205; Corte cost., sentenza 17 aprile 2019 n. 88; Corte cost., sentenza 24 aprile 2020, n. 73; Corte cost., sentenza 9 marzo 2021, n. 55; Corte cost., sentenza 8 luglio 2021, n. 143; Corte cost. sentenza 12 maggio 2023, n. 94; Corte cost., sentenza del 15 giugno, 2023, n. 120; Corte cost., sentenza 11 luglio 2023, n. 141; Corte cost. sentenza 25 ottobre 2023, n. 201.

[11] M. Lombardo, voce Recidiva (Rimodulata dalla Corte costituzionale), in Dig. disc. pen., XIII, Torino, UTET, 2021 614.

[12] G. De Vero, Circostanze del reato e commisurazione della pena, Milano, Giuffrè, 1983, 242.

[13] Corte cost., sentenza 5 novembre 2012, n. 251.

[14] Corte cost., sentenza 24 aprile 2020, n. 73.

[15] Corte cost., sentenza 9 marzo 2021, n. 55.

[16] Corte cost., sentenza 18 aprile 2023, n. 94.

[17] Corte cost., sentenza 11 luglio 2023, n. 141.

[18] Sul punto si richiama Corte cost., sentenza 10 ottobre 2023, n. 197, ove la Corte espressamente riconosce come «alle attenuanti generiche compete piuttosto l’essenziale funzione di attribuire rilevanza, ai fini della commisurazione della sanzione, a specifiche e puntuali caratteristiche del singolo fatto di reato o del suo autore – non tipizzabili ex ante dal legislatore in ragione della loro estrema varietà, e diverse da quelle che già integrano ipotesi “nominate” di attenuazione della pena – che connotano il fatto di un minor disvalore, rispetto a quanto la conformità della condotta alla figura astratta del reato lasci a prima vista supporre», in un’ottica «di equità e di umana “compassione” nei confronti dell’autore del reato».

[19] Ratio decidendi di Corte cost., sentenza 7 aprile 2016, n. 74; Corte cost. sentenza 25 ottobre 2023, n. 201.

[20] Corte cost., sentenza 12 maggio 2023, n. 94.

[21] Sul principio di proporzionalità, inteso come diritto fondamentale, ossia come limite costituzionalmente imposto alla discrezionalità del legislatore, si rinvia a F. Viganò, La proporzionalità della pena. Profili di diritto penale e costituzionale, Torino, G. Giappichelli Editore, 2021, 224-230.

[22] Lo evidenziava già G. Insolera, Una nuova grammatica costituzionale, in AA.VV., La legislazione penale compulsiva, G. Insolera (a cura di), Padova, CEDAM, 2006, 36; ed E. Dolcini, La recidiva riformata. Ancora più selettivo il carcere in Italia, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, 543.

[23] F. Viganò, Op. cit., 191.

[24] Dacché non sarebbe necessario reiterare in forma aggravata il «percorso di appropriazione o riapprovazione dei valori costituzionali da parte del reo», V. Manes, Introduzione ai principi costituzionali in materia penale, Torino, Giappichelli, 2024, 213.

[25] Recommendation No. R (92) 17 of the committee of minister to member states concerning consistency in sentencing, adottata il 19 ottobre 1992; ove viene chiarito come: «D1. Previous convictions should not, at any stage in the criminal justice system, be used mechanically as a factor working against the defendant.

D2. Although it may be justifiable to take account of the offender’s previous criminal record within the declared rationales for sentencing, the sentence should be kept in proportion to the seriousness of the current offence(s)».

[26] Sul tema, più generale, del rapporto tra offensività e circostanze del reato si rinvia principalmente ad A. Melchionda, Le circostanze del reato. Origine, sviluppo e prospettive di una controversa categoria penalistica, Padova, CEDAM, 2000, 568s, 646-654; nonché a F. Basile, Commento all’art 59- sub B) Circostanze, in Codice penale commentato, E. Dolcini–G. Marinucci (a cura di), vol. I., III ed., Milano, IPSOA, 2011, 1036-1059; R. Borgogno, Criteri di distinzione fra elementi costitutivi e circostanze del reato in una recente pronuncia delle Sezioni unite penali, in Giur. it., n. 2, 1° febbraio 2004, 382.

[27] Corte cost., sentenza 7 febbraio 1985 n. 38.

[28] Così S. Canestrari-L. Cornacchia-G. De Simone, Manuale di diritto penale, Pt. g.2, Bologna, Il Mulino, 2017, 854.

[29] I. Merenda, Le circostanze del reato tra prevenzione generale e speciale, Torino, G. Giappichelli Editore, 138, 151.

[30] E. Dolcini, Op. cit., 543 s.; M. Ronco, La liberazione dalla recidiva nel giudizio di cognizione, in Arch. Pen., 2021, n. 1, 7-8.