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L’INTERESSE DEL MINORE “STELLA POLARE” PER IL GIUDIZIO DEL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA:  INCOSTITUZIONALE L’IMPOSSIBILITÀ DI UNA VALUTAZIONE ANTICIPATA PER L’APPLICAZIONE DELLA DETENZIONE DOMICILIARE SPECIALE – DI STEFANIA AMATO

L’INTERESSE DEL MINORE “STELLA POLARE” PER IL GIUDIZIO DEL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA: INCOSTITUZIONALE L’IMPOSSIBILITÀ DI UNA VALUTAZIONE ANTICIPATA PER L’APPLICAZIONE DELLA DETENZIONE DOMICILIARE SPECIALE – DI STEFANIA AMATO

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L’INTERESSE DEL MINORE “STELLA POLARE” PER IL GIUDIZIO DEL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA: INCOSTITUZIONALE L’IMPOSSIBILITÀ DI UNA VALUTAZIONE ANTICIPATA PER L’APPLICAZIONE DELLA DETENZIONE DOMICILIARE SPECIALE.

di Stefania Amato* 

Corte Costituzionale, sentenza n. 30/2022 – Udienza Pubblica 11.1.2022, depositata il 3.2.2022. Detenzione domiciliare speciale ex art. 47-quinquies L. 354/75: dichiarata costituzionalmente illegittima, per violazione dell’art. 31 Cost., la mancata previsione dell’applicazione provvisoria della misura.

Sommario. 1. Il caso e l’ordinanza di rimessione. – 2. La decisione: ricognizione delle fattispecie di detenzione domiciliare previste a tutela dei figli minori dei condannati. – 3. Il focus sull’interesse del minore e il meccanismo della decisione anticipata. – 4. Considerazioni conclusive.

1. Il caso e l’ordinanza di rimessione.

Secondo Milan Kundera «I bambini sono senza passato ed è questo tutto il mistero dell’innocenza magica del loro sorriso».

Preservare quell’innocenza e, in generale, proteggere il minore garantendo che il suo interesse sia posto al centro dell’agire giudiziale e, prima ancora, della formazione delle norme che il minore coinvolgono, costituisce scopo primario, ribadito dalla Consulta nella sentenza n. 30 del 2022.

Intervenendo sull’Ordinamento Penitenziario, la pronuncia scioglie il nodo di due passati a confronto: quello evanescente del minore, piccolo essere che si crea e cerca spazio nel mondo, e quello del genitore, complicato da una condanna penale che lo allontana e lo inabilita, nel concreto, alla cura, all’educazione, alla presenza nella vita del bambino.

Il magistrato di sorveglianza di Siena si trovava investito di un’istanza di applicazione della detenzione domiciliare speciale prevista dall’art. 47-quinquies della Legge 26 luglio 1975, n. 354, laddove, com’è noto, la legge non ne contempla l’applicazione nella forma provvisoria come invece consentito dall’art. 47-ter, comma 1-quater per la detenzione domiciliare ordinaria.

Il caso è quello di un uomo, padre di due figlie minori nate nel 2006 e nel 2011, che deve espiare una reclusione superiore ad anni 4, per delitti non ostativi, ed ha scontato più di un terzo di pena.

Ai sensi del comma 7 dell’art. 47-quinquies, la misura alternativa della detenzione domiciliare può essere concessa, alle stesse condizioni previste per la madre (presenza di figli minori di anni dieci), «anche al padre detenuto, se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare la prole ad altri».  Nel nostro caso il condannato deduce che la madre delle minori è affetta da gravissima malattia che le impone terapie invalidanti, non le consente di occuparsi compiutamente delle minori e non vi sono parenti o altri soggetti cui affidarle. Considerate anche le restrizioni connesse all’emergenza sanitaria e le problematiche di natura economica del nucleo familiare, la situazione pare integrare quel «grave pregiudizio derivante al condannato dal protrarsi dello stato detentivo» necessario ai fini di una pronuncia in via d’urgenza del magistrato di sorveglianza, pronuncia che consentirebbe di provvedere tempestivamente a una valutazione del caso concreto senza attendere i tempi per la fissazione dell’udienza in camera di consiglio innanzi al tribunale di sorveglianza.

L’ordinanza del Magistrato di sorveglianza, su sollecitazione della difesa, solleva questioni di legittimità costituzionale dell’art. 47-quinquies O.P. in quanto, non prevedendo per la detenzione domiciliare speciale l’applicazione provvisoria consentita dall’art. 47-ter comma 1-quater O.P. per la detenzione domiciliare ordinaria, violerebbe gli artt. 3, 27, terzo comma, 30, 31 e 117, primo comma della Costituzione. In particolare, l’art. 3 è richiamato per l’irragionevolezza del diverso regime previsto per la detenzione domiciliare ordinaria e per quella speciale quanto alla possibilità di anticipazione del giudizio e della conseguente applicazione in via provvisoria della misura ad opera del giudice monocratico, prevista solo per la prima delle due. La violazione dell’art. 27, terzo comma Cost. deriva, secondo il remittente, dalla condizione di detenzione inumana in cui si viene a trovare il genitore di minore di anni dieci che sa il proprio figlio privo di assistenza. Sarebbero violati anche gli artt. 30 e 31 della Carta fondamentale per il pregiudizio in capo al minore e al rapporto parentale. Infine, è denunciata la violazione delle fonti sovranazionali che affermano la preminenza dell’interesse del minore: art. 3, paragrafo 1 della Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, nonché l’art. 24, paragrafo 2, della Carta fondamentale dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (CDFUE), come norme interposte dall’art. 117, primo comma Cost.

2. La decisione: ricognizione delle fattispecie di detenzione domiciliare previste a tutela dei figli minori dei condannati.

La sentenza prende atto, innanzitutto, della preliminare obiezione di inammissibilità per difetto di rilevanza sollevata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, intervenuta nel giudizio, fondata sulla carenza di motivazione dell’ordinanza di remissione quanto a un’indagine effettiva circa lo stato di salute della madre della minore infra decenne e l’assenza di altri congiunti che se ne possano occupare. L’obiezione è agevolmente superata osservando che le questioni in esame riguardano la sussistenza in astratto del potere cautelare del magistrato di sorveglianza e si collocano, quindi, in una fase logicamente anteriore a quella dell’esercizio concreto del potere medesimo e degli accertamenti di fatto ad esso funzionali. Peraltro, per costante giurisprudenza della Corte, per l’autonomia che lo caratterizza il giudizio incidentale di legittimità costituzionale non risente delle vicende di fatto successive all’ordinanza di rimessione, cosicché la rilevanza delle questioni deve essere vagliata ex ante, con riferimento al tempo della prospettazione; ciò consente di superare anche la dedotta carenza di utilità per il condannato, nel giudizio principale, della decisione sulla quaestio: era intervenuta, nelle more del giudizio davanti alla Consulta, ordinanza di rigetto dell’istanza di detenzione domiciliare da parte del tribunale di sorveglianza; la minore, inoltre, aveva compiuto i dieci anni, ma la Corte richiama l’art. 47-quinquies, comma 8 O.P. che prevede la possibilità per il condannato ammesso alla detenzione domiciliare speciale, al compimento del decimo anno di età del figlio, di chiedere la proroga del beneficio o l’ammissione all’assistenza esterna.

Passando all’esame del merito, la Corte, chiarito che il petitum deve intendersi delimitato ai commi 1, 3 e 7 dell’art. 47-quinquies, concernenti rispettivamente i requisiti di ammissione della madre alla detenzione domiciliare speciale, le competenze del tribunale e del magistrato di sorveglianza nell’applicazione e attuazione della misura e la concessione della stessa al padre in sostituzione della madre impossibilitata, dichiara la questione fondata con riferimento all’art. 31 della Costituzione: protezione dei minori. Lo fa prendendo le mosse da una disamina delle due forme di detenzione domiciliare previste dall’Ordinamento Penitenziario per ragioni collegate all’esigenza di preservazione del rapporto genitoriale: quella ordinaria contemplata dall’art. 47-ter, insieme ad altre forme di detenzione domiciliare applicabili per ragioni umanitarie, e quella speciale di cui all’art. 47-quinquies, che ha natura “sussidiaria” e “complementare” poiché, pur avendo quale fine la tutela del figlio in tenera età di persona condannata in via definitiva, esattamente come la detenzione domiciliare ordinaria, può trovare applicazione anche oltre il limite di pena residua da espiare previsto per la prima – quattro anni di reclusione – purché non sussista «un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti» e vi sia «la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli», al dichiarato scopo di provvedere alla cura e all’assistenza dei medesimi. Ulteriore requisito è che sia già intervenuta l’espiazione di almeno un terzo della pena o l’espiazione di almeno quindici anni nel caso di condanna all’ergastolo.

3. Il focus sull’interesse del minore e il meccanismo della decisione anticipata.

La Corte richiama la propria giurisprudenza, che ha ripetutamente sottolineato l’identità finalistica delle due specie di detenzione domiciliare (estese anche al caso di figlio ultra decenne gravemente invalido: sentenze nn. 18/2020 e 350/2003), incentrata sulla tutela dell’interesse dei minori in tenera età nel loro essenziale rapporto con i genitori, e ne ha progressivamente assimilato le discipline. Sono intervenute le sentenze n. 177/2009 e n. 211/2018 sul margine di tolleranza per gli allontanamenti ingiustificati, la n. 187/2019 che ha eliminato la preclusione triennale per l’accesso alla misura a seguito di revoca di altro beneficio, la n. 239/2014 che ha rimosso l’ostatività derivante dai titoli di reato di “prima fascia” ex art. 4-bis O.P..

Più volte, inoltre, la Corte ha ribadito il principio per cui l’interesse del minore può considerarsi recessivo rispetto alle esigenze di difesa sociale solo quando la sussistenza e la consistenza di queste sia verificata in concreto; non sono ammessi indici solo presuntivi, preclusioni o automatismi: il bilanciamento tra interesse del minore e protezione sociale va operato caso per caso.

Venendo alla questione specifica sollevata dal magistrato di sorveglianza di Siena, la sentenza affronta il meccanismo della decisione anticipata, da parte del giudice monocratico, sull’istanza di concessione della misura alternativa: meccanismo introdotto nell’Ordinamento Penitenziario con L. 27 maggio 1998 n. 165 (c.d. “legge Simeone – Saraceni”), poi modificato con il D.L. 1° luglio 2013 n. 78: l’art. 47-ter comma 1-quater prevede che nei casi in cui vi sia «un grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione», l’istanza di detenzione domiciliare, anziché al tribunale di sorveglianza – sia «rivolta al magistrato di sorveglianza che può disporre l’applicazione provvisoria della misura». Analoga disposizione non è prevista dall’art. 47-qiunquies O.P..

La Corte dichiara di non condividere gli assunti della difesa statale per i quali, da un lato, il diverso atteggiarsi del legislatore per le due ipotesi di detenzione domiciliare, pur accomunate, come si è visto, dall’identica finalità di tutela del minore, deriverebbe dal fatto che per la detenzione domiciliare speciale non è previsto un limite massimo di pena per l’accesso alla misura, con ciò dovendosi escludere una cognizione sommaria del giudice monocratico; dall’altro, il fatto che al beneficio sia consentito accedere dopo l’espiazione di almeno un terzo della pena comporterebbe una minor urgenza di provvedere, posto che il minore potrebbe aver già trascorso un lungo tempo lontano dal genitore.

Osserva la Corte che la “quota di espiazione preliminare” ha proprio la funzione di bilanciare il superamento del “tetto” dei quattro anni di reclusione: l’avvenuta espiazione di una parte consistente di pena (almeno un terzo o quindici anni in caso di ergastolo) offre al magistrato di sorveglianza il risultato di una consistente esperienza trattamentale della persona, fornendogli una ben definita base cognitiva sulla quale fondare il giudizio di bilanciamento tra interesse del minore, “stella polare” del suo giudizio ed eventuali esigenze di difesa sociale.

Non trova giustificazione, quindi, l’esclusione della possibilità di anticipare la concessione della detenzione domiciliare speciale, posto che il giudizio provvisorio del magistrato di sorveglianza reso possibile dall’allineamento delle discipline cui la Corte decide di accedere, pur sommario, gode di un’adeguata piattaforma cognitiva e, in ogni caso, soggiace ai limiti richiamati dal terzo periodo dell’art. 47-ter, comma 1-quater: le disposizioni dell’art. 47, comma 4 in tema di applicazione provvisoria dell’affidamento in prova al servizio sociale, possibile «quando sono offerte concrete indicazioni in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’ammissione» e «al grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione». Ciò conferma la natura cautelare dell’applicazione provvisoria della misura, dalla quale deriva, secondo la Corte, la possibilità della revoca anticipata da parte dello stesso organo monocratico qualora sopravvenienze di fatto contraddicano la prognosi favorevole già posta a base dell’ordinanza di concessione (viene citata Cass., sez. I penale, 19 dicembre 2018, n. 57540).

Vi è, in sostanza, un continuum procedimentale avviato dal provvedimento concessivo e sottoposto alla vigilanza costante dell’organo monocratico, il quale può anche disporre procedure di controllo con mezzi elettronici.

Da ultimo, la Corte richiama la sentenza n. 74/2020 con la quale è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 50, comma 6 O.P. nella parte in cui non consente al magistrato di sorveglianza di applicare in via provvisoria la semilibertà “surrogatoria” dell’affidamento in prova, laddove si sottolineava la negativa incidenza dell’«attesa dei tempi – fisiologicamente più lunghi – richiesti per la decisione del tribunale di sorveglianza». Tale incidenza assume una pregnanza particolare rispetto alla fattispecie in esame, in cui viene in rilievo il preminente interesse del bambino alle cure del genitore: la mancata previsione di una delibazione urgente è suscettibile di determinare l’ingresso del bambino in un istituto per minori nella non breve attesa della decisione collegiale e si pone come diniego normativo astratto, rapportato alla sola entità della pena in espiazione, cosi vulnerando «il favor per gli istituti di protezione del figlio in tenera età assicurato dall’art. 31, secondo comma Cost., da leggersi anche alla luce delle disposizioni internazionali e sovranazionali che ne arricchiscono e completano il significato (sentenza n. 187/2019)».

Ne deriva la dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 47-quinquies, commi 1, 3 e 7, della L. 354/1975, per violazione dell’art. 31 Cost., nella parte in cui non prevede che, ove vi sia un grave pregiudizio per il minore derivante dalla protrazione dello stato di detenzione del genitore, l’istanza di detenzione domiciliare può essere proposta al magistrato di sorveglianza, che può disporre l’applicazione provvisoria della misura, nel qual caso di applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’art. 47, comma 4 della medesima legge.

Restano assorbite, per la Corte, le questioni riferite agli altri parametri.

4. Considerazioni conclusive.

La sentenza si inscrive nel novero dei precedenti della Corte in materia di detenzione domiciliare speciale, proseguendo in un chiaro percorso di affrancamento da automatismi e preclusioni astratte che, com’è noto, ha ben più ampia portata nella giurisprudenza della Corte in materia di diritto penitenziario e non solo. Una decisione senz’altro prevedibile, in quest’ottica, che pur si segnala per la conferma di una peculiare e netta “scelta di campo”.

L’ultimo enunciato della decisione, che arresta l’esame delle violazioni denunciate all’art. 31 e ritiene assorbita, in particolare, la quaestio relativa all’art. 27 comma 3 Cost., induce una breve riflessione sulla gerarchia dei valori evidentemente posti alla base delle decisioni della Corte in subjecta materia: gerarchia, non bilanciamento, posto che, se è fuori discussione la preminenza conferita all’esigenza di tutela del bambino rispetto al bisogno di difesa sociale, quali interessi contrapposti, altrettanto evidente è l’evaporazione dei diritti del condannato detenuto al cospetto di quelli di suo figlio. La “stella polare” che deve guidare il giudizio del magistrato di sorveglianza, e che ispira, prima ancora, la decisione della Corte è l’interesse del minore, nel solco della sentenza n. 239 del 2014: la detenzione domiciliare speciale costituisce «una misura finalizzata in modo preminente alla tutela dell’interesse di un soggetto distinto [dal condannato] e, al tempo stesso, di particolarissimo rilievo, quale quello del minore in tenera età a fruire delle condizioni per un migliore e più equilibrato sviluppo fisio-psichico». Ne deriva che subordinare l’accesso alle misure alternative a particolari condizioni dettate dalla presunta pericolosità del condannato «può risultare giustificabile quando si discuta di misure che hanno di mira, in via esclusiva, la risocializzazione dell’autore della condotta illecita. Cessa, invece, di esserlo quando al centro della tutela si collochi un interesse “esterno” ed eterogeneo», quale quello del minore in tenera età (sentenza n. 239 del 2014; nello stesso senso, sentenze n. 174 del 2018 e n. 76 del 2017).

Nella successiva sentenza n. 76 del 2017, la Corte ha ribadito che l’istituto della detenzione domiciliare speciale, «è primariamente indirizzato a consentire l’instaurazione, tra madri detenute e figli in tenera età, di un rapporto quanto più possibile “normale” (sentenze n. 239 del 2014 e n. 177 del 2009). In tal senso, si tratta di un istituto in cui assume rilievo prioritario la tutela di un soggetto debole, distinto dal condannato e particolarmente meritevole di protezione, quale è il minore».

Eppure, da un lato, l’ordinanza di rimessione, pur in via sintetica, aveva evocato la “non umanità” di una reclusione connotata dall’impossibilità per il condannato di accedere alla misura domiciliare che lo riavvicini al figlio minore di anni dieci attraverso una decisione immediata del magistrato; dall’altro il condannato stesso, costituitosi nel giudizio di legittimità costituzionale, aveva evidenziato che, per la medesima sentenza n. 76 del 2017 della Corte, § 2.2 Considerato in diritto, anche la detenzione domiciliare speciale (come tutte le diverse forme della misura) «partecipa della finalità di reinserimento sociale del condannato» – cfr. sent. n. 239 del 2014, n.99 del 2019 e 32 del 2020, § 4.4.2 Considerato in diritto, ove si afferma che «la detenzione domiciliare, nelle sue varie forme»…. è caratterizzata «anche da un’accentuata vocazione rieducativa, che si esplica in forme del tutto diverse rispetto a quella che pure connota la pena detentiva».

Occorre prendere atto, invece, che nella decisione che si è qui voluto brevemente riassumere non hanno trovato spazio né la considerazione della particolare afflittività della detenzione del genitore di minore che sia privo figure parentali prossime che se ne possano assumere la cura, né il fatto che i riferimenti familiari costituiscano uno degli elementi fondanti il programma trattamentale del condannato. Del resto quel che viene in rilievo è il rapporto genitore – figlio, quella relazione bifronte che vede in capo al primo diritti e doveri, oltre a sentimenti radicali, non accantonabili nello stato di detenzione. Aspetti forse immeritatamente trascurati per il ritenuto assorbimento dei profili della umanità della pena e della finalità rieducativa nella questione accolta.

*Avvocato del Foro di Brescia