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MAE E SUCCESSIONE DI LEGGI PENALI: SECONDO LA CGUE I REQUISITI PER LA CONSEGNA SI VALUTANO IN BASE ALLA LEGGE APPLICABILE AL FATTO

MAE E SUCCESSIONE DI LEGGI PENALI: SECONDO LA CGUE I REQUISITI PER LA CONSEGNA SI VALUTANO IN BASE ALLA LEGGE APPLICABILE AL FATTO

La Grande Sezione della Corte di giustizia UE, con sentenza del 3 marzo 2020, ha affermato che l’articolo 2, paragrafo 2, della decisione quadro relativa al mandato d’arresto europeo esige che – al fine di verificare se il reato per il quale è stato emesso un mandato d’arresto europeo sia punito dallo Stato membro emittente con una pena o una misura di sicurezza privative della libertà di durata massima non inferiore a tre anni, come definita dalla legge di tale Stato membro – l’autorità giudiziaria dell’esecuzione debba prendere in considerazione la legge dello Stato membro nella versione applicabile ai fatti che hanno dato luogo al procedimento nell’ambito del quale è stato emesso il mandato d’arresto europeo, e non nella versione in vigore al momento dell’emissione di tale mandato d’arresto.

Si ringraziano per la stesura della nota di commento Chiara Amalfitano, Professore Ordinario di Diritto dell’Unione europea, Università degli Studi di Milano, componente dell’Osservatorio Europa dell’Unione Camere Penali Italiane, e Matteo Aranci, dottorando di Diritto dell’Unione europea, Università degli Studi di Milano.

Mandato d’arresto europeo e successione di leggi penali: secondo la Corte di giustizia, i requisiti per la consegna si valutano in base alla legge applicabile al fatto.
di Chiara Amalfitano e Matteo Aranci

Corte giust., sent. 3 marzo 2020, causa C-717/18, X (Mandat d’arrêt européen – Double incrimination), ECLI:EU:C:2020:142.

  1. Con la sentenza del 3 marzo 2020, resa nella causa C-717/18, la Corte di giustizia si è soffermata su un quesito pregiudiziale sottopostole dalla Corte d’appello di Gand (Belgio), in merito all’art. 2, par. 2, della decisione quadro 2002/584/GAI (in seguito, DQ) che istituisce e disciplina, come noto, il mandato d’arresto europeo (MAE). In particolare, tale disposizione prevede che – qualora la richiesta sia stata emessa in relazione a una delle trentadue ipotesi di reato ivi elencate – il giudice dell’esecuzione debba provvedere alla consegna senza poter verificare il requisito della doppia incriminazione a patto che nello Stato membro di emissione, il fatto sia punito con una pena massima non inferiore a tre anni di reclusione. La Corte di giustizia era stata adita, in via pregiudiziale, per chiarire se lo scrutinio circa la soglia dell’edittale massimo andasse compiuto avendo riguardo alla legge vigente al tempo del processo o a quella che, per effetto di modifiche medio tempore intervenute, fosse invece applicabile al reato de quo al momento dell’emissione del MAE.
  2. Il caso in esame riguarda la vicenda di un soggetto (il signor X) che, negli anni 2012-2013, ha composto, registrato e diffuso online talune canzoni rap. In relazione a questi fatti, costui è stato condannato, nel 2017, dall’Audiencia Nacional di Madrid (con una sentenza divenuta definitiva nel 2018, a seguito del rigetto del ricorso dinanzi alla Corte Suprema) alle pene che seguono: due anni di detenzione per apologia del terrorismo e per denigrazione delle vittime di tali fatti (artt. 578 e 579 c.p.); un anno di detenzione per diffamazione della Corona (art. 490, c. 3, c.p.); infine, sei mesi di detenzione per il reato di minaccia (art. 169, c. 2, c.p.).
    Per il delitto di apologia del terrorismo, il giudice iberico aveva impiegato le cornici edittali vigenti al tempus commissi delicti: al momento del fatto, in base agli artt. 578 e 579 c.p., la pena massima irrogabile era pari a due anni di detenzione (la sanzione irrogata, dunque, era quella massima). Queste disposizioni sono state modificate in peius nel 2015, anno in cui la pena massima, per il reato in esame, è passata da due a tre anni di reclusione; in ossequio al principio di legalità, il nuovo quadro sanzionatorio non è stato applicato, in quanto sopravvenuto e peggiorativo rispetto a quello previsto ab origine.
    Prima dell’esecuzione della pena, il condannato ha lasciato il territorio spagnolo e si è trasferito in Belgio, ove è stato “raggiunto” da un MAE. Il Tribunale belga competente ha rifiutato di eseguire il MAE, in quanto è stato ritenuto che il reato previsto dagli artt. 578 e 579 c.p. non potesse inquadrarsi nella nozione di “terrorismo”, uno dei reati elencati dall’art. 2, par. 2, DQ Per gli ulteriori illeciti (non elencati dalla disposizione predetta), il giudice belga ha ritenuto non soddisfatto il requisito della doppia incriminazione, quale motivo facoltativo invocabile, ai sensi della DQ, per rifiutare la consegna.
    Avverso tale decisione, è stata proposta un’impugnazione da parte della Procura generale, la quale ha rilevato che gli artt. 578 e 579 c.p. corrispondessero di fatto ad una previsione pressoché analoga vigente nella legislazione belga, adottata proprio al fine di dare applicazione alla DQ: ad avviso dell’organo requirente, quindi, il ricercato poteva – e doveva – esser consegnato alle autorità spagnole.
    La Corte d’appello di Gand, chiamata a pronunciarsi sul ricorso, ha manifestato alcuni dubbi in relazione all’esatta interpretazione da fornire all’art. 2, par. 2, DQ: se si esige che i reati ivi menzionati diano luogo a consegna – anche in assenza di doppia incriminazione – soltanto se la pena della reclusione prevista nello Stato emittente sia non inferiore, nel massimo, a tre anni, questa soglia risulta integrata soltanto se si considera l’edittale dell’art. 578 c.p. spagnolo come modificato nel 2015. Novella che, però, è entrata in vigore dopo la commissione dei fatti e che dunque non è stata considerata nello svolgimento del processo e al fine della comminazione della pena.
    Il giudice belga ha a questo punto sospeso il procedimento per sottoporre alla Corte di giustizia due quesiti inerenti all’esatta interpretazione dell’art. 2, par. 2, DQ: ovvero, se questa disposizione consenta che lo scrutinio circa la soglia dei tre anni sia effettuata secondo la legge penale vigente al momento dell’emissione del MAE e non in base a quella applicata nel processo, specie qualora tale nuova legge preveda un trattamento più severo per il medesimo reato.
  3. Due sono gli orientamenti emersi dalle difese scritte e orali presentate dagli intervenuti, ben ricapitolate nelle conclusioni dell’avvocato generale Bobek, del 26 novembre 2019. Da un lato, si può far riferimento alla legge applicata ai fatti e, quindi, nel processo (opzione sostenuta dalla difesa del signor X nonché dalla Commissione e dall’Avvocato generale); dall’altro lato, se le norme in tema di esecuzione sono governate, nel loro susseguirsi, dal noto principio per cui tempus regit actum, allora è possibile riferirsi ai parametri vigenti all’emissione del MAE (tesi preferita dai governi intervenuti, sia belga sia spagnolo, sia dal rappresentante della Procura generale belga).
    In assenza di un chiaro referente normativo di ordine letterale all’interno della DQ, come rilevato dall’avvocato generale, entrambe le argomentazioni possono prospettarsi, ma la scelta si deve fondare su elementi di carattere sistematico e teleologico (pt. 21).
    In primo luogo (pt. 50 ss.), come osservato dall’avvocato generale, dalla lettura dell’art. 8, par. 1, DQ e del modello allegato (che le autorità giudiziarie impiegano nella loro diretta relazione ai fini della consegna), si ricava che, ai fini della validità del MAE, debbano essere fornite informazioni sulle circostanze concrete in cui il fatto è stato commesso, sulla natura e qualificazione della fattispecie nonché sulle ragioni per cui è stata inflitta una specifica pena, tenuto conto della cornice edittale prevista per il singolo illecito al momento in cui il processo si è svolto. Non avrebbe senso, ad avviso dell’avvocato generale, richiedere all’autorità emittente l’indicazione di dati che si riferiscano in parte alla legge applicabile e in parte, invece, alla normazione sopravvenuta, dovendosi ritenere la prima quella rilevante ai fini del MAE.
    Ulteriori elementi a sostegno della tesi in esame sono stati avanzati dall’avvocato generale (pt. 71 ss.), anche allo scopo di replicare alla diversa impostazione proposta dai governi intervenuti.
    In primo luogo, se si àncora il giudizio sui requisiti previsti dall’art. 2, par. 2, DQ alla legge applicata nel processo, si offre un quadro di stabilità e prevedibilità ben maggiore nel contesto del funzionamento dell’istituto: adottata la diversa impostazione, il contesto giuridico sotteso al MAE diverrebbe eccessivamente mobile e potrebbe essere esposto a cambiamenti, nonché ad interventi normativi adottati dal legislatore al solo fine – marcatamente politico – di ottenere la consegna di un ricercato.
    Inoltre, non possono essere condivise – ad avviso dell’avvocato generale – le valutazioni in senso contrario dei governi intervenuti: se pur è vero che la DQ ha lo scopo di semplificare e favorire la cooperazione giudiziaria, tale fine non può, di per sé, giustificare che, onde consentire la maggior circolazione possibile delle decisioni giudiziarie, sia assunta a parametro di riferimento la legislazione vigente al tempo dell’emissione del MAE.
    Ostano, ad un simile approccio, ulteriori considerazioni, che si possono compendiare come segue. In primo luogo, la DQ sul MAE si fonda (anche) sul necessario rispetto dei diritti fondamentali e delle garanzie procedurali di cui il ricercato gode: perciò, l’esigenza di assicurare efficacia nella consegna non è un valore assoluto, bensì soggiace a talune limitazioni, tra cui si segnalano, appunto, quelle in punto di protezione del soggetto interessato dal provvedimento.
    In secondo luogo, non deve confondersi l’efficacia del caso concreto (individuale) con quella dell’intero strumento cooperativo (strutturale): ai fini di una corretta ed equilibrata applicazione del sistema del MAE, pare preferibile che questo sia ancorato ad un dato normativo stabile, quale è, necessariamente, quello della legge applicabile al tempo del processo, ormai celebratosi e concluso.
    Le conclusioni dell’avvocato generale contengono, in calce alle argomentazioni già spese e qui sintetizzate, una riflessione sul rapporto tra i quesiti esaminati e il principio di legalità: punto che è stato sollevato dalle difese dell’interessato e, di conseguenza, affrontato dalle altre parti in udienza (pt. 92 ss.).
    In proposito, sia l’avvocato generale, sia i governi intervenuti ritengono che alla disciplina del MAE non si debba applicare il principio del nullum crimen, nulla poena sine lege, comune agli ordinamenti nazionali e, a livello europeo, sancito a chiare lettere dall’art. 49 CdfUE. Esso, infatti, si riferisce soltanto agli elementi costitutivi del reato e alle rispettive previsioni in punto di pena: il principio osta alla condanna per un fatto non previsto, al tempo della sua consumazione, come illecito penale o all’irrogazione di una pena più severa rispetto a quella originariamente delineata dalla legge vigente al momento dei fatti. In tal senso, anche la giurisprudenza della Corte EDU pare orientata nel senso di escludere dall’alveo di tutela dell’art. 7 CEDU le disposizioni che riguardano le misure di esecuzione, le quali – anche ove siano, al tempo della loro applicazione, più severe di quelle ab origine vigenti – possono essere egualmente applicate, nella forma attuale, anche quando producano per l’interessato un trattamento esecutivo ispirato a maggior rigore. L’applicazione di strumenti esecutivi e di cooperazione internazionale sopravvenuti rispetto alla consumazione del fatto-reato per cui è stata irrogata la sentenza non è, ad avviso della Corte EDU, contraria al principio di legalità: si tratta di disposizioni di carattere eminentemente processuale, estranee all’ambito di tutela proprio dell’art. 7 CEDU (in tema, Corte EDU, 27.6.06, Szabó c. Svezia; 7.10.08, Monedero Angora c. Spagna).
    Peraltro, osserva ancora l’avvocato generale, il rapporto tra principio di legalità ed esecuzione del MAE era già stato affrontato dalla Corte di giustizia, la quale, nella sentenza Advocaten voor de Wereld (Corte giust., sent. 3.5.07, C-303/05) ha dichiarato che il fatto che l’art. 2, par. 2, DQ sopprima la verifica della doppia incriminazione non comporta una violazione del principio di legalità, poiché la definizione dei reati e delle pene applicabili continua a rientrare nella competenza dello Stato membro emittente.
    Di conseguenza, il principio di legalità non giocherebbe alcun ruolo nella decisione della Corte: quand’anche fosse adottata l’impostazione promossa dai governi intervenuti, nessuna lesione dell’art. 49 CdfUE si verificherebbe.
    Tuttavia, anche dalle riflessioni sin qui condotte, l’avvocato generale trae un interessante spunto a favore della tesi da egli sostenuta: il principio della certezza del diritto, di cui il nullum crimen è specifica declinazione in ambito sanzionatorio, suggerisce di ancorare il funzionamento di ogni meccanismo procedurale su regole e requisiti stabili e prevedibili. Risultato che sarebbe possibile realizzare se si adottasse l’orientamento proposto dall’avvocato generale, mentre il riferimento alla legislazione vigente al tempo dell’emissione del MAE potrebbe provocare oscillazioni e, dunque, un difetto di certezza.
  4. Con la sentenza in commento, la Corte di giustizia ha pienamente condiviso la posizione espressa dall’avvocato generale: l’itinerario argomentativo del giudice europeo, pur distinguendosi per brevità (l’analisi dei quesiti pregiudiziali occupa i pt. 16-43), ben pone in risalto i principali argomenti sulla cui base è doveroso affermare che il riferimento alla legge dello Stato emittente, ex art. 2, par. 2, DQ, concerne la disciplina applicata ai fatti oggetto del procedimento.
    Il giudice lussemburghese (pt. 19) rileva, al pari dell’avvocato generale, il difetto di una chiara indicazione espressa che consenta di trarre univoche conclusioni dalla lettura della disposizione della DQ. Né l’utilizzo di un verbo coniugato al tempo presente del modo indicativo nella formulazione della fonte normativa può, come invece osservato dai governi intervenuti, far sostenere che la DQ intenda riferirsi alla legge vigente all’emissione del MAE, in quanto l’impiego di tali formule verbali è propria, in via generale, di ogni legislazione.
    Di conseguenza, la soluzione del quesito impone il vaglio del complessivo contesto normativo, nonché degli obiettivi che l’atto di diritto derivato si pone di realizzare: necessari sono, quindi, spunti ermeneutici sistematici e teleologici (Corte giust., 25.1.17, C‑640/15, Vilkas, pt. 30).
    Un primo elemento in tal senso (pt. 22) viene tratto, da parte della Corte di giustizia, dalla lettura congiunta dei due paragrafi dell’art. 2 DQ Infatti, per quanto concerne l’emissione di un MAE a fini esecutivi, l’art. 2, par. 1, DQ prevede – come presupposto basilare e indefettibile – che questo possa essere adottato soltanto a fronte dell’irrogazione, in concreto, di una pena pari ad almeno quattro mesi di reclusione: se la sentenza di condanna è il termine di riferimento, è altrettanto logico che, ai fini dell’art. 2, par. 2, DQ, il parametro resti il medesimo, ovvero la legge che il giudice ha impiegato per determinare quella specifica sanzione.
    Un secondo argomento (pt. 28) a favore dell’impiego, come riferimento, della legge in concreto applicata si trae, come già l’avvocato generale osservava, dalla lettura dell’art. 8 DQ Quest’ultimo enuncia le informazioni che devono essere fornite dal giudice a quo affinché l’autorità richiesta possa valutare se accordare, o meno, la consegna. Se l’art. 8 si riferisce costantemente alla pena inflitta o prevista per il reato per il quale il ricercato è stato condannato, non avrebbe alcun senso riferirsi a due legislazioni differenti, ovvero quella sulla cui base si è pronunciato il giudice e quella poi entrata in vigore.
    Un terzo snodo argomentativo (pt. 34) si coglie osservando la finalità per cui la DQ è stata adottata, ovvero facilitare ed accelerare la cooperazione diretta tra le autorità giudiziarie. Se queste ultime fossero chiamate ad un continuo confronto tra le plurime legislazioni avvicendatesi nel tempo – essendo ben possibile che gli edittali previsti per una fattispecie mutino, ed anche più di una volta – potrebbe essere poco agevole, specie per l’autorità richiesta, individuare quale sia la norma da prendere a riferimento per verificare la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 2 D.Q. La legislazione impiegata dal giudice al tempo del processo è, in quest’ottica, l’unico punto fermo, in coerenza con quanto osservato sopra.
    Infine, la Corte osserva (pt. 38) – sia pur in modo molto più succinto rispetto a quanto abbia fatto l’avvocato generale – che ancorare lo scrutinio alla norma applicata nel procedimento penale, concluso con l’irrogazione della pena, conduce ad assicurare al sistema di consegna un assetto più stabile, a garanzia della prevedibilità delle decisioni giudiziarie: altrimenti, la decisione dell’autorità dell’esecuzione verrebbe a dipendere da circostanze eccessivamente mutevoli (e potenzialmente influenzate da esigenze politiche, quali la volontà di ottenere la consegna di un condannato ad ogni costo).
  5. In conclusione – e senza svolgere un’analisi accurata quanto al principio di legalità e alle sue potenziali interferenze con gli strumenti di cooperazione giudiziaria (tema affrontato invece dalle parti intervenute e, come visto, dall’avvocato generale) – la Corte di giustizia ha affermato, come peraltro era lecito attendersi, che i requisiti cui fa cenno l’art. 2, par. 2, DQ sono da riferirsi alla legge applicabile «ai fatti che hanno dato luogo al procedimento», ovvero quella in concreto impiegata dal giudice per irrogare e commisurare la pena. Il giudice lussemburghese ricorda, in ogni caso, che qualora il MAE non possa essere eseguito ex art. 2, par. 2, DQ, alla richiesta dell’autorità emittente si può dare seguito alla luce del criterio enunciato dall’art. 2, par. 4, DQ: quindi, ancorché il reato per cui è stata inflitta la condanna non soddisfi il requisito dei tre anni minimi di pena massima, la consegna del ricercato potrà avvenire previa verifica della doppia incriminazione (come previsto, nel caso di specie, dalla legge belga di trasposizione della DQ).

10.03.2020