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PRESUNZIONE DI PARZIALITÀ GIUDIZIALE  NEI REATI PLURISOGGETTIVI NECESSARI – DI MARCO CECCHI

PRESUNZIONE DI PARZIALITÀ GIUDIZIALE NEI REATI PLURISOGGETTIVI NECESSARI – DI MARCO CECCHI

CECCHI – PRESUNZIONE DI PARZIALITÀ GIUDIZIALE NEI REATI PLURISOGGETTIVI NECESSARI.pdf

PRESUNZIONE DI PARZIALITÀ GIUDIZIALE NEI REATI PLURISOGGETTIVI NECESSARI

JUDICIAL PRESUMPTION OF PARTIALITY IN NECESSARY CONCURRENCE CRIMES

di Marco Cecchi *

Corte d’appello di L’Aquila, 16 maggio 2024 (dep. 17 maggio 2024), Pres. Rel. Aldo Manfredi

Diritto processuale penale – Incompatibilità – Astensione – Ricusazione – Patteggiamento – Rinvio a giudizio – Ragionevole previsione di condanna – GUP – Fattispecie plurisoggettiva – Reato a concorso necessario – Effetto pregiudicante.

(artt. 3, 24, 111 Cost., 6 CEDU, 34, 37, 129, 444, 533 c.p.p. e 321 c.p.)

Il reato di corruzione è reato a concorso necessario, per il quale l’art. 321 c.p. si limita a dettare un diverso trattamento sanzionatorio per il corruttore, e da ciò deriva che indubbiamente la sentenza di patteggiamento per la posizione del corrotto ha forza pregiudicante [nei confronti altresì del corruttore]. […] Per l’imputato non coinvolto nel patteggiamento ricorre il pregiudizio per quanto attiene alla decisione del g.u.p. circa il suo possibile rinvio a giudizio”.

(massima redazionale)

È evidente che la valutazione di insussistenza di ragioni di proscioglimento per il corrotto, operata a norma dell’art. 444 c.p.p. in relazione all’art. 129 c.p.p., rischia di influire su quella della ragionevole previsione di condanna che il g.u.p. è chiamato a compiere all’esito dell’udienza preliminare”.

(massima redazionale)

Sommario: 1. La richiesta della difesa. – 2. L’ordinanza del giudice. – 3. La “forza pregiudicante” del precedente accertamento di merito nei reati a concorso necessario. – 4. Due obiter dicta sistematici.

1. La richiesta della difesa – Gli imputati avanzano istanza di ricusazione del g.u.p., poiché – in separato procedimento – tale giudice ha pronunciato sentenza di patteggiamento nei confronti di altro coimputato. In particolare, nell’ambito di una stessa vicenda corruttiva, il giudicante ha già deciso sulla posizione (patteggiata) del corrotto e si trova adesso a valutare, in sede di udienza preliminare, la posizione del presunto corruttore.

2. L’ordinanza del giudice – La Corte d’appello condivide il rilievo difensivo. Dopo aver evidenziato che la fattispecie di cui all’art. 321 c.p. configura un reato a concorso necessario, i giudici di seconde cure affermano linearmente che “la sentenza di patteggiamento per la posizione del corrotto ha forza pregiudicante” rispetto a una successiva pronuncia di merito sulla posizione del corruttore.

“Indubbiamente”, si precisa nell’ordinanza (richiamando Corte cost., sent. n. 371/1996), si è dinanzi a una causa di incompatibilità rilevante ex art. 34 c.p.p., nella misura in cui “non può partecipare al giudizio nei confronti di un imputato il giudice che ha pronunciato o concorso a pronunciare una sentenza nei confronti di altri soggetti, nella quale la posizione di quello stesso imputato in ordine alla sua responsabilità è stata comunque valutata”. E tale evenienza sicuramente si verifica ove ci si sia precedentemente espressi “nei confronti di concorrente necessario (così come ritenuto da Cass., Sez. un., 03.09.2014, n. 36847, Della Gatta)”.

Ebbene, nel caso del patteggiamento, “quale che sia la valutazione di merito e la sua portata, inevitabilmente essa tocca un fondamentale aspetto del giudizio: quello della responsabilità penale”. Anche solamente il vaglio compiuto ai sensi dell’art. 129 c.p.p. “è certamente [un] apprezzamento di merito, che porta a ritenere che allo stato vi è un quadro probatorio che esclude si possa affermare che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o che non è previsto dalla legge come reato” ovvero che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità, come recita la disposizione. È questo, in sostanza, ad avere un “effetto pregiudicante”; e, nei reati plurisoggettivi, “è evidente che per l’imputato [recte per il coimputato] non coinvolto nel patteggiamento ricorre il pregiudizio per quanto attiene alla decisione del g.u.p. circa il suo possibile rinvio a giudizio”. Tutto ciò vale a fortiori a seguito della riforma Cartabia, ché “comporta oggi una pregnante valutazione di merito e non meramente processuale, circa la ravvisabilità di elementi di prova che consentano di formulare una ragionevole previsione di condanna. Giudizio ancor più pregnante e impegnativo, dato che esso va formulato in rapporto a quanto previsto dall’art. 533 c.p.p., in ordine al princìpio dell’oltre ogni ragionevole dubbio”.

In ipotesi di corruzione, allora, “la valutazione di insussistenza di ragioni di proscioglimento per il corrotto, operata a norma dell’art. 444 c.p.p. in relazione all’art. 129 c.p.p., rischia di influire su quella della ragionevole previsione di condanna [nei confronti del corruttore], che il g.u.p. è chiamato a compiere all’esito dell’udienza preliminare”. Trattandosi di “posizioni sostanzialmente inscindibili”, trova piana applicazione l’insegnamento della Consulta (spec., sent. n. 371/1996) in materia di incompatibilità e ricusazione. Non serve sollevare una ulteriore questione di legittimità dell’art. 34 c.p.p., ma è sufficiente effettuare un’interpretazione costituzionalmente conforme della normativa: cui consegue l’accoglimento della domanda difensiva, con declaratoria di ricusazione.

3. La “forza pregiudicante” del precedente accertamento di merito nei reati a concorso necessario – Il punto saliente dell’ordinanza in commento si rinviene nel seguente assunto: nei reati plurisoggettivi necessari, “è evidente che per l’imputato [recte per il coimputato] non coinvolto nel patteggiamento ricorre il pregiudizio per quanto attiene alla decisione del g.u.p. circa il suo possibile rinvio a giudizio”.

A ben vedere, si è al cospetto di una chiara trasposizione al caso di specie di quanto affermato in Cass., Sez. un., 03.09.2014, n. 36847, Della Gatta[1] e in Corte cost., sent. n. 371/1996[2]. In tali arresti, infatti, si rinvengono tutti i passaggi logico-argomentativi essenziali che sono stati ripresi, e riadattati alla fattispecie, dalla Corte d’appello abruzzese. Ma, più in generale, può dirsi che i giudici di merito aquilani hanno fatto buon governo dei princìpi complessivamente affermati dalla giurisprudenza costituzionale in tema di incompatibilità[3], astensione e ricusazione. È dunque opportuno ripercorrere quelle che sono le linee di fondo consolidate in materia, giacché è a partire da tali direttrici che si può comprendere e apprezzare il decisum che annotiamo.

In proposito, lo stato dell’arte è stato da ultimo compendiato da Corte cost., sent. n. 93/2024[4]. In questo recente arresto viene magistralmente riportata quella che potremmo definire la ‘dottrina di costituzionalità’ relativa all’art. 34 c.p.p.

Secondo l’itinerario motivazionale di questa Doktrin Verfassungsmäßigkeit, “la disciplina sull’incompatibilità del giudice trova la sua ratio nella salvaguardia dei valori della terzietà e dell’imparzialità del giudice – presidiati dagli artt. 111, co. 2 e 117, co. 1 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU[5] [e all’art. 47 Carta di Nizza] – mirando a escludere che questi possa pronunciarsi condizionato dalla ‘forza della prevenzione’, cioè dalla tendenza a confermare una decisione o a mantenere un atteggiamento già assunto, derivante da valutazioni che sia stato precedentemente chiamato a svolgere in ordine alla medesima res iudicanda. È necessario che le funzioni del giudicare siano assegnate a un soggetto ‘terzo’, scevro di interessi propri che possano far velo alla rigorosa applicazione del diritto e anche sgombro da convinzioni precostituite in ordine alla materia su cui pronunciarsi.

Il censurato art. 34, co. 2 c.p.p. disciplina la incompatibilità orizzontale, attinente alla relazione tra la fase del giudizio e quella che immediatamente la precede. [Secondo] tale disposizione […] non può partecipare al giudizio il giudice che ha emesso il provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare o ha disposto il giudizio immediato o ha emesso decreto penale di condanna o ha deciso sull’impugnazione avverso la sentenza di non luogo a procedere. Essa è stata colpita, nel corso del tempo, da declaratorie di illegittimità costituzionale di tipo additivo, che hanno esteso l’operatività dell’istituto anche a ipotesi non espressamente contemplate.

[Negli anni, sono state indicate] quali siano le condizioni al ricorrere delle quali si possa configurare l’incompatibilità del giudice. [Si è] difatti affermato che, per ritener sussistente l’incompatibilità endo-processuale[6] del giudice, devono concorrere le seguenti condizioni:

a) [che] le preesistenti valutazioni cadano sulla medesima res iudicanda;

b) [che] il giudice sia stato chiamato a compiere una valutazione (e non abbia avuto semplice conoscenza) di atti anteriormente compiuti, strumentale all’assunzione di una decisione;

c) [che] quest’ultima abbia natura non formale, ma di contenuto: ovvero[sia] comporti valutazioni sul merito dell’ipotesi di accusa;

d) [che] la precedente valutazione si collochi in una diversa fase del procedimento.

[E,] ove s’afferma che il giudice non possa esprimersi più volte sulla medesima res iudicanda, deve intendersi per ‘giudizio’ ogni processo che, in base a un esame delle prove, pervenga a una decisione di merito: il giudizio dibattimentale, ma anche il giudizio abbreviato, l’applicazione della pena su richiesta delle parti, l’udienza preliminare e talora l’incidente di esecuzione, nonché il decreto penale di condanna[7].

All’interno di ciascuna delle fasi – intese come sequenze ordinate di atti che possono implicare apprezzamenti incidentali, anche di merito, su quanto in esse risulti, prodromici alla decisione conclusiva – va, in ogni caso, preservata l’esigenza di continuità e globalità, venendosi altrimenti a determinare una frammentazione del procedimento, che implicherebbe la necessità di disporre, per la medesima fase del giudizio, di tanti giudici diversi quanti sono gli atti da compiere[8]”.

Affianco all’“incompatibilità orizzontale”[9] (art. 34, co. 2 c.p.p.), sempre a tutela del principio del giudice terzo e imparziale (“connotato essenziale e necessario dell’esercizio di ogni giurisdizione”), come apprendiamo da Corte cost., sent. n. 91/2023, stanno poi l’“incompatibilità verticale”[10] (art. 34, co. 1 c.p.p.) e l’“incompatibilità per funzioni”[11] (art. 34, co. 3 c.p.p.): ipotesi che son “meglio definit[e]” della precedente, perché contenute in regole generali a carattere tassativo e non suscettibili di estensione analogica[12].

In effetti, a essere problematica – e soggetta a continui dubbi di (in)costituzionalità, da oltre un trentennio (v. Corte cost, sent. n. 496/1990) – è l’incompatibilità orizzontale, essendo la stessa “definita per singole fattispecie tipizzate” che gli studiosi e gli operatori del diritto tendono tuttavia “inevitabilmente” a comparare con “tante fattispecie non previste”, eppure altrettanto particolari, al fine di estendere la casistica in questione.

In tale prospettiva, per ordinare e al contempo arginare il fenomeno delle “innumerevoli combinazioni possibili tra le funzioni pregiudicanti e quelle pregiudicate” che si potrebbero far rientrare nell’alveo dell’art. 34 c.p.p., si è corso ai ripari.

Anzitutto, entro questa ‘relazione a due termini’[13] (i.e. funzione pregiudicante e funzione pregiudicata), si è “tracciata la linea di confine tra incompatibilità del giudice, da una parte, e astensione e ricusazione, dall’altra”. Si tratta – è stato detto – di un “sistema integrato”, ripartito nel senso che: “in caso di incompatibilità, l’atto o la funzione hanno di per sé un effetto pregiudicante, a prescindere dallo specifico contenuto dell’atto stesso o dalle modalità con cui la funzione è stata esercitata” – la valutazione di pregiudizialità è bell’e compiuta, in astratto; “invece, i casi di astensione o di ricusazione si ricollegano a situazioni pregiudizievoli per l’imparzialità della funzione di giudizio, che possono anche preesistere, e anzi normalmente preesistono, al procedimento o si collocano comunque al di fuori di esso – [stavolta] l’effetto pregiudicante è eventuale e deve quindi essere accertato in concreto […] con l’obbligo, per il giudice, della dichiarazione di astensione e con la facoltà, per le parti, di ricusar[e l’autorità giudicante] ove non adempia a tale obbligo”.

Siffatta “differenza categoriale”, a chiare lettere esplicitata dalle sentenze n. 306/1997, n. 307/1997 e n. 308/1997[14], comporta che quando la situazione che rende il giudicante non imparziale si verifica fuori da quel procedimento penale entrano in campo gli istituti della astensione o della ricusazione, mentre quando il pregiudizio è ricollegabile a funzioni esercitate nell’ambito del medesimo procedimento viene in gioco l’art. 34 c.p.p.[15].

A completamento della ricostruzione, soccorre poi una “quadruplice precisazione”[16]: data dalle “quattro condizioni” viste supra[17], al realizzarsi delle quali opera l’istituto de quo.

È questo il volto costituzionale dell’incompatibilità scolpito dalla Consulta, pronunciatasi una miriade di volte sulla tematica[18].

Per comprensibilissime ragioni legate all’umanità del giudizio[19], note almeno fin dai tempi di Bacone[20], la tutela del principio di “imparzialità-neutralità del giudice (in carenza del quale tutte le altre regole e garanzie processuali perderebbero di concreto significato”[21]) impone di evitare la “duplicità di giudizio di merito sullo stesso oggetto”[22]. E la Corte d’appello di L’Aquila ha ragionato, argomentato e deciso come “ben po’ chi [ne] sa dell’arte”[23]: muovendosi in piena confidenza coi dettami costituzionalistici concernenti l’art. 34 c.p.p.

Senza sollevare l’ennesima questione di legittimità[24], i giudici di seconde cure abruzzesi – interfacciatisi con un reato plurisoggettivo necessario (ipotesi criminosa in cui “la presenza di più soggetti agenti è elemento costitutivo della stessa fattispecie incriminatrice”[25]) – non hanno esitato a far operare “il divieto di cumulo di decisioni diverse sulla stessa materia, nella stessa persona investita del compito di giudicare”[26].

L’incompatibilità viene dichiarata con una linearità inferenziale talmente evidente da far azzardare un capovolgimento dell’impostazione giurisprudenziale tradizionale, che ritiene non scontata[27] l’operatività dell’art. 34 c.p.p. in presenza di reati plurisoggettivi necessari.

In questi frangenti, allorché è il legislatore stesso a pretendere comportamenti di più individui per la configurazione dell’illecito penale, potrebbe – anzi, dovrebbe – darsi quantomeno un ribaltamento dell’approccio abituale[28].

Dal punto di vista processuale, il pregiudizio per l’imparzialità del giudicante è da ritenersi sussistente sempre, fino a prova contraria, nelle ipotesi in cui i concorrenti nel medesimo fatto-reato vengano assoggettati a procedimenti penali distinti celebrati dinanzi allo stesso giudice. In virtù della peculiare caratteristica fenomenica delle fattispecie criminose plurisoggettive necessarie, processualmente parlando, è da invertire la presunzione di imparzialità; ovviamente, lasciando aperta la porta alla possibilità di provare che – nel caso in esame, per motivi che saranno tutti da spiegare[29] – l’impregiudicatezza è da ritenersi intatta.

Insomma: quando, in un’altra occasione procedimentale rispetto a quella ove si sta giudicando, si è bell’e giudicato nel merito la condotta di un concorrente necessario, occorre presumere che l’accertamento ivi compiuto “radic[hi] un pericolo di pregiudizio suscettibile di influire”[30] sulla decisione – anche questa di merito – che deve ora esser presa nei confronti di un altro concorrente necessario del medesimo fatto-reato plurisoggettivo.

La “valutazione contenutistica dell’ipotesi accusatoria”[31] in una vicenda plurisoggettiva necessaria[32] costituisce ictu oculi una “situazione [di per sé] pregiudicante”[33], sicché in sedi/momenti accertativo-processuali differenti “non può essere lo stesso giudice che ha già compiuto una così incisiva valutazione di merito”[34] a giudicare nuovamente nel merito, a meno che non si dia prova che – in concreto – non v’è pericolo né per l’imparzialità né per la terzietà, intesa “come modo d’essere della giurisdizione nella sua oggettività”[35].

4. Due obiter dicta sistematici – In chiusura, dopo averne pure azzardato una lettura accrescitiva, ci permettiamo di condividere totalmente l’arresto qua segnalato.

Riteniamo invero apprezzabili sia l’excursus svolto sul problema dell’incompatibilità (in coerenza con la ‘dottrina di costituzionalità relativa all’art. 34 c.p.p.’ – v. supra, par. 3) sia due altre puntualizzazioni, riguardanti patteggiamento e udienza preliminare, che assumono valenza di obiter dicta sistematici.

Soffermiamoci, brevissimamente, sulle considerazioni che la Corte d’appello – non allontanandosi comunque dall’intento di garantire l’“obiettività della funzione del giudicare”[36] – riserva al vaglio giudiziale da compiere, rispettivamente, i) ai sensi dell’art. 129 c.p.p., sull’istanza ex art. 444 c.p.p. e, ii) ai sensi degli artt. 408 e 425 c.p.p., sulla richiesta di rinvio a giudizio.

Sul primo tipo di valutazione, viene ammesso che “è certamente [un] apprezzamento di merito” perché una simile disamina “inevitabilmente tocca un fondamentale aspetto del giudizio: quello della responsabilità penale”. Resta dunque “l’indefettibilità di una cognizione nel merito”[37] anche nel patteggiamento. Il c.d. “accertamento incompleto su consenso dell’imputato” non esclude – non può costituzionalmente escludere – la verifica giurisdizionale, ma semplicemente “attenua l’onere della prova in capo al pubblico ministero” e autorizza una “valutazione [accertativa] di intensità minore, che però deve necessariamente essere effettuata” (i.e. quella, “essenzialmente negativa [e consecutiva al riscontro dei presupposti che legittimano tale rito speciale], della non esistenza di una causa di non punibilità”)[38]. Tanto basta per attribuire effetto pregiudicante al pronunciamento sulla pena negoziata e a rendere chi ha deciso incompatibile ad assumere altre decisioni in merito.

Sul secondo tipo di valutazione, viene riconosciuto che il nuovo canone introdotto per filtrare le imputazioni meritevoli di giungere in dibattimento “comporta oggi una pregnante valutazione di merito e non meramente processuale, circa la ravvisabilità di elementi di prova che consentano di formulare una ragionevole previsione di condanna”. Dover affrontare l’interrogativo ‘allo stato degli atti, condannerei?[39] (se sì, si va avanti nella procedura; altrimenti, ci si arresta all’udienza preliminare) postula un’incompatibilità del g.u.p. che si appalesa in maniera ancora più marcata di ieri[40].

Sono affermazioni che – in fin dei conti – ribadiscono nozioni acquisite, è vero; affermazioni che possono prima facie risultare banali: e purtuttavia, queste frasi sprigionano una significativa rilevanza ordinamentale perché puntellano schiettamente il sistema, confermandolo nei suoi congegni legali oramai consolidati e ne avvalorano (non incrinandola, né smussandola né tantomeno alterandola… come qualche volta, va detto, è accaduto e accade) la più recente legislazione penale.

* Avvocato, Ricercatore di Diritto processuale penale e Docente a contratto di Procedura penale.

[1] Quando si sono pronunciate le Sezioni unite nel 2014, la quaestio – come rilevato dal procuratore generale nella requisitoria preliminare alla decisione – “si traduce[va] nell’interrogativo se la valutazione – in astratto e in concreto – operata nel procedimento di applicazione di pena [ex artt. 444 ss. c.p.p.] alla luce dell’art. 129 c.p.p. sia riconducibile alla valutazione che diviene rilevante (ossia inquinante) ai fini dell’imparzialità (ossia del pregiudizio) del giudice”. Allora si trattava del possibile inquinamento pregiudiziale del giudice del dibattimento, stavolta si tratta del possibile inquinamento pregiudiziale del giudice dell’udienza preliminare. In tale occasione, la Suprema Corte – nella sua formazione più autorevole – ha composto gli “indirizzi discordanti [registrati] nella giurisprudenza di legittimità” circa la “attitudine della sentenza ex art. 444 c.p.p. ad assumere valenza pregiudicante ai fini dell’incompatibilità del giudice”, statuendo che “la forza pregiudicante di una sentenza di merito rispetto a un successivo giudizio che riguardi la posizione di un concorrente nel medesimo reato ‘a concorso necessario’ non dipende dall’ambito di accertamento – pieno o limitato alla verifica dei presupposti di cui all’art. 129 c.p.p. – che il primo giudizio esprime, perché, quale che sia la valutazione di merito, inevitabilmente essa tocca un fondamentale aspetto oggetto del successivo giudizio – quello della responsabilità penale – che per la parte in tal modo ‘anticipata’ ne risulta correlativamente pregiudicato”. In sintesi, ciò che conta e occorre valutare è se sia stata o meno “espressa [una] considerazione di merito che possa reputarsi in concreto pregiudicante rispetto alla posizione dei correi”.

[2] La Consulta, con la sentenza n. 371/1996, comunque mantenendo ferma la massima espressa nelle sentenze n. 186/1992 e n. 439/1993 (per cui “alla comunanza dell’imputazione fa necessariamente riscontro una pluralità di condotte distintamente ascrivibili a ciascuno dei concorrenti, le quali – ai fini del giudizio di responsabilità – devono formare oggetto di autonome valutazioni sotto il profilo tanto materiale che psicologico, e ben possono quindi sfociare in un accertamento positivo per l’uno e negativo per l’altro”), ha stabilito che “nel caso in cui non solo vi sia concorso nel medesimo reato ma la posizione di uno dei concorrenti costituisca elemento essenziale per la stessa configurabilità del reato contestato agli altri concorrenti, ai quali soltanto sia formalmente riferita l’imputazione per la quale si procede, la valutazione della posizione del terzo – dalla quale non si sia potuto prescindere ai fini dell’accertamento della responsabilità degli imputati – costituisce sicuro ed evidente motivo di incompatibilità nel successivo processo a carico di tale terzo”. Insomma: sebbene “l’autonomia delle posizioni di ciascun concorrente consente, pur nella naturalistica unitarietà della fattispecie di concorso, una segmentazione di processi e la scomposizione del fatto in una pluralità di condotte autonomamente valutabili in processi distinti, senza che la decisione dell’uno debba influenzare quella dell’altro”, (ecco: sebbene questo, secondo la Corte costituzionale) l’attuale e concreto “rischio che la valutazione conclusiva di responsabilità sia, o possa apparire, condizionata alla propensione del giudice a confermare una propria precedente decisione” si riscontra altresì ove il giudicante si sia già espresso, “seppure incidentalmente, sul merito” della fattispecie in esame valutandone – nei confronti di altri correi o addirittura di terzi non (o non ancora) imputati – un “antecedente logico-giuridico” utile/funzionale alla deliberazione.

[3] Per una efficace panoramica sull’art. 34 c.p.p., v. R. Aprati, Art. 34 c.p.p., in Aa.Vv., Codice di procedura penale commentato, (a cura di) A. Giarda – G. Spangher, Milano, 2023, pp. 766/771 ss. (con ampio rinvio ai riferimenti bibliografici – pp. 843-851).

[4] Di Corte cost., sent. n. 93/2024, depositata in data 23.05.2024, l’ordinanza in commento – pronunciata il 16.05.2024 – non ha potuto prender contezza per ragioni temporali; e tuttavia, la sentenza costituzionale alla quale ci riferiamo nel testo riporta esattamente il medesimo refrain motivativo delle pronunce costituzionali n. 74/2024 (dep. 26.04.2024), n. 172/2023, n. 91/2023, n. 64/2022, n. 16/2022 e n. 7/2022: per citare alcuni degli ultimi provvedimenti intervenuti sul punto, e occorsi prima della decisione assunta da parte della Corte d’appello abruzzese.

[5] Ricorda Corte cost., sent. n. 66/2019 che, “in ordine ai criteri generali di valutazione dell’imparzialità del giudice, richiesta dall’art. 6 § 1 CEDU, sussiste una giurisprudenza ampiamente consolidata della Corte di Strasburgo (ex plurimis, Corte EDU: 16.10.2018, Daineliene c. Lituania; 31.10.2017, Kamenos c. Cipro; 20.09.2016, Karelin c. Russia; 23.04.2015, Morice c. Francia; 15.01.2015, Dragojević c. Croazia; 24.06.2010, Mancel e Branquart c. Francia; 22.07.2008, Gomez de Liaño y Botella c. Spagna; 22.04.2004, Cianetti c. Italia). Al lume di essa, l’imparzialità deve essere apprezzata secondo due criteri: soggettivo e oggettivo. Il criterio soggettivo consiste nello stabilire se dalle convinzioni personali e dal comportamento di un determinato giudice si possa desumere che egli abbia un’idea preconcetta rispetto a una particolare controversia sottoposta al suo esame. Da questo punto di vista, l’imparzialità del giudice è presunta fino a prova contraria. Il criterio oggettivo [invece] impone di valutare se, a prescindere dalla condotta del giudice, esistano fatti verificabili che possano generare dubbi, oggettivamente giustificati, sulla sua imparzialità. Sotto questo aspetto, anche le apparenze possono avere una certa importanza: in altre parole, ‘non si deve solo fare giustizia, ma si deve anche [far] vedere che è stata fatta’. È in gioco, infatti, la fiducia che i tribunali in una società democratica debbono ispirare nel pubblico e, nel processo penale, anzitutto nell’accusato”.

[6] È ricorrente, fin dai primi arresti di costituzionalità sulla tematica, affermare che “l’incompatibilità ha rilievo solo rispetto al ‘giudizio’, cioè rispetto alla decisione sul merito della regiudicanda, e non anche [rispetto] a decisioni assunte ad altri fini” (v. Corte cost., sent. n. 401/1991).

[7] Sul presupposto che è ‘giudizio’, contenutisticamente inteso, ogni sequenza procedimentale, anche diversa dal giudizio dibattimentale, la quale – collocandosi in una fase diversa da quella in cui si è svolta l’attività pregiudicante – implichi una valutazione sul merito dell’accusa, e non determinazioni incidenti sul semplice svolgimento del processo, ancorché adottate sulla base di un apprezzamento delle risultanze processuali (v. Corte cost., sent. n. 224/2001), si sono fatte rientrare “tra le possibili fonti di pregiudizio” – oltre a quelle appena esposte (i.e. pronunciamenti meritori in dibattimento, abbreviato, patteggiamento, udienza preliminare, incidente di esecuzione, fase monitoria [decreto penale di condanna]) – l’aver giudicato altresì nell’ambito del procedimento di prevenzione (Corte cost., sent. n. 283/2000; Corte cost., ord. n. 178/1999), in sede di rinvio (Corte cost., sent. n. 7/2022), in ordine a misure cautelari (Corte cost., sent. n. 153/2012; Corte cost., sent. n. 177/1996; Corte cost., sent. n. 155/1996; Corte cost., sent. n. 131/1996; Corte cost., sent. n. 432/1995;): a condizione che ci si sia pronunciati su aspetti non meramente formali, bensì contenutistici della fattispecie – vale a dire, si sia preso posizione (anticipando valutazioni di merito) sulla bontà dell’ipotesi accusatoria; e fermo restando il princìpio di non configurabilità di una incompatibilità endofasica (Corte cost., sent. n. 64/2022), giacché sono ammissibili “moment[i] di cognizione incidentale nel contesto del [medesimo] giudizio di merito”, sulle più svariate quaestiones… accolte o rigettate (es. diniego di concordato in appello: Corte cost., sent. n. 448/1995; respingimento della richiesta di oblazione discrezionale: Corte cost., ord. n. 370/2000 e Corte cost., ord. n. 232/1999; negato proscioglimento per inidoneità della condotta riparatoria ex art. 35 d.lgs. 274/2000: Corte cost., ord. n. 76/2007; rigetto, in limine iudicium, di istanza d’abbreviato condizionato: Corte cost., ord. n. 433/2006).

[8] V. anche infra, nt. 14. “Diversamente opinando, si attribuirebbe all’imputato la potestà di determinare l’incompatibilità del giudice correttamente investito del giudizio, in contrasto con il princìpio del giudice naturale precostituito per legge, dando contestualmente luogo a una irragionevole frammentazione della serie procedimentale” (Corte cost., sent. n. 74/2024).

[9] Id est il divieto di esercitare le funzioni di giudice del dibattimento per chi nello stesso procedimento ha emesso il provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare o ha disposto il giudizio immediato o ha emesso decreto penale di condanna o ha deciso sull’impugnazione avverso la sentenza di non luogo a procedere (art. 34, co. 2 c.p.p.). Segue inoltre l’incompatibilità del giudice per le indagini preliminari a rivestire il ruolo di giudice dibattimentale, alla luce delle peculiarità esplicitate nei commi 2-bis, 2-ter e 2-quater dell’art. 34 c.p.p.

[10] Id est il divieto di esercitare le funzioni di giudice in altro grado – “in senso tanto ‘ascendente’ che ‘discendente’” (Corte cost., sent. n. 183/2013; Corte cost., sent., n. 224/2001) – per il magistrato che ha già preso parte allo stesso procedimento e giudicato nel merito. È incompatibile il giudice che ha pronunciato o ha concorso a pronunciare sentenza in un grado del procedimento: giudicante che, per tale motivo, non può esercitare funzioni di giudice negli altri gradi, né partecipare al giudizio di rinvio dopo l’annullamento o al giudizio per revisione (art. 34, co. 1 c.p.p.). Al riguardo, si è specificato che “l’effetto pregiudicante non può essere limitato ai soli casi in cui la valutazione di merito sia contenuta in una sentenza, in quanto il giudice può esprimersi nella forma del decreto, come nella ipotesi del procedimento di prevenzione, ovvero nelle altre forme eventualmente previste dal diverso procedimento in cui sia intervenuta la valutazione pregiudicante. La funzione pregiudicata va a sua volta individuata in una decisione attinente alla responsabilità penale, essendo necessario, perché si verifichi un pregiudizio per l’imparzialità, che il giudice sia chiamato a esprimere una valutazione di merito collegata alla decisione finale della causa” (Corte cost., sent. n. 283/2000).

[11] Id est il divieto di esercitare le funzioni di giudice in altro grado per il magistrato che ha già preso parte allo stesso procedimento svolgendo attività o funzioni procedurali. È incompatibile a esercitare nel medesimo procedimento l’ufficio di giudice, si legge al comma 3 dell’art. 34 c.p.p., chi ha esercitato funzioni di pubblico ministero o ha svolto atti di polizia giudiziaria o ha prestato ufficio di difensore, di procuratore speciale, di curatore di una parte ovvero di testimone, perito, consulente tecnico o ha proposto denuncia, querela, istanza o richiesta o ha deliberato o ha concorso a deliberare l’autorizzazione a procedere.

[12] Più diffusamente, la Corte (sent. n. 91/2023) puntualizza che “i presidi a garanzia del rispetto del princìpio del giudice terzo e imparziale possono essere declinati in modo uniforme – come avviene per la giurisdizione ordinaria, negli artt. 18 e 19 R.D. 30.01.1941, n. 12 (ord. giud.), quanto all’incompatibilità di sede per rapporti di parentela o affinità con esercenti la professione forense o con magistrati o ufficiali o agenti di polizia giudiziaria – ma possono anche conformarsi in regole più specifiche secondo il tipo di giurisdizione esercitata. Si ha così che, mentre nel processo civile la garanzia è approntata dalla disciplina dell’astensione (art. 51 c.p.c.) e della ricusazione (art. 52 c.p.c.), articolata in un catalogo di situazioni potenzialmente pregiudicanti che obbligano il giudice ad astenersi e facoltizzano le parti a ricusarlo, nel processo penale invece vi è una duplice e più estesa protezione che lo connota con carattere di specialità, in quanto finalizzato essenzialmente all’accertamento del fatto ascritto all’imputato, la cui posizione viene costantemente assistita dal favor rei (v. Corte cost., sent. n. 326/1997). Da una parte, infatti, il legislatore ha ribadito, in sostanziale simmetria, l’analoga disciplina dell’astensione e della ricusazione, contenuta negli artt. 36 e 37 c.p.p., che elencano le ipotesi ‘sospette’, accomunate tutte dall’esistenza di una situazione pregiudicante da verificare in concreto, secondo un procedimento predefinito. Dall’altra parte – a maggiore garanzia della neutralità dell’esercizio della giurisdizione penale, la cui particolare rilevanza, sotto questo profilo, discende dalla possibile incidenza sulla libertà della persona incolpata – il legislatore ha approntato (negli artt. 34 e 35 c.p.p.) un catalogo di situazioni pregiudicanti in astratto – tali, quindi, a prescindere dalla concreta possibile prevenzione del giudice – che comportano, in radice, l’incompatibilità. Si tratta, comunque, di situazioni che non incidono sulla capacità del giudice (art. 178, co. 1, lett. a) c.p.p.) e devono essere oggetto di dichiarazione di astensione del magistrato o di istanza di ricusazione. [In sintesi, dunque,] nel loro complesso la disciplina dell’astensione e della ricusazione, per un verso, e quella dell’incompatibilità, per l’altro, concorrono a garantire, nel processo penale, il rispetto del princìpio del giudice terzo e imparziale (v. sent. n. 283/2000)”.

[13] Corte cost., sent. n. 16/2022: “In linea generale, l’incompatibilità presuppone una relazione tra due termini: una ‘fonte di pregiudizio’ (ossia un’attività giurisdizionale atta a generare la forza della prevenzione) e una ‘sede pregiudicata’ (vale a dire un compito decisorio, al quale il giudice, che abbia posto in essere l’attività pregiudicante, non risulta più idoneo)”.

[14] Con parole estrapolate da questo trittico di sentenze (nn. 306, 307 e 308 del 1997), possiamo dire che la ratio della disciplina dell’incompatibilità è primariamente quella obiettiva del rispetto della logica del processo penale, delle sue scansioni e delle differenze di ruoli che in esso i diversi soggetti sono chiamati a svolgere: il giudizio non si deve confondere, attraverso una sorta di unione personale, con altre attività che attengono al processo e che hanno una loro diversa ragion d’essere e il cui compimento potrebbe costituire pregiudizio rispetto al giudizio medesimo. Alla stregua della ratio anzidetta, si comprende come le incompatibilità previste dall’art. 34 c.p.p. siano tutte determinate dal fatto solo di aver svolto determinate attività nel corso del medesimo procedimento penale, indipendentemente dal contenuto che tali attività possono aver assunto. In breve: sono tutte incompatibilità interne all’articolazione del processo penale e sono tutte previste in modo da operare in astratto, non in concreto; e le cause che le determinano sono normalmente tali da poter essere evitate preventivamente attraverso idonei atti di organizzazione dello svolgimento del processo, come la formazione dei collegi giudicanti e l’assegnazione delle cause: trasformandosi in motivi di astensione o ricusazione solo quando tali atti non siano stati posti in essere. Le cause di astensione e di ricusazione di cui agli artt. 36 e 37 c.p.p., che attengono ad attività del giudice – escluse quelle indicate nella lettera g) del comma 1 dell’art. 36, la quale richiama le situazioni di incompatibilità del giudice, al fine di farne motivo di astensione e poi, per il richiamo contenuto nella lettera a) del comma 1 dell’art. 37 c.p.p., di ricusazione –, si collocano invece su un piano diverso. Esse sono dirette immediatamente alla garanzia dell’imparzialità del giudice e prescindono da qualunque riferimento alla struttura del processo e all’esigenza del rispetto della logica intrinseca ai suoi diversi momenti di svolgimento. Ciò che conta è l’esistenza di comportamenti del giudice che, siano essi tenuti entro o fuori il processo stesso, per il loro concreto contenuto sono tali da poter fare ritenere la sussistenza di un pregiudizio in capo al giudice, rispetto alla causa da decidere.  In breve: le cause di astensione e di ricusazione non hanno strutturalmente a che vedere con l’articolazione del processo e sono previste in modo da operare non in astratto, ma in concreto. Data tale loro natura, l’ordinamento prevede, come mezzo normale per farle valere e ottenere la sostituzione del giudice, l’iniziativa dello stesso giudice (che è tenuto a chiedere di astenersi) o quella della parte interessata (che dichiara la ricusazione). Orbene, ancorché sorretti da una comune matrice (l’essere condizioni impeditive dell’esercizio di specifiche funzioni giurisdizionali, le quali – sotto il profilo dell’imparzialità – verrebbero pregiudicate dalle attività svolte in precedenza dal medesimo soggetto processuale) e nonostante che il trattamento giuridico sia, nel suo nucleo centrale, alla fine lo stesso (ogni pregiudizio dà luogo a un diritto della parte pregiudicata di proporre istanza di ricusazione), collocare le varie fattispecie soltanto nell’area dei casi di astensione o di ricusazione oppure anche nell’ambito delle situazioni di incompatibilità non è del tutto indifferente. Quando il motivo di astensione o di ricusazione consiste in una ipotesi di incompatibilità, codificata come tale, quel principio riceve un supplemento di tutela in via preventiva. Una volta tipizzata in riferimento all’avvenuto svolgimento di funzioni, l’incompatibilità è, in effetti, prevedibile e quindi prevenibile, sicché la terzietà del giudice può essere organizzata, così da manifestarsi, prima ancora che come diritto delle parti a un giudice terzo, come modo d’essere della giurisdizione nella sua oggettività. Ma la pretesa che la terzietà sia previamente organizzata appare ragionevole solo se riferita ad un medesimo procedimento e a tipi di funzioni definibili in astratto; solo se non si estenda, quindi, ad atti adottati in procedimenti diversi e considerati in ragione del loro contenuto in concreto. Altrimenti, nella varietà delle relazioni che possono instaurarsi tra procedimenti distinti, e nella molteplicità dei contenuti che i relativi atti sono suscettibili di assumere, si avrebbe una dilatazione enorme dei casi nei quali un qualche pregiudizio potrebbe essere ravvisato e l’intera materia delle incompatibilità, dispersa in una casistica senza fine, diverrebbe refrattaria a qualsiasi tentativo di amministrazione mediante atti di organizzazione preventiva. La scelta del legislatore di qualificare una situazione come causa di incompatibilità, ovvero di astensione o ricusazione, discende, in altri termini, dalla possibilità o dalla impossibilità di valutarne preventivamente e in astratto l’effetto pregiudicante per l’imparzialità del giudice penale.

[15] Una duplice, apparente eccezione alla regola per cui l’incompatibilità opera solo entro i confini del medesimo procedimento penale è rappresentata da Corte cost., sent. n. 371/1996 e Corte cost., sent. n. 241/1999, che hanno dichiarato incompatibile ex art. 34 c.p.p. quel giudice che, in separato giudizio, già si è espresso sulla responsabilità criminale di un soggetto terzo (coinvolto come concorrente nel medesimo fatto storico ora nuovamente in esame – 371/1996) o addirittura sulla responsabilità dell’imputato stesso (adesso presunto autore, rispetto al medesimo fatto, di “un reato realizzato in concorso formale con altro reato oggetto del precedente giudizio e con esso, quindi, compenetrato” – 241/1999). Pertanto, fatta salva quest’eventualità (i.e. vicende processuali sostanzialmente unitarie, al punto da far sostenere che si è dinanzi a “un procedimento penale [soltanto] formalmente diverso” e che tale accertamento “avrebbe potuto – e anzi normalmente avrebbe dovuto – [avvenire] nel medesimo contesto processuale” [v. Corte cost., sent. n. 283/2000]), resta valido che caratteristica comune a tutte le pronunce additive di costituzionalità sull’art. 34 c.p.p. è quella di “assecondare l’opzione del legislatore di riferire il pregiudizio all’avvenuto esercizio di funzioni all’interno dello stesso procedimento (sul presupposto che in questo modo la terzietà del giudice può e deve essere apprezzata sin dal momento della formazione dei collegi e degli uffici giudicanti, e organizzata con tempestive e giustificate deroghe alle tabelle o agli ordinari criteri di assegnazione degli affari)”.

[16] Corte cost., sent. n. 131/1996.

[17] Id est che: a) le preesistenti valutazioni cadano sulla medesima res iudicanda; b) il giudice sia stato chiamato a compiere una valutazione (e non abbia avuto semplice conoscenza) di atti anteriormente compiuti, strumentale all’assunzione di una decisione; c) quest’ultima abbia natura non ‘formale’ ma ‘di contenuto’, ossia comporti valutazioni sul merito dell’ipotesi di accusa [per la Consulta, ad esempio, hanno natura processuale e non di merito le valutazioni circa la decidibilità allo stato degli atti in sede di abbreviato (Corte cost., sent. n. 186/1992) e le decisioni sulle misure precautelari preordinate all’instaurazione del rito direttissimo (Corte cost., ord. n. 433/1996), nonché la “circostanza che in determinate ipotesi – e segnatamente quando siano richiesti riti alternativi (giudizio abbreviato o patteggiamento) – il giudice dell’udienza preliminare possa spingersi a determinare il merito delle accuse, […] laddove la predetta evenienza non si sia in concreto verificata” (Corte cost., sent. n. 66/2019)]; d) la precedente valutazione si collochi in una diversa fase del procedimento. Precisiamo che, entro questo schema, atti/attività di interlocuzione infra-procedimentali fra giudice e parti (v., ad esempio, il c.d. ‘meccanismo Battistella’: Cass., Sez. un., 1°.02.2008, n. 5307, oggi recepito dal d.lgs. n. 150/2022 agli artt. 421, co. 1 e 423, co. 1-bis c.p.p. – v. Corte cost., sent. n. 18/2017 [ove si sentenzia che “l’invito a modificare l’imputazione rappresenta un rimedio endo-fasico”, che “non risulta affatto assimilabile all’ordinanza di trasmissione degli atti al pubblico ministero [determinante, quest’ultima sì] la regressione del procedimento” a una fase distinta e ulteriore; ed è un “momento immediatamente prodromico alla decisione che è legittimamente chiamato ad assumere in quello stesso contesto”]) non pongono problemi di incompatibilità ex art. 34 c.p.p., fintantoché non si aprono nuove fasi o gradi di giudizio: vale, in buona sostanza, il c.d. “princìpio di non configurabilità di una incompatibilità endofasica” (Corte cost., sent. n. 64/2022).

[18] Nell’incessante lavorìo dei giudici costituzionali si contano, ad oggi, ben ventiquattro pronunce additive; ma ogni sentenza e ordinanza della Corte, sia di accoglimento sia di rigetto sia di inammissibilità, è pregevole e rilevante per le puntualizzazioni ivi contenute o per i concetti ivi affermati o solo ribaditi, ai fini della determinazione dell’assetto complessivo costitutivo la c.d. ‘dottrina di costituzionalità relativa all’art. 34 c.p.p.’.

[19] Nel giudizio dell’uomo sull’uomo, sono tanti i fattori (fisiologici e patologici: es. precomprensione, fallacie logiche, biases, elementi che – consciamente o/e inconsciamente – influenzano la razionalità decisoria) che portano a sviste, malintesi e vizi – persino involontari – di ragionamento e di decisione (così si è avuto modo di esprimerci in M. Cecchi, Errare humanum est. Le sensibili incrinature del sillogismo giudiziale, in corso di pubblicazione). Per quanto qui d’interesse, tra le moltissime cause e “distorsioni sistematiche della conoscenza” (C. Conti, Il BARD paradigma di metodo: legalizzare il convincimento senza riduzionismi aritmetici, in Dir. pen. proc., 2020, p. 840) che influenzano il giudicante, spicca soprattutto il confirmation bias o pregiudizio della conferma: la tendenza, per riassumere grossolanamente il concetto, a mantener ferme le proprie convinzioni e a muoversi esclusivamente entro il perimetro di ciò che corrobora il proprio punto di vista.

[20] Tra gli idola tribus, Francesco Bacone ricomprende anche quello che modernamente definiamo l’influsso derivante dalla forza di prevenzione – F. Bacone, Nuovo Organo (1620), (a cura di) M. Marchetto, Milano, 1998, p. 97: “L’intelletto umano, quando abbia adottato una certa concezione (o perché ricevuta da altri e ritenuta vera, o perché soddisfacente), induce anche tutto il resto a convalidarla e ad accordarsi con essa. Anche se la forza e il numero delle istanze contrarie sono maggiori, tuttavia o non le considera o le disprezza o, introducendovi delle distinzioni, le rimuove e le respinge, non senza grave e dannoso pregiudizio, pur di mantenere inviolata l’autorità di quelle prime concezioni”. Con prosa letteraria, su questo “metterci inavvertitamente tutto il [proprio] io” (T. Mann, La montagna incantata (1924), (trad. it.) E. Pocar, Milano, 2012, p. 345) da parte dell’essere umano in quel che fa, quindi anche nel giudicare, v. F. M. Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo (1864), (a cura di) I. Sibaldi, Milano, 2016, p. 35: “L’uomo è talmente attaccato al sistema e alla deduzione astratta che sarebbe pronto ad alterare premeditatamente la verità, e pronto a non vedere vedendo e a non udire udendo, pur di giustificare la propria logica”.

[21] Corte cost., sent. n. 306/1997.

[22] Corte cost., sent. n. 124/1992.

[23] Traiamo l’espressione, che c’è parsa calzante, dal Tesoretto del Maestro fiorentino ser Brunetto Latini.

[24] E così hanno assolto “l’onere esplorativo preliminare” di interpretare in modo costituzionalmente orientato la normativa (V. Manes, L’evoluzione del rapporto tra Corte e giudici comuni nell’attuazione del “volto costituzionale” dell’illecito penale, in V. Manes – V. Napoleoni, La legge penale illegittima. Metodo, itinerari e limiti della questione di costituzionalità in materia penale, Torino, 2019, p. 32. Sull’onere di interpretazione conforme, v. pp. 49-169).

[25] I. Merenda, Reati a concorso necessario (2017), in Treccani – Diritto online (www.treccani.it, consultato il 24.06.24); amplius, I. Merenda, I reati a concorso necessario tra coautoria e partecipazione, Roma, 2016. In dottrina, oltre alla manualistica e alle voci enciclopediche sul concorso di persone nel reato, v. ancora: M. Boscarelli, Contributo alla teoria del concorso di persone nel reato: le fattispecie di concorso, Padova, 1958; D. Brunelli, Il diritto penale delle fattispecie criminose, Torino, 2011; S. Camaioni, Il concorso di persone nel reato, Milano, 2009; A. Cavaliere, Il concorso eventuale nel reato associativo: le ipotesi delle associazioni per delinquere e di tipo mafioso, Napoli, 2003; S. Cicala, Teoria del fatto illecito penale collettivo, Roma, 1942; G. Contento, Il concorso di persone nei reati associativi e plurisoggettivi, in Aa.Vv., Scritti 1964-2000, Bari-Roma, 2002, pp. 109 ss.; L. Cornacchia, Responsabilità penale negli organi collegiali: il reato funzionalmente plurisoggettivo, Torino, 2021; R. Dell’Andro, La fattispecie plurisoggettiva in diritto penale, Milano, 1956; E. Della Terza, Struttura del reato a concorso necessario, Milano, 1971; A. Di Martino, La pluralità soggettiva tipica. Un’introduzione, in Ind. pen., 2001, p. 101; M. Donini, La partecipazione al reato tra responsabilità per fatto proprio e responsabilità per fatto altrui, in Riv. it. dir. proc. pen., 1984, pp. 175 ss.; M. Gallo, Lineamenti di una teoria sul concorso di persone nel reato, Milano, 1957; G. Insolera, Causalità e reati plurisoggettivi, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, pp. 563 ss.; G. Insolera, Problemi di struttura del concorso di persone nel reato, Milano, 1986; A. R. Latagliata, I princìpi del concorso di persone nel reato, Napoli, 1964; A. Manassero, Il delitto collettivo e la teoria del concorso, Milano, 1914; G. Morgante, Il concorso di persone nel reato plurisoggettivo, in Studium iuris, 2000, pp. 145 ss.; G. Neppi Modona, Reato plurisoggettivo e aggravante del numero delle persone, in Riv. it. dir. proc. pen., 1966, pp. 1347 ss.; M. Papa, Del concorso di persone nel reato, in Aa.Vv., Trattato di diritto penale. Parte generale, vol. II, 2013, pp. 643 ss.; M. Papa, Quale statuto condiviso per il concorso di persone nel reato?, in www.discrimen.it, 1°.12.2022; M. Papa, La compartecipazione criminosa, in Aa.Vv., Diritto penale, 2022, pp. 609 ss.; C. Pedrazzi, Il concorso di persone nel reato, Palermo, 1952; G. D. Pisapia, Unità e pluralità di soggetti attivi nella struttura del reato, in Aa.Vv., Scritti giuridici in onore di Vincenzo Manzini, Padova, 1954, pp. 377 ss.; P. Semeraro, Concorso di persone nel reato e commisurazione della pena, Padova, 1986; S. Seminara, Tecniche normative e concorso di persone nel reato, Milano, 1987; R. Sesso, Saggio in tema di reato plurisoggettivo, Milano, 1955; M. Valiante, La criminalità collettiva: il concorso di persone e il reato plurisoggettivo, Milano, 1988; M. Zanotti, Profili dogmatici dell’illecito plurisoggettivo, Milano, 1985.

[26] Per dirla con le parole di Corte cost., sent. n. 155/1996, ove ancora si afferma che questo divieto “è conseguenza del carattere necessariamente originario della decisione che definisce la causa, in opposizione a ogni trascinamento e confluenza in tale decisione di opinioni precostituite”.

[27] Tuttora ampiamente diffuso è l’orientamento giurisprudenziale che non fa operare automaticamente l’incompatibilità, e persino la esclude ritenendo “che l’identità dell’oggetto del giudizio non è ravvisabile nell’ipotesi di concorso di persone nel medesimo reato, perché alla comunanza dell’imputazione fa necessariamente riscontro una pluralità di condotte distintamente ascrivibili a ciascuno dei concorrenti, le quali – ai fini del giudizio di responsabilità – devono formare oggetto di autonome valutazioni sotto il profilo tanto materiale che psicologico, e ben possono quindi sfociare in un accertamento positivo per l’uno e negativo per l’altro. Tale indirizzo è stato ribadito anche in relazione a casi in cui la fattispecie oggetto del giudizio a quo è a concorso necessario” (Cass., Sez. un., 03.09.2014, n. 36847, rifacendosi a Corte cost., sent. n. 186/1992 e a Corte cost., ord. n. 86/2013): fatte salve, ad ogni modo, “le ipotesi estreme, prese in esame dalle sentenze n. 371/1996 e n. 241/1999” (Corte cost., ord. n. 367/2002). Nella giurisprudenza costituzionale, v. ancora: Corte cost., ord. n. 218/2003; Corte cost., sent. n. 113/2000 (“Si deve escludere che il pregiudizio, nelle ipotesi di assoggettamento dei concorrenti a procedimenti distinti dinanzi allo stesso giudice, sussista sempre e necessariamente, sicché alla fattispecie plurisoggettiva del concorso di persone nel reato debba corrispondere sul piano processuale l’onere di realizzare il simultaneus processus nei confronti di tutti i concorrenti, ovvero, in caso di processi separati, un automatico dovere di astensione del giudice nel successivo giudizio”); Corte cost., ord. n. 42/1994; Corte cost., sent. n. 439/1993.

[28] Sia consentito rinviare a M. Cecchi, Un ribaltamento presuntivo, in www.discrimen.it, 19.06.2024.

[29] Per esemplificare, prendiamo come reato plurisoggettivo necessario la rissa (art. 588 c.p.). In un evento rissoso, pur nella naturalistica unitarietà della fattispecie di concorso, possono darsi contingenze storiche tali per cui le condotte tenute dai partecipanti son da considerarsi inscindibili (es. i corrissanti che si sono scazzottati a vicenda) oppure comportamenti che possono essere autonomamente apprezzati e tranquillamente scissi da quelli tenuti da altri correi (es. l’accoltellamento di Tizio in danno di Caio, mentre Mevio si stava azzuffando con Sempronio). In un’ottica ispirata al favor rei e alla massima tutela delle garanzie del giusto processo (che poi, in fin dei conti, “non sarebbe altro che ‘diritto costituzionale applicato’ [angewandtes Verfassungsrecht]” – così V. Manes, Introduzione ai princìpi costituzionali in materia penale, Torino, 2023, p. 7), non può che ricadere sulle autorità pubbliche l’onere di provare che, in quella determinata vicenda, è possibile una segmentazione di processi e la scomposizione del fatto in una pluralità di condotte separatamente valutabili in processi distinti, senza che la decisione dell’uno debba influenzare quella dell’altro.

[30] Corte cost., sent. n. 261/1992.

[31] Corte cost., sent. n. 448/1995.

[32] Possono aversi difficoltà, specie dal punto di vista penale sostanziale, nell’individuare esattamente quali fattispecie criminose rientrino nel novero dei reati plurisoggettivi, e più specificamente ancora dei reati a concorso necessario. In questa delicata operazione demarcatoria, un’insidia da scansare è quella di compiere indebite sovrapposizioni tra aspetti correlati alla pluralità naturalistica di manifestazione e profili legati invece alla pluralità normativa o giuridica della fattispecie; e, sempre su questo crinale scivoloso, bisogna considerare attentamente che se, da un lato, le modalità con cui si è verificato (e processualmente è stato provato essersi verificato) l’accadimento storico possono senz’altro essere di aiuto a compiere questa actio finium regundorum tra norme incriminatrici, dall’altro lato, è necessario mantenere distinta l’astratta formulazione – in termini di struttura – della disposizione penale di parte speciale da quello che è il suo accertamento processuale (che avviene logicamente dopo, e non potrebbe essere altrimenti, la commissione del crimine inquadrabile appunto sotto tale previsione normativa).

[33] Corte cost., sent. n. 351/1997.

[34] Corte cost., sent. n. 502/1991.

[35] L’espressione è di Corte cost., sent. n. 371/1996. L’accertare nel merito il fatto-reato nei confronti di un concorrente necessario si riflette inevitabilmente (almeno come “antecedente logico-giuridico” utile/funzionale alla successiva deliberazione) sull’accertamento del medesimo fatto-reato rispetto a un altro concorrente necessario. Perciò, nel caso dei reati plurisoggettivi necessari, si può già ritenere esistente in astratto l’effetto pregiudizievole per l’imparzialità del giudice: sì da qualificare tale situazione pregiudicante come causa di incompatibilità, prima ancora che come motivo di astensione o ricusazione dell’autorità giudicante, venendo intaccate direttamente l’imparzialità e la terzietà giudiziali caratterizzanti la struttura del giusto processo, che ha una propria “logica intrinseca ai suoi diversi momenti di svolgimento” e pretende verginità di giudizio allorché si sentenzi sulla colpevolezza, o meno, dell’imputato.

[36] Corte cost., sent. n. 155/1996: obiettività della funzione del giudicare “che esige, per quanto è possibile, la sua massima spersonalizzazione”.

[37] F. Peroni, La sentenza di patteggiamento, Padova, 1999, p. 8, il quale precisa che, “nell’ambito tematico di cui si tratta, ciò che interessa in rapporto alla peculiarità del rito in esame non è la stabilità dell’accertamento che la norma costituzionale certamente impone uniformemente per tutti i moduli procedimentali della cognizione; bensì il quantum di prova e il quomodo della stessa per giungere legittimamente all’applicazione della sanzione penale” (p. 15) – v. subito infra, nt. 38.

[38] P. Tonini – C. Conti, Manuale breve. Diritto processuale penale, Milano, 2024, pp. 695-697, i quali chiariscono che “il giudice non può rigettare la richiesta di patteggiamento ‘per incompletezza delle indagini’. In presenza di un minimo di prove di reità e in mancanza di una prova piena di innocenza ai sensi dell’art. 129, il giudice nel dubbio non può rigettare la richiesta, né disporre l’acquisizione di nuove prove, ma deve emettere sentenza di patteggiamento”. Questo significa, in sostanza, rendere più lieve l’onere del p.m. di provare l’accusa; non altro.

[39] Il pubblico ministero, prima, e il giudice, dopo essere stato investito della richiesta di rinvio a giudizio, devono compiere una prognosi di ragionevole colpevolezza allo stato degli atti, perché si possa proseguire nell’iter procedimentale che conduce al dibattimento. La valutazione da fare all’esito delle indagini e in udienza preliminare è un vaglio di meritevolezza sulla bontà dell’accusa; non ci si deve ridurre ad apprezzare l’utilità della fase dibattimentale, nel senso di cercare e immaginare di rinvenire (soltanto) lì la prova decisiva per la condanna o altri elementi che corroborino il castello accusatorio. L’imputazione non può zoppicare, ma deve essere fondata e reggersi in piedi fin da questo momento: al punto da consentire di affermare che ‘hic et nunc si condannerebbe’. In questi termini, l’al di là di ogni ragionevole dubbio (art. 533 c.p.p.) si riflette e fa sentire il suo peso – a ritroso, adattandosi mutatis mutandis alle varie peculiarità presenti – in ogni fase e grado del procedimento penale. Sulla ‘ragionevole previsione di condanna’: F. Alvino, Il controllo giudiziale dell’azione penale: appunti a margine della “riforma Cartabia”, in Sist. pen., 2022, 3, pp. 27 ss.; E. Amodio, Filtro “intraneo” e filtro “estraneo” nella nuova disciplina del controllo per il rinvio a giudizio, in Cass. pen., 2022, pp. 14 ss.; E. Baronti, Il controllo giurisdizionale sull’esercizio dell’azione penale. Attualità e prospettive, in www.discrimen.it, 10.04.2024, spec. pp. 5-16; R. Belvederi, Artt. 408 e 425 c.p.p.: il nuovo criterio applicabile all’archiviazione delle notizie di reato e alle sentenze di non luogo a procedere, in www.unicost.eu, 13.12.2022; M. Busetto, Nuova regola di giudizio e integrazioni conoscitive del giudice dell’udienza preliminare: qualche spunto di riflessione, in Arch. pen., 2023, 1; A. Cabiale – S. Quattrocolo, Un filtro più potente precede un bivio più netto: nuove possibili prospettive di equilibrio tra udienza preliminare, riti speciali e giudizio nel quadro della riforma Cartabia, in www.giustiziainsieme.it, 09.01.2023; G. Caneschi, Le modifiche relative all’udienza preliminare, in Aa.Vv., Riforma Cartabia. Le modifiche al sistema penale. Commentario diretto da Gian Luigi Gatta e Mitja Gialuz, vol. II – Nuove dinamiche del procedimento penale, (a cura di) T. Bene – M. Bontempelli – L. Lupária, Torino, 2024, pp. 135 ss. (in part., p. 147); A. Capone, I ritocchi in tema di udienza preliminare, in Giur. it., 2023, pp. 1194 ss.; volendo, M. Cecchi, Osservazioni intorno alla “ragionevole previsione di condanna”, in Arch. pen., 2022, 2; G. Civita, Udienza preliminare: la nuova regola di giudizio per la sentenza di non luogo a procedere, in Aa.Vv., La riforma Cartabia. Codice penale – Codice di procedura penale – Giustizia riparativa, Pisa, 2022, pp. 317 ss.; F. M. Damosso, Quale spazio per la seria probabilità di prescrizione nella formulazione della “ragionevole previsione di condanna”? Una recente ordinanza del G.i.p. di Siena, in www.sistemapenale.it, 24.01.2024; M. Daniele, Il vaglio preliminare dell’accusa secondo la l. n. 134/2021, in Giur. it., 2022, pp. 1011 ss.; M. Daniele, L’abolizione dell’udienza preliminare per rilanciare il sistema accusatorio, in Sist. pen., 2020, 1, pp. 131 ss.; M. Daniele, La riforma della giustizia penale e il modello perduto, in Cass. pen., 2021, pp. 3069 ss.; A. De Caro, Riflessioni sulle recenti modifiche della fase investigativa e della regola di giudizio: un percorso complesso tra criticità e nuove prospettive, in Arch. pen., 2022, 3; S. De Flammineis, La valutazione dei fatti ai fini dell’archiviazione ovvero dell’esercizio dell’azione penale: poteri e responsabilità del Pubblico Ministero, in www.sistemapenale.it, 23.05.2023; R. Del Coco, Rimaneggiamento delle regole per non procedere: archiviazione e udienza preliminare, in Proc. pen. giust., 2022, pp. 83 ss.; G. Della Monica, Il filtro della ragionevole previsione di condanna, in Arch. pen., 2023, 2; P. Ferrua, Appunti critici sulla riforma del processo penale secondo la Commissione Lattanzi, in www.discrimen.it, 12.07.2021; L. Forte, L’udienza predibattimentale: tra “nuova” regola di giudizio ed efficienza nel “sistema Cartabia”, in Dir. pen. proc., 2023, pp. 456 ss.; A. Gaito – R. Landi, L’altare e le (forse inevitabili) vittime. Osservazioni sul processo penale à la Cartabia, in Arch. pen., 2022, 2; G. Garuti, L’efficienza del processo tra riduzione dei tempi di indagine, rimedi giurisdizionali e “nuova” regola di giudizio, in Arch. pen., 2022, 3; K. La Regina, L’archiviazione nel vortice efficientista, in Aa.Vv., La riforma Cartabia, cit., pp. 276 ss.; G. Leo, La regola di giudizio dell’archiviazione e la riapertura delle indagini, in Aa.Vv., Riforma Cartabia. Le modifiche al sistema penale, cit., pp. 81 ss.; S. Lonati, L’udienza preliminare, in Aa.Vv., Riforma Cartabia. La nuova giustizia penale, (a cura di) D. Castronuovo – M. Donini – E. M. Mancuso – G. Varraso, Milano, 2023, pp. 710 ss.; E. Maccora – G. Battarino, Il giudice dell’udienza preliminare, in Quest. giust., 2021, 4, pp. 137 ss.; V. Maiello, Indagini e udienza preliminare nello specchio della legalità penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2023, pp. 625 ss.; E. Marzaduri, La riforma Cartabia e la ricerca di efficaci filtri predibattimentali: effetti deflativi e riflessi sugli equilibri complessivi del processo penale, in www.legislazionepenale.eu, 25.01.2022; O. Mazza, Il processo che verrà: dal cognitivismo garantista al decisionismo efficientista, in Arch. pen., 2022, 2; M. Menna, L’inquadramento della regola di giudizio del non luogo a procedere tra passato e presente dell’udienza preliminare, in Arch. pen., 2022, 3; F. Morelli, Osservazioni critiche sulla funzione dell’indagine alla luce della nuova udienza preliminare, in Sist. pen., 2023, 5, pp. 23 ss.; C. Naimoli, Considerazioni sulla “ragionevole previsione di condanna” per l’archiviazione e per la sentenza di non luogo a procedere, in Dir. pen. proc., 2022, pp. 831 ss.; A. Natale, Ragionevole previsione di condanna e ragionevole prognosi di prescrizione: un’ordinanza del GIP di Siena, in www.questionegiustizia.it, 30.11.2023; G. Pecorella, Cosa c’è nel futuro del processo penale? Una prognosi, in Cass. pen., 2023, pp. 1847 ss.; F. Pinelli, Gli spazi angusti dell’udienza preliminare nel diritto vivente e il mutamento di paradigma del suo epilogo imposto dalla legge Cartabia, in www.questionegiustizia.it, 16.06.2022; T. Rafaraci, Archiviazione e udienza preliminare nella riforma Cartabia, in Dir. pen. proc., 2023, pp. 160 ss.; S. Ruggeri, Azione e inazione, in Aa.Vv., Riforma Cartabia, cit., pp. 629 ss. (spec., pp. 644 ss.); C. Santoriello, Le nuove regole di giudizio della Riforma Cartabia, tra una positiva sinergia e una possibile eterogenesi dei fini, in Arch. pen., 2022, 2; F. Siracusano, La prevedibilità dell’esito del giudizio quale antidoto all’azzardo imputativo?, in Proc. pen. e giust., 2023, pp. 543 ss.; F. Tondin, La nuova regola di giudizio della ragionevole previsione di condanna, in Cass. pen., 2022, pp. 404 ss.

[40] Da anni, ormai, la Corte costituzionale ha (superato i suoi precedenti [v., ad esempio: sent. n. 64/1991; sent. n. 101/1991; sent. n. 124/1992; ord. n. 24/1996; ord. n. 232/1996; ord. n. 333/1996; ord. n. 97/1997; ord. n. 207/1998; ord. n. 112/2001; ord. n. 185/2001] e ha) affermato che “l’alternativa decisoria che si offre al giudice quale epilogo dell’udienza preliminare riposa su una valutazione di merito dell’accusa, non più distinguibile – quanto a intensità e completezza del panorama delibativo – da quella propria di altri momenti processuali, già ritenuti non solo ‘pregiudicanti’ ma anche ‘pregiudicabili’, ai fini della sussistenza dell’incompatibilità” (Corte cost., sent. n. 224/2001. Analogamente, Corte cost.: sent. n. 335/2002; ord. n. 367/2002; ord. n. 490/2002; ord. n. 269/2003; ord. n. 271/2003; ord. n. 20/2004; sent. n. 400/2008).