PROCESSO PENALE E MASS MEDIA. DILEMMI, PROBLEMI, CRITICITÀ – DI SONIA PORTA
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PROCESSO PENALE E MASS MEDIA. DILEMMI, PROBLEMI, CRITICITÀ.
CRIMINAL PROCEEDINGS AND MASS MEDIA. DILEMMAS, PROBLEMS, CRITICAL ISSUES.
di Sonia Porta*
Il contributo[1] approfondisce il tema del rapporto fra il processo penale e il processo mediatico affrontandone i problemi, i dilemmi e le criticità quali cause di un’informazione giudiziaria spesso spettacolarizzata a sfavore del principio della presunzione di innocenza, della reputazione, della dignità e dell’onore del soggetto sottoposto al giudizio della legge penale. Il focus evidenzia l’esigenza di tutela per la difesa dell’equilibrio fra i diritti e gli interessi coinvolti affinché la verità sia sentenziata nella sede processuale e non in quella procedimentale investigativa.
The article examines the connection between criminal trials and media coverage, focusing on dilemmas and critical problems that lead to sensationalized reporting. This can harm the principle of the presumption of innocence and damage an individual’s reputation, dignity, and honor. The need for balance is crucial to protect the involved rights and interests, ensuring that the truth is established in the courtroom rather than during the investigative phase.
SOMMARIO: 1. Introduzione. Processo penale e mass media: l’”azzoppamento” di diritti, interessi e garanzie. – 2. I pericoli della “libera” opinione popolare sulla responsabilità penale e l’intendimento sociale della pena. – 3. Uno sguardo al dannoso dualismo mediatico attraverso la storia e la letteratura. – 4. La scomoda maschera mediatica della celebrità disegnata dal linguaggio giornalistico. – 5. L’indispensabilità unica del “giusto processo” celebrato in aula.
- Processo penale e mass media: l’”azzoppamento” di diritti, interessi e garanzie.
L’ostico rapporto intercorrente fra il processo penale e i mass media[2] non è purtroppo una realtà solo attuale[3].
A onor del vero, la storia[4], anche moderna[5], pone costantemente a duro confronto il racconto di eventi drammatici e l’utilizzo di strumenti – anche informatici – impiegati, non solo ma soprattutto, per la diffusione di notizie di cronaca nera, con altissima velocità temporale di circolazione sia entro i confini territoriali che all’estero.
La carta stampata, tanto quella locale che internazionale, e le trasmissioni radio-televisive, dunque, non costituiscono più le fonti esclusive di divulgazione di una notizia per essere esse affiancate dal massiccio utilizzo quotidiano dei social network[6] quali strumenti altamente invasivi nell’ambito della comunicazione di massa[7].
Un grave fatto illecito, lesivo di un bene giuridico personale ovvero patrimoniale, come un avviso di garanzia notificato a un noto personaggio o a un individuo ragionevolmente insospettabile, rappresenta l’appetibile notizia oggetto d’informazione spesso seguita da uno spietato scalpore mediatico indaffarato soprattutto ad emettere un istantaneo giudizio d’opinione che, a sua volta, incarna il fulcro di una spasmodica disquisizione sociale[8], operata anche on-line, senza spazio, senza tempo, senza limiti di continenza, nonchè incontrollata in ordine agli effetti più deleteri che possono banalmente scaturire dal più comune e grossolano passaparola[9].
Se questa, ahimè, è la complicata realtà attuale – intrisa di fertili polemiche e di accesi dibattiti sull’individuazione delle più idonee condotte che gli operatori del diritto e dell’informazione debbono rispettivamente e talvolta all’unisono realizzare, in ossequio all’effettiva osservanza dei principi costituzionali dettati dai nostri Padri costituenti – la storia italiana ci insegna che le radici del passato processuale affiancato dall’informazione giudiziaria erano già altamente contaminate da un rapporto piuttosto teso quanto al corretto bilanciamento fra queste due entità, ossia fra il processo penale e i mass media[10].
L’art. 1 della nostra Costituzione afferma che «L’Italia è una Repubblica democratica» che consente a tutti gli individui indistintamente di vivere nel rispetto e nella garanzia dei diritti fondamentali e inviolabili che fanno capo a ciascuno. Nel rispetto di questa democrazia i processi penali debbono essere celebrati esclusivamente secondo le regole del “giusto processo”, come recita l’art. 111, e i “diritti di informare e di essere informati” si affiancano alla “libertà di espressione e di opinione”, come delinea l’art. 21.
La nostra Carta costituzionale è entrata in vigore il 1° gennaio 1948 descrivendo l’evento storico fondamentale del passaggio dalla Monarchia alla Repubblica (il 2 Giugno 1946 si svolse il referendum sulla forma istituzionale dello Stato) mediante un testo di straordinaria bellezza nel quale i principi e i valori sono riferiti alla persona umana, considerata in tutti i suoi aspetti, splendidamente rifiorita dopo i tragici conflitti ed episodi che hanno caratterizzato il periodo precedente la sua promulgazione. Oggi la bellezza del testo costituzionale ridonda in ogni contesto con l’assoluta necessità della realizzazione pratica e semplice delle sue parole al fine di garantire effettivamente ciò che in essa viene dettato a protezione della democrazia e dell’individuo con i suoi diritti, i suoi doveri e le sue garanzie inviolabili[11].
Sebbene ciò appaia di facile comprensione, purtroppo, la realtà odierna mostra spesso una reiterata difficoltà nella immediata realizzazione del dettato costituzionale, azzoppando talvolta qualche diritto e talaltra qualche garanzia nel mezzo del cammino democratico della materia di volta in volta considerata[12].
- I pericoli della “libera” opinione popolare sulla responsabilità penale e l’intendimento sociale della pena.
Va certamente posto in luce come questa problematica si presenti maggiormente laddove sussista la coesistenza, nell’ambito di un medesimo contesto, di diritti e garanzie posti in bilanciamento con plurimi interessi contrapposti, questi ultimi degni di un uguale grado di soddisfazione che tuttavia non sempre trova identica tutela durante lo svolgimento del lavoro quotidiano dei differenti operatori[13]. Ci si riferisce appunto al tema qui trattato e che concerne in particolare il delicatissimo rapporto fra il processo penale e i mass media[14].
A tale riguardo, non deve essere una consolazione scoprire che, oggi come all’ora – ossia addirittura molti secoli prima dell’entrata in vigore della nostra Costituzione –, giuristi e giornalisti viaggino su un doppio binario, l’uno quello processuale e l’altro quello extraprocessuale descrittivo della cronaca nera e del suo processo. Sul punto, pur con la coscienza di essere muniti della giusta consapevolezza di non poter mettere ragionevolmente in discussione simile sistema dualistico di viaggio, esso assume valenza di un valido tema di critica qualora al capolinea, col passare del tempo, si radichi un popolo che, osservando superficialmente entrambe le corse, emetta un giudizio negativo sull’operato della giustizia penale con un verdetto d’opinione assolutamente scollegato dai principi del “giusto processo”[15].
L’appena operato richiamo allo scorrere inesorabile del tempo non è qui evocato in modo casuale se si considera che il radicamento di un’opinione pubblica – erronea e non pienamente consapevole dell’esistenza di regole tecniche che governano il processo penale – può creare un dannoso scompiglio, impeditivo alla comprensione sociale delle sentenze emesse dalla giurisdizione e con la devastante e pericolosa conseguenza del sopravvento increscioso di una sfiducia da parte del popolo nell’operato della magistratura, quale terzo potere dello Stato, tale addirittura da scardinare il preambolo di ogni decisione giudiziaria emessa per l’appunto «In nome del Popolo Italiano»[16].
Non solo, tali rischiose conseguenze ben possono allargarsi a macchia d’olio, fino a scalfire addirittura la fiducia popolare verso i primi due poteri dello Stato [17] – quello legislativo e quello esecutivo –[18], partorendo il radicamento di una convinzione sociale che privi le leggi punitive – in cui sono individuati gli elementi costitutivi del reato e la relativa sanzione – del loro tipico valore preventivo di «spinta alla controspinta criminosa», per citare a proposito il giurista e filosofo Gian Domenico Romagnosi[19].
In altre parole, la disinformazione sociale a sfavore della corretta e integrale conoscenza del contenuto delle sentenze, quanto (rispettivamente) al loro dispositivo e alla loro motivazione, può determinare nella mente popolare il totale disallineamento fra il fatto antigiuridico commesso e la sanzione applicata[20] relegando il primo nell’alveo di una condotta punibile sempre e in ogni caso, a prescindere dall’esistenza di qualsiasi concreta circostanza, condizione o esimente, mediante l’irrogazione giudiziale della sola pena massima prevista dal nostro ordinamento.
Sebbene la società abbia compreso e preso coscienza del valore imperativo, derivante da un potere superiore, della norma giuridica penale e della sua necessità di obbedienza per la realizzazione concreta dell’ordine sociale, risulta assai avvertita nell’attuale momento storico la sussistenza del pericolo concreto di una percezione generale che identifichi il valore sanzionatorio ritenuto corretto, conseguente alla disobbedienza, nella comminazione di una pena esemplare nei confronti dell’imputato del “momento mediatico”. Il guasto sotteso a tale pericolo è rappresentato dalla discussa lagnanza popolare a carico del sistema giudiziario penale e del potere legislativo, ritenuti spesso inefficaci nelle loro modalità a consentire, o meglio a garantire, l’osservanza certa dei precetti penali, oltre che dall’accesa pretesa pubblica della comminazione di una pena rigorosa, non proporzionata rispetto all’elemento soggettivo che ha governato il reo “di turno” e ad ogni altro elemento specifico dell’illecito, in quanto ritenuta di esempio per tutti gli individui (destinatari del precetto), soprattutto con riguardo ai reati che suscitano un marcato allarme sociale[21]. Con la teoria dell’intimidazione generale, così specificatamente intesa, lo sragionamento del contesto sociale è perciò spesso incline a erigere a soluzione – alla reiterazione del crimine – l’inflizione di una pena restrittiva della libertà personale inosservante del principio di adeguatezza al caso concreto e al dettato costituzionale comminata, sebbene a duro svantaggio del condannato, a beneficio dell’intera società e della ipotizzata ovvero aspirata attuazione della sicurezza sociale[22].
Potrebbe rappresentare a tal guisa, invece, un idoneo orientamento di pensiero quello testè richiamato secondo il quale la “paura” popolare della minaccia della pena formulata in astratto dalla legge costituisce il primo, certamente non unico, valido deterrente del crimine costituendo a sua volta – questo sentimento di timore – la necessità imprescindibile per una preliminare probabile astensione collettiva dal crimine[23]. La coazione psicologica sui componenti sociali determinata dall’esistenza della pena in astratto avrebbe dunque lo scopo di favorire l’osservanza del precetto penale evitandone la violazione. In sostanza, la “paura” sociale della comminazione futura di una pena, a seguito della perpetrazione di una condotta antigiuridica non ancora espletata, costituirebbe il freno a mano dell’illecito teorico che ne impedisce la realizzazione[24].
Quest’utile percezione della funzione preventiva della pena da parte della società non costituisce però l’unico parametro di riflessione.
A tale proposito, va posto in evidenza come anche il corretto ed immediato intendimento sociale tanto delle basilari regole processuali penali quanto del nostro dettato costituzionale – in ordine, segnatamente, alla necessità di una «pena rieducativa» per il condannato nominato a beneficiare di un proficuo «reinserimento sociale»[25] – nonchè, non da ultimo, l’effettiva conoscenza pubblica della previsione del principio della «presunzione di non colpevolezza», realizzino in primis l’attuazione pratica della democrazia attraverso la prodromica consapevolezza da parte del popolo degli elementi fondanti che muovono il ragionamento della giustizia penale italiana[26]. Il simbolo della bilancia, che identifica il potere giudiziario, è agganciato nella mano di una Dea che detiene nell’altra una spada al fine di promulgare un giudizio equo ed equilibrato, misurando[27] il peso della tutela dei diritti e degli interessi coinvolti nel processo senza ignorare le garanzie costituzionali imperanti in capo all’imputato[28].
L’ignoranza – anche superficiale – di queste ulteriori conoscenze contribuisce ad alimentare il qui richiamato pericolo dell’attecchimento di una convinzione popolare imbibita dall’erronea e lacunosa convinzione circa l’esistenza di un’astratta “pena esemplare” (quella massima edittale), ritenuta prescritta dal codice penale ma non irrogata concretamente con le sentenze, nonché di una fase esecutiva assolutamente priva di portata afflittiva ed effettiva; sbagliate certezze, queste, che sconfiggono del tutto la “certezza del diritto” penale riflessa anche nella Costituzione e atte all’inneggiamento di una ingiusta, e pure illegittima, pena del taglione senza via d’uscita.
I pericoli insiti in un’informazione giudiziaria[29] scarna della divulgazione, almeno descrittiva, dell’esistenza dei principi del “giusto processo”[30] e del dettato dell’art. 27 della Costituzione sono dunque la ragione di una preoccupazione universale che accomuna i differenti operatori del diritto, quali primi soggetti sociali in grado di riconoscere e di intravedere la presenza quotidiana dei succitati risvolti negativi, sia a carico delle parti processuali che dei poteri dello Stato, causati da un’interpretazione non tecnica (rectius da un giudizio popolare provocato dal sentimentalismo o, peggio, dalla vendetta) di un esito processuale.
- Uno sguardo al dannoso dualismo mediatico attraverso la storia e la letteratura.
La storia e la letteratura, nostrane e non, hanno rappresentato il problema relativo alla gestione del difficile parallelismo fra il processo penale e la cronaca giudiziaria[31]. Basti fare un fulmineo accenno[32] all’opera scritta dall’avvocato francese Francois Gayot de Pivatal[33] titolata «Cause celebri ed interessanti», ai «Feuilletton» e alla «Rivista dei dibattimenti celebri», poi divenuta «Giornale dei Tribunali», pubblicata a Milano nel lontano 1872[34].
Per rimanere ancorati alla nostra penisola, sebbene volgendo indietro di molto lo sguardo fino a giungere all’epoca pre-repubblicana, va notato come l’attenzione morbosa del popolo a favore delle cause penali sia emersa addirittura da una Circolare emanata il 3 Novembre 1879 dal Ministro della giustizia Giovanni Battista Varè[35], del Regno d’Italia nel Governo Cairoli II, dalla quale trasuda l’emergente preoccupazione per il dilagarsi di un giustizialismo sociale deleterio al giusto intendimento della funzione della giurisdizione e della pena e al rispetto dell’inquisito sottoposto alla celebrazione del processo penale ove egli vi partecipa quale “presunto non colpevole” sino alla pronuncia della sentenza definitiva di condanna[36].
Purtroppo, non può non preoccupare che nelle lapidarie e chiare parole della Circolare si constati ancora oggi la mancata risoluzione a questo riconosciuto problema che ha trovato, di contro, un massiccio attecchimento a causa dell’evolversi del progresso telematico, spesso incontrollato e dannoso ai diritti e alle garanzie che qui interessano.
La delicatezza del tema relativo all’informazione giudiziaria è dunque dall’allora Ministro Varè così condensata «La pubblicità dei giudizi penali è una preziosa conquista della civiltà moderna, cui nessuno vorrebbe menomare. L’azione della magistratura deve potersi conoscere da tutti i cittadini, a tutela dei quali è diretta. Ma sarebbe uno strano equivoco il confondere la pubblicità con lo spettacolo. La giustizia si rende per soddisfare al primo dei bisogni sociali, non per appagare la curiosità degli oziosi. L’accusato, fino a che condannato non sia, si presume innocente; è un cittadino infelice di cui non è lecito aggravare le condizioni, degradandolo a figura da scena, come le bestie feroci che si espongono al circo».
L’occhio attento del giurista non può che soffermarsi con grande profondità sull’opportuno richiamo, inserito nella Circolare, alla condotta “denigratoria” esternata in danno dell’imputato e che spesso prende il sopravvento nella descrizione e divulgazione di una notizia di cronaca nera[37] provocando un indispensabile spunto di riflessione alla mano che impugna la penna quotidianamente per svolgere tale lavoro.
L’attenzione deve infatti concentrarsi sulla ingiusta metamorfosi subita dal possibile autore del reato e sulla conseguente metastasi cancerogena che sorvola sul processo penale laddove colui che dovrebbe essere il possibile autore del crimine, in attesa del verdetto finale con la garanzia della “presunzione di non colpevolezza”, assume invece le vesti di colpevole celebrità nella cronaca più spietata, in attesa di un processo già socialmente deciso quanto a responsabilità e quantum di pena.
Il reato, ossia il fatto antigiuridico che ha mosso la macchina giudiziaria, abbandona così il contesto naturale dell’aula giudiziaria entrando nelle case del popolo dove solca una profonda ferita alla reputazione e alla dignità di colui che per la legge ancora reo non è, facendolo sprofondare nella degradazione più crudele fomentata dalla gogna mediatica.
Un delitto di sangue, qual è ad esempio l’omicidio, non è punibile in concreto sempre con la stessa pena, ad esempio quella massima stabilita dal codice penale.
Attraverso questa verità emerge la principale differenza, probabilmente la più importante dal punto di vista del diritto penale sostanziale, fra il processo penale e l’atipico (rectius abnorme) processo mediatico, sia in ordine alla modalità di accertamento di un fatto che all’individuazione del colpevole e al suo grado di responsabilità.
Sposando gli studi sul rapporto fra il diritto e la letteratura[38], nati nell’era anglosassone ma da qualche anno oggetto di un intenso interesse anche italiano[39], vale la pena di ricordare come lo scrittore Franz Kafka[40], nella novella «Davanti alla legge» pubblicata nel 1914, ponga al centro dell’attenzione del lettore una “porta”, rappresentativa dell’accesso alla legge, che non permette a tutti di entrarvi allo stesso modo a causa dell’interpretazione mutevole delle norme. In onore al parallelismo giuridico-letterario ora indicato[41] ed in considerazione dell’esistenza del doppio binario fra il processo penale e il processo mediatico, chi scrive si permette di proporre in questa sede un’informale integrazione discorsiva alla citata novella offrendo la previsione di un accesso a latere, rappresentato dal facile attraversamento di un “arco” aperto e pericoloso perchè privo di filtri giuridici, atto ad introdurre il telespettatore sociale nel salotto del processo mediatico ove è ammessa la libera interpretazione non giuridica di un fatto illecito.
Le due metafore, in effetti, hanno una facile comprensione se si pensa che l’accertamento di un fatto, secondo il diritto, deve avvenire “caso per caso”, ossia tenuto conto delle singole circostanze concrete valutate secondo regole ben precise a fianco di un’interpretazione giurisprudenziale dinamica per definizione, quanto al tempo, alla tipologia e alla previsione moderna di tipo creativo. Nel processo penale il giudice pronuncia la sentenza di condanna se l’imputato risulta “il” colpevole del reato contestatogli «al di là di ogni ragionevole dubbio»[42] i cui fondamenti sono appunto la presunzione di innocenza e il sistema di valutazione della prova.
L’art. 533 c.p.p., per esprimersi ancora una volta con una metafora, è l’amico fedele che tiene per mano l’imputato durante il proprio viaggio processuale verso l’audizione di una sentenza atta a definire quel singolo caso: l’analogia è vietata nel diritto penale.
La funzione della pena applicata in concreto è esclusivamente quella di punire il soggetto ritenuto “il” colpevole di un determinato fatto antigiuridico (tentato o consumato in quel preciso luogo, in quella data e a quell’ora) e non quella di prevenire la commissione di altri reati, uguali o simili per nomen iuris a quello perpetrato, all’interno del contesto sociale. Come si è detto, infatti, un’utile funzione social-preventiva della pena edittale è insita nella “paura” sociale della sua comminazione da parte dello Stato in ipotesi di violazione della legge, senza poter invocare l’ignoranza di quest’ultima. Il voler estendere a tutti i costi il confine preventivo della “paura” oggettiva, rompendo gli argini fissati dallo Stato pur nella sovranità popolare, comporterebbe lo straripamento fallimentare dei tre distinti poteri dello Stato in cui ciascuno è titolare della propria competenza senza compromessi o eccezioni[43].
Il logorio del sistema penale provocato dal processo mediatico attraverso la sua atipica esistenza, sorta – per così dire – per scorretta e inammissibile consuetudine, è insito invece nella spasmodica quanto repentina e superficiale ricerca e individuazione popolare di “un” colpevole, quest’ultimo accentrato a celebrità mediatica durante la fase delle indagini preliminari che paradossalmente assumono nella vox populi l’erronea valenza di procedimento definitorio del giudizio di un fatto di cronaca allarmante.
- La scomoda maschera mediatica della celebrità disegnata dal linguaggio giornalistico.
L’assunzione da parte dell’inquisito, che imputato ancora non è, di una non voluta ed inappropriata celebrità mediatica sin dalle prime ore successive al delitto oggetto di cronaca nera è spesso accompagnata dalla sua esposizione ad un prolungato e poco scrupoloso giudizio pubblico negativo che rende arduo il mantenimento, ovvero il recupero in ogni caso[44], dell’onore[45] e della reputazione[46].
Infatti, sebbene l’iter processuale si possa concludere – dopo parecchi anni – con una meritata sentenza di assoluzione, difficilmente sarà possibile ristabilire lo status quo ante al processo penale, quanto alla vita ordinaria del soggetto sottoposto alla vicenda giudiziaria, in particolare laddove quel verdetto sia poco, superficialmente o per nulla diffuso dai mass media. Non comportano peraltro differenti conclusioni rispetto a quella ora illustrata le ipotesi di esiti processuali dettati da sentenze di condanna o da gravosi errori giudiziari (si pensi in quest’ultima ipotesi al caso di Enzo Tortora) in cui nell’esistenza del soggetto, durante il periodo postumo alla vicenda giudiziaria, farà capolino, rispettivamente, un difficile reinserimento sociale conseguente alla mancata totale riappacificazione o un’alea invisibile dell’accaduto processuale, e dello show mediatico, quale seconda pelle dell’innocente[47].
Queste ulteriori riflessioni scaturiscono non solo dalla constatazione della difficile convivenza fra il processo penale e i mass media, talvolta intollerabile per l’impossibilità di far convergere alla perfezione le differenti regole che li governano, ma altresì dal pericolo che una notizia di cronaca, divulgata in maniera poco oggettiva fino a sfociare nell’alea orientativa, possa offrire al pubblico la sua stessa chiave di lettura a causa di una serie di elementi – pure non voluti – che, intersecati fra di loro, riproducono un’immagine monca della realtà giuridica[48].
E’ il caso della descrizione della personalità dell’inquisito, dei suoi fallimenti, delle sue abitudini di vita, del suo modo di vestire, del suo modo di parlare, della sua stessa forma fisica fatta entrare nella mente collettiva attraverso il bypass di un’unica fotografia con la quale “Lui” – “un” sospetto colpevole – viene presentato al mondo col suo sguardo criminale dal quale è carpito “un” movente mediatico che lo conduce alla medesima gogna prima del dettato del giudice[49]. E’ altresì il caso della descrizione degli stessi elementi, sempre con l’impiego dell’identico stile fotografico, della vittima del reato[50]. E’ infine il caso del tono vocale, spesso bilanciato nella narrazione giornalistica, che coinvolge l’aspetto emotivo del passivo ascoltatore fino a consentirgli un’immaginazione romanzata della realtà delittuosa raccontata[51].
In effetti, se si considera che gran parte dei soggetti che costituiscono la società non opera nel mondo della giustizia e dunque non conosce a sufficienza né le dinamiche del processo penale, né i principi che lo governano, né quelli di rango costituzionale, risulta assai evidente l’alta probabilità razionale di un diffuso assorbimento acritico del contenuto della notizia di cronaca così proposta, difettoso dell’opportuna oggettività giuridica, tanto che il fatto – con la sua esclusiva ricostruzione meramente indiziaria – e il possibile indagato magari già sottoposto a misura cautelare personale vengono recepiti dal pubblico[52] quali elementi fondanti della pretesa di una pronta sentenza di condanna definitiva che, se pronunciata a distanza di tempo, macchierà di lentezza – per l’opinione – l’operato della giustizia.
Costituisce infatti un elemento sfavorevole alla corretta interpretazione delle sentenze da parte del popolo, come non dev’essere in un ordinamento democratico, l’abbondante presenza di una ricorrente ricostruzione del fatto antigiuridico effettuata a latere del processo penale mediante il processo mediatico; ciò – a maggior ragione – laddove venga ad esempio impiegato dal giornalista un linguaggio semplicemente cinematografico-letterario[53] insabbiando quello squisitamente giuridico[54].
In realtà, il tecnicismo giuridico costituisce la spina dorsale dell’intera omonima disciplina ed è previsto a sostegno dello stesso ordinamento di cui la società fa parte vivendo in un sistema diversificato di regole. Il solo pensiero ipotetico che a ciascun individuo possa essere concesso di vivere completamente slegato dai dettami normativi, anche dei più comuni, fa emergere l’idea del conseguente disordine sociale nel quale la stessa Costituzione vedrebbe svanita la propria essenza. L’abnorme ipotesi ora accennata può essere riproposta pensando anche alla possibilità di celebrare i processi penali in assenza di regole imperative, cristallizzate in una serie di fonti, consegnando l’accertamento di un fatto alla sola coscienza soggettiva di un giudice non imparziale il quale, a seconda dello sguardo di colui che venga fatto sedere sul banco degli imputati, nonché sulla base degli unici indizi accusatori e senza avere udito la voce della difesa soffocata dalle urla popolari, emetta – con rigida e incontrollata costanza – un verdetto perennemente esemplare sigillato con la pena dell’ergastolo.
La Costituzione italiana, agli articoli 111 e 27, non ammette simile possibilità. Il diritto è certezza per definizione e la certezza è tale se vi è l’applicazione di regole che governano il pensiero giuridico atte a guidare, senza eccezioni, il lavoro degli operatori del campo; l’errore giudiziario non è dunque sinonimo di assenza di regole.
Diventa indi palese l’imprescindibile necessità per il popolo di essere a conoscenza delle tecniche processuali, almeno basilari, affinchè sia posto in grado di comprendere a sufficienza il contenuto delle sentenze e di conseguenza di valutare adeguatamente l’operato della magistratura[55], oltre che di controllare in maniera non sterile l’esercizio del potere punitivo dello Stato[56].
Il diritto all’interpretazione personale, il diritto all’ambiguità, il diritto all’emozione e il diritto alla critica – anche sociale – non rientrano dunque nell’insieme delle regole giuridiche ora menzionate rimanendo essi ancorati alla sola esegesi di testi letterari che, per loro tipica funzione, sono portatori del precipuo scopo di stimolare l’immaginazione del destinatario, conducendolo verso una lettura soggettivamente variegata nel significato che sfocia in una ammissibile critica indolore di differenti opinionisti.
A parere di chi scrive, queste argomentazioni trovano un possibile loro fondamento nella differente ratio che diversifica il racconto romanzato di un fatto antigiuridico dalla sentenza definitoria di un processo penale che vede solo in capo alla seconda il valore di un precedente quale contributo alla formazione di un orientamento giurisprudenziale che, sebbene non rientri nelle fonti del diritto con effetto vincolante – com’è nei sistemi di common law –, nella prassi influenza le decisioni giudiziarie[57].
Ciò induce alla massima delicatezza sia nell’opera di valutazione giudiziaria, sia nell’emissione del verdetto finale, sia – si ripete – nell’applicazione di regole imperative all’interno della celebrazione dei processi. A tale ultimo riguardo, va evidenziato come anche l’attività giornalistica non sia esente da un opportuno, quanto necessario, delicato svolgimento del proprio lavoro se si considera che il diritto alla memoria e il diritto al ricordo storico, presenti in capo a ciascun individuo ed esplicabili anche all’unisono mediante le celebrazioni collettive delle ricorrenze, comportano l’inevitabile perenne rievocazione delle generalità dell’autore laddove abbiano ad oggetto un fatto di cronaca nera.
- L’indispensabilità unica del “giusto processo” celebrato in aula.
Fra le molteplici gocce di giurisprudenza, pronunciate nel tempo dalla giurisdizione italiana e comunitaria, in ordine alle varie tematiche che imbastiscono il problema della giusta coesistenza fra il processo penale e i mass media, si potrebbe attribuire la valenza di stella polare all’arresto della Corte di Cassazione, Sezione I Civile, 18 ottobre 1984, n. 5259 secondo cui “Perché la divulgazione a mezzo stampa, di notizie lesive dell’onore, possa considerarsi lecita espressione del diritto di cronaca e non comporti responsabilità civile per violazione del diritto all’onore, devono ricorrere tre condizioni: utilità sociale dell’informazione, verità oggettiva o anche solo putativa purchè frutto di diligente lavoro di ricerca, forma civile dell’esposizione dei fatti e della loro valutazione, che non ecceda lo scopo informativo da conseguire e sia improntata a leale chiarezza, evitando forme di offesa indiretta”.
Cosicchè, l’equilibrio fra il giusto processo e il diritto-dovere di informazione, oltre che risiedere nel rispetto – anche extraprocessuale – del principio della “presunzione di non colpevolezza” mediante il corretto impiego nella cronaca giudiziaria della forma, del linguaggio, delle modalità e dei toni espositivi, risiede nel generale rispetto del segreto investigativo e nella possibile descrizione dell’espletamento delle indagini preliminari, ovvero dell’attività giudiziaria eseguita in quella specifica fase, svolgendo gli opportuni riferimenti, seppure in maniera verginale, alla loro esatta valenza procedimentale[58].
Infatti, la pubblica comune confusione terminologica fra indizi e prove è il primo grave elemento di errore che si insinua nella mente sociale, impegnata a fare propria l’idea che l’attività di indagine costituisca la naturale sede per l’accertamento di un fatto e per l’individuazione irreversibile del suo colpevole; la confusione mentale successiva che ne consegue è insita nella generale convinzione che la magistratura inquirente costituisca l’unico soggetto processuale, munito della collaborazione della polizia giudiziaria, avente lo scopo di risolvere il caso che il giudice deciderà nei confronti di un imputato senza voce[59]. L’ordinanza cautelare emessa in questa fase assumerebbe dunque il connotato di una sentenza irrevocabile di condanna che chiude il processo, e l’eventuale successiva scarcerazione del soggetto creerebbe il movente per una metaforica quanto reale condanna sociale rivolta a una macchina giudiziaria ritenuta rotta, inceppata ovvero contraddittoria e infine incerta; in poche parole, fallimentare[60].
L’invocato bilanciamento fra gli articoli 111 e 21 della Costituzione, includendo i preziosi beni giuridici personali della reputazione, del decoro e dell’onore[61], nonché il principio della “presunzione di non colpevolezza”, è stato così descritto «non possiamo esaltare il riserbo fino ad uccidere l’informazione», «non possiamo esaltare l’informazione fino a deprimere il valore della vita e del processo»[62].
Non ci si può esimere, infine, dal ritenere necessaria l’opportunità di rendere celeberrima, attraverso la stampa, la previsione codicistica secondo cui il pubblico ministero è tenuto a raccogliere elementi anche a favore dell’indagato, in quanto di valido aiuto per la comprensione pubblica dell’esatto peso delle indagini preliminari colmando l’ignoranza che dilaga nella mente sociale sull’esistenza e sulla centralità del dibattimento quale unico luogo di formazione della prova, nel contraddittorio paritario fra accusa e difesa, dove il ruolo di quest’ultima è fondamentale a garantire quel tecnicismo di parte necessario per giungere alla pronuncia di una sentenza rispettosa di tutti i diritti dell’imputato.
Il difensore, di fiducia o d’ufficio, è il garante certosino del processo e dei diritti dell’imputato di qualsiasi reato – premeditato, circostanziato o meno ovvero aggravato – e senza di esso il processo non è celebrabile e la sentenza è impronunciabile.
Il principio del contraddittorio paritario, sancito dall’art. 111 della Costituzione, è logicamente valido e tangibile per l’uguale valenza attribuita al contrappeso della difesa posto in equilibrio all’operato accusatorio del pubblico ministero; equilibrio, questo, che eleva l’avvocato dell’imputato, sebbene con l’auspicio di un esplicito inserimento costituzionale, a necessario soggetto degno di rispettosa considerazione sia in ambito di confronto giuridico dibattimentale – prodromico alla formulazione delle richieste conclusive – sia in ordine al prodotto investigativo.
Laddove venga intaccato il corretto equilibrio fra la giustizia penale e l’informazione giudiziaria con il superamento, pure fievole, dei relativi limiti ed atto a scalfire tutti i diritti e tutte le garanzie sgorganti dalla nostra Costituzione[63], che impone fertilità al “giusto processo” e alla valenza rieducativa della pena, si concretizza ahimè il grave pericolo dell’assurda e vieppiù inconsapevole pretesa popolare di una giustizia ingiusta[64], ossia di un inaccettabile ossimoro che storpia i richiamati principi penalistici e costituzionali in danno a “Lui” – a quell’inquisito –, e ad una giustizia giusta che è tale anche quando assolve[65].
*Sonia Porta, Avvocata del Foro Di Brescia
[1] Il testo costituisce la versione ampliata, rielaborata e corredata di note dell’intervento svolto dall’Autrice in occasione del Convegno «Processo Penale Processo Mediatico», tenutosi il 29 novembre 2024 c/o il Palazzo di Giustizia di Brescia, organizzato dall’Ordine degli Avvocati di Brescia nell’ambito del Seminario «Informazione e Giustizia» curato dall’omonima Commissione di studio. Le riflessioni svolte nel presente lavoro costituiscono un approfondimento e fanno anche riferimento al Volume, posto a fondamento del Seminario, della Collana Giustizia penale della post-modernità, diretta da A. SCALFATI – T. BENE – A. DE CARO – G. DI CHIARA – S. LORUSSO – M. MENNA – N. TRIGGIANI – D. VIGONI, N. TRIGGIANI (a cura di), Informazione e giustizia penale – Dalla cronaca giudiziaria al «processo mediatico», Cacucci Editore, 2022 (cfr. in particolare, in riferimento all’intervento dell’Autrice, op. cit., pp. 465-477).
Un ringraziamento all’Avvocata Valeria Cominotti, Vice Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Brescia, titolare, coordinatrice e relatrice del Seminario «Informazione e Giustizia».
[2] AA.VV., L’informazione giudiziaria in Italia. Libro bianco sui rapporti fra mezzi di comunicazione e processo penale, a cura dell’Osservatorio sull’informazione giudiziaria dell’Unione delle Camere Penali Italiane, Pacini, 2016.
[3] G.P. VOENA, Processo pubblico e “mass media”: il passato e il presente, in Leg. pen., 19 ottobre 2020, consultabile all’indirizzo internet www.lalegislazionepenale.eu.
[4] P. PALMIERI, L’eroe criminale. Giustizia, politica e comunicazione nel XVIII secolo, Il Mulino, 2022.
[5] G.P. VOENA, Processo pubblico e “mass media”: il passato e il presente, cit.
[6] M. CHIAVARIO, L’impatto delle nuove tecnologie tra diritti umani e interessi sociali, in Dir. pen. proc., 1996, p. 139.
[7] R. STELLA, Sociologia della comunicazione di massa, Utet Università, 2012.
[8] E. ANTONUCCI, I dannati della gogna. Cosa significa essere vittima del circo mediatico-giudiziario, Liberilibri, 2021.
[9] A. CAMAIORA – G. STAMPANONI BASSI (a cura di), Il processo mediatico. Informazione e giustizia penale tra diritto di cronaca e presunzione di non colpevolezza, Wolters Kluwer, 2022.
[10] F. PERCHINUNNO, Il difficile bilanciamento tra il diritto all’informazione giudiziaria e altri interessi confliggenti, in www.rivistaaic.it, fasc. 2, 27 aprile 2020, pp. 241-265.
[11] M. DELLA MORTE – F.R. DE MARTINO – L. RONCHETTI (a cura di), L’attualità dei principi fondamentali della Costituzione dopo settant’anni, Il Mulino, 2020.
[12] G. ZAGREBELSKY, Tempi difficili per la Costituzione. Gli smarrimenti dei costituzionalisti, Laterza, 2025.
[13] G. GIOSTRA, La giustizia penale nello specchio deformante della cronaca giudiziaria, in www.medialaws.eu, fasc. 3, 24 ottobre 2018.
[14] V. MANES, Giustizia mediatica. Gli effetti perversi sui diritti fondamentali e sul giusto processo, Il Mulino, 2022.
[15] G. GIOSTRA, Processo Penale Mediatico, in Enc. dir., Annali, X, 2017, pp. 646 ss.
[16] N. TRIGGIANI, “In nome del popolo italiano”? Spunti di riflessione sul linguaggio della sentenza penale, in Dir. pen. cont., 4 novembre 2016; A. PANNITTERI – V. DE GIOIA, In nome del popolo televisivo, Da Cogne ai giorni nostri, Vallecchi, 2022.
[17] D. PULITANO’, “Potere d’informazione” E “giustizia”, per un controllo democratico delle istituzioni, in N. LIPARI (a cura di), Giustizia e informazione (Atti del XV Congresso dell’Associazione Nazionale Magistrati), Laterza, 1975, p. 137.
[18] A. MURA – A. PATRONO, La giustizia penale in Italia: un processo da sbloccare. La lezione americana, Cedam, 2011.
[19] 1761-1835. Giurista, filosofo ed economista italiano.
[20] M. TARUFFO, La semplice verità. Il giudice e la ricostruzione dei fatti, Laterza, 2009.
[21] M. SCAPARONE, La partecipazione popolare all’amministrazione della giustizia, Giuffrè, 1980.
[22] M. CATTANEO, Il problema filosofico della pena, Editrice Universitaria, 1978.
[23] R. BIANCHETTI, La paura del crimine. Un’indagine criminologica in tema di mass media e politica criminale ai tempi dell’insicurezza, Giuffrè, 2018.
[24] M. CATTANEO, Il problema filosofico della pena, cit., p. 72.
[25] G. RUSSO, Il reinserimento sociale del detenuto nella legislazione penalistica dell’Italia liberale, in www.historiaetius.eu, 15 novembre 2023.
[26] A. TOSCANO, La funzione della pena e le garanzie dei diritti fondamentali, Giuffrè, 2012.
[27] G. SCACCIA, Il bilanciamento degli interessi come tecnica di controllo costituzionale, in Giur. cost., 1998, p. 3953.
[28] A. TOSCANO, La funzione della pena e le garanzie dei diritti fondamentali, cit.
[29] G. SPANGHER, Un’informazione sui processi nel rispetto delle garanzie. I profili generali, in Guida dir., n. 48/2021, p. 36.
[30] P. FERRUA, Il giusto processo, Zanichelli, 2012.
[31] P. PALMIERI, Giustizia e spazio pubblico nel Settecento. Dalla forza dell’empatia al mercato delle emozioni, in «Studi Storici», LXII, 2021.
[32] E. AMODIO, Estetica della giustizia penale. Prassi, media, fiction, Giuffrè, 2016.
[33] 1673-1743. Avvocato francese.
[34] Sull’insorgenza del filone delle «cause celebri» cfr. A. MAZZACANE, Letteratura, processo e opinione pubblica. Le raccolte di cause celebri tra bel mondo, avvocati e rivoluzione, in «Rassegna forense», XXXVI, 2003.
[35] 1817-1884. Avvocato e politico italiano.
[36] N. ROSSI, Il diritto a non essere “additato” come colpevole prima del giudizio. La direttiva UE e il decreto legislativo in itinere, in Quest. giust., 3 settembre 2021.
[37] S. TURCHETTI, Diffamazione e trattamento dei dati personali nel processo mediatico, in Dir. pen. cont. Trim., n. 3/2017, p. 97.
[38] F. PERGOLESI, Diritto e giustizia nella letteratura moderna narrativa e teatrale, Dott. Cesare Zuffi Ed., 1949.
[39] V. VITALE, Diritto e letteratura. La giustizia narrata, Sugarco Ed., 2012.
[40] 1883-1924. Scrittore boemo di lingua tedesca.
[41] M.P. MITTICA, Diritto e letteratura e Law and Humanities. Elementi per un’estetica giuridica, Giappichelli, 2024.
[42] G. PIERRO, Accertamento del fatto e colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio, Aracne, 2011.
[43] D. GARLAND, Pena e società moderna, A. CERETTI – F. GIBELLINI (traduttori), Il Saggiatore, 1999.
[44] G. AMATO, Dignità, riservatezza, onore della persona e pubblicità televisiva del processo, in Quad. avv., n. 2/1995, p. 28.
[45] A. MANNA, Tutela penale dell’onore, cronaca giudiziaria e diffusione di dati concernenti fatti giudiziari, in Dir. Inf. e inform., 1999, p. 271.
[46] A. GARAPON, Del giudicare. Saggio sul rituale giudiziario, Raffaello Cortina Ed., 2006.
[47] R. DELLA VALLE, Quando l’Italia perse la faccia. L’orrore giudiziario che travolse Enzo Tortora. Conversazione con Francesco Kostner, Pellegrini, 2023.
[48] S. LEPRI, News: manuale di linguaggio e di stile per l’informazione scritta e parlata, Rizzoli Etas, 2011.
[49] G. AMATO, Divieto di “presentare” come colpevole la persona che è sottoposta a indagine. L’attuazione delle norme Ue, in Guida dir., n. 48/2021, p. 40.
[50] V. MANES, La vittima, eroe contemporaneo, in www.dirittodidifesa.eu, 7 agosto 2024.
[51] C.E. PALIERO, La maschera e il volto (percezione sociale del crimine ed “effetti penali” dei media), in Riv. it. dir. proc. pen., 2006.
[52] M. BERTOLINO, Pubblico e privato nella rappresentazione mediatica del reato, in Riv. it. dir. proc. pen., 2004, p. 178.
[53] I. BONOMI, L’italiano giornalistico. Dall’inizio del ‘900 ai quotidiani on line, Cesati, 2002; U. CARDINALE, Manuale di scrittura giornalistica, Utet Università, 2011.
[54] EMAD RASHED BENIAMEN, Il linguaggio giuridico, Universitalia, 2015.
[55] A. CRESPI, Pubblicità delle udienze e rispetto della persona, in Quad. Avv., n. 2/1995, p. 36.
[56] B. DEIDDA, L’esperienza di un giudice che ha “spiegato” il dispositivo della sentenza, in Quest. giust. trim., n. 4/2018, p. 98.
[57] G. FIANDACA, Il diritto penale giurisprudenziale tra orientamenti e disorientamenti, Editoriale Scientifica, 2008.
[58] A TOSCHI, Il segreto dell’istruzione penale, Giuffrè, 1988; A. TOSCHI, voce Segreto (dir. proc. pen.), in Enc. dir., vol. XLI, Giuffrè, 1989, p. 1098.
[59] R. ADORNO, Sulla pubblicazione del contenuto di atti di indagine coperti da segreto, in Cass. pen., 1995, p. 2167.
[60] Cfr. sull’intervenuto divieto di pubblicazione dell’ordinanza cautelare il D. Lgs. 10 dicembre 2024, n. 198, Disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della Direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, pubblicato nella Gazz. Uff. 23 dicembre 2024, n. 300.
[61] A. DEFFENU – M. BETZU, Pena detentiva e diffamazione a mezzo stampa in un’ordinanza di incostituzionalità accertata ma rinviata, in Giur. Cost., 2020, p. 1471.
[62] Cfr. E. FASSONE, «La pubblicità nel dibattimento», in L. De Cataldo Neuburger (a cura di) «Mass media, violenza e giustizia spettacolo», Cedam, 1996, p. 219.
[63] G. SCACCIA, Il bilanciamento degli interessi come tecnica di controllo costituzionale, cit, p. 3953; M. SCAPARONE, La partecipazione popolare all’amministrazione della giustizia, cit.
[64] D. CIRUZZI, Il condizionamento dei “media” nel processo penale, in Quest. giust., 1994, p. 198.
[65] N. TRIGGIANI, Verità materiale, verità processuale, verità mediatica: il problematico rapporto tra giustizia penale e informazione, in Annali della Facoltà di Giurisprudenza di Taranto, anno II, Cacucci, 2009, p. 497.