Enter your keyword

QUALCHE PROPOSTA PER (PROVARE A) SUPERARE  LE CRITICITÀ IN CUI VERSA L’ORDINE GIUDIZIARIO – DI DONATO D’AURIA

QUALCHE PROPOSTA PER (PROVARE A) SUPERARE LE CRITICITÀ IN CUI VERSA L’ORDINE GIUDIZIARIO – DI DONATO D’AURIA

D’AURIA – QUALCHE PROPOSTA PER (PROVARE A) SUPERARE LE CRITICITÀ IN CUI VERSA L’ORDINE GIUDIZIARIO.PDF

di Donato D’Auria*

            Il contributo propone una riflessione circa le cause reali della crisi di ordine etico ed istituzionale che oggi investe la Magistratura, con le sue strutture e dinamiche e ne prospetta alcuni percorsi di soluzione. La crisi che si osserva in atto negli ultimi anni – che di recente è emersa, drammaticamente, all’attenzione dell’opinione pubblica – deve essere ricondotta ad una riforma dell’ordine giudiziario (la c.d. riforma Mastella), che ha posto le precondizioni per le pratiche del carrierismo, assurto a sistema e del c.d. correntismo. L’esito di queste tendenze è il pervertimento radicale non soltanto della funzione e del ruolo di garanzia che la Carta fondamentale ha assegnato all’organo di autogoverno ma soprattutto delle stesse forme e dei modi attraverso i quali deve essere concretamente esercitata la funzione giurisdizionale nell’ordinamento costituzionale.

            La crisi è profonda e ha radici anche di ordine culturale. La «normalizzazione» – anche nella percezione – di queste dinamiche degenerative ha fortemente inciso sulla mentalità complessiva della magistratura. La risposta non può però limitarsi a questo piano, ma deve piuttosto riguardare le regole ed agire sulle precondizioni strutturali della crisi in atto.

            Tre sono le proposte che si avanzano: previsione di incompatibilità tra ruoli associativi e consiliari, sorteggio degli eleggibili per il C.S.M. e rotazione negli incarichi di coordinamento degli uffici.

  1. L’attuale situazione e le sue cause.

            La profonda crisi etica e di credibilità in cui versa attualmente la Magistratura, che è sotto gli occhi di tutti, affonda le sue radici nella sciagurata Riforma Mastella del 2006, che – con la gerarchizzazione degli uffici, la eliminazione del criterio dell’anzianità e la conseguente spinta al carrierismo sfrenato che ha ingenerato – ha snaturato, sfigurandolo, il tessuto umano e professionale della categoria.

            I gruppi organizzati (le cosiddette correnti) hanno stravolto l’essenza della loro esistenza, trasformandosi da luogo di elaborazione di idee (che garantiva il bene prezioso della pluralità di pensiero e delle diverse sensibilità culturali all’interno della magistratura) in centri di vero e proprio potere, che gestiscono e influenzano pesantemente la vita e la “carriera” dei singoli magistrati. Si è in tal modo dato vita ad una commistione tra piani diversi che dovrebbero restare nettamente separati: quello politico (nel senso nobile del termine) e quello istituzionale; tra soggetti (l’Associazione Nazionale Magistrati e il Consiglio Superiore della Magistratura) che dovrebbero dialetticamente contrapporsi, mentre risultano del tutto omologati e con i componenti dell’uno che disinvoltamente transitano nell’altro e viceversa.

            Il problema più grande che oggi esiste in magistratura non è tanto quello della indipendenza esterna, della indipendenza cioè dagli altri poteri dello Stato, per dirla in altre parole, dalla politica ufficiale, quanto la indipendenza interna, che è condizionata fortemente da quelle associazioni di diritto privato che sono le correnti, che rivendicano la loro connotazione politica anche con riguardo alla loro azione all’interno della istituzione consiliare.

            Queste ultime, infatti, distribuendo incarichi e prebende ai vari associati, consentono loro di costruirsi sfolgoranti carriere, acquisendo in tal modo debiti di riconoscenza ed in ogni caso creando intrecci perversi per le nomine ai vertici di tribunali e procure, alle quali si accede per appartenenza, più che per meriti (sul punto basta leggere le chat contenute nel telefono del dott. Luca Palamara, riportate da alcuni organi di informazione e non smentite dai diretti interessati, oltre che le numerose sentenze di annullamento delle delibere consiliari ad opera del giudice amministrativo).

            Funzionale a siffatta realtà è il fenomeno delle cosiddette carriere parallele – che vede protagonisti magistrati (tutti rigorosamente facenti parte di gruppi associati) chiamati fiduciariamente fuori del ruolo organico della magistratura da soggetti politici a svolgere funzioni di supporto all’interno della struttura ministeriale o di altri enti – e dei magistrati prestati alla politica, che entrano ed escono dall’ordine giudiziario con una disinvoltura disarmante (il fenomeno cosiddetto delle porte girevoli), tornando a svolgere funzioni giurisdizionali dopo aver militato in formazioni politiche in Parlamento o in altri consessi elettivi. Sono anni che si manifesta l’intenzione di regolare con legge tale fenomeno, ma non si è mai andati oltre le mere dichiarazioni di intenti, verosimilmente perché – a sommesso giudizio di scrive – non vi è la volontà politica di cambiare tale stato di cose.

            Del resto, certa politica ha tutto l’interesse a mantenere una magistratura assoggettata alle correnti, dunque, pienamente controllabile tramite i capi interni, che sono collaterali alle varie fazioni politiche, in una osmosi che genera solo frutti perversi. In tal modo, attraverso il vulnus alla indipendenza interna si raggiunge anche il condizionamento esterno della magistratura, il tutto con modalità subdole e molto meno appariscenti, dunque più difficili da individuare e combattere.

            Ed allora, lo “strapotere del P.M.” e la figura del “giudice creativo” – evocati dal Consigliere Lanzi nel suo contributo recentemente pubblicato su questa Rivista[1] – sono la conseguenza, non la causa del fenomeno di cui si discute. L’azione politica del magistrato (P.M. o Giudice che sia), che esercita la funzione per compiacere, o peggio per favorire, una parte politica, è finalizzata ad acquisire o a mantenere una posizione di potere; in altri termini, è frutto del sistema, non causa e trattasi all’evidenza di attività eversiva.

  1. La rappresentatività è concetto diverso dalla rappresentanza.

            Di questo passo si è arrivati al punto da attribuire rilevanza politica all’azione consiliare, dimenticando che il Costituente ha voluto una magistratura professionale e non elettiva, affidando il compito di amministrare giustizia a soggetti selezionati per concorso e non collegati alla politica. In altri termini, si rivendica la necessità che le nomine garantiscano la pluralità di sensibilità presenti in magistratura, dato questo che comporta che le stesse siano effettuate non per merito, ma per appartenenza “politica”. Ciò più prosaicamente significa che qualsiasi incarico di “prestigio” viene spartito tra i vari gruppi associati, portatori di sensibilità diverse (sic!), in relazione al “peso” di ognuno: dalle nomine dei direttivi e semidirettivi, ai fuori ruolo, ai posti di magistrato segretario (peraltro, con riferimento a questi ultimi incarichi, autorevoli esponenti del sistema delle correnti non ne hanno fatto mistero), a quelli al Massimario, alla Suprema Corte o alla Procura Generale, con le votazioni cosiddette “a pacchetto” (il meccanismo è semplice: ogni gruppo indica i propri appartenenti e la votazione viene effettuata in blocco, in un unico “pacchetto” appunto).

            Orbene, l’assurdità di tale impostazione emerge lampante sol che si consideri che il C.S.M. disegnato dai Padri Costituenti è organo rappresentativo dei magistrati, non organo di rappresentanza. In altri termini, i magistrati componenti del C.S.M. sono niente altro che un campione rappresentativo dei magistrati, in ragione delle diverse funzioni esercitate e dei diversi ambiti di lavoro (l’art. 104, comma 3, Cost. recita: sono eletti da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie).

            Dunque, è una vera e propria impostura concettuale quella di rappresentare i componenti del C.S.M. – e, specificamente, i componenti togati – come rappresentanti dei magistrati elettori. Il C.S.M. è costituzionalmente un organo di alta amministrazione; i suoi componenti sono investiti di un mandato costituzionale di soggezione alla legge e non di un mandato politico di rappresentanza degli interessi degli elettori.

            L’istituzione consiliare è esclusivamente organo di garanzia della autonomia e della indipendenza della magistratura ordinaria, non organo di rappresentanza politica. È per questo che non ha alcun potere di rappresentanza dei magistrati; nessun consigliere del C.S.M. è, né può essere, il rappresentante del proprio elettore, così come non può fare gli interessi di chi lo ha eletto: questo sarebbe semplicemente eversivo ed incostituzionale!

            Del resto, proprio perché la giurisdizione si fonda sui principi di legalità e di apoliticità è stata sottratta al controllo dell’esecutivo, di talché sarebbe del tutto irragionevole affidarne l’amministrazione ad un organo politico.

            Ed allora, davvero non si comprende il senso dei Gruppi consiliari facenti capo ai diversi gruppi associativi, essendo auspicabile il loro scioglimento: si tratterebbe di un gesto dal valore altamente simbolico, costituendo un significativo segnale di inversione di rotta nella direzione della liberazione dell’istituzione consiliare dalla occupazione delle correnti.

  1. Quali proposte?

            Innanzitutto, la previsione di incompatibilità.

            Da più parti è stato evidenziato che, per neutralizzare le cosiddette degenerazioni del correntismo, sarebbe necessario (e sufficiente) un cambio di mentalità da parte dei magistrati.

            Penso, invece, che sia necessario cambiare le regole, perché ormai non è più una questione di persone. Del resto, soggetti che fino ad ora sono stati pienamente inseriti in un siffatto sistema di potere e che hanno condotto la magistratura nel baratro in cui si trova come potrebbero esser capaci di autoriformarlo? Dunque, è imprescindibile un intervento del Legislatore, al quale solo potrà seguire un cambio di mentalità e di passo.

            Il sistema che attualmente governa la vita dei magistrati è – come si accennava – il frutto della perversa commistione tra A.N.M. e C.S.M., tra associazione e istituzione, i cui ruoli finiscono per sovrapporsi fino a confondersi.

            Oggi l’associazione è solo il trampolino di lancio verso l’autogoverno (ormai da diverse consiliature la stragrande maggioranza dei consiglieri, se non la totalità, proviene da cariche direttive all’interno dell’A.N.M.), mentre dovrebbe avere il ruolo di controllore esterno della regolare gestione del C.S.M.

            La previsione di stringenti incompatibilità per coloro che abbiano ricoperto ruoli apicali all’interno dell’associazione di candidarsi alla carica di consigliere superiore, restituirebbe ai gruppi associati il ruolo di centri di aggregazione, funzione oggi dismessa per essere diventati centri di gestione di potere politico, che influenzano l’operato dei singoli magistrati, in quanto incidono sulla loro indipendenza interna.

  1. Il sorteggio degli eleggibili.

            Il rimedio più efficace che permetterebbe di recidere il legame perverso tra le correnti – che designano i candidati al C.S.M. – e l’istituzione è il sorteggio temperato, quale metodo di elezione dei consiglieri superiori. Dunque, non il sorteggio tra gli eletti – che propone il Consigliere Lanzi e che, come avrò modo di evidenziare, non risolve il problema, in quanto non riuscirebbe ad incidere sul meccanismo correntocratico di designazione dei candidati – ma il sorteggio degli eleggibili (in termini semplici: si sorteggia tra i magistrati con una certa anzianità un numero multiplo di candidati rispetto ai posti da coprire e tra essi si svolge l’elezione).

            Si tratta di una soluzione a costo zero, che a Costituzione invariata (l’art. 104 Cost. prevede che i membri togati del C.S.M. siano eletti “da” tutti e non “tra” tutti i magistrati) consentirebbe di restituire dignità alla figura dei consiglieri superiori. Ed invero, nell’attuale sistema i candidati vengono designati dai gruppi con moltissimo anticipo, molto spesso addirittura alcune consiliature pima di quella in cui vengono proposti (questo, in sintesi, è il motivo per cui il sorteggio tra gli eletti non inciderebbe sull’attuale perverso meccanismo di designazione correntizio), mentre con il sorteggio degli eleggibili nessuno potrebbe confidare nella investitura del proprio gruppo di riferimento e, dunque, nessuno più si assocerebbe con il recondito fine di prepararsi la strada per la candidatura al C.S.M., che è sempre una designazione dei vertici delle correnti, che comporta all’evidenza un dovere di riconoscenza verso i capi, circostanza questa che – cosa ancor più grave e pericolosa – si riflette poi anche sull’indipendente esercizio della giurisdizione.

            Il sorteggio, dunque, costituisce un meccanismo selettivo dei candidati che consente di svincolare il consigliere superiore eletto dai legami e dagli obblighi che discendono dal consenso e dall’appartenenza, per ricondurlo al vincolo ed alla sottoposizione solo alla legge.

            Del resto, come si è sopra evidenziato, il C.S.M. non ha, non può e non deve avere rappresentanza politica, in quanto svolge compiti essenziali di alta amministrazione e di controllo. E per questo deve svolgerli scevro da ogni condizionamento tipico dei meccanismi elettorali fondati sulla rappresentanza.

            In definitiva, è il sorteggio degli eleggibili – e non già l’attuale metodo di elezione – l’unico strumento in grado di garantire che il C.S.M. svolga realmente la propria funzione di garante assegnatagli dalla Costituzione. Appare, invero, quanto mai necessario che i consiglieri superiori, nel decidere delle sorti dei propri colleghi, non abbiano alcun “debito” nei confronti dei loro elettori: ciò è a maggior ragione auspicabile in considerazione del fatto che attualmente dietro ogni consigliere eletto c’è una corrente e dietro la corrente un nemmeno tanto velato collateralismo politico.

            L’introduzione del sorteggio non inciderebbe sull’autorevolezza dell’organo – come da più parti inopinatamente si sostiene – e, perciò, sulla sua posizione nell’ordinamento costituzionale, perché nulla toglierebbe ai poteri e alle prerogative del Consiglio; anzi, sganciandolo dalle logiche correntizie, servirebbe a restituirgli quella autorevolezza e quella credibilità che oggi ha perduto.

            Le due obiezioni più frequenti che si muovono alla introduzione del sorteggio, anche di quello temperato, sono da un lato quella che tale meccanismo limiterebbe il diritto di elettorato passivo, dall’altro quella per cui estrarre a sorte i componenti togati sarebbe umiliante, in quanto restituirebbe l’immagine di una magistratura incapace di scegliere i propri rappresentanti.

            Alla prima si è già sinteticamente risposto, nei limiti che la presente sede consente, evidenziando che l’art. 104 Cost. prevede che i membri togati del C.S.M. siano eletti “da” tutti e non “tra” tutti i magistrati; alla seconda è sufficiente ribattere che il sorteggio esalta la parità tra tutti i magistrati voluta dai Padri Costituenti. Del resto, con il metodo del sorteggio puro, nemmeno temperato, vengono scelti i membri per l’integrazione della Corte Costituzionale nei giudizi di accusa contro il Capo dello Stato, i membri del Tribunale dei Ministri, i giudici popolari della Corte di Assise, i membri delle commissioni del concorso per l’accesso in magistratura e di altre procedure concorsuali e non mi pare che in relazione a tali ipotesi siano state mosse obiezioni di sorta.

            A sostegno del sorteggio va, infine, evidenziato che non può in alcun modo essere messa in dubbio la capacità di qualunque dei soggetti sorteggiati di far parte degnamente del C.S.M. e di essere in grado di svolgere le funzioni assegnategli: il sorteggio verrebbe effettuato all’interno di una categoria qualificata, quella dei magistrati, i quali, già solo per il fatto di appartenere a tale ordine, si deve supporre abbiano le caratteristiche e le competenze per prestare servizio anche all’interno del C.S.M. L’unica plausibile alternativa, se si dovesse ritenerli incapaci, è che per tale motivo non possano far parte dell’ordine giudiziario.

            In conclusione, il sorteggio come metodo di selezione per organi che devono essere indipendenti non nega i presupposti della democrazia, ma li rafforza.

  1. La rotazione nel coordinamento dell’ufficio.

            Altro rimedio attuabile con un intervento del legislatore ordinario è quello di prevedere un sistema di rotazione nel coordinamento dell’ufficio, in luogo della attuale previsione delle figure dei semidirettivi e dei direttivi, il cui potere di nomina costituisce l’humus nel quale prospera il sistema correntizio attuale. In buona sostanza, si tratta di coinvolgere mediante la rotazione tutti i magistrati – a partire da una determinata anzianità di servizio – nel coordinamento dell’ufficio, in modo tale da realizzare una partecipazione orizzontale alla sua gestione, certamente più in linea con il dettato costituzionale, a mente del quale i magistrati si distinguono fra loro soltanto per la diversità delle funzioni svolte (art. 107, comma 3, Cost.).

            In tal modo, si restituirebbe al singolo magistrato l’indipendenza e la pari dignità che la Carta fondamentale gli assegna, mediante un sistema inclusivo, che assicuri la partecipazione per così dire orizzontale di tutti i magistrati alla gestione dell’ufficio, mettendo in condizione ognuno di essi di dare il proprio contributo organizzativo per un periodo determinato (si potrebbe, ad esempio, pensare ad un biennio) all’ufficio che già conosce perché ne fa parte.

            Ad una siffatta proposta di riforma si obietta che sarebbe concreto, se non addirittura frequente, il rischio di una inadeguatezza del magistrato chiamato di volta in volta a coordinare l’ufficio (o la sezione). Al contrario, è facilmente prevedibile la realizzazione di un circuito virtuoso atteso che tutti i magistrati dell’ufficio avrebbero un costante interesse verso le questioni ordinamentali, oltre che una maggiore collaborazione nella sua gestione, proprio in funzione del prossimo ruolo organizzativo che a ciascuno competerebbe a rotazione.

*Giudice presso il Tribunale di Pisa

[1] A. Lanzi, Attuali criticità della Magistratura e del CSM in www.dirittodidifesa.eu