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RIFORMA DELLE VALUTAZIONI DI PROFESSIONALITÀ E DELLE DISFUNZIONI AD ESSA CONNESSE, IN PROSPETTIVA COMPARATA – DI GIUSEPPE DI FEDERICO

RIFORMA DELLE VALUTAZIONI DI PROFESSIONALITÀ E DELLE DISFUNZIONI AD ESSA CONNESSE, IN PROSPETTIVA COMPARATA – DI GIUSEPPE DI FEDERICO

DI FEDERICO – RIFORMA DELLE VALUTAZIONI DI PROFESSIONALITÀ E DELLE DISFUNZIONI AD ESSA CONNESSE IN PROSPETTIVA COMPARATA.PDF

RIFORMA DELLE VALUTAZIONI DI PROFESSIONALITÀ E DELLE DISFUNZIONI AD ESSA CONNESSE, IN PROSPETTIVA COMPARATA.

di Giuseppe Di Federico*

Un approfondito studio sulle valutazioni di professionalità dei magistrati, anche in prospettiva comparata. Questo scritto farà parte di un volume, a cura dell’autore, sulla riforma della giustizia dedicato a Marco Pannella.

Sommario: 1. Valutazioni di professionalità iniziali e conferimento delle funzioni giudiziarie; -2. Valutazioni periodiche della professionalità nel corso della carriera; -3. Ruolo e funzioni delle valutazioni di professionalità nei sistemi giudiziari a reclutamento burocratico; -4. Cenni sul governo del personale togato e valutazioni della professionalità prima delle riforme degli anni 1960-70; -5. La progressiva eliminazione di tutte le sostantive valutazioni della professionalità ad opera del CSM; -5.1. Le innovazioni nella valutazione di professionalità ai fini della Carriera; -5.2. Legge elettorale del 1967 e mutazioni nell’assetto del CSM; – 6. Le valutazioni della professionalità con la legge di riforma attualmente in vigore; – 6.1. Valutazioni della professionalità e selezione negativa; – 7. L’inefficacia del nuovo sistema di valutazione della professionalità a livello applicativo; – 8. Le principali conseguenze generate dall’assenza di attendibili valutazioni della professionalità; – 8.1. Valutazioni della professionalità trattamento economico e indipendenza; – 8.2. Correntismo, trasferimenti e destinazione alle varie funzioni; – 8.3. Valutazioni di professionalità, ampliamento dell’ambito di applicazione dei principi di inamovibilità e indipendenza; – 8.4. Valutazione della professionalità ed esperienza giudiziaria; -8.5. Valutazioni della professionalità, attività extragiudiziarie e indipendenza; 9. Riflessioni conclusive; -10. Riforme.

1.Valutazioni di professionalità iniziali e conferimento delle funzioni giudiziarie.

La legge prevede che i magistrati vengano periodicamente valutati nel corso dei 40 anni in cui, di regola, permangono in servizio.  La prima valutazione successiva al reclutamento avviene dopo 18 mesi dall’entrata in servizio.  Poiché le prove di concorso sono -come vuole la legge- di natura teorica[1] e poiché di regola i vincitori del concorso non hanno una precedente esperienza professionale nel campo dell’applicazione del diritto, all’inizio della carriera e prima di esercitare le funzioni giudiziarie devono svolgere un periodo di tirocinio della durata di 18 mesi.  Una sessione di questo periodo, pari a sei mesi, viene svolta presso la Scuola superiore della magistratura, mentre l’altra si sviluppa presso gli uffici giudiziari[2].

Al termine del periodo di tirocinio il CSM “opera il giudizio di idoneità al conferimento delle funzioni giudiziarie”.  Se il giudizio è positivo il CSM destina d’ufficio i magistrati a svolgere le funzioni giudiziarie di primo grado ad accezione di quelle che nel settore penale assumono particolare rilievo per la protezione dei diritti del cittadino[3].

Nel caso il CSM valuti negativamente il magistrato al termine del tirocinio, questi deve svolgere un ulteriore periodo di formazione della durata di un anno, con sessioni di minore durata, presso la Scuola e presso gli uffici giudiziari. Una seconda valutazione negativa del CSM determinerà, la cessazione del rapporto di impiego.  Di fatto il numero delle valutazioni negative al termine del tirocinio è un evento talmente raro da essere statisticamente irrilevante.  Un fenomeno sorprendente visto che la maggioranza dei neo reclutati ha ottenuto voti molto bassi alle prove scritte del concorso cioè alla sua prova maggiormente selettiva[4].

  1. Valutazioni periodiche della professionalità nel corso della carriera.

L’ultima riforma legislativa in materia di valutazioni della professionalità è del 2007 ed aveva come obiettivo quello di rendere le valutazioni di professionalità più rigorose. Prevede che nel corso della carriera i magistrati vengano sottoposti a sette valutazioni di professionalità quadriennali da parte del CSM secondo rigorosi criteri stabiliti dalla legge[5].  Come vedremo, nonostante il rigore formale di questi nuovi criteri, nonostante le successive circolari del CSM intese a renderli ancora più incisivi, le valutazioni dei magistrati ai fini degli avanzamenti in carriera sono rimaste inattendibili, proprio come nel periodo precedente.  Non è possibile quindi prospettare riforme in questo settore senza comprendere l’importanza che riveste la valutazione di professionalità nei sistemi giudiziari di tutti i paesi che hanno un sistema di reclutamento della magistratura simile al nostro, e senza comprendere le vicende che in Italia hanno portato alla sostanziale abolizione dei sistemi di valutazione che, in varie forme, ancora caratterizzano gli altri paesi a consolidata tradizione democratica dell’Europa continentale.  Senza una conoscenza di questi aspetti non è possibile comprendere neppure quali sono le impervie difficoltà che occorre superare per introdurre efficaci riforme in materia nel nostro Paese.

Nelle pagine che seguono descriverò sommariamente: a) le caratteristiche e gli obiettivi delle valutazioni professionali nei sistemi giudiziari dell’Europa Continentale che, come il nostro, reclutano persone che di regola non hanno precedenti esperienze lavorative nel campo dell’applicazione del diritto (Francia, Germania, Spagna, Olanda, e così via); b) le principali caratteristiche delle valutazioni di professionalità in Italia prima dei cambiamenti intervenuti a partire dagli anni 1960; c) la eliminazione di tutte le tradizionali valutazioni di professionalità ad opera del CSM ed il prevalere dell’anzianità come criterio primario e quasi assoluto di valutazione professionale ai fini della carriera a partire dalla fine degli anni 1960; c)  le innovazioni introdotte dalle riforme del 2007 nella gestione del personale di magistratura e la loro inefficacia sul piano operativo.

Concluderò quindi con una breve presentazione delle principali disfunzioni, ancor oggi operanti, che derivano in tutto o prevalentemente dalla evoluzione nelle valutazioni della professionalità avvenute a partire dagli anni 1960.   Gravi disfunzioni che, come vedremo, riguardano soprattutto, ma non solo: a) le difficoltà quasi insormontabili di coprire le sedi giudiziarie non gradite ai magistrati; b) la perdita di rilievo dell’esperienza giudiziaria; c) la conseguente diffusione delle attività extragiudiziarie dei magistrati e la connessa commistione tra classe politica e magistratura; c) il fenomeno del correntismo  che altera il corretto processo decisionale del CSM facendo spesso prevalere criteri di natura particolaristica soprattutto, ma non solo, nell’assegnazione degli incarichi direttivi e delle sedi giudiziarie più gradite ai magistrati.

  1. Ruolo e funzioni delle valutazioni di professionalità nei sistemi giudiziari a reclutamento burocratico.

L’esigenza di effettuare periodiche ed effettive valutazioni della professionalità dei magistrati è inscindibilmente connessa al modello di reclutamento burocratico. Poiché si reclutano persone che di regola non hanno specifiche esperienze professionali e che rimangono in servizio per una intera vita lavorativa (spesso più di 40 anni), le ricorrenti valutazioni successive al reclutamento servono, infatti, ad assicurare una pluralità di esigenze funzionali che sono necessarie per garantire al cittadino la bontà e l’efficienza del servizio, e cioè:

a) servono a verificare che i magistrati, inizialmente in possesso di conoscenze solo teoriche, maturino effettive capacità professionali; servono, successivamente, a scegliere coloro che sono più qualificati per coprire le vacanze ai livelli più alti della giurisdizione ove i giudizi di primo grado vengono prima rivisti e poi pervengono al giudizio definitivo; servono per verificare, cosa non meno importante, che i magistrati conservino le loro capacità lungo tutto il corso dei 40 e più anni di permanenza in servizio e fino all’età del pensionamento;

b) servono infine a fornire informazioni utili per destinare i magistrati alle funzioni più consone alle loro caratteristiche e conoscenze personali.

  1. Cenni sul governo del personale togato e sulle valutazioni della professionalità prima delle riforme degli anni 1960-70.

L’assetto della magistratura italiana fino alla seconda metà degli anni 1960 si uniformava a quello dianzi sommariamente descritto, cioè a quello che ancor oggi caratterizza la gestione del personale togato negli altri paesi europei con reclutamento simile al nostro. Dopo il reclutamento vi erano sei differenti qualifiche e altrettante valutazioni della professionalità (vedi tabella 2). Due sole di esse avevano notevole rilievo selettivo, e cioè le valutazioni di professionalità per la promozione da magistrato di tribunale a magistrato d’appello e, successivamente, per la promozione da magistrato di appello a magistrato di cassazione.  Le valutazioni venivano effettuate da commissioni composte da magistrati dei livelli più alti della carriera che in precedenza avevano essi stessi superato rigorose selezioni, ed il numero delle promozioni non poteva mai eccedere il numero di vacanze esistenti ai livelli superiori della giurisdizione.  Le valutazioni venivano effettuate prevalentemente con riferimento ai lavori scritti dei magistrati (sentenze, ordinanze, requisitorie, etc.)[6].  I candidati che risultavano idonei venivano ordinati in una graduatoria di merito e promossi fino alla concorrenza dei posti messi a concorso che, come già detto, non potevano superare il limitato numero di posizioni che si erano rese vacanti ai livelli superiori della carriera. L’idoneità non aveva alcun rilievo giuridico. Gli idonei non promossi che aspiravano alla promozione dovevano comunque presentarsi ad un successivo concorso.

Per un confronto, sia pur sintetico, che evidenzi le principali differenze rispetto ai sistemi di valutazione successivi è opportuno aggiungere altri quattro aspetti del sistema vigente sino alle riforme introdotte negli anni 1966-1973:

a) Nessun magistrato poteva essere destinato ad esercitare funzioni giudiziarie diverse da quelle corrispondenti al proprio livello di carriera (vedi tabella 1)

b) Per quanto i livelli della carriera dopo il reclutamento fossero 6, di regola le occasioni di valutazione per i magistrati erano ben più numerose, soprattutto perché solo raramente le promozioni a magistrato di appello e a magistrato di cassazione si conseguivano al primo tentativo. Inoltre la legge stabiliva tassativamente quali funzioni giudiziarie si potessero e dovessero esercitare ai vari livelle della carriera (vedi la tabella 1).

c) Il sistema di promozioni era tanto selettivo che al momento del pensionamento per anzianità nel periodo 1952-1962 la maggioranza dei magistrati, il 52,2%, si trovava ancora al primo livello di selezione competitiva della carriera, quello di magistrato di appello e del relativo stipendio; grado che spesso veniva raggiunto negli ultimi anni prima del pensionamento. Non solo, ma nello stesso periodo il 2,2 % dei magistrati era andato in pensione per anzianità quando occupava ancora il livello più basso, cioè quello di magistrato di tribunale[7].

d) Il sistema delle promozioni prevedeva che le valutazioni negative potessero portare alla dispensa dal servizio del magistrato in tutti i passi della carriera sino al livello di magistrato di appello compreso[8] (cui allora si poteva pervenire non prima dell’aver compiuto 16 anni di servizio in magistratura).

Tab. 1. “Gradi” della carriera giudiziaria, qualifiche e posizioni di lavoro ordinarie negli uffici giudiziari, ruolo organico del personale della magistratura. Situazione al 1965.

“Grado”

della carriera

Qualifica e posizione di lavoro ordinarie negli uffici giudiziari n. posti
I Magistrato di cassazione con funzioni direttive superiori:

primo presidente della Corte di cassazione ……………………

1
II Magistrati di cassazione con funzioni direttive superiori:

presidente aggiunto della Corte di cassazione; procuratore generale presso la Corte di cassazione; presidente del Tribunale superiore delle acque pubbliche ………………………………

3
III Magistrati di cassazione con funzioni direttive superiori:

presidenti di sezione ed avvocati generali presso la Corte di cassazione; presidenti e procuratori generali di corte d’appello

82
IV Magistrati di cassazione:

consiglieri e sostituti procuratori generali presso la Corte di cassazione presidenti di sezione ed avvocati generali presso le corti di appello; presidenti di grandi tribunali; procuratosi della Repubblica di grandi tribunali …………………………………

493
V Magistrati di appello:

consiglieri e sostituti procuratori generali presso le corti di appello; presidenti di tribunale e procuratori della Repubblica; presidenti di sezione di tribunale; consiglieri istruttori in grandi tribunali; procuratore aggiunto di grandi procure; pretore dirigente di grandi preture ……………………………………

1.780
VI Magistrati di tribunale:

giudici di tribunale; sostituti procuratori della Repubblica; pretori

4.173
VII Aggiunti giudiziari:

giudici di tribunale; sostituti procuratori della Repubblica; pretori

VIII Uditori con funzioni giudiziarie:

giudici di tribunale; sostituti procuratori della Repubblica; pretori; uditori vice-pretore

350
IX Uditori senza funzioni giudiziarie:

uditori in tirocinio

Totale 6.882

e) Poiché il principale criterio di valutazione riguardava gli atti giudiziari scritti dai candidati, per avere la possibilità di concorrere alle promozioni i magistrati non potevano rimanere a lungo in posizione di fuori ruolo, cioè lontani dall’impegno nel lavoro giudiziario, almeno fino a quando non fossero riusciti a conseguire l’ultima promozione prevalentemente basata sulla valutazione dei titoli giudiziari, cioè quella

di magistrato di cassazione. I pochissimi magistrati che sceglievano di farlo (ad esempio perché parlamentari) non progredivano nella carriera. In altre parole le valutazioni della professionalità e le corrispondenti promozioni del magistrato erano strettamente legate all’effettivo e prolungato svolgimento delle funzioni giudiziarie.

Questo sistema di carriera se da un canto era coerente con un sistema di reclutamento burocratico e con l’esigenza di effettuare reali valutazioni della professionalità dei magistrati nel corso dei 40 e più anni della loro permanenza in servizio, garantendo al contempo la maggiore qualificazione professionale dei magistrati ai livelli superiori della giurisdizione, dall’altro nella sua applicazione concreta non era privo di alcuni aspetti gravemente disfunzionali[9].

  1. La progressiva eliminazione di tutte le sostantive valutazioni della professionalità ad opera del CSM.

Tra la seconda metà degli anni 1960 e gli inizi degli anni 1970 furono introdotte innovazioni normative richieste del sindacato della magistratura, l’ANM, e si consolidarono prassi decisorie del CSM che cambiarono radicalmente il precedente sistema di valutazione professionale, di carriera.  Come già detto, ricorderemo il rilievo di quelle innovazioni e delle circostanze che ne determinarono le modalità applicative limitando la presentazione solo a quegli aspetti che consentono di poter meglio comprendere le difficoltà di tipo applicativo delle riforme ordinamentali del 2007, attualmente in vigore[10]. Sono eventi che ho vissuto in prima persona essendo stato consulente organizzativo del CSM, proprio in quel periodo[11]. Considererò dapprima le principali caratteristiche delle leggi che furono emanate per modificare le promozioni di natura più selettiva, e cioè quella a magistrato d’appello, nel 1966 (n. 570/1966), e quella a magistrato di cassazione, nel 1973 (n. 831/1973).   Considererò quindi i rilevanti effetti che sull’interpretazione di quelle leggi ebbe la variazione dell’assetto del CSM eletto nel 1968 sulla base di una innovativa legge riguardante l’elezione dei membri togati, cioè la legge n. 1198/1967.

5.1. Le innovazioni nella valutazione di professionalità ai fini della Carriera.

Per quanto riguarda le principali innovazioni introdotte con le due leggi sulle promozioni dei magistrati del 1966 e del 1973, è sufficiente ai nostri fini qui ricordare che: a) da un canto il legislatore riaffermava la necessità di rigorose valutazioni di professionalità ai fini delle promozioni ed assegnava tale compito direttamente al CSM. Con ciò escludendo anche dal processo valutativo le commissioni di concorso composte dagli alti gradi della magistratura; b) dall’altro consentiva che le promozioni potessero avvenire anche in eccedenza del limitato numero di vacanze che annualmente si rendevano disponibili ai livelli superiori della carriera. Stabiliva quindi che i magistrati promossi in eccedenza dovessero continuare ad esercitare le funzioni che già svolgevano con la possibilità di accedere alle funzioni corrispondenti al loro nuovo livello della carriera facendone domanda quando i posti si sarebbero resi disponibili (c.d. sistema del “ruolo aperto”).

5.2. Legge elettorale del 1967 e mutazioni nell’assetto del CSM.

Per quanto riguarda gli effetti che si ebbero sulla interpretazione delle norme riguardanti le promozioni in conseguenza delle modificazioni della legge elettorale del CSM approvata nel 1977[12], basti ricordare che:

a) La prima normativa elettorale, del 1958[13], con cui fu eletto il CSM sino al 1968 prevedeva che i magistrati appartenenti ai diversi livelli della carriera eleggessero separatamente i loro rappresentanti. Prevedeva inoltre che i magistrati ai livelli più alti della carriera fossero sovra-rappresentati rispetto al loro numero: basti dire che i magistrati al livello più basso della carriera (i magistrati di tribunale) avevano solo 4 rappresentanti su 14, pur costituendo il 68% del corpo elettorale. Si trattava cioè di una legge elettorale che poneva un prevalente potere decisorio nelle mani degli alti gradi della magistratura, una configurazione della rappresentanza dei magistrati, occorre osservare, che ancor oggi caratterizza, in varia misura, la maggior parte dei sistemi di valutazione e promozione a consolidata democrazia dell’Europa continentale. Nel 1967 il CSM così composto aveva interpretato la legge sulle promozioni per magistrato di appello varata nel 1966 affermando che i severi vagli di professionalità previsti anche da questa legge potevano essere fatti solo “tenendo conto dei lavori giudiziari” di ogni candidato, e cioè valutando “le sue sentenze, le sue requisitorie, i suoi motivi di gravame”[14]. Questa interpretazione fu approvata dal Consiglio quasi all’unanimità e trovò il pieno, convinto consenso di tutti e dieci i rappresentati degli alti gradi della magistratura che nel 1963 erano stati eletti col voto, poco numeroso, dei loro pari grado[15].

b) La legge elettorale del 1967 con cui fu eletto, nel 1968, il terzo CSM pur mantenendo la stessa prevalenza degli alti gradi della magistratura della legge precedente, eliminò il voto separato secondo i gradi della carriera. La stragrande maggioranza dei magistrati che apparteneva ai livelli bassi della carriera e che aderiva all’Associazione Nazionale Magistrati (ANMI) venne così messa in condizione di decidere col proprio voto anche chi sarebbero stati i rappresentanti degli alti gradi della carriera. Il sindacato della magistratura, cioè l’ANMI, invitò formalmente e con grande impegno i suoi aderenti a “usare l’arma democratica del voto” e quindi a dare il proprio voto solo ai magistrati “che diano pieno affidamento … primo fra tutti quello della eliminazione dell’esame dei lavori giudiziari”[16].  Tutti i magistrati degli alti gradi che volevano essere eletti dovettero accettare questa autorevole esortazione[17], ed il CSM eletto nel 1968 diede subito un’interpretazione radicalmente differente della legge sulle promozioni del 1966 da quella data quasi all’unanimità dal Consiglio precedente.  Prevalse cioè l’orientamento, sostenuto in campagna elettorale dall’Associazione magistrati, che la valutazione dei titoli fosse non solo lesiva dell’indipendenza interna della magistratura ma anche causa di inefficienza della giustizia[18].  Questa volta anche tutti e dieci i consiglieri eletti tra gli altri gradi della magistratura votarono compatti per questa diversa e opposta interpretazione della legge, mantenendo con ciò stesso gli impegni assunti in campagna elettorale.  Quell’orientamento interpretativo è stato poi applicato anche alla legge sulle promozioni a magistrato di cassazione del 1973 ed è poi rimasto costante nel tempo. Un orientamento interpretativo che è stato applicato dal CSM in maniera tanto condiscendente da soddisfare appieno le aspettative di carriera dei propri elettori togati, promuovendoli tutti in base all’anzianità “salvo demerito”.

L’impegno e la determinazione del CSM ad interpretare le nuove leggi sulle promozioni in modo che le valutazioni di professionalità e le promozioni fino al vertice della carriera dovessero essere di regola decise solo sulla base dell’anzianità è ben evidente se si considera che:

a) nei primi anni di applicazione di questi suoi orientamenti il CSM ha anche provveduto a promuovere retroattivamente in base all’anzianità tutti i magistrati in servizio che non erano stati promossi col sistema selettivo previgente;

b) avendo stabilito che i lavori scritti dei magistrati non dovessero essere più utilizzati nelle valutazioni di professionalità ai fini della carriera, il CSM poté decidere, a partire dal 1968, di promuovere per anzianità anche i magistrati che non avevano esercitato le funzioni giudiziarie per molti anni. Nulla nella legge per le promozioni in appello del 1967 indicava, tuttavia, che fosse consentito valutare positivamente la professionalità dei magistrati anche in assenza di una qualsiasi esperienza giudiziaria negli intervalli che intercorrono tra un livello e l’altro della carriera, e neppure che fosse legittimo valutare la professionalità dei magistrati con riferimento ad attività diverse da quelle giudiziarie. Decidendo di valutarli positivamente il CSM ha così stabilito, implicitamente ma molto chiaramente, che neppure l’esperienza giudiziaria è più necessaria per valutare professionalmente i magistrati e promuoverli.

Per eliminare completamente il sistema di valutazione preesistente e promuovere tutti in base all’anzianità al CSM rimanevano solo due ostacoli: le promozioni dei magistrati parlamentari e l’esame da aggiunto giudiziario.

Per quanto riguarda la promozione dei magistrati parlamentari, fino al 1970 il CSM non aveva promosso i pochi magistrati che allora sedevano in Parlamento (due di essi da più di 20 anni), in applicazione del disposto dell’art. 98, il quale prevede che “i pubblici dipendenti, se sono membri del Parlamento, non possono conseguire promozioni se non per anzianità”.  Successivamente, a partire dagli inizi degli anni 1970 il CSM cambiò la sua interpretazione dell’art. 98 sostenendo che i magistrati non sono “pubblici dipendenti”, e che quindi a differenza dei pubblici dipendenti i magistrati parlamentari possono essere promossi “per merito”, anche se non riferito ad attività giudiziarie[19].  Allora il CSM non tenne in alcun conto i lavori preparatori della Costituzione i quali fanno ritenere, a nostro avviso con chiarezza, che nella scrittura dell’art. 98 il Costituente intese includere anche i magistrati tra i “pubblici dipendenti”[20].  Tenne invece conto del “grido di dolore” che proveniva dai magistrati parlamentari che, dopo essersi tanto impegnati per far approvare dal Parlamento la legge sulle promozioni del 1966[21], venivano ad essere gli unici ad essere esclusi dal beneficio delle promozioni basate sull’anzianità già autonomamente decise dal CSM per tutti gli altri magistrati[22].  Da allora anche i magistrati parlamentari sono sempre stati promossi fino ai vertici della carriera al maturare dei minimi anni di anzianità previsti dalla legge per il passaggio da un livello all’altro della carriera.   Tra le molteplici conseguenze di questi orientamenti decisori del CSM ci sembra opportuno segnalarne una che riguarda le attività di natura politica:

La subitanea promozione di magistrati parlamentari dai livelli più bassi della carriera fino ai suoi vertici, come nel caso di Oscar Luigi Scalfaro e Brunetto Bucciarelli Ducci che erano parlamentari da oltre 25 anni (dal 1946 l’uno e dal 1948 l’altro), rese noto a tutti i magistrati, che era possibile e conveniente entrare nell’arena politica e ottenere i vantaggi economici dei parlamentari senza rinunziare a nessuno dei vantaggi, della carriera giudiziaria[23].

Per quanto concerne l’esame da aggiunto giudiziario occorre ricordare che dopo due anni dal reclutamento i magistrati dovevano allora sostenere esami scritti ed orali volti a verificare che i nuovi assunti avessero acquisito effettive capacità professionali di tipo operativo, e dopo due prove negative si prevedeva la dispensa dal servizio[24].   Erano esami avversati dal sindacato della magistratura ed il CSM si fece portatore di questa avversione riuscendo ad ottenere, con la legge 97/1979 la loro abolizione con iniziative di dubbia legittimità[25]. Legge che eliminò anche l’unica occasione rimasta di selezione negativa. Successivamente, le uniche occasioni di selezione negativa dopo il tirocinio rimasero, quindi, affidate a strumenti straordinari quali il procedimento disciplinare e la dispensa dal servizio “per debolezza di mente o infermità” ex art. 3, R. d. lgs.  n. 511/1946.  Con la legge 97/1979 i magistrati ottennero non solo l’abolizione degli esami da aggiunto e della relativa qualifica ma ottennero anche che fossero abbreviate di tre anni le anzianità minime richieste per conseguire le promozioni a tutti i livelli della carriera ed anche il più elevato trattamento economico[26].

Di fatto, quindi, a partire dalle riforme delle promozioni del 1966 e del 1973 non si sono più fatte sostantive e attendibili valutazioni della professionalità dei magistrati ai fini delle promozioni, con l’unica temporanea eccezione dei difficili, limitati concorsi per esame che sopravvissero sino al 1977[27]. Come mostrano i nostri dati di ricerca, da allora tutti i magistrati sono stati promossi, di regola con valutazioni altamente positive, salvo i rari casi grave demerito.  Queste promozioni ed il relativo, più elevato, trattamento economico sono state deliberate dal CSM con decorrenza dal compimento del requisito minimo di anzianità di servizio previsto dalla legge per il passaggio da un livello di carriera all’altro e cioè: 2 anni per la promozione a magistrato di tribunale, 13 anni di anzianità per la promozione a magistrato di appello, 20 anni di anzianità per la promozione a magistrato di cassazione, 28 anni di anzianità per la promozione a magistrato di cassazione con  funzioni direttive superiori.  Negli anni 1975-1990 la percentuale dei magistrati promossi è stata in media del 99,3% e in alcuni periodi anche superiore: tra il maggio 1979 ed il giugno 1981, ad esempio il CSM effettuò 4.034 valutazioni di professionalità riguardanti i quattro livelli da magistrato di tribunale a magistrato di cassazione con funzioni direttive superiori: i promossi furono 4.019 (cioè il 99.6% del totale); solo 15 (lo 0.4%) ebbero valutazioni negative, tutte motivate da gravi condanne disciplinari o da procedimenti penali pendenti.

Sulla base di quanto sin qui detto si può certamente affermare che in soli 5 anni (dal 1968 al 1973) il CSM ha rivoluzionato il sistema di carriera dei magistrati ed il loro trattamento economico.  Mentre in precedenza il numero massimo di magistrati che occupava posizioni riservate all’apice della carriera (magistrato di cassazione con funzioni direttive superiori) era di 86 unità e non poteva superare l’1,2% dell’organico, a partire dal 1973 il numero dei magistrati all’apice della carriera aumenta progressivamente e supera annualmente le 2000 unità e circa il 25% dell’organico complessivo.  Mentre in precedenza oltre il 50% dei magistrati andava in pensione per anzianità avendo raggiunto solo il livello stipendiale intermedio di magistrato d’appello a partire dal 1973 i magistrati vanno in pensione per anzianità avendo raggiunto il più elevato livello della carriera dello stipendio, della liquidazione e della pensione.

A sottolineare il fatto che il CSM effettuando promozioni generalizzate senza che una legge le prevedesse decideva anche di elevare il trattamento economico dei magistrati, il Presidente Pertini volle, dopo un prolungato contrasto col Consiglio, che nelle decisioni con cui promuoveva i magistrati ai due gradini più alti della carriera il CSM stesso si assumesse formalmente la responsabilità degli aumenti salariali su cui sostanzialmente decideva[28]. Da allora e fino alla riforma del 2007 in tutte le delibere (varie migliaia) con cui il CSM ha promosso i magistrati ai due gradini più alti della carriera il CSM ha dovuto aggiungere alla formula con cui decideva le promozioni anche l’indicazione che al contempo attribuiva anche “il trattamento economico previsto” per magistrato di cassazione o quello previsto per magistrato di Cassazione con funzioni direttive superiori.

Nelle numerosissime interviste fatte allora negli uffici giudiziari sono frequenti le testimonianze di magistrati che segnalavano lo scarso impegno di colleghi e ne facevano risalire la causa all’assenza di reali valutazioni della professionalità e della diligenza. Alcuni magistrati lo hanno dichiarato pubblicamente pagandolo a caro prezzo, vedendosi poi negare dal CSM incarichi per cui erano pienamente legittimati.  Tra essi Corrado Carnevale che venne denunziato per vilipendio della magistratura dalla procura di Agrigento (il ministro della giustizia, Giuliano Vassalli, non diede l’autorizzazione a procedere), e Giovanni Falcone il quale subì anche una dura reprimenda da parte del Comitato direttivo centrale dell’ANM[29] per aver detto in un pubblico convegno del 1988 che: “occorre rendersi conto, infatti, che l’indipendenza e l’autonomia della magistratura rischia di essere gravemente compromessa se l’azione dei giudici non è assicurata da una robusta e responsabile professionalità al servizio del cittadino.  Ora, certi automatismi di carriera …. sono causa non secondaria della grave situazione in cui versa attualmente la magistratura.  La inefficienza dei controlli sulla professionalità, cui dovrebbero provvedere il CSM ed i consigli giudiziari, ha prodotto un livellamento dei magistrati verso il basso[30].

Vediamo ora se ed in che misura le riforme adottate nel 2007 e attualmente in vigore abbiano introdotto significative innovazioni nella valutazione del personale togato.    

  1. Le valutazioni della professionalità con la legge di riforma attualmente in vigore.

Il d.lgs. nn. 25, 26, 160 del 2006, come modificati dalla legge n. 111/2007, hanno, tra l’altro, sia l’obiettivo di reintrodurre sostantivi vagli della professionalità dei magistrati sia quello di modificare le molteplici conseguenze disfunzionali che abbiamo visto essere collegate ad un sistema di carriera sostanzialmente basato sul mero decorrere dell’anzianità di servizio. Va aggiunto che le modalità con cui questi obiettivi venivano perseguiti nei d.lgs. del 2006 sono molto differenti da quelli adottati dalla legge 111/2007.  In termini molto generali si può dire che:

a) i d.lgs. del 2006 promulgati sotto il governo di centrodestra, ritenevano che le valutazioni di professionalità per essere effettive non potevano essere lasciate solo nelle mani di organi eletti dai magistrati, cioè i consigli giudiziari, in veste consultiva, composti, per le valutazioni di professionalità, solo da magistrati, ed il CSM, in sede deliberante, composto in maggioranza assoluta da magistrati; nelle mani di due organismi, cioè, in cui i magistrati vengono eletti in rappresentanza delle diverse correnti del sindacato della magistratura, Il d.lgs. del 2006, poi modificato, pur lasciando la decisione finale sulle promozioni nelle mani del CSM, come stabilito dalla Costituzione, prevedeva varie forme di esami scritti ed orali nonché la partecipazione di organismi esterni al CSM al processo di valutazione.  In buona sostanza veniva così ad essere limitata la discrezionalità del CSM nel suo orientamento a promozioni generalizzate.  I d.lgs. del 2006 incontrarono la dura opposizione del sindacato della magistratura ed un altrettanto dura critica nei pareri che su di essi formulò la maggioranza del CSM[31].

b) con l’avvento del Governo di centro sinistra, nell’aprile 2006, venne subito sospesa per un anno l’entrata in vigore del d.lgs. 160/2006 riguardante le valutazioni di professionalità, e la legge n. 111 del 2007, accogliendo in larga misura le critiche avanzate dall’ANM e nei pareri espressi dal CSM, lo ha modificato radicalmente, abolendo sia gli esami scritti e orali, sia i pareri formulati da organismi che includevano componenti esterni alla magistratura. Si è ritenuto cioè che per assicurare una effettiva valutazione della professionalità dei magistrati fosse sufficiente rendere molto più rigidi e penetranti i criteri di valutazione che i consigli giudiziari ed il CSM debbono adottare nell’effettuarle.

Prima di inoltrarci nella trattazione degli aspetti più rilevanti della riforma è opportuno segnalare una inevitabile difficoltà che si incontra nell’uso delle espressioni “promozioni” e “carriera”. La nuova legge abolisce le qualifiche (magistrato di tribunale, di appello di cassazione ecc.) che prima scandivano le promozioni ai vari livelli della carriera e non collega più ad esse gli avanzamenti nel trattamento retributivo nello stesso modo della legge precedente. Nella nuova legge non solo non si parla più di promozioni ma non si riesce neppure ad individuare quali siano i momenti del nuovo sistema di valutazione dei magistrati in cui vengano effettuate promozioni in senso proprio. D’altro canto l’art. 105 della Costituzione non è stato modificato e tuttora attribuisce al CSM il compito di effettuare le promozioni dei magistrati[32]. Usciremo da tale difficoltà in modo “pilatesco”, cioè evitando di utilizzare, da qui in avanti e per quanto possibile, sia il termine “promozioni” sia quello di “carriera”[33].

6.1. Valutazioni della professionalità e selezione negativa.

Si prevedono cinque valutazioni di professionalità da effettuarsi ogni 4 anni ed atre due valutazione per la scelta dei cinque magistrati da destinare ai ruoli giudiziari c.d. apicali (Presidente e Procuratore generale di Cassazione, Presidente aggiunto e Procuratore generale aggiunto della Cassazione, Presidente del tribunale superiore delle acque pubbliche)[34]. Laddove le cinque valutazioni quadriennali risultino, come di regola, tutte positive al primo tentativo, le valutazioni cessano a partire dal ventottesimo anno di anzianità quando mancano, di regola, circa 15 anni al raggiungimento dell’età del pensionamento obbligatorio fissato ora a 70 anni. I criteri utilizzati per la valutazione sono quattro e la stessa legge ne esplicita il significato[35]:

– “La capacità oltre che alla preparazione giuridica e al relativo grado di aggiornamento, è riferita, secondo le funzioni esercitate, al possesso delle tecniche di argomentazione e di indagine, anche in relazione all’esito degli affari nelle successive fasi e nei gradi del procedimento e del giudizio, ovvero alla conduzione dell’udienza da parte di chi la dirige o la presiede, all’idoneità ad utilizzare, dirigere e controllare l’apporto dei collaboratori e degli ausiliari”.

– “La laboriosità è riferita alla produttività, intesa come numero e qualità degli affari trattati in rapporto alla tipologia degli uffici e alla loro condizione organizzativa e strutturale, ai tempi di smaltimento del lavoro, nonché alla eventuale attività di collaborazione svolta all’interno dell’ufficio, tenuto conto anche degli standard di rendimento individuati dal Consiglio superiore della magistratura, in relazione agli specifici settori di attività e alle specializzazioni”.

– “La diligenza è riferita all’assiduità e puntualità nella presenza in ufficio, nelle udienze e nei giorni stabiliti; è riferita inoltre al rispetto dei termini per la redazione, il deposito di provvedimenti o comunque per il compimento di attività giudiziarie, nonché alla partecipazione alle riunioni previste dall’ordinamento giudiziario per la discussione e l’approfondimento delle innovazioni legislative, nonché per la conoscenza della evoluzione della giurisprudenza”.

– “L’impegno è riferito alla disponibilità per sostituzioni di magistrati assenti e alla frequenza di corsi di aggiornamento organizzati dalla Scuola superiore della magistratura; nella valutazione dell’impegno rileva, inoltre, la collaborazione alla soluzione dei problemi di tipo organizzativo e giuridico”.

La legge demanda al CSM il compito di definire con sua circolare “gli elementi in base ai quali devono essere espresse le valutazioni da parte dei 26 consigli giudiziari”, ed i parametri necessari a garantire una omogenea utilizzazione dei quattro criteri di valutazione. La legge stessa indica gli elementi di contenuto che la circolare del CSM deve comunque considerare, come ad esempio: i criteri obiettivi per la scelta a campione degli “atti e i provvedimenti redatti dal magistrato e i verbali delle udienze cui ha partecipato”, “le statistiche giudiziarie” del lavoro svolto dai magistrati, gli indicatori oggettivi per l’attitudine direttiva che devono, peraltro essere “individuati di intesa col Ministro della giustizia”, “l’individuazione per ciascuna delle diverse funzioni svolte dai magistrati, tenuto conto anche della specializzazione, di standard medi di definizione dei procedimenti”[36].

La legge indica anche i documenti che i consigli giudiziari acquisiscono per effettuare le valutazioni lasciando peraltro ampie facoltà ai consigli stessi ed ai loro componenti di acquisire documenti aggiuntivi utili ai fini della valutazione[37]. Tra essi figura anche, “il rapporto e le segnalazioni provenienti dai capi degli uffici” i quali devono “tenere conto” anche di quelle segnalazioni dei cittadini e dell’ordine degli avvocati che riferiscono “fatti specifici incidenti sulla professionalità” con particolare riguardo alle situazioni “concrete e oggettive di esercizio non indipendente della funzione e ai comportamenti che denotino evidente mancanza di equilibrio o di preparazione giuridica”. Si prevede che questo rapporto, unitamente alle segnalazioni dell’ordine degli avvocati ed alle eventuali osservazioni dei capi di corte, quali titolari del potere-dovere di sorveglianza, debbano poi essere “trasmessi obbligatoriamente” al CSM[38].

Il CSM provvede quindi ad effettuare la valutazione della professionalità “sulla base del parere dei consigli giudiziari e della relativa documentazione, delle ispezioni ordinarie”[39], e qualsiasi altro elemento di conoscenza ritenga utile acquisire.

Il giudizio è “positivo” quando la valutazione risulta sufficiente in relazione a ciascuno dei parametri previsti (cioè capacità, laboriosità, diligenza e impegno).

Il giudizio è “non positivo” quando “la valutazione evidenzia carenze in relazione a uno o più parametri. In tal caso la valutazione viene ripetuta dopo un anno e “il nuovo trattamento economico o l’aumento periodico di stipendio verrà corrisposto dopo un anno se la nuova valutazioni risulterà positiva. Nel frattempo il magistrato non potrà essere autorizzato a svolgere attività extragiudiziarie”.

Il giudizio è “negativo” quando la valutazione “evidenzia carenze gravi in relazione a due o più” parametri o il perdurare di carenze in uno o più parametri quando l’ultimo giudizio sia stato “non positivo”. In tali casi il magistrato è sottoposto a nuova valutazione dopo un biennio ed il Consiglio può disporre che il magistrato partecipi a uno o più corsi di riqualificazione professionale, può assegnarlo ad una diversa funzione nella medesima sede, può decidere di escluderlo dalla assegnazione di incarichi direttivi e semidirettivi o di specifiche funzioni fino alla successiva valutazione. La valutazione negativa comporta la perdita del diritto all’aumento periodico dello stipendio per un biennio. Nel biennio non può, inoltre, essere autorizzato a svolgere attività extragiudiziarie.

Se il CSM esprime un secondo giudizio negativo, il magistrato è dispensato dal servizio. Le nuove norme reintroducono quindi, dopo oltre 35 anni, una sistematica connessione tra valutazioni della professionalità e selezione negativa, a somiglianza di quanto avviene in altri paesi dell’Europa continentale[40], e di quanto avveniva, come abbiamo dianzi visto, anche in Italia fino al 1966.

Va sottolineato che in tutto il percorso valutativo si riconosce al magistrato il diritto di essere ascoltato ed informato delle valutazioni che su di lui vengono espresse. Oltre a prevedere che egli stesso presenti al consiglio giudiziario che lo valuta una relazione sulle attività svolte nel quadriennio, si prevede anche che venga ascoltato, a sua richiesta, dal Consiglio giudiziario e dal CSM. Si prevede, inoltre, che debba comunque essere ascoltato sia nel caso di assegnazione a nuove funzioni a seguito di una prima valutazione negativa, sia successivamente nel corso della seconda valutazione[41].

Il sistema di valutazione previsto dal legislatore nel 2007 certamente appare, nella sua formulazione normativa, tra i più rigorosi dell’Europa continentale, anche se a differenza di quanto avviene negli altri paesi (e di quanto avveniva anche in Italia sino alla seconda parte degli anni 1960), le valutazioni non prevedono la creazione di una graduatoria di merito dei magistrati che vengono valutati positivamente[42].

7. L’inefficacia del nuovo sistema di valutazione della professionalità a livello applicativo. Abbiamo visto come il legislatore abbia in modo dettagliato indicato i criteri con cui effettuare le singole valutazioni di professionalità, i documenti che devono essere presi in considerazione, la dettagliava valutazione dei capi degli uffici giudiziari, i pareri dei capi di corte, l’autorelazione dei candidati, l’audizione dei candidati da parte dei consigli giudiziari e del CSM, l’acquisizione di qualsiasi altra documentazione utile alle singole valutazioni (come ad esempio: le sentenze disciplinari, i corsi presso la Scuola superiore della magistratura, i fascicoli personali). Per ogni valutazione si tratta di un procedimento molto complesso e costoso ma, come vedremo, privo di efficacia.

Per verificare l’efficacia operativa delle nuove norme per la valutazione della professionalità e del complesso apparato valutativo che ha creato, ho analizzato i verbali del CSM dal momento di prima applicazione di quelle norme (settembre 2007) sino alla fine della consiliatura 2010-2014 (settembre 2014).  Le analisi mostrano come al rigore delle nuove norme non corrisponda di fatto un maggior rigore selettivo nelle valutazioni del CSM rispetto al passato.

Come può vedersi alla tabella 2, le valutazioni quadriennali effettuate dal CSM nel periodo che va dal settembre 2007 al settembre 2014 sono state 9420, i magistrati valutati positivamente sono stati 9329, cioè il 99.1% del totale, mentre quelli “bocciati” (cioè sia quelli con valutazione “non positiva” che quelli con valutazione “negativa”) sono stati 91 (0.9% del totale).   Facendo il confronto tra questi risultati con quelli di un periodo del passato in cui si teorizzava, da parte dell’ANM e del CSM, che le valutazioni dovessero essere tutte positive “salvo demerito” si può notare che non vi sono significative differenze tra l’attendibilità delle valutazioni attuali e quelle precedenti la nuova legge.

Tabella 2.  Valutazioni di professionalità.

valutazioni dal maggio 1979

al marzo 1988

dal sett. 2007*

al sett. 2014

n. valutati 7973 9420
promossi 7921 9329
bocciati 52 91
% promossi 99.3% 99.1%
% bocciati 0.7% 0.9%

*Dal 2007 nuovo sistema di valutazione

Occorre precisate che i dati relativi alle promozioni sono rimasti sostanzialmente gli stessi anche per il periodo successivo al settembre 2014, e non poteva certo essere altrimenti visto che gli organi che effettuano le valutazioni (consigli giudiziari e CSM) hanno mantenuto la stessa struttura nel corso degli anni successivi.  Nella relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario del 2017, il Procuratore generale della Cassazione, Pasquale Ciccolo, indica infatti che la percentuale delle valutazioni positive nei due precedenti anni era salita al 99,42%.  Più di recente, nel settembre 2021,1a stessa Ministra della giustizia Cartabia, in risposta ad una interrogazione parlamentare dell’On. Costa, ha indicato che nel periodo 1917-1921 le valutazioni positive sono state 7394 su 7453, cioè il 99.2% del totale.  Sono dati sostanzialmente in linea con quelli da me ripetutamente pubblicati sulle valutazioni professionalità dei magistrati a partire dal 1968.

  1. Le principali conseguenze generate dall’assenza di attendibili valutazioni della professionalità.

Qui di seguito indicherò le principali conseguenze derivanti ancor oggi dalle modalità con cui il CSM ha gestito le valutazioni di professionalità a partire dagli anni 1960. Riguardano da un canto il trattamento economico dei magistrati e dall’altro quelle conseguenze che hanno implicazioni disfunzionali, e cioè: il rilievo che le correnti hanno assunto nei processi decisori del CSM; l’ampliamento dell’ambito di applicazione del principio costituzionale dell’inamovibilità dei magistrati; la perdita di rilievo dell’esperienza giudiziaria; l’ampliamento delle attività extragiudiziarie; le commistioni tra magistratura e classe politica.

8.1. Valutazioni della professionalità trattamento economico e indipendenza

Prima di analizzare il particolare rapporto che intercorre in Italia tra valutazioni della professionalità, trattamento economico e indipendenza dei nostri magistrati è opportuno ricordare: a) che i magistrati hanno retribuzioni più elevate degli altri impiegati civili dello Stato.  Un risultato che è stato raggiunto anche a seguito di iniziative giudiziarie promosse e giudicate dai magistrati stessi nonché di leggi rese necessarie dal successo di quelle iniziative[43]; b) che le leggi sul trattamento economico prevedono anche meccanismi di adeguamento triennale degli stipendi.

Quest’ultimo aspetto, è inteso ad evitare che i magistrati debbano periodicamente, al pari di altri dipendenti dello Stato, instaurare trattative con il potere esecutivo e legislativo per ottenere aumenti salariali. Ed a riguardo occorre ricordare che la nostra Corte costituzionale, con la sentenza 223/2012, ha stabilito che i meccanismi di adeguamento salariale dei magistrati sono una indispensabile garanzia a protezione dell’indipendenza della magistratura[44].

È un beneficio che non è applicato con pari rigore neppure nei paesi, come gli Stati Uniti, le cui Costituzioni, a differenza della nostra, vietano espressamente, di diminuire i salari dei giudici proprio a protezione della loro indipendenza[45].

Decidendo di promuovere tutti i magistrati in base all’anzianità (salvo i pochi casi di grave demerito) il CSM ha di fatto anche assunto un ruolo decisivo nel determinare i il trattamento retributivo dei giudici e pubblici ministeri. Ha in sostanza deciso autonomamente e non per previsioni di legge, che di regola i magistrati negli anni precedenti il pensionamento per anzianità raggiungano tutti il livello più elevato dello stipendio.  In tal modo il CSM ha anche fatto sì che il trattamento economico complessivo dei magistrati italiani sia divenuto da diversi decenni superiore a quello dei magistrati degli altri paesi dell’Europa continentale.  Non perché gli stipendi degli alti gradi delle altre magistrature siano tutti più bassi, ma perché, a differenza degli alti paesi, ove pochi magistrati raggiungono i vertici della carriera e del relativo stipendio, i nostri magistrati che permangono in servizio fino all’età del pensionamento di regola raggiungono tutti, come abbiamo già detto, i livelli più elevati della carriera e della retribuzione, della pensione e della liquidazione.

È difficile dare indicazioni precise sul trattamento economico dei magistrati per quanto riguarda i livelli salariali nel corso della progressione in carriera, la liquidazione a fine servizio e la pensione. Ciò anche a causa della complessità di come sono definiti i livelli salariali[46]. Non sono riuscito ad avere dati certi neppure quando ero componente del CSM[47], e neppure successivamente facendo presentare una interrogazione parlamentare a riguardo[48].. Possiamo comunque dire che negli anni che precedono il pensionamento i magistrati certamente percepiscono uno stipendio mensile superiore a 8.000 euro mensili netti per 13 mensilità[49].  È certamente giusto assegnare ai giudici un trattamento economico adeguato a tutelare la loro indipendenza, è tuttavia altrettanto necessario fornire ai cittadini adeguate garanzie sulle qualificazioni professionali dei loro giudici e pubblici ministeri.

Poiché questo scritto ha intenti riformatori occorre aggiungere che la particolare connessione che esiste in Italia tra valutazione della professionalità, avanzamenti in carriera e trattamento economico costituisce di per sé un ostacolo alla adozione di efficaci riforme.  Rendere più rigorose e selettive le valutazioni di professionalità implica che un numero consistente di magistrati non potrebbe più raggiungere progressivamente i livelli più elevati della carriera e della retribuzione.  Verrebbe cioè sovvertito un sistema retributivo non previsto da nessuna legge, ma creato per autonoma iniziativa del CSM.

8.2. Correntismo, trasferimenti e destinazione alle varie funzioni.

L’assenza di reali ed attendibili valutazione della professionalità genera vistose disfunzioni anche in sede di trasferimenti e destinazione dei magistrati alle varie funzioni.  Ciò a causa dell’appoggio dato dai consiglieri togati, che di fatto rappresentano le varie correnti nel Consiglio, alle richieste dei propri associati. È un fenomeno duramente criticato in sede consiliare anche da vari Presidenti della Repubblica come Ciampi e, soprattutto, Napolitano non solo perché influisce negativamente sulla qualità delle scelte compiute dal Consiglio ma anche perché è spesso causa di gravi ritardi nelle decisioni a causa dei conflitti tra le correnti che appoggiano i propri associati.  Nella seduta del Plenum del CSM del 26 aprile 2006, il Presidente Ciampi ebbe a denunziare i gravi ritardi con cui il CSM decideva sugli incarichi direttivi, attribuendo tali ritardi ai “condizionamenti delle logiche correntizie[50].  Il presidente Napolitano   ha denunziato il fenomeno del correntismo definendolo il frutto “…di pratiche spartitorie rispondenti a interessi lobbistici, logiche trasversali, rapporti amicali o simpatie e collegamenti politici”, oppure lo ha definito come il frutto di “malsani bilanciamenti tra le correnti[51].

Il fenomeno dell’influenza delle correnti sui processi decisori del CSM è, peraltro, ripetutamente e duramente criticato dalle stesse correnti della magistratura che pur impiegandosi formalmente a contrastare il fenomeno nei loro programmi elettorali e nelle loro mozioni congressuali non riescono poi né ad eliminarlo né ad attenuarlo[52].

Varie sono le ragioni del c.d. “correntismo” e del perché esso sia da vari decenni una componente rilevante e, a mio avviso, ineliminabile delle modalità decisorie del CSM. Una convinzione che ho maturato dapprima come studioso delle pratiche decisorie del Consiglio[53] e che poi è stata confermata nel corso dei quattro anni in cui sono stato membro del CSM. La principale ragione del suo apparire e consolidarsi nel tempo sta nel fatto che al momento di decidere tra le domande, a volte numerose, di trasferimento a funzioni e/o a sedi più gradite, la documentazione ufficiale sui singoli candidati spesso non fornisce ai consiglieri del CSM informazioni utili o sufficienti a scegliere chi tra i concorrenti abbia le capacità e le caratteristiche professionali più adatte allo svolgimento di specifiche funzioni.  L’unica graduatoria di merito ancora disponibile è quella che risale al concorso di ingresso in magistratura.  Secondo i documenti disponibili, ed in assenza di graduatorie di merito nel corso della carriera, di regola i candidati sono formalmente tutti di grande qualificazione professionale e grande diligenza.  Di necessità, quindi, le scelte sono molto spesso caratterizzate da ampi margini di discrezionalità.  Una discrezionalità che ha generato e consolidato nel tempo il c.d. correntismo e le disfunzioni ad esso direttamente collegate sotto almeno tre profili:

In primo luogo perché l’assenza di valutazioni di professionalità attendibili e prive di graduatoria di merito da un canto fa molto spesso dipendere il successo dei candidati dall’efficacia con cui vengono appoggiati dai rappresentanti della propria corrente che siedono in Consiglio, dall’altro perché spinge i magistrati a considerare l’appartenenza alle varie correnti come condizione necessaria per ottenere decisioni consiliari a loro favorevoli.

In secondo luogo perché le decisioni discrezionali, frutto di appoggi correntizi, sono spesso sorrette, nel dibattito consiliare che le precede, da motivazioni insufficienti e contraddittorie.  Cosa che ha generato un numero crescente di ricorsi al giudice amministrativo contro le decisioni del CSM (nei tre anni per cui ho dati certi, i ricorsi sono stati complessivamente 777[54]).  Sono ricorsi che spesso hanno successo e costringono il CSM a modificare le sue decisioni, il che è sovente accaduto anche con riferimento incarichi giudiziari apicali (per fare solo degli esempi riferiti alle cariche apicali della Corte di Cassazione, negli ultimi quindici anni ciò si è verificato per la nomina dei Primi presidenti e dei Presidenti aggiunti, di presidenti titolali di sezione e del procuratore generale aggiunto della Corte stessa).  È un fenomeno che non si verifica in nessun altro paese europeo in cui si prevedono ricorsi al giudice amministrativo (come ad esempio in Francia e Germania), ma ove le valutazioni di professionalità sono attendibili e basate su una graduatoria di merito.  

In terzo luogo perché l’assenza di elementi di valutazione su cui basare con relativa certezza le proprie decisioni è particolarmente gravosa per i consiglieri laici, i quali per avere informazioni più attendibili sui candidati in lizza non possono che rivolgersi ai consiglieri togati, e finire quindi di necessità coinvolti essi stessi nella morsa del correntismo[55].

8.3. Valutazioni di professionalità, ampliamento dell’ambito di applicazione dei principi di inamovibilità e indipendenza.

Con riferimento al principio di inamovibilità previsto dalla nostra Costituzione all’art. 107 è opportuno indicare, preliminarmente, tre aspetti che, in materia, distinguono il nostro ordinamento da quello di altri paesi democratici.  Sono aspetti che non danno certo conto dei complessi problemi che riguardano la mobilità dei magistrati e della sua evoluzione nel tempo[56]. Sono comunque aspetti che, seppure trattati in forma sintetica, è necessario tener presenti per comprendere le difficoltà funzionali che affliggono da anni numerose sedi giudiziarie che non sono gradite ai magistrati:

a) mentre negli altri paesi a consolidata democrazia dell’Europa continentale l’inamovibilità è prevista solo a protezione dell’indipendenza dei giudici, in Italia riguarda sia i giudici che i pubblici ministeri.

b) mentre in altri paesi democratici con reclutamento di tipo burocratico la inamovibilità si acquista dopo un certo numero di anni e dopo verifiche sulle reali capacità operative dei nuovi magistrati[57] da noi, invece, diviene operativa sin dalla prima assegnazione delle funzioni giudiziarie (attualmente dopo 18 mesi dal reclutamento) e in applicazione di una delibera del CSM del 16 dicembre 1969[58] che considerò non più vigente quanto disposto dall’art. 2 del R. dlgs. 511/1946 articolo in base al quale la piena inamovibilità si acquisiva solo dopo cinque anni dall’assunzione in servizio, con la promozione a magistrato di tribunale, e dopo veridiche di professionalità di tipo applicativo, come quelle dell’esame di aggiunto giudiziario[59].

c) Come abbiamo già visto, a partire dagli anni 1970 da un canto è venuta meno la mobilità indotta dall’obbligo di esercitare per due anni le funzioni di pretore prima della nomina a magistrato di tribunale e dall’atro è venuta meno la precedente corrispondenza tra promozioni e obbligatoria destinazione all’esercizio di funzioni giudiziarie “più elevate”, come avviene ancora oggi negli altri paesi con reclutamento simile al nostro. Tutti i magistrati promossi rimangono ad esercitare le precedenti funzioni e non possono essere trasferiti di ufficio dal CSM ad esercitare funzioni giudiziarie diverse o in sedi giudiziarie diverse dalle loro senza violare il principio di inamovibilità. Poiché la garanzia dell’inamovibilità è operativa sin dal momento in cui i magistrati iniziano ad esercitare le funzioni giudiziarie dopo il periodo di tirocinio e per tutti i 40 e più anni della loro permanenza in servizio, la destinazione a funzioni giudiziarie diverse o a uffici giudiziari diversi può di regola avvenire solo su richiesta del magistrato interessato. Per consentire la funzionalità delle sedi giudiziarie per cui, come spesso accade, non vi sono aspiranti, varie leggi hanno di vola in volta previsto modalità con cui il CSM poteva provvedere a trasferimenti di ufficio. Tuttavia questi trasferimenti “coatti” per coprire le gravi carenze di organico di uffici sgraditi ai magistrati si sono mostrati –come detto dallo stesso CSM con riferimento a trasferimenti d’ufficio effettuati in alcune sedi di corte d’appello- non solo inefficaci e spesso impraticabili, ma anche di fatto “controproducenti”[60].  Finora non si sono trovate soluzioni efficaci.

Di particolare rilievo sono le difficoltà di coprire con magistrati esperti le vacanze che si creano in numerosi uffici giudiziari indesiderati di primo grado.  Le esigenze di organico di quelle sedi vengono di regola soddisfatte con l’invio dei soli magistrati che possono essere destinati d’ufficio perché non godono ancora della garanzia dell’inamovibilità. Cioè i magistrati che hanno appena concluso il tirocinio iniziale e che non hanno precedenti esperienze giudiziarie. Per evitare che magistrati privi di precedente esperienza giudiziaria decidessero questioni di estrema delicatezza nel settore penale, l’art. 13, co. 2, d.lgs. n. 160/2006 aveva vietato di assegnare loro le funzioni requirenti e le funzioni giudicanti monocratiche penali fino al superamento della prima valutazione di professionalità.  Poiché questi divieti nei confronti di magistrati di prima nomina generavano difficoltà insormontabili alla copertura dei vuoti di organico di numerosi uffici giudiziari, il legislatore fu dapprima costretto, con legge n. 187 del 2011, a consentire la loro destinazione alle funzioni requirenti ove si erano create le maggiori difficoltà[61] e successivamente ad abrogare, col d.l. 168/2016, la norma che aveva stabilito tutti quei divieti.

8.4. Valutazione della professionalità ed esperienza giudiziaria.  

Abbiamo dianzi visto che: a) il CSM ha esteso il suo orientamento a promuovere i magistrati sulla base del mero decorrere dell’anzianità di servizio anche ai magistrati che per moltissimi anni esercitano funzioni diverse da quelle giudiziarie. Con ciò stesso il CSM ha di fatto reso l’esperienza giudiziaria irrilevante, o comunque non necessaria, ai fini delle valutazioni della professionalità dei magistrati e della progressione in carriera; b) dal 1970 il CSM ha cambiato la sua precedente interpretazione dell’art. 98 della costituzione che vieta di effettuare promozioni “per merito” dei “pubblici dipendenti” che sono parlamentari, affermando che tale articolo non riguarda i magistrati perché questi non sarebbero pubblici dipendenti.  Negli ultimi 45 anni ha quindi sempre promosso per merito professionale: tutti i magistrati parlamentari (nazionali ed europei); tutti quelli con altre cariche elettive negli enti locali (regioni, e comuni); tutti quelli impegnanti a tempo pieno in attività nell’ambito dell’esecutivo a livello nazionale e locale (e che vengono scelti anch’essi da partiti politici o da singoli rappresentanti della politica).

L’equiparazione delle anzianità tra i magistrati che svolgono con continuità attività giudiziarie e quelli che svolgono anche per molti anni altre attività, esplicitamente confermata dalle leggi di riforma del 2007[62], ha generato una pluralità di conseguenze disfunzionali.  Tra queste sia una espansione delle attività extragiudiziarie sia anche rilevanti anomalie nelle decisioni di assegnazione dei magistrati a specifiche funzioni giudiziarie. Vediamo per primo questo secondo aspetto.

E’ più  volte avvenuto che il CSM, nell’assegnazione di un posto ambito da più magistrati, tutti con valutazioni professionali altamente positive, abbia considerato come fossero anni di lavoro giudiziario quelli trascorsi dal magistrato svolgendo anche per molti anni gli anni funzioni legislative o nell’ambito dell’esecutivo con la conseguenza di far prevalere “per anzianità di servizio” quei magistrati su altri magistrati che nel frattempo avevano svolto solo funzioni giudiziarie e avevano maggiore esperienza nel loro effettivo esercizio[63].  Sotto il profilo organizzativo e funzionale l’anomalia non è solo quella che nel decidere chi deve essere destinato a svolgere un incarico di natura giudiziaria vengano valutate esperienze professionali che poco o nulla hanno a che fare con la giurisdizione.   Vi sono almeno due altri aspetti di cui né il CSM né il legislatore si sono mai preoccupati.

Il primo riguarda la sottovalutazione del rilievo che il fattore motivazionale ha in tutte le organizzazioni.  Preferire chi ha meno esperienza giudiziaria effettiva ed ha per giunta ottenuto gratificazioni economiche e di status aggiuntive nello svolgimento di attività extragiudiziarie non è certo cosa che motiva gli altri allo svolgimento del lavoro giudiziario.  Può invece essere uno stimolo per molti magistrati a ricercare anche loro fonti di gratificazione concesse dall’esterno, nella certezza di non essere poi in alcun modo svantaggiati al ritorno in magistratura.

Il secondo riguarda la capacità professionale a svolgere le funzioni giudiziarie di coloro che sono stati per vari decenni impegnati in attività extragiudiziarie.   Nei vari casi in cui ciò si è verificato il CSM ha provveduto ad assegnare quei magistrati a funzioni giudicanti o requirenti senza neppure porsi il problema della loro adeguatezza a svolgerle[64].  A me appare comunque incomprensibile che la legge preveda che debbano seguire corsi di riqualificazione professionale i magistrati che vogliono trasferirsi dalle funzioni giudicanti alle requirenti e viceversa[65] e non i magistrati che tornano ad esercitare funzioni giudiziarie dopo molti anni in cui hanno svolto funzioni molto diverse da quelle giudiziarie.

8.5. Valutazioni della professionalità, attività extragiudiziarie e indipendenza.

La perdita di rilievo della effettiva esperienza giudiziaria ai fini delle valutazioni di professionalità e la sicurezza da parte dei magistrati di conseguire tutti i vantaggi della carriera giudiziaria mentre svolgono attività extragiudiziarie che comportano spesso gratificazioni aggiuntive (sociali ed economiche) ha determinato, a partire dagli anni 1970 anche un forte incremento delle attività extragiudiziarie dei magistrati.  Sia di quelle a tempo pieno che parziale.

È un fenomeno che ha risvolti negativi sia sul piano funzionale (perché sottrae rilevanti energie all’amministrazione della giustizia) sia anche perché ha generato commistioni tra magistratura e classe politica.

Le delibere di autorizzazione a svolgere attività extragiudiziarie a tempo parziale assunte annualmente dal CSM negli ultimi 20 anni sono costantemente superiori alle 1200 annue[66].  Certamente non tutti questi incarichi sono egualmente impegnativi e retribuiti, ma nel loro insieme sottraggono certamente consistenti energie al lavoro giudiziario. Quasi tutti questi incarichi, inoltre, vengono di regola assegnati ai magistrati da soggetti esterni alla magistratura.

Di notevole rilievo, istituzionale e politico, sono poi le attività extragiudiziarie che i magistrati svolgono a tempo pieno, attività molto varie per natura e che qui possiamo indicare solo in termini generali e incompleti scegliendo quelli che hanno rilievo istituzionale o che vedono i magistrati impegnati in attività di natura politica.

Sono infatti numerosi i magistrati che nel corso degli anni hanno assunto incarichi a tempo pieno presso altri poteri dello Stato o presso altri organismi pubblici: presso la Presidenza del Consiglio, la Presidenza della Repubblica, presso il Ministero della giustizia (costantemente intorno a 100 magistrati), presso altri ministeri con funzioni di capo di gabinetto o capo della segreteria di ministri e sottosegretari, consulenti presso commissioni parlamentari, componenti di varie Autorità di garanzia, assistenti di studio presso la Corte costituzionale, come addetti presso organismi internazionali o ambasciate, ed altri ancora[67].

Numerose sono, inoltre le occasioni in cui i magistrati si impegnano direttamente in politica attiva quali rappresentanti di partiti politici in organi elettivi o nell’ambito degli esecutivi nazionali e locali. Nei Parlamenti nazionale ed Europeo degli ultimi 30 abbiamo avuto numerosi magistrati parlamentari, con una punta massima di 27 nel 1966 (in quelle elezioni i magistrati che vennero candidati nelle lise elettorali di vari partiti furono 50)[68].  Nel corso del tempo vi sono poi stati magistrati-ministri, magistrati-sottosegretari, magistrati presidenti di regione, magistrati sindaci di piccole e grandi città, magistrati assessori regionali e comunali. Non solo: un magistrato-parlamentare è stato eletto segretario nazionale di un partito politico all’inizio degli anni 1990 e un magistrato-sindaco è stato nominato coordinatore regionale di un partito, è divenuto presidente di regione, si è candidato alla segreteria nazionale di quel partito[69].

I magistrati che svolgono tutte quelle attività superano costantemente le 200 unità. Tutti quegli incarichi, inoltre, sono assegnati ai magistrati da soggetti esterni all’ordine giudiziario, di solito da esponenti della classe politica.  Di regola il CSM si limita ad autorizzarli collocando quei magistrati in posizione di fuori ruolo[70].

Credo sia sufficiente anche questa sommaria indicazione delle attività che i magistrati hanno svolto o svolgono a tempo sia pieno che parziale per evidenziare il fenomeno della commistione tra magistratura e classe politica generate dalle modificazioni nella gestione del personale togato a partire dalla seconda metà degli anni 1960.  Aggiungo che la dimensione di questo fenomeno di commistione non può certo essere valutato col solo riferimento a tutti gli incarichi e attività che i magistrati ottengono dall’esterno e neppure con il solo riferimento al numero dei magistrati che assumono direttamente funzioni di rappresentanza partitica  E’ solo ovvio, infatti, che trattandosi spesso di posizioni ambite, anche sotto il profilo economico, solo un numero limitato dei magistrati che sollecitano l’appoggio di uomini o partiti politici per ottenerle riescano nel loro intento.

Si tratta a mio avviso, e anche ad avviso di autorevoli magistrati[71], di fenomeni che pregiudicano gravemente l’indipendenza della magistratura o quanto meno la sua immagine di indipendenza[72].

La legge n. 111/2007 non ha apportato modifiche di grande rilievo per limitare quei fenomeni.  Vero si è che l’art. 50 della legge n. 111/2007 prevede che il collocamento fuori ruolo “non può superare il periodo massimo complessivo di 10 anni”.  Tuttavia da un canto esclude da tale limite il “periodo di aspettativa per mandato parlamentare o di mandato al Consiglio superiore della magistratura”, e dall’altro stabilisce che nel computo dei 10 anni non si debba tener conto del “periodo trascorso fuori ruolo fino all’entrata in vigore delle nuove disposizioni”. A riguardo di questo limite di 10 anni va comunque segnalato che più volte in passato sono stati posti limiti dello stesso tipo, a partire dalle leggi di riforma delle promozioni del 1967 e 1973.  Prima della scadenza del limite di anni previsto, è sempre intervenuta una nuova legge che fissava nuovi termini.  La novità è che dalla riforma del 2007 il limite di 10 anni è stato rispettato, seppur con le eccezioni dianzi indicate. Per il resto nulla di rilevante è cambiato. L’art. 11, punto 16, della legge del 2007 stabilisce infatti che il parere sulla professionalità dei magistrati che operano a tempo pieno nelle istituzioni o svolgono attività di natura politica siano valutati, quanto alla loro professionalità “sulla base della relazione dell’autorità presso cui gli stessi [i magistrati] svolgono servizio…”, cioè sulla base di relazioni svolte da ministri, giunte regionali, sindaci, Parlamento e così via.   Due riflessioni a riguardo.

La prima.  A me sembra che far partecipare, ministri, giunte regionali amministrazioni comunali, Parlamenti nazionali, ambasciatori e quant’altro alla valutazione professionale dei magistrati non possa che essere considerato negativamente in termini di indipendenza.  La seconda riflessione: a me sembra incongruente che da un canto la legge preveda che i magistrati non possono iscriversi ai partiti politici[73] e dall’altro esplicitamente preveda che i magistrati possono svolgere attività a tempo pieno come rappresentanti di partiti politici. Non solo, ma anche che al termine del loro impegno nella politica attiva ritornino ad esercitare le funzioni giudiziarie, vedendosi riconoscere come anzianità di servizio in magistratura gli anni trascorsi nell’esercizio di funzioni politiche ed, eventualmente, anche esprimere, come è capitato, condanne nei confronti di politici avversi alla parte politica che per anni hanno rappresentato in Parlamento[74].

  1. Riflessioni conclusive.

Prima di suggerire le riforme riguardanti le valutazioni della professionalità e le conseguenze disfunzionali derivanti dalla loro prolungata inattendibilità è utile aggiungere alcune riflessioni che riguardano da un canto alcune considerazioni sulle analisi dianzi fornite e dall’altro questioni che nell’immediato occorre tener presenti nel disegnare le possibili riforme.

Tre sono le riflessioni che ci sembra opportuno fornire in merito alle analisi dianzi fornite sulle valutazioni di professionalità:

a) Non può certo sorprendere che in altri paesi europei vi siano magistrati che, apprezzano il sistema di carriera dei nostri magistrati e auspichino che venga adottato anche da loro[75]. Un auspicio che non ha avuto successo in nessun paese europeo, con una limitata e brevissima eccezione verificatasi in Polonia ove una legge del giugno 2007 ha istituito le c.d. “promozioni orizzontali” che consentivano ai magistrati del primo livello della giurisdizione di essere promossi magistrati di appello, ed ottenere la corrispondente maggiore retribuzione, pur rimanendo ad esercitare le precedenti funzioni giudiziarie. Queste “promozioni orizzontali”, pur limitate ad un solo livello della carriera, ebbero tuttavia vita molto breve, un solo anno, perché davano luogo, come da noi, a promozioni generalizzate.  Furono prontamente abolite da una legge del giugno 2008[76].

b) In un sistema ove di regola tutti i magistrati raggiungono il massimo livello della carriera e del trattamento economico, ciò che sorprende non può certo essere l’esistenza di quei fenomeni di scarso impegno e di mediocrità di cui, come abbiano dianzi visto, parlava Giovanni Falcone, quanto piuttosto deve destare meraviglia ed ammirazione il fatto che, nonostante l’assenza di stimoli e riconoscimenti istituzionali, vi siano comunque numerosi magistrati di alta professionalità ed impegno lavorativo, che resistono alla demotivazione di vedere anche i meno diligenti e meno qualificati ricevere le loro stesse elevate valutazioni e gratificazioni di carriera ed economiche. Non dirò, come si usa, che quei meritevoli magistrati sono la maggioranza, perché non lo so, così come non lo sanno neppure coloro che ricorrentemente lo affermano. Ricordo invece che un noto studioso di sistemi giudiziari, Arthur Vanderbilt, diceva che per una funzione tanto delicata quale quella del giudice, la mediocrità è più pericolosa della stessa corruzione, perché è molto meno facile da individuare e molto più difficile da rimuovere.

c) Nel proporre e promuovere con successo la sostanziale abolizione delle promozioni nel corso degli anni 1960/70 il sindacato della magistratura ed il CSM hanno ripetutamente sostenuto che questa evoluzione avrebbe garantito non solo una maggiore indipendenza della magistratura ma anche una maggiore efficienza della giustizia e la scomparsa del fenomeno del carrierismo. Una maggiore efficienza perché i magistrati avrebbero potuto dedicare tutto il loro impegno al lavoro giudiziario senza l’esigenza di sprecare il loro tempo a studiare per prepararsi ad esami (come quello per aggiunto giudiziario) o nella ricerca di dotte ed inutili citazioni dottrinarie con cui abbellire i loro lavori giudiziari al fine di competere con speranza di successo nei concorsi per le promozioni ai livelli superiori della carriera. La eliminazione delle limitazioni nel numero delle promozioni ai livelli superiori della carriera e la possibilità di promozioni generalizzate (salvo demerito) a tutti i livelli della carriera avrebbe eliminato i fenomeni disfunzionali che caratterizzano le competizioni fortemente selettive come quelle dei tradizionali concorsi per titoli o per esami e liberato la magistratura dal fenomeno del carrierismo. Si può certamente dire che il successo della magistratura organizzata e del CSM nel promuovere con pieno successo queste innovazioni non hanno generato una maggiore efficienza né nel periodo immediatamente successivo a quelle innovazioni né successivamente. Si può certamente dire che le promozioni generalizzate non hanno neppure liberato la magistratura dal carrierismo, basti solo pensare alle accanite competizioni che caratterizzano ancor oggi le ricerca di incarichi direttivi o semidirettivi. Quanto ai vantaggi che ne sarebbero derivati per l’indipendenza non sono certo ben auguranti i sondaggi fatti da una agenzia dell’Unione Europea che periodicamente compie due sondaggi tra i cittadini dei vari paesi che la compongono.  Uno dei sondaggi è rivolto ai cittadini senza distinzioni e l’altro a alle aziende. Le risposte sull’indipendenza magistratura vedono ogni anno l’Italia agli ultimissimi posti in entrambi i sondaggi. Nell’ultima rilevazione dell’Eurobarometro, ad esempio, sui 27 paesi dell’UE, l’Italia occupa il quintultimo posto per i cittadini (dopo di noi solo Bulgaria, Polonia, Slovacchia e Croazia) e addirittura il terzultimo per le aziende (dopo di noi solo Polonia e Croazia)[77].  Nell’opinione dei cittadini italiani solo i 2% dà una valutazione elevata (very good) dell’indipendenza della magistratura ed il 32% dice che è e abbastanza buona (fairly good) per un totale di risposte relativamente positive che non supera il 34%.  Di contro in paesi come Austria, Finlandia e Germania quel totale raggiunge o supera l’80% e le risposte che la indicano come molto elevata variano tra il 20 ed il 28%.    Sia come sia, in Italia il concetto di indipendenza è certamente stato declinato in modo molto più corporativo che negli altri paesi dell’UE, ed è certamente legittimo domandarsi se le inefficienti prestazioni del nostro sistema giudiziario rispetto a quelle della maggioranza degli altri paesi dell’UE non dipendano anche da questo.

Vengo ora alle quattro questioni che a mio avviso occorre tener presenti nella progettazione delle riforme:

d) Le analisi delle valutazioni di professionalità dei magistrati e l’insuccesso dei ripetuti tentativi di renderle più efficaci indicano con chiarezza che di per sé il maggior rigore dei criteri di valutazione non può essere efficace se gli organi che sono deputati a farle mantengono la stessa composizione attuale e gli stessi poteri. Si tratta di organi composti in toto (i consigli giudiziari) o in schiacciante maggioranza (il CSM) da rappresentanti del sindacato della magistratura (l’ANM) che non solo sono comprensibilmente inclini a soddisfare le aspettative dei loro elettori-colleghi ma che hanno essi stessi un personale interesse a mantenere in vita un sistema di valutazione privo di rischi, come quello basato sull’anzianità, in vista delle valutazioni cui essi stessi dovranno sottoporsi nel prosieguo della loro carriera. È insensato pensare che si comportino diversamente da come hanno fatto sinora nel caso ci si limiti ad inasprire ulteriormente i criteri di valutazione senza modificare struttura e poteri degli organi che ora compiono quelle valutazioni o almeno, in alternativa, senza individuare strumenti che responsabilizzino quegli organi per le decisioni che assumono in materia.

e) Per quanto apprezzabili in astratto, non possono essere efficaci le iniziative di riforma volte ad eliminare l’influenza delle correnti senza una modifica delle valutazioni che fornisca a chi deve decidere informazioni affidabili sul reale valore professionale e sulla diligenza dei magistrati ordinati secondo il merito. Se anche si potesse trovare un sistema per eliminare l’influenza che le correnti hanno sui processi decisionali del CSM i componenti del Consiglio dovrebbero comunque decidere senza informazioni affidabili su cui basare le loro decisioni e non potrebbero non adottare criteri particolaristici e ascrittivi non dissimili nella sostanza da quelli forniti dalle correnti, e di conseguenza non diminuirebbe neppure il numero dei ricorsi avverso le decisioni del CSM in materia di incarichi e trasferimenti. Paradossalmente, si potrebbe anche dire che in assenza di attendibili valutazioni della professionalità, le mediazioni operate dalle correnti nell’effettuare le nomine ed i trasferimenti sono lo strumento che, pur generando biasimevoli disfunzioni, consente comunque al CSM di decidere su quelle materie. Quasi un male necessario.

f) Come abbiamo più volte ricordato, Il CSM ha finora garantito a tutti i magistrati italiani di poter raggiungere, nella parte finale della loro carriera, uno stipendio mensile netto di oltre 8.000 euro per 13 mensilità, con i conseguenti vantaggi che questo comporta per i livelli delle liquidazioni e delle pensioni. Rendere più rigorose e selettive le valutazioni di professionalità vuol quindi anche dire che numerosi magistrati non potrebbero più raggiungere i livelli più elevati della carriera e della retribuzione. Verrebbe cioè sovvertito un sistema retributivo non previsto da nessuna legge ma che ormai governa le aspettative di carriera ed economiche di tutti i magistrati da oltre 50 anni. Qualsiasi riforma che modifichi l’attuale sistema di valutazione professionale deve comunque, di necessità, trovare soluzioni che minimizzino il sovvertimento di quelle aspettative.

g) Valutando di regola positivamente tutti i magistrati ai fini della progressione in carriera il CSM ha anche svuotato di qualsiasi reale significato, ed in buona sostanza di fatto disapplicato, il dettato costituzionale che, all’art. 105, testualmente impone al CSM di effettuare le promozioni dei magistrati, salvo a non voler ritenere che il nostro costituente volesse dare al termine “promozioni” un significato diverso da quello che ha nella lingua italiana. La lettura dei verbali del CSM mostra che persino la parola “promozioni” non appare più nelle delibere del Consiglio fin dagli anni 1970. È come se le promozioni, a dispetto dell’art 105 Costituzione, non facessero più parte degli obblighi istituzionali del Consiglio.  In buona sostanza appare che dal CSM e dall’ANM siano considerate incompatibili con la stessa dignità del ruolo giudiziario.  A mio avviso qualsiasi riforma delle valutazioni e della carriera non può non farsi carico di ripristinare in qualche misura l’applicazione del dettato dell’art. 105 della Costituzione.

  1. Riforme.

Le analisi sin qui fornite sulla evoluzione delle valutazioni di professionalità le conseguenze disfunzionali da essa generate sono empiricamente fondate e quindi chiunque voglia proporre riforme efficaci nel settore non può ignorarle se non per ragioni di “opportunità”.  Può certamente proporre, è ovvio, soluzioni diverse da quelle che indicherò qui di seguito.

Suggerire riforme relative alle valutazioni di professionalità dei magistrati al fine di renderle sostantive, dopo 50 anni di valutazioni sostanzialmente finte, è un po’ come chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati.  Fuor di metafora, qualsiasi modifica all’attuale sistema di valutazione (rectius “non valutazione”) professionale deve prendere atto del fatto che mentre le valutazioni sono di regola altamente positive nell’ambito degli uffici giudiziari e nei consigli giudiziari si conosca molto bene quali sono i magistrati che non le meritano, come ci è tato ricordato anche di recente da magistrati di riconosciuto valore[78].  È anche mia esperienza personale di studioso che ha passato buona parte della sua lunga vita a interloquire, a dialogare con magistrati per comprendere le difficoltà del loro lavoro e le disfunzioni organizzative cui dovevano far fronte.  Ho quasi subito abbandonato l’idea di effettuare interviste per campione è mi sono quasi sempre affidato alle indicazioni di magistrati di cui avevo stima per scegliere chi fossero i colleghi che meglio potevano fornirmi informazioni affidabili.  Quando questo metodo di scelta non era possibile o non funzionale ai miei obiettivi di ricerca, spesso i risultati sono stati sostantivamente deludenti, anche se rivelatori di gravi disfunzioni[79].

Per proporre qualsiasi efficace riforma è a mio avviso necessario sfatare due idola, due fantasie tra loro connesse che hanno a lungo albergato nella ideologia della magistratura organizzata e, quindi, della maggioranza del CSM.

In primo luogo l’idea che l’ambizione dei magistrati ad emergere e ad acquisire posizioni che riconoscano il loro particolare valore, cioè il vituperato “carrierismo”, sia incompatibile con l’esercizio della funzione giudiziaria.  L’adozione da parte del CSM di valutazioni positive generalizzate (salvo demerito), di carriere per anzianità e di salari indifferenziati per fasce di anzianità non solo corrisponde alle aspettative economiche e di carriera dei magistrati ma è anche supportata da quella ideale quanto irreale credenza che sia umanamente possibile eliminare l’ansia di emergere e di ottenere particolari riconoscimenti.  Non si è voluto prendere atto che gli stessi comportamenti dei magistrati, hanno sempre sconfessato quell’idea con la comprensibile aspirazione ad ottenere posizioni direttive all’interno degli uffici giudiziari (ed a ricorrere contro le decisioni del CSM quando non vengono concesse) nonché a ricercare incarichi extragiudiziari che, come abbiamo dianzi detto, sono stati quasi sempre elargiti da organi politici esterni all’ordine giudiziario.  Nelle altre organizzazioni le aspirazioni ad emergere vengono sollecitate in vario modo per accrescere l’impegno lavorativo, la qualità del lavoro e l’innovazione.  Sono aspirazioni che anche nell’organizzazione giudiziaria possono e, a mio avviso, devono essere utilizzate e rese funzionali ad una maggiore efficienza e qualità della giustizia, salvaguardando al contempo imparzialità ed indipendenza dei giudici.  In una prospettiva riformatrice le esperienze di valutazione professionale e carriera di altri paesi ove i magistrati permangono in carriera per circa 40 non ci possono essere di nessun aiuto a causa di almeno due particolari evoluzioni del nostro sistema giudiziario.  Particolarità che  sono anche quelle più difficili da modificare, e cioè il particolare collegamento che vige in Italia tra valutazioni e retribuzioni di cui abbiamo detto dianzi al paragrafo 8.1, nonché la necessità di responsabilizzare l’organo cui la Costituzione assegna il compito d’effettuare le valutazioni e le promozioni, cioè il CSM, affinché le effettui col necessario rigore nonostante la sua attuale composizione la renda incline e di fatto quasi vincolata, a privilegiare le aspettative di carriera ed economiche dei colleghi da valutare  e, in prospettiva, anche le proprie.

In secondo luogo l’idea che per le valutazioni della professionalità e gli avanzamenti in carriera nei 40 anni di permanenza in servizio debba essere utilizzato il criterio minimo dell’assenza di demeriti ed escludendo a priori, perché incompatibili con la funzione giudiziaria e la sua indipendenza, sistemi di valutazione che sollecitino l’eccellenza, come ci ha anche di recente ricordato con compiacimento un noto magistrato, già presidente dell’ANM e, al momento, Segretario genere di una corrente della magistratura che si definisce e progressista: “La valutazione di professionalità dei magistrati non si basa su criteri di eccellenza, bensì sulla necessità di garantire uno standard professionale adeguato a tutti i cittadini in relazione a tutti i processi che vengono celebrati. Il cittadino non ha bisogno di pochi giudici eccellenti che trattino le cause più importanti. Al contrario necessita di magistrati che arrivino ad un livello di adeguatezza.  È anche per questo che le valutazioni sono in gran parte positive.  Quello che il nostro sistema prevede è andare cercare la caduta di professionalità[80].  Certo chi legge le rigorose disposizioni di legge in materia di valutazioni previste dal legislatore del 2007, e dianzi richiamate, potrebbe ritenere che esse siano, invece, volte proprio a premiare l’eccellenza.  Un giudizio che non tiene conto dei poteri interpretativi del CSM che in questo caso, come in altri, ha con le sue decisioni definito a sua discrezione, sul piano operativo, il reale significato delle leggi che riguardano la magistratura.  I meccanismi istituzionali di ceck and balance sono troppo deboli per fungere da contrappeso.

Per reintrodurre sistemi di valutazione che sollecitino l’eccellenza senza pregiudicare la progressione delle retribuzioni per tutti magistrati occorre in primis riattivare i concorsi per esami del tipo di quelli adottati in passato, tra il 1963 e il 1977 e allora previsti dalla legge n.1/1963 per le promozioni a magistrato di appello e magistrato di cassazione.  I magistrati vincitori di quei concorsi sopravanzarono i colleghi nel ruolo organico della magistratura spesso di moltissime posizioni, fino ad un massimo di 2962 (è il caso di Andrea Vella che poi divenne Primo Presidente della Corte di cassazione tra il 1999 ed il 2001). Al contempo tutti i vincitori ebbero accesso anzitempo sia a retribuzioni più elevate sia anche a funzioni di maggiore rilievo riservate al nuovo livello di carriera.  Per quanto la magistratura organizzata fosse stata allora decisamente contraria a questi concorsi volti a valorizzare l’eccellenza, ed abbia anche ottenuto che ad essi si ponesse termine, non risulta che mai siano state sollevate critiche sul valore professionale degli 80 magistrati vincitori di quei concorsi[81].  Certo non in seno al CSM che, nell’effettuare le nomine negli anni successivi, ne ha sempre riconosciuto il grande valore professionale, tanto che fino all’inizio di questo secolo li ha sempre privilegiati nelle nomine.  Nonostante il numero limitato, essi hanno infatti quasi monopolizzato, fino agli inizi di questo secolo, le più elevate funzioni giudiziarie senza che sulle loro nomine a quelle posizioni venissero presentati ricorsi. Basti ricordare che tutti e sei i Presidenti della Suprema Corte di cassazione nominati dal CSM tra il  1982 ed il 2001 e tutti e sei i Procuratori generali di Cassazione nominati dal CSM tra il 1983 ed il 2005 erano stati vincitori di quei concorsi per esami, e che tutti gli altri vincitori di quei concorsi hanno terminato la loro carriera in posizioni apicali (presidenti e procuratori generali di corte d’appello, presidenti di sezione della Corte di cassazione, avvocati generali presso la procura generale di Cassazione).  Occorre aggiungere che prima di giungere a quelle posizioni apicali spesso avevano già ottenuto posizioni direttive di grande rilievo, come ad esempio, per citare solo l’esempio di un magistrato molto noto, Saverio Borrelli, che prima di divenire Procuratore Generale di Corte d’appello era già stato procuratore della Repubblica di Milano.

Per reintrodurre gli esami come mezzo di valutazione della professionalità si potrebbero adottare le stesse norme previste della legge n.1/1963 con alcune variazioni e cioè che le commissioni dei due concorsi siano composte per due terzi da magistrati e per un terzo da professori universitari in materie giuridiche scelti dal CSM, che provvederebbe poi a proclamare i vincitori dopo aver verificato il corretto svolgimento dei lavori della Commissioni di esame.  Il CSM dovrebbe anche provvedere alla ammissione dei candidati ai concorsi, dopo aver stabilito i criteri di ammissione.

Al primo dei due concorsi bandito ogni anno per un massimo di 15 posti potrebbero partecipare i magistrati con almeno 10 anni di anzianità che hanno superato la seconda valutazione e che nel caso di vittoria verrebbero inseriti nel ruolo della magistratura tra i magistrati che hanno superato la quarta valutazione ed ammessi anche ai benefici retributivi corrispondenti.

Al secondo dei due concorsi bandito ogni anno per un massimo di 12 posti verrebbero ammessi i magistrati con almeno15 anni di anzianità che hanno superato la terza valutazione di professionalità e che se risultano vincitori verrebbero equiparati ai magistrati che hanno superato la quinta valutazione di professionalità e ammessi anche in questo caso ai benefici retributivi corrispondenti.

E’ un sistema di valutazione che può dare rilevanti frutti solo nel medio-lungo periodo, ma che ha effetti positivi sin dall’inizio perché apre una prospettiva per tutti i magistrati che aspirano a provare il loro particolare valore professionale. Al contempo è un sistema che non altera il trattamento economico dei magistrati che non partecipano o non vincono quei concorsi.  Nel caso si addivenga, come auspicabile, ad una riforma costituzionale che finalmente divida le carriere dei giudici e dei pubblici ministeri questo sistema di valutazione non solo è facilmente adattabile al nuovo assetto delle carriere ma assume anche maggiore efficacia perché consente di differenziare i contenuti degli esami adattandoli alle due diverse funzioni.

Naturalmente la reintroduzione di un sistema di valutazione per esami con un limitato numero di vincitori non risolve il problema di garantire nell’immediato ai cittadini la qualità della giustizia meglio di quanto possa fare un sistema come l’attuale.  Vari sono gli strumenti che possono essere utilizzati. In primo luogo un migliore e più articolato sistema di rilevazione sulla produttività dei magistrati che riguardi tutte le loro attività giudiziarie e che consenta una graduatoria di merito (le tecnologie informatiche e gli strumenti statistici lo consentono[82]). In secondo luogo una verifica indiretta sulla qualità del lavoro giudiziario che valuti in termini complessivi i risultati del lavoro dei giudici e dei pubblici ministeri come proposto da alcuni parlamentari, ed in particolare dall’On. Enrico Costa[83], dall’Unione Camere penali e fatte proprie, in qualche misura, anche da un magistrato di riconosciuto valore come Giuseppe Pignatone il quale pur indicando le cautele da osservare nell’effettuare questo tipo di valutazioni ritiene che debbano essere fatte seppur solo quando si tratti di “scostamenti molto significativi, tali da indicare un fenomeno patologico”[84].

Sistemi aggiuntivi potrebbero essere utilizzati per la valutazione del lavoro nella giurisdizione penale se finalmente venisse attivata la video verbalizzazione dei processi e degli interrogatori effettuati nel corso delle indagini secondo le modalità già da noi sperimentate in passato in 6 sedi giudiziarie con la attiva collaborazione di Giovanni Falcone ed oggi più agibili di allora per l’evoluzione delle tecnologie in quel settore[85].  Nel qual caso potrebbe essere utilizzata una inoppugnabile valutazione delle professionalità quantomeno per quanto riguarda la correttezza dei comportamenti nei confronti dei cittadini da parte dei giudici e pubblici ministeri in udienza e negli interrogatori.

Tenendo presente che negli ultimi 50 anni il CSM ha sempre effettuato valutazioni della professionalità dei magistrati intense soprattutto a soddisfare le aspettative di carriera ed economiche dei magistrati stessi è di conseguenza comunque necessario, se non varia la composizione del Consiglio, utilizzare strumenti che responsabilizzino il CSM nell’esercizio di questo suo compito.  È quindi necessario che per tutte le valutazioni diverse dagli esami il Ministro della giustizia adotti due innovazioni tra loro complementari:

a) da un canto effettui egli stesso quelle valutazioni servendosi di organismi interni al suo ministero come il servizio statistiche giudiziarie adeguatamente potenziato nella raccolta dei dati e nella loro elaborazione, nonché gli stessi organismi che abbiamo proposto in altro scritto per l’esercizio dell’iniziativa disciplinare da parte del solo Ministro e che tra l’altro consentono di far pervenire al vaglio del Ministro le segnalazioni e le doglianze di cittadini e associazioni[86];

b) d’altro lato che il Ministro voglia finalmente iniziare ad esercitare con continuità i poteri che gli sono conferiti dall’art. 11 della legge istitutiva del CSM (n.916/1958) secondo cui il Ministro può fare proposte al Consiglio su tutte le decisioni che il Consiglio si appresta ad assumere in materia di “assunzioni in magistratura, assegnazioni di sedi e di funzioni, trasferimenti e promozioni e su ogni altro provvedimento sullo stato dei magistrati”. Il Ministro della giustizia non può certo essere presente con continuità alle riunioni del Consiglio. È pertanto necessario, è da tanto che lo propongo, che venga nominato un sottosegretario da destinare in via permanente a questo compito e che venga, al contempo, risolto il problema della ingombrante presenza dei magistrati al Ministero della giustizia per le ragioni che abbiamo già illustrato in altro scritto[87].

Consideriamo ora le riforme riguardanti le disfunzioni causate o collegate al venir meno di sostantive valutazioni della professionalità di cui abbiamo detto dianzi e cioè il diffondersi delle attività extragiudiziarie dei magistrati, la perdita di rilievo dell’esperienza giudiziaria nelle valutazioni di professionalità e l‘ampliamento dell’applicazione del principio di inamovibilità con la conseguente carenza di magistrati nelle sedi giudiziarie meno gradite.  Non faremo, invece, preposte riguardo all’influenza delle correnti sui processi decisionali del CSM perché, come dianzi indicato il problema può avviarsi a soluzione solo a seguito dell’adozione di affidabili valutazioni della professionalità e graduatorie di merito:

a) Per quanto concerne le attività extra giudiziarie ritengo che andrebbero proibite tutte, con pochissime eccezioni, un auspicio da me formulato sin dall’inizio degli anni 1980 sulla base di una ricerca i cui dati evidenziavano come tali attività fossero incompatibili con l’indipendenza della magistratura e col lo stesso principio della divisione dei poteri[88]. Una eccezione dovrebbe riguardare quegli incarichi di natura giudiziaria sul piano internazionale per cui la legge preveda che possano essere attribuiti solo ai giudici. Il divieto dovrebbe riguardate anche l’invio di magistrati alla Corte costituzionale come assistenti di studio sia a tempo pieno che parziale per evitare l’evidente conflitto di interesse che la loro presenza in quella Corte genera[89].  Per le attività di natura politica come membri del Parlamento italiano od europeo o componenti degli organi elettivi o esecutivi degli enti locali si dovrebbe vitare che essi tornino a svolgere funzioni giudiziarie dopo la fine del loro mandato Una riforma che attende da moltissimi anni e che solo di solo di recente (febbraio 2022) è stata proposta al Parlamento dalla Ministra della giustizia Cartabia. Il Consiglio potrebbe autorizzare i magistrati a svolgere attività didattiche sia per i programmi di formazione iniziale e continua dei magistrati sia nelle Università o altri organismi di istruzione superiore In tal caso tuttavia, a protezione dell’indipendenza e della funzionalità della giustizia, il numero delle ore di insegnamento dovrebbe essere limitato a 10/15 ore annue e non dovrebbe essere retribuito oppure essere retribuito con fondi del Consiglio superiore.  L’adozione di queste riforme eviterebbe anche che in futuro possano ancora verificarsi casi come quello indicato dianzi in cui l’attività in organismi diversi da quello giudiziario venga equiparato a quello dell’esercizio delle funzioni giudiziarie[90].

b) Per quanto concerne la copertura degli organici delle sedi meno gradite l’interesse dei cittadini ad avere una giustizia funzionante deve prevalere su ogni altra considerazione. Dovrebbero quindi essere vietati i trasferimenti che diminuiscono la funzionalità degli uffici non graditi e che eventualmente si crei un sistema premiale per i trasferimenti dei magistrati che sono costretti a rimanere a lungo in quelle sedi. Un sistema premiale che successivamente li faccia prevalere su altri aspiranti ai trasferimenti nelle sedi gradite in maniera proporzionale al numero degli anni di permanenza ultra quadriennale nelle sedi sgradite. 

*Professore emerito di Ordinamento giudiziario dell’Università di Bologna

[1] Vedi art. 1, d.lgs. n. 160/2006, ove si dice: “La prova scritta consiste nello svolgimento di tre elaborati teorici”.

[2] Le due sessioni sono, a loro volta, ripartite nelle fasi del tirocinio generico (rivolto all’orientamento per la scelta delle funzioni) e del tirocinio mirato basato sull’approfondimento delle tematiche connesse alle funzioni giudiziarie che il magistrato andrà a svolgere presso l’ufficio di prima destinazione.

[3] Cioè le funzioni “di giudice monocratico nelle cause penali, di giudice per le indagini preliminari o di giudice dell’udienza preliminare, anteriormente al conseguimento della prima valutazione professionale” che viene effettuata dal CSM dopo 4 anni dall’entrata in servizio.  Possono anche giudicare uti singuli le cause penali riguardanti i reati minori di cui all’art. 550 del codice di procedura penale.

[4] Ad esempio, in due recenti concorsi riguardanti i 680 magistrati nominati con D.M. 2 febbraio 2018 e D.M. 8 febbraio 2019: la percentuale delle votazioni minime agli scritti (cioè 36 su 60) dei due concorsi è stata, rispettivamente, del 46,1 % e del 44,2 % dei vincitori del concorso e quella delle 5 votazioni più basse (cioè da 36 a 40 su 60) è stata rispettivamente dell’85,7% e dell’88,2% di loro. Cfr, G. Di Federico, Reclutamento dei magistrati: disfunzioni e proposte di modifica, Archivio Penale, 1920 n. 1.

[5] Legge n. 111/2007.

[6] Per una analisi dei sistemi di valutazione e carriera di allora vedi G.Di Federico, The Italian Judicial Profession and its Bureaucratic Setting, The Juridical Review, The Law Journal of Scottish Universities, Part I, April 1976, pp. 40-57; tradotto in Italiano col titolo

La professione giudiziaria in Italia ed il suo contesto burocratico, Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 1978, pp. 798-813.   

[7] Le nostre ricerche mostrano anche come la percentuale di coloro che nello stesso periodo hanno terminato la propria carriera come magistrato di cassazione o come magistrato di cassazione con funzioni direttive superiori è, rispettivamente, del 25,6% e del 20%. Solo l’1,7% (12 magistrati in tutto) aveva raggiunto le posizioni apicali che allora erano solo tre, e cioè primo presidente della Corte di cassazione, procuratore generale presso la Corte stessa e presidente del Tribunale superiore delle acque pubbliche.

[8] Tra i vari sistemi di valutazione per le promozioni a magistrato di appello ve ne era uno detto “a turno di anzianità” per partecipare al quale occorreva una maggiore anzianità di servizio rispetto a quella richiesta per quelle dette “per merito” (per queste il minimo era 16 anni di anzianità). Anche nella promozione a “turno di anzianità” venivano valutati i titoli giudiziari, tuttavia non si ricercava in essi, come per gli altri concorsi, la capacità di elaborazione teorica del diritto (allora chiamata anche “capacità di ragionare in termini di puro diritto”), ma solo la correttezza delle decisioni nella forma e nella sostanza. I magistrati di tribunale che venivano promossi a magistrato di appello in questi concorsi avevano in genere una anzianità di servizio superiore ai 25 anni. La partecipazione a questi concorsi non era obbligatoria, tuttavia quando i magistrati decidevano di partecipare ed ottenevano una valutazione negativa, erano poi obbligati a partecipare anche al concorso a “turno di anzianità” immediatamente successivo, e nel caso di un nuovo insuccesso venivano dispensati dal servizio (cosa che in un numero limitato di casi effettivamente avveniva).

[9] Su come funzionassero in concreto i meccanismi non solo formali ma anche informali dei processi di valutazione dell’epoca e sul ruolo svolto dalle gerarchie giudiziarie nel gestirli, vedi G. Di Federico, La professione giudiziaria in Italia ed il suo contesto burocratico, op. cit., 802-809. Vedi anche G. Freddi, Tensioni e conflitto nella magistratura, op. cit.

[10] Si omette di far riferimento alla legge n. 1/1963 in materia di promozioni e alle analisi da noi condotte sugli effetti di quella legge a livello applicativo, non solo perché quella riforma ebbe vita breve ma soprattutto perché non ci sarebbero di nessuna utilità esplicativa in questo scritto.

[11] Sono stato di fatto consulente del V. Presidente del secondo CSM, On. Ercole Rocchetti, nel 1966-67. Lo stesso On. Rocchetti ed il Comitato di Presidenza proposero che fossi assunto per svolgere anche formalmente quel ruolo (vedi l’allegato A al verbale del CSM del 5/12/1967). A quella proposta non fu dato seguito perché nel frattempo l’On. Rocchetti fu nominato giudice Costituzionale.  Fui poi assunto formalmente come consulente dal Consiglio successivo, ma rinunziai all’incarico alla fine del 1970.

[12] L. 17-12-1967, n. 1198.

[13] D.p.r. 16-9-1958, n. 916.

[14] Si veda il verbale del CSM del 20 marzo 1967, la delibera fu approvata con solo tre voti contrari (tre dei 4 rappresentanti dei gradi più bassi della carriera e cioè i consiglieri Scapinelli, Margadonna e Quiligotti).

[15]  Ibidem.

[16] Nel 1967 l’Associazione nazionale magistrati italiani reagì negativamente e con grande durezza sia nei confronti del CSM che nel 1967 aveva deciso di valutare i titoli giudiziari anche nell’applicare la nuova legge sulle promozioni a magistrato di appello, sia al fatto che i consigli giudiziari stessero dando applicazione a quella decisione. In occasione della elezione dei consigli giudiziari di distretto, il Consiglio direttivo centrale dell’ANMI, infatti, approvò e diffuse con grande e successo, una delibera contenente le citazioni riportate nel testo (v. Notiziario de La magistratura del marzo 1967). La campagna elettorale per il CSM del 1968 fu con molta determinazione condotta dall’ANMI lungo la stessa direttrice di quella delibera.

[17] Ricordo che fino agli ultimi giorni pima dell’elezione per l’ANM rimase in forse se far votare o no la candidatura di uno dei rappresentanti degli altri gradi, il magistrato di cassazione, Marcello Scardia, che non si era ancora impegnato.

[18] Si riteneva cioè che eliminando la valutazione dei titoli (sentenze, ordinanze, requisitorie, ecc.) ai fini delle promozioni, i magistrati non sarebbero stati più costretti a sprecare una parte consistente del loro impegno lavorativo a produrre atti giudiziari in cui esibire la propria cultura giuridica.

[19] Questa interpretazione dell’art.98 della Costituzione fu approvata dal CSM ma non fu poi utilizzata per effettuare le promozioni dei magistrati parlamentari.  Il CSM preferì utilizzare l’escamotage di affermare che la legge non parlava di “promozioni” ma bensì di “nomine” e che quindi i magistrati parlamentari potevano essere “nominati” al livello superiore della carriera.  Su questa intricata vicenda vedi quanto scritto da un componente laico di quel Consiglio, Francesco Colitto, Il Consiglio Superiore della Magistratura, i primi tre quadrienni, Campobasso, 1973, pp. 446-454.

[20] Nel dibattito sull’opportunità di introdurre il divieto di promozioni per merito dei “pubblici dipendenti” si fece anche un elenco di quanti sarebbero stati colpiti da quel divieto laddove fosse stato applicato ai componenti dell’Assemblea Costituente.  In quell’elenco erano compresi anche tre magistrati.  Nessun dei costituenti disse allora che i magistrati non dovevano essere inclusi nell’elenco perché i magistrati non sono “pubblici dipendenti”. Vedi la seduta pomeridiana del 24 ottobre 1947 in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, Camera dei deputati, Segretariato generale, Roma, 1970, pp. 3562-63

[21] L’espressione “grido di dolore” riferita ai magistrati parlamentari non è mia.  Ricordo che era allora utilizzata da vari consiglieri del CSM come reazione alle persistenti pressioni che provenivano dai magistrati parlamentare per ottenere, anch’essi, la promozione.

[22] Bati qui ricordare che nel dibattito parlamentare alla Camera dei deputati sulla c.d. legge Breganze, sia il relatore di maggioranza, On. Valiante, che quello di minoranza, On Martuscelli, erano entrambi magistrati parlamentari e che a ben leggere il resoconto del dibattito, tra i due vi fu una sostanziale convergenza di opinione sull’opportunità di approvare quella legge.

[23] Vantaggi che allora erano ancor più rilevanti di oggi perché fino all’inizio degli anni 1990 i magistrati parlamentari percepivano sia la retribuzione di parlamentare che quella di magistrato

[24] La qualifica di aggiunto giudiziario e la regolamentazione degli esami che i magistrati dovevano sostenere dopo due anni dall’ingresso in magistratura per essere ad essa promossi erano previste negli artt. da 132 a 135 del r.d. n.12/1941.

[25] Oltre un anno prima dell’approvazione della legge che ha abolito gli esami da “aggiunto giudiziario” (il 25 maggio 1970), nella seduta del 17 maggio 1969 il CSM decise di non bandire l’esame da aggiunto giudiziario, pur prevista dalla legge allora vigente, proprio in previsione della riforma che lo abolisse.  Poiché il Parlamento tardava ad approvare quella riforma, il CSM che non aveva bandito l’esame previsto dalla legge si trovò in difficoltà tanto che nella seduta del 18 marzo 1970 “rivolse al Ministro di grazia e giustizia l’invito ad operarsi per la sollecita approvazione in Parlamento della legge stessa”.  A riguardo vedi F. Colitto, Il Consiglio superiore della magistratura: i primi tre quadrienni, op.cit. pp. 379-380.  Per la citazione vedi la nota 49 a pag. 380.

[26] Fino al 1979 l’anzianità richiesta dalla legge per la promozione a magistrato di tribunale era di 5 anni. Con l. n. 97/1979 fu abolita la qualifica di aggiunto giudiziario e si stabilì che la nomina a magistrato di tribunale avvenisse non più dopo 5 anni, ma dopo 2.

[27] Tra il 1962 ed il 1977, è stato annualmente messo a concorso per esami un limitatissimo numero di posti per le promozioni a magistrato di appello (fino al 1968) e a magistrato di cassazione (fino al 1977).  Le valutazioni non erano comunque effettuate dal CSM ma da apposite commissioni di cui facevano parte magistrati di grado elevato.  Il numero dei posti messi a bando era molto limitato e spesso i concorsi non davano vincitori pari al numero dei posti messi a concorso. Tra il 1962 ed il 1977 solo 80 magistrati hanno superato uno o entrambi questi concorsi: 25 solo il concorso per magistrato di appello; 30 solo quello per magistrato di cassazione; 25 entrambi i concorsi. Nonostante il numero limitato di vincitori, questi concorsi hanno avuto un notevole impatto sulla assegnazione delle funzioni direttive superiori. Ciò in quanto la vincita di quei concorsi consentiva ai vincitori di scavalcare varie centinaia o anche alcune migliaia di colleghi nel ruolo di anzianità (il numero più elevato di scavalcamenti è stato di 2.962) e quindi di competere con successo per i posti più ambiti con i colleghi che avevano una anzianità di servizio notevolmente maggiore. Tanto che le posizioni direttive di vertice in corte di appello e cassazione sono state quasi monopolizzate dai vincitori di quei due concorsi per i successivi 25 anni. Basti ricordare che solo nel 2001 è stato nominato presidente della Corte di cassazione un magistrato che non aveva vinto uno di quei concorsi (Nicola Marvulli), mentre il primo dei procuratori generali di Corte di cassazione non vincitore di uno di quei concorsi è stato nominato nel 2006 (Mario Delli Priscoli).

[28] Per una analisi di questo contrasto tra il Presidente Pertini e il CSM, vedi G. Di Federico, Da Saragat a Napolitano: il difficile rapporto tra Presidente della Repubblica e Consiglio superiore della magistratura, Mimesis Edizioni, Milano 2016, pp. 24-31.

[29]   V. Bollettino della Magistratura, n. 4, ottobre-dicembre 1988, la mozione di censura è riportata a p. 22.

[30] V. G. Falcone, Interventi e proposte (1982-92), Sansoni, Milano 1994, p. 99.

[31] Tra il 2002 ed il 2005 il CSM espresse 6 pareri riguardanti la legge delega, i testi dei decreti legislativi e le modifiche introdotte in Parlamento.  Quei pareri sono poi stati pubblicati, con una introduzione illustrativa, nella Relazione al Parlamento sullo stato della giustizia predisposta dal CSM nel luglio 2006 e stampata nel febbraio 2007. Il testo di tutti i pareri può essere letto sul sito web del CSM.

[32] A riguardo vedi G. Di Federico, Riforma dell’ordinamento giudiziario: modifiche della Costituzione con legge ordinaria, Quaderni Costituzionali, 2007, 834-837.

[33] È difficile non utilizzare del tutto quei concetti in un assetto che mantiene ancor oggi caratteristiche tipiche di una organizzazione burocratica, tanto che sia il CSM che l’ANM non possono attualmente evitare di usare a volte l’espressione “progressione in carriera” per indicare il passaggio di un magistrato da un livello di valutazione e dello stipendio ad uno superiore.

[34] D.lgs. n.160/2006, art.11, comma 1. Come si è già detto, tuttavia, i magistrati vengono anche valutati al termine dei 18 mesi di tirocinio.

[35] Di seguito, nel testo, sono riportate integralmente le definizioni dei quattro criteri di valutazione previsti dal d.lgs. n. 160/2006, art. 11, comma 2, punti a, b, c, d.

[36] Ibidem, comma 3.

[37] Ibidem, comma 4.

[38] Ibidem, comma 4, lettera (f).

[39] Ibidem, comma 8.

[40] Ibidem.

[41] D.lgs. n. 160/2006, art. 11, commi 4b, 5, 7, 11, 13, 14.

[42] Nei paesi come l’Austria, la Germania e la Francia, le valutazioni di professionalità vengono effettuate periodicamente (con cadenze che vanno dai due ai 5 anni), e prevedono graduatorie di merito differenziate per coloro che ricevono valutazioni positive. Prendendo ad esempio le valutazioni compiute nel Land tedesco del Nord-Reno/Westfalia le valutazioni basate su criteri non dissimili da quelli ora previsti in Italia i livelli di valutazione positiva sono 4 ed il livello di “eccellente” viene approssimativamente raggiunto da un numero di magistrati che varia tra il 5-10%. Per più dettagliate informazioni sui sistemi di valutazione in Germania ed altri Paesi europei vedi G. Di Federico (a cura di), Recruitment, professional evaluation and career of judges and prosecutors in Europe, op. cit. Vedi anche A. Seriber-Fohr (ed.), Judicial Independence in Transition, op.cit.

[43] Le leggi che regolano il trattamento economico dei magistrati sono elencate all’art. 51 del d.lg. n. 160/2006. La più innovativa di quelle leggi, la n. 427/1984, fu approvata dal Parlamento a seguito di una sentenza del giudice amministrativo nella quale venne deciso che i magistrati amministrativi, ordinari e contabili, nonché gli avvocati dello Stato, avevano diritto a retribuzioni molto più elevate.  A riguardo vedi G. Di Federico, Costi e implicazioni istituzionali dei recenti provvedimenti giurisdizionali e legislativi in materia di retribuzioni e pensioni dei magistrati, Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1985, 331-373. Vedi anche F. Zannotti, La magistratura, un gruppo di pressione istituzionale, Cedam, Padova, 1989.

[44] Vedi la sentenza n. 223/2012

[45] Negli USA il Congresso ha il formalmente il potere di vietare l’erogazione gli adeguamenti salariali dei giudici. Vedi. J. Entin, Getting What You Pay For: Judicial Compensation and Judicial Independence” (2011). Faculty Publications. 84.  In Irlanda ove una norma costituzionale stabiliva che non si potessero diminuire i salari dei giudici, quella norma è stata abrogata proprio per consentire di diminuirli. In altri paesi come Portogallo e Canada si è ritenuto che la riduzione dei salari non fosse di per se lesiva del principio di indipendenza, Vedi G. Di Federico, L’anomala struttura della Corte Costituzionale italiana: giudici e assistenti di studio Archivio Penale 2021, n. 3.

[46] Agli stipendi fissati per legge vengono aggiunte varie indennità pensionabili ed un complesso ricalcolo del valore degli anni di anzianità. Vedi a riguardo G. Di Federico, Costi e implicazioni istituzionali…op.cit.

[47] I dati approssimativi da me allora raccolti sono stati pubblicati in G. Di Federico, Recruitment professional evaluation ad career of judges and prosecutors in Europe…, op. cit , pp. 153-155. Il trattamento economico indicato si riferisce al 2003 e non include, per l’Italia, gli adeguamenti introdotti nel 2006, 2009, 2012, 2015 e 2018.  Questa pubblicazione fornisce anche dati sulle retribuzioni di allora dei giudici austriaci, francesi e tedeschi.

[48] Il Parlamentare che cercò di presentare l’interrogazione in cui si chiedevano i salari realmente percepiti ai vari livelli della carriera e ai vari livelli di anzianità era l’On. Giancarlo Lehner.  Mi riferì che i funzionari della Camera dei deputati gli avevano detto che quella interrogazione non era consentita.

[49] In un’intervista del luglio 2008 il presidente della Corte d’appello di Milano disse che il suo stipendio mensile netto (per 13 mensilità) era di 7.673 euro.  Il giornalista pubblicò l’intervista ed anche la fotocopia della busta paga del magistrato (vedi Il Giornale dell’11-7-2008, p. 3).  Nell’aprile 2009 i magistrati che avevano già raggiunto lo stesso livello di carriera del presidente della Corte di appello di Milano erano 2.179 (il 24,52% di tutti i magistrati allora in servizio).  Certo, avevano anzianità diverse, ma tutti con stipendio superiore ai 6.000 euro. All’incirca un 100/150 già con una anzianità, (e stipendio) della stessa consistenza di quello del presidente della corte d’appello di Milano.  Interessante notare che nell’indicare al giornalista il suo stipendio il presidente della Corte d’appello abbia accennato al fatto che non tutti i colleghi meritassero il suo stesso trattamento.  Tanto che il giornalista pubblicò l’intervista col significativo titolo “Io non sono strapagato ma i colleghi inetti si”.  Va aggiunto che dal momento in cui fu concessa l’intervista al presidente della Corte d’appello di Milano, cioè dal 2008, vi sono stati quattro aumenti salariali di adeguamento al costo della vita e che quindi un magistrato con la stessa anzianità del presidente della corte di appello di Milano oggi guadagnerebbe certamente, negli ultimi anni della carriera, più di 8.000 euro al mese.

[50] Sulla dimensione dei ritardi dovuti ai patteggiamenti tra le correnti denunziati dal Presidente Ciampi vedi G. Di Federico, Da Saragat a Napolitano…, op. cit. pp. 63-64.

[51] ibidem, p. 75.

[52] La mozione finale del XXIII congresso tenutosi nel gennaio1996 del dice infatti: “La ricerca ed il conseguimento di una più alta professionalità tecnicamente adeguata e costituzionalmente consapevole – attraverso periodiche e serie verifiche dell’operosità e delle capacità tecniche dei singoli magistrati presenta un presupposto di piena accettazione e difesa da parte della collettività dell’indipendenza del giudice ed un contributo per invertire la caduta di credibilità della giurisdizione”.  Tale mozione fu votata sia dai consiglieri del CSM allora in carica sia da quelli che lo sarebbero divenuti successivamente, ma non cambiò il loro orientamento a deliberare promozioni generalizzate, tranne i casi di grave demerito.

[53] Vedi G. Di Federico, Lottizzazioni correntizie e politicizzazione del CSM: quali rimedi? in Quaderni Costituzionali, a. X, n. 2, agosto 1990, pp. 69-87.

[54] Si tratta di dati da me raccolti quando ero consigliere del CSM e che riguardano i ricorsi al Tar nel triennio 2003-2005.i

[55] Faccio un esempio tratto dalla mia esperienza di componente del CSM nel 2002-2006.  Sono stato uno dei 5 consiglieri allora eletti su indicazione del centro destra, anche se quella collocazione politica mi creava qualche insofferenza. Di regola tutti e cinque votavano per i candidati suggeriti dalle correnti di “centro-destra” (cioè Magistratura indipendente e UNICOST). Questa regola per me non valeva nei casi in cui avevo conoscenze sul merito dei candidati.   Una delle poche volte in cui il mio voto è stato decisivo per far vincere un magistrato proposto da Magistratura democratica, l’irritazione dei magistrati delle correnti “moderate” fu molto forte (si trattava del presidente della corte d’appello di Ancona che io avevo prescelto a seguito di una prolungata audizione di tutti i candidati). Tuttavia passato il “momento di crisi”, nessuno mi chiese quali fossero le ragioni della mia scelta, mi venne invece chiesto chi me l’avesse raccomandato.  Che la scelta da me fatta fosse dovuta ad una valutazione del merito dei candidati era per loro fuori dall’ordine naturale delle cose.

[56] Per una descrizione particolareggiata di questi aspetti del nostro ordinamento, vedi A. Nicolì, La mobilità dei magistrati e il ruolo svolto dal CSM. Una questione aperta, in www.giustiziacivile.com, n. 9/2015. Dello stesso autore vedi anche “Le recenti riforme in materia di ordinamento giudiziario e l’obiettivo di incrementare l’efficienza degli uffici giudiziari”, in Archivio penale, 2016, n.2, pp. 25-27.

[57] In molti paesi europei esiste l’istituto della “conferma” dopo un periodo di esercizio effettivo delle funzioni giudiziarie. Vedi A. Seiber-Fohr, Judicial Idependence in Transition, op. cit. il paragrafo ove per ogni Stato si indica se vi sia o no l’istituto del “reappointment”.  In Germania, ad esempio, la conferma avviene dopo 3-5 anni dal reclutamento.

[58] Vedi il Notiziario del CSM del 1° gennaio 1070, p. 9.

[59] Per la verità in quella delibera non si parla esplicitamente dell’esame di aggiunto giudiziario, si fa però esplicito riferimento alla qualifica di “aggiunto giudiziario” che si conseguiva solo dopo aver superato quell’esame.

[60]Una circolare del CSM del 1996 fornisce l’indicazione delle difficoltà incontrate dal CSM nel rendere esecutive le sue decisioni di trasferimento di ufficio di magistrati già in servizio a uffici giudiziari non graditi, ma gravemente carenti di giudici o pubblici ministeri. Indica anche gli aspetti negativi che derivano dall’inefficacia delle sue delibere in materia. Dice infatti: “L’esito della politica dei trasferimenti coattivi è stato del tutto deludente: dal 1991 di 12 trasferimenti di ufficio a posti di appello solo 7 sono diventati definitivi, mentre gli altri sono stati revocati o comunque non eseguiti, di 6 trasferimenti di ufficio a posti di tribunale nessuno è stato eseguito, essendone stati revocati 2 e sospesi 4 a seguito di impugnativa ed in tutti i casi il giudice amministrativo ha concesso la sospensiva con il duplice negativo effetto di vanificare il trasferimento e di far risultare il posto coperto”. Per il lettore non esperto aggiungiamo che se un posto risulta formalmente coperto a seguito di delibera senza esito del CSM, quel posto non può neppure essere bandito per sollecitare altre domande.

[61] Alcune procure erano persino rimaste totalmente prive di sostituti procuratori. A riguardo vedi Ferri, Il problema della copertura delle sedi giudiziarie disagiate dopo la legge n. 24 del 2010, Questioni Giustizia, 2010, n. 4.  In questo articolo, a p. 43, si segnala che ben sette Procure erano rimaste totalmente prive di sostituti procuratori

[62] L’articolo 50 della legge 111/2007 ha infatti ribadito che “Il periodo trascorso dal magistrato fuori dal ruolo organico della magistratura è equiparato all’esercizio delle ultime funzioni giudiziarie svolte…”

[63]  Un esempio significativo può essere tratto dal verbale della seduta pomeridiana del CSM del 6 luglio 2006. Per un posto di presidente di sezione di Corte di Cassazione erano in competizione due magistrati.  Entrambi erano già consiglieri di cassazione ed entrambi avevano avuto valutazioni di professionalità egualmente elevate.  Uno di essi, il giudice A aveva una anzianità di servizio formale di tre anni maggiore di quella del giudice B.  Tuttavia il giudice A era stato membro del Parlamento in rappresentanza di un partito politico per 7 anni.  Pertanto l’effettiva esperienza giudiziaria del giudice B era superiore di ben 4 anni rispetto a quella del giudice A.  La grande maggioranza del CSM decise comunque di favorire il giudice A.  A quel tempo ero membro del CSM e scrissi la motivazione di un parere di minoranza a favore del giudice B con riferimento alla sua maggiore esperienza giudiziaria effettiva.  Aggiungo un particolare di quella vicenda che mi sembra anche emblematico nel trattare del rapporto tra magistrati e classe politica. A quel tempo ero anche presidente della V commissione consultiva del CSM che si occupa di proporre le nomine agli uffici direttivi, una proposta che prima di essere portata alla decisione del Plenum del CSM deve essere discussa col Ministro della giustizia (a riguardo vedi il paragrafo 8 del quinto capitolo).  Il ministro dell’epoca, si disse subito favorevole alla proposta della maggioranza della V commissione che proponeva il giudice A. Poiché conosceva il mio parere contrario si rivolse poi a me e, sorridendo, mi disse che non poteva che condividere la proposta della maggioranza perché, dopo tutto, lui ed il giudice A erano stati colleghi in Parlamento per ben 7 anni.

[64] A titolo di esempio mi limito a ricordare un caso che fu deciso dal Consiglio di cui sono stato componente.  Si trattava di decidere l’assegnazione delle funzioni giudiziarie ad un magistrato, Enrico Ferri, che per quasi 20 anni aveva svolto attività politiche (parlamentare italiano ed europeo, Ministro, segretario nazionale di un partito politico, sindaco e altro ancora).  Quando io sollevai il problema se fosse possibile farlo senza un adeguato periodo di formazione fui guardato come stessi vaneggiando ed il CSM lo destinò quindi alle funzioni di sostituto procuratore generale presso la Procura generale della Cassazione.

[65] Art. 13 del d.lgs. n. 160/2006

[66] Secondo i dati forniti dal portale del CSM e da me analizzati per tre anni, la media degli incarichi extragiudiziari deliberati annualmente dal Consiglio era di 1313.

[67] Per un elenco, peraltro non completo, degli incarichi a tempo pieno assunti nel corso degli anni dai magistrati attualmente in servizio vedi il sito del CSM: “albo dei magistrati fuori ruolo”.

[68] Tuttavia, nell’ultimo decennio l’interesse dei partiti ad offrire seggi sicuri ai magistrati per le elezioni nazionali è venuto diminuendo.   In particolare nelle ultime elezioni del 2018, sono stati eletti solo 2 magistrati.  Non erano mai stati così pochi in nessuna delle legislature nazionali precedenti e neppure nell’Assemblea costituente. Attualmente i dati del CSM indicano solo 5 magistrati fuori ruolo per mandato parlamentare Italino o europeo.

[69] Il magistrato Enrico Ferri, fu eletto segretario nazionale del Partito Socialdemocratico nei primi anni novanta mentre era deputato ed è tornato a fare il magistrato dopo essere stato anche Ministro e parlamentare europeo. Il magistrato Michele Emiliano, quando era sindaco di Bari, è stato eletto coordinatore del Partito Democratico per la Puglia e successivamente, dopo essere divenuto Presidente della Regione Puglia ha partecipato alle elezioni primarie per divenire segretario nazionale di quello stesso partito.

[70] Il collocamento fuori ruolo dei magistrati ordinari è attualmente disciplinato dalla legge 13 novembre 2008 n. 181, che prevede che siano al massimo 200 i magistrati destinati a funzioni non giudiziarie.  Va tuttavia aggiunto che il limite massimo di 200 può essere superato quando si tratta dello svolgimento di particolari funzioni presso organi costituzionali o di rilevanza costituzionale (cioè magistrati collocati fuori ruolo presso la Presidenza della Repubblica, la Corte Costituzionale e il Consiglio Superiore della Magistratura). Quel limite non riguarda neppure i casi in cui il collocamento fuori ruolo discende dall’aspettativa: per mandato parlamentare (elezioni al Parlamento italiano ed europeo), per assumere funzioni di governo (ministri o sottosegretari di Stato), per mandato amministrativo (nello specifico per elezioni regionali o comunali), da aspettativa per effetto di nomina ad assessore per aspettativa per ricongiungimento con il coniuge all’estero, ai sensi della legge 11 febbraio 1980 n. 26 e della legge 25 giugno 1985 n. 333.

[71] La Commissione per la riforma dell’Ordinamento giudiziario nominata dal ministro Martelli e poi ampliata dal Ministro Giovanni Conso con D.M. 8-2-1993 propose, tra l’altro: “… che i magistrati non possano assumere pubblici o privati impieghi od uffici e non possano essere eletti agli uffici di senatore, deputato, deputato al Parlamento europeo, consigliere regionale, provinciale e comunale, presidente della provincia, sindaco e assumere le funzioni di ministro, sottosegretario, assessore provinciale, circoscrizionale o comunale”. Questa Commissione era presieduta dal Presidente emerito della Corte costituzionale Ettore Gallo e composta in maggioranza da magistrati, tra i quali anche Vincenzo Carbone, che poi divenne presidente della Corte di Cassazione, Domenico Carcano poi Presidente aggiunto della Corte di Cassazione (che fu anche l’estensore di quella parte della relazione) e Vladimiro Zagrebelsky che poi devenne giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo).  Tutti e tre votarono quel testo (facevo anche io parte di quella Commissione e ricordo che solo uno dei sei magistrati votò contro).   Vedi Commissione ministeriale per la riforma dell’ordinamento giudiziario, “Lavori al 30 aprile 1994”, Documenti Giustizia (rivista ufficiale del Ministero della giustizia), 1994, 1102-3. In questa relazione si spiegano le ragioni giuridiche che consentirebbero di approvare quella proposta con legge ordinaria e si indicano come necessari anche altri divieti all’esercizio di attività extragiudiziarie intesi a tutelare l’indipendenza della magistratura (pagg. 1102-1111).

[72] Vedi a riguardo il mio saggio “La riforma della giustizia” in G. Di Federico, Sapignoli, I diritti della difesa nel processo penale e la riforma della giustizia, Cedam, Padova 2014, pp.147-174.  Vedi anche G. Di Federico, Gli incarichi extragiudiziari dei magistrati: una grave minaccia per l’indipendenza ed imparzialità del giudice, una grave violazione del principio della divisione dei poteri, op. cit. Questo scritto può essere consultato sul sito web  www.difederico-giustizia.it.

[73] Art. 3 lettera h del d.lgs. n. 109/2006 come modificato dalla legge n. 269/2006.

[74]   Per un esempio vedi G. Di Federico “Se il giudice è un ex Onorevole PCI” e “Quel giudice molto Onorato e molto PCI”, articoli pubblicati dal quotidiano “Il Resto del Carlino” rispettivamente il 28 novembre ed il 6 dicembre 1999.

[75] L’abolizione delle promozioni, ad esempio, fa parte del programma di una delle associazioni dei giudici tedeschi, la Newe Richtervereiningung. Il ministro della giustizia Francese Robert Badinter (1981-86), su richiesta del Syndicat de la magistrature si era impegnato, non so in quali termini, di considerasse la possibilità di adottare un sistema di valutazione dei magistrati simile a quello italiano.  So per certo, però, che fui consultato sul nostro sistema di valutazione della professionalità dal presidente della Commissione che doveva occuparsi di quella riforma, Roger Errera, ed espressi le stesse valutazioni formulate in questo scritto, ovviamente sulla base dei dati sino ad allora raccolti.  Quella commissione non propose nessuna riforma del sistema di valutazione dei magistrati francese anche se non conosco la relazione finale. Tuttavia anni dopo, l’On. Badinter mi ringraziò di quella consulenza in occasione di un Convegno da Lui presieduto e di cui io ero il relatore di sintesi, convegno organizzato dal Ministero della Giustizia francese sul tema “Les Cultures Judiciciaires d’Europe en Mouvement” (9-10 febbraio 1995).

[76] Di questi eventi ho dato una rappresentazione solo sommaria. Per una maggiore accuratezza si vedano A Bodnar e L. Bojarsky, Judicial Independence in Poland in A. Seibert-Fohr (ed.), Judicial Independence in Transition,op- cit.  pp. 701-703.  Occorre aggiungere che la legittimità costituzionale dell’abolizione delle promozioni orizzontali, a lungo contestata, è stata poi sancita in via definitiva da una pronunzia della Corte costituzionale polacca (sentenza dell’8 maggio 2012).

[77]  Per i risultati delle rilevazioni effettuate dall’Eurobarometro dal 2013 al 2021 vedi https://ec.europa.eu/info/policies/justice-and-fundamental-rights/upholding-rule-law/eu-justice-scoreboard_en#scoreboards

[78] Vedi Giuseppe Pignatone, Come si valutano i magistrati, in La Repubblica del 23 luglio 2021, p. 34; v. anche l’intervista a Nello Rossi pubblicata su Il Riformista del 21 gennaio 2021, p. 2, con il titolo Come si valutano i magistrati, possibile che siano tutti geni?

[79] Tale era il caso delle interviste ad alcuni magistrati dirigenti degli uffici giudiziari nel periodo precedente alle riforme del 2006, quando le nomine dei capi degli uffici venivano fatte quasi esclusivamente sulla base dell’anzianità e anche per queste posizioni valeva il principio della inamovibilità.  A riguardo ricordo un episodio di quando Giovanni Falcone era ancora giudice istruttore nel tribunale di Palermo. Gli dissi solo che avevo appena finito di intervistare un magistrato che occupava una delle posizioni direttive più importanti del distretto.  Si mise una mano sugli occhi e disse “che vergogna”.

[80] La citazione è tratta da una intervista al magistrato Eugenio Albamonte, dal titolo: Valutare noi toghe?  No a un’élite di eccellenti, ma i capi vanno formati, pubblicata su Il Dubbio del 24 marzo 2021, p. 1-2.

[81]  Degli 80 vincitori di quei i concorsi 25 hanno vinto entrambi i concorsi per l’appello e per la cassazione, 30 solo il concorso di Cassazione e 25 solo il concorso per l’appello.  Per maggiori informazioni su questi concorsi vedi quanto detto dianzi alla nota 28.

[82] Tra gli strumenti utilizzabili per valutare la produttività dei magistrati, ad esempio, vi sono sistemi per pesare i diversi procedimenti giudiziari secondo la loro complessità e il tempo occorrente per definirli.   Sono sistemi per prima utilizzati negli USA, e da anni anche in Europa.  Tra i paesi che più hanno investito nello sviluppare questi sistemi vi sono l’Austria, la Germania e l’Olanda.  Possono essere utilizzati per una pluralità di funzioni come quella di distribuire il lavoro in maniera equilibrata all’interno degli uffici giudiziari o per meglio distribuire il personale tra gli uffici. In quei paesi non sono stati utilizzati per valutare la produttività dei singoli magistrati, ma certamente possono essere adoperati anche a questo fine.  Per una presentazione dei sistemi per pesare i procedimenti giudiziari in Europa, vedi M-Fabri. Metodi per la pesatura dei procedimenti giudiziari in Europa, Questione Giustizia, novembre 2020, https://www.questionegiustizia.it/articolo/metodi-per-la-pesatura-dei-procedimenti-giudiziari-in-europa.

[83] L’On. Costa propone di aggiungere due criteri di valutazione dei magistrati al secondo comma dell’articolo 11 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, che così recitano “in riferimento alla valutazione della professionalità dei magistrati, modificare il comma 2 dell’articolo 11 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, al fine di basare la valutazione su punteggi oggettivi riferiti al tasso di conferma delle sentenze, all’esito in giudizio delle indagini preliminari svolte, al rapporto tra misure cautelari richieste e autorizzate, al numero di ingiuste detenzioni su custodie richieste o autorizzate e al tempo di giacenza dei fascicoli oltre il termine di chiusura delle indagini preliminari”; e “tra i criteri di valutazione della professionalità per i magistrati del pubblico ministero …l’indicazione dei procedimenti loro assegnati, i tempi di definizione, l’esito con particolare riferimento alla percentuale di assoluzioni ed alla formula ove abbiano esercitato l’azione penale con citazione diretta a giudizio, la percentuale di accoglimento delle richieste di rinvio a giudizio e di quelle di misure cautelari”.

[84] G. Pignatone, Come si valutano i magistrati, La Repubblica del 22-12-2021, p.34.

[85] Mentre la sperimentazione della video-verbalizzazione è stata fatta in è stata fatta in sei tribunali la sperimentazione della videoregistrazione degli interrogatori è stata fatta in una sola procura, quella di Firenze con la collaborazione del Procuratore Pietro Vigna. I risultati di queste sperimentazioni sono descritti in G. Di Federico, G. F. Lanzara, A. Mestitz, Verbalizzazione degli atti processuali, tecnologie video e gestione dell’innovazione nell’amministrazione della giustizia, Consiglio nazionale delle ricerche, Roma, 1993. Il volume è dedicato a Giovanni Falcone in riconoscimento della sua collaborazione alla ricerca.

[86] V. G. Di Federico, Riforma del sistema di disciplina dei magistrati in prospettiva comparata, Archivio penale-web, 2021, n.3

[87] G. Di Federico, Magistrati al Ministero della giustizia: proposte di riforma, in corso di stampa sui Rivista trimestrale di diritto e procedura civile.

[88] G. Di Federico (1981), Gli incarichi extragiudiziari dei magistrati: una grave minaccia per l’indipendenza ed imparzialità del giudice, una grave violazione del principio della divisione dei poteri, Saggio introduttivo in F. Zannotti, Le attività extragiudiziarie dei magistrati ordinari, Cedam, Padova, pp. XI-LXXVI.

[89] V. G. Di Federico, L’anomala struttura della Corte Costituzionale italiana, giudici e assistenti di studio: proposte di riforma, in Archivio penale, 2021, n. 3

[90] Vedi supra il par. 8.4, ed in particolare la nota 62.