“SEPARARE E RIFORMARE LA FORZA DELLE NOSTRE IDEE PER UNA GIUSTIZIA NUOVA” – LA RELAZIONE DEL SEGRETARIO UCPI RINALDO ROMANELLI
ROMANELLI – SEPARARE E RIFORMARE.PDF
“SEPARARE E RIFORMARE – LA FORZA DELLE NOSTRE IDEE PER UNA GIUSTIZIA NUOVA”
La relazione del Segretario UCPI Avv. Rinaldo Romanelli
Pubblichiamo la relazione tenuta dal Segretario dell’Unione Camere Penali Italiane, Avv. Rinaldo Romanelli, nel corso del Congresso straordinario dell’Unione Camere Penali Italiane, svoltosi a Reggio Calabria dal 4 al 6 ottobre 2024.
- “Garantisti nel processo e giustizialisti nell’esecuzione della pena”.
“Bisogna essere garantisti nel processo e giustizialisti nell’esecuzione della pena”.
In questo slogan, frutto di una semplificazione che non coglie, o meglio volutamente nasconde, l’insanabile contraddizione che rappresenta, si riassume la nuova complessità dello scenario politico che campeggia in tema di giustizia penale.
Un pensiero scomparso dagli orizzonti della politica da almeno un decennio, ovvero l’attenzione alle “garanzie”, si affianca al “populismo penale” che, al contrario, ne ha dominato ininterrottamente il proscenio fin dall’inizio degli anni ’90.
Questo ossimoro sembrerebbe trovare la sua composizione attraverso un nuovo approccio, di matrice efficientista, orientato ad abbandonare ogni prospettiva “valoriale”, sostituita da un “sano” pragmatismo operativo.
Non avrebbe dunque, significato, la contrapposizione tra “garantismo” e “giustizialismo” frutto di visioni manichee, che non tengono conto, si dice, della complessità dei fenomeni da affrontare.
È però del tutto evidente che il diritto penale sostanziale e il processo penale, al contrario, sono proprio il campo nel quale si incontrano e si misurano l’autorità dello Stato e la libertà del cittadino.
Questo luogo ideale di incontro salda uno stretto rapporto tra sistema penale e livello di democrazia di un paese.
Qui ogni intervento implica la scelta dell’una o dell’altra prospettiva valoriale.
Muoversi sulla linea direttrice dell’efficienza, così come su quella della sicurezza sociale, declinata come diritto individuale del singolo, lungi dall’essere una impostazione meramente pragmatica, è una prospettiva che svaluta diritti di libertà, ponendoli in secondo piano in favore di politiche securitarie e in definitiva autoritarie.
La crisi dei valori del sistema penale è al contempo causa ed effetto della crisi dei valori della democrazia.
- La fabbrica dei reati e le carceri marcescenti.
In questo contesto politico-culturale siamo chiamati a confrontarci con la ricorrente creazione di nuove fattispecie di reato, con l’ennesimo “pacchetto sicurezza”, attualmente in attesa di trattazione al Senato, con la gravissima crisi in cui sprofonda il sistema carcerario e con le costanti spinte verso normalizzazione del processo penale.
Nuove ipotesi di reato, introdotte al fuori di ogni razionalità e ogni serio approfondimento sul piano criminologico e della dottrina penale, solo al fine di lucrare consenso, rispondendo ad un bisogno di sicurezza generato maliziosamente dalla stessa politica, incapace di dare risposte concrete ai problemi reali che affliggono il Paese.
Il fenomeno è noto e non richiede certo un’estesa disamina negli spazi consentiti a questa relazione, basti a riguardo ricordare che da oltre trent’anni il numero dei reati è in diminuzione e che l’Italia è uno dei paesi più sicuri d’Europa.
Il nostro tasso di omicidi ogni 100 mila abitanti è pari allo 0,6; quello tedesco è del 50% più alto, mentre è esattamente doppio quello del Regno Unito e quasi triplo quello francese.
Una ricerca del 2019, elaborata sulla base dei dati Censis e del Ministero dell’Interno ci informa però che il tema “criminalità” compare nei nostri telegiornali il doppio rispetto a quelli francesi o tedeschi.
Percezione e realtà, rispetto al tema della sicurezza, vivono una significativa divaricazione.
Quasi venti nuove fattispecie di reato sono state introdotte dal Governo Meloni, l’ultima due giorni fa, al netto di quelle previste dal “DDL Scurezza”, peraltro seguendo la medesima linea di ricorso allo strumento penale dei precedenti Governi.
Uno dei primi interventi politici dell’Unione, a poco più di un mese dall’insediamento della nuova Giunta, è stata la delibera del 20 novembre 2023, appena successiva all’approvazione da parte del Governo dello schema di Disegno di Legge cosiddetto “pacchetto sicurezza”, seguita poi dalla delibera di astensione del 25 gennaio 2024, con le quali si è denunciata la natura illiberale e profondamente autoritaria dell’ennesima previsione di nuove fattispecie di reato caratterizzate da un ingiustificato rigore punitivo, rispondenti alla logica tipica del populismo giustizialista e del diritto penale simbolico.
Abbiamo in particolare sottolineato come il nuovo delitto di “rivolta in istituto penitenziario”, integrato anche da condotte di semplice resistenza passiva, sia del tutto incompatibile con il diritto penale liberale, violativo dei principi di ragionevolezza, offensività, proporzionalità e determinatezza e rappresenti un pericoloso scivolamento verso una prospettiva autoritaria, capace di rispondere solo con la repressione ad ogni fenomeno di sofferenza sociale.
Anziché rimuovere le cause, fin troppo note in relazione al sistema carcerario, ci si affida alla repressione degli effetti, avendo cura di inserire la nuova fattispecie tra i reati ostativi. La risposta all’inadeguatezza del carcere è la somministrazione di altro carcere.
Poco importa che la stessa Commissione istituita dal DAP, a seguito delle rivolte del 2022, abbia concluso la propria analisi affermando che la risposta punitiva è del tutto inutile ed anzi controproducente, invitando ad “una riflessione sulle condizioni di degrado e abbandono in cui versavano molti degli istituti penitenziari”.
Dal 2022 ad oggi tali condizioni si sono costantemente aggravate, ma la passione punitiva prevale in funzione di un effimero messaggio tranquillizzante, secondo il quale l’introduzione del reato elide il problema.
Altrettanto grave ed inaccettabile è la cancellazione del differimento obbligatorio della pena per le donne incinte, o madri di prole in tenera età, e la previsione di detenzione delle stesse negli istituti a custodia attenuata per detenute madri.
Ferma di per sé l’inidoneità di questi istituti a garantire un ambiente adeguato alla crescita di una nuova vita, la limitatissima presenza degli stessi rischia di rinchiudere le madri e i loro neonati nei penitenziari ordinari. Non può una società civile accettare che bambini senza colpa siano richiusi in carcere. Ciascuno di noi ha il dovere di dire di no a ciò che confligge con le più elementari regole del diritto naturale.
In tal senso si è mossa e si muove l’azione dell’Unione, che da ultimo si è espressa con la delibera del 30 settembre, denunciando con forza questi e ad altri aspetti illiberali del “pacchetto sicurezza”.
Con la delibera di astensione del 25 gennaio avevamo al contempo denunciato il fenomeno del sovraffollamento carcerario e del crescente numero di suicidi che allora, solo ad un mese dall’inizio dell’anno, erano arrivati a 10, sappiamo oggi che quel numero è costantemente cresciuto, costringendoci ad una tragica conta, che abbiamo voluto rendere pubblica, imponendola alla vista e alle coscienze di chiunque varchi le porte di un palazzo di giustizia, chiedendo alle Camere Penali di apporvi un cartello riportante il numero delle persone che dietro le sbarre, affidate alla custodia dello Stato, in condizioni inaccettabili di sovraffollamento, private della loro dignità personale e lontane da ogni percorso trattamentale proprio della finalità rieducativa della pena, si sono tolte la vita.
Quel macabro contatore è arrivato oggi ad esporre l’impressionante numero di 73.
I detenuti presenti nelle carceri italiane alla data 30 giugno 2024 erano 61.480: sono cresciuti di 3.955 unità nell’ultimo anno (con un tasso pari a +6,8%).
Se non verrà invertita la tendenza entro la fine dell’anno prossimo, arriveremo al numero di detenuti che, nel gennaio 2013, ha dato luogo alla condanna dell’Italia ad opera della Corte EDU, con la nota sentenza pilota “Torreggiani e altri c. Italia”, ovvero 68 mila.
Proprio a seguito della condanna comminata dalla CEDU, che ha umiliato (giustamente) l’Italia agli occhi della comunità internazionale, disvelando il livello di degrado delle nostre carceri, nel quinquennio successivo il numero di reclusi è stato ridotto drasticamente a 52 mila, ed è stato avviato il virtuoso percorso degli “Stati Generali dell’esecuzione penale”, conclusosi nel 2016 con un elaborato di indubbio valore, frutto del lavoro congiunto di avvocatura, magistratura, accademia e operatori a vario titolo nel settore carcerario, abbandonato però nel suo iter parlamentare dal Governo Gentiloni, che vedeva Ministro della Giustizia l’On. Orlando, per ragioni di convenienza elettorale.
La riforma organica, razionale e rispettosa dei dettami costituzionali, dell’esecuzione penale non “lucra” consenso elettorale come gli slogan “facciamoli marcire in galera”, agitati da chi non si cura del fatto che le “galere”, proprio della “marcescenza”, indegna di un paese civile, hanno fatto la loro cifra distintiva.
Ampio spazio a questi temi è stato dato alla nostra inaugurazione dell’anno giudiziario che si è tenuta a Roma il 9 febbraio, al teatro Eliseo, in periodo di astensione, nel corso della quale si è trattato della “fabbrica dei reati”, del “destino carcerocentrico della pena” e delle derive illiberali all’interno del processo, vissuto come “ostacolo”, anziché come luogo di verifica della fondatezza della pretesa punitiva dello Stato, nel quale l’imputato è protagonista e le garanzie presidiano il rito.
In un teatro affollato (in questo caso con un’accezione positiva), sintomo ancora una volta dell’ottimo stato di salute della nostra associazione, abbiamo affrontato anche il tema degli assetti costituzionali della magistratura e tutte le tavole rotonde hanno offerto preziosi approfondimenti scientifici indispensabili a dare corpo ed energia all’azione dell’Unione.
Noi siamo le nostre idee. Incidiamo nel dibattito pubblico nella misura in cui la nostra elaborazione è capace con la sua forza, data dai contenuti prodotto di esperienza, studio e sensibilità maturata nel processo, che è luogo esso stesso di conflitto e di sofferenza, di persuadere l’interlocutore politico dell’assoluta necessità del rispetto dei principi costituzionali che dettano lo statuto della pena e del rito penale.
Nel corso dell’inaugurazione dell’anno giudiziario è intervenuto il Ministro della Giustizia, con il quale si è confrontato il nostro Presidente, rappresentando tutte le gravi ragioni di dissenso in ordine alla politica del Governo, che avevano portato i penalisti a deliberare tre giorni di astensione da ogni attività giudiziaria nel settore penale.
Dobbiamo prendere atto che, sui temi dell’esecuzione penale del ricorso sistematico alla penalizzazione, né quel confronto, né gli altri avvenuti con il Guardasigilli in tre occasioni presso il Ministero, hanno sortito effetti positivi, mentre ve ne sono stati, con riferimento a diversi temi, di cui dirò.
L’attività politica dell’Unione rispetto alla grave emergenza in cui versano le carceri è proseguita con la ferma condanna dei fatti di violenza accaduti preso le carceri di Sanata Maria Capua Vetere e Reggio Calabria, dimostrazione di un sistema fuori controllo, oppresso dal sovraffollamento e dalla carenza endemica di personale, sia della Polizia Penitenziaria, che dell’Area Trattamentale e con una nuova astensione deliberata il 2 marzo, con la previsione di una manifestazione nazionale che si è tenuta a Roma il 20 marzo successivo, in Piazza Santi Apostoli, dal titolo: “Non c’è più tempo”.
Moltissimi i rappresentati della politica che in questa occasione sono intervenuti ed hanno preso la parola, così come molto ampia è stata la partecipazione di altre associazioni che si occupano dei temi del carcere.
Abbiamo esposto in modo articolato le nostre posizioni in occasione dell’audizione presso le Commissioni Giustizia di Camera e Senato, sia in relazione al DDL c.d. “Giachetti” sulla liberazione anticipata speciale, che abbiamo manifestato di condividere, che al D.L. n. 92 del 4 luglio 2024 con cui il Governo ha inteso intervenire sul fenomeno del sovraffollamento carcerario, con strumenti inadeguati e soprattutto privi di effetti immediati.
Con delibera del 20 maggio abbiamo dato il via alla “maratona oratoria”, nell’ambito della quale le Camere Penali si sono attivate numerose e, con grande impegno, si sono alternate in manifestazioni tenute in luoghi pubblici, al fine di rappresentare alla società civile la condizione inumana dei detenuti, il degrado della realtà carceraria, le inefficienze del sistema e la irresponsabile indifferenza della politica.
È stata ancora una volta l’occasione di dare dimostrazione concreta della passione civile che anima tutti noi e dell’importanza dell’apporto offerto da ciascuno degli iscritti, di ogni singola Camera Penale all’azione dell’Unione.
L’iniziativa è stata colta dalla Giunta, su invito del Consiglio delle Camere Penali, e si è conclusa con un’intensa manifestazione nazionale, tenutasi a Roma il 10 luglio, in periodo di astensione da ogni attiva nel settore penale, decisa con delibera del 18 giugno 2024.
I Presidenti delle Camere Penali, i loro direttivi e tutti i Colleghi che hanno partecipato, hanno fatto camminare sulle loro gambe, nelle piazze di tutta Italia, i principi e i valori nei quali tutti ci riconosciamo e che ci uniscono in un’unica ideale famiglia.
Con l’iniziativa “Ristretti in agosto”, coordinata dall’Osservatorio Carcere, abbiamo promosso per il mese di agosto più giornate di visita presso gli istituti penitenziari dislocati su tutto il territorio nazionale, coinvolgendo i rappresentanti della politica, delle istituzioni e della società civile, così da contrastare all’interno delle carceri l’ulteriore isolamento che i detenuti patiscono in estate e denunciare all’esterno il costante e immorale tormento che vivono nell’inerzia assoluta di quanti hanno il dovere di intervenire.
L’iniziativa, sempre grazie all’energia profusa dalle Camere Penali è risuscita a raggiungere ben 59 istituti di pena.
- Gli Osservatori.
L’impegno non è però stato rivolto, ovviamente, solo a fronteggiare l’emergenza carcere, che pure ha assorbito in questo primo anno molti dei nostri sforzi, proprio in ragione dell’assoluta gravità della condizione in cui sono costretti detenuti e detenenti, ma ha riguardato molti aspetti del sistema penale, cantiere costantemente aperto, e la riforma degli assetti costituzionali e non solo della magistratura.
Non si possono affrontare grandi sfide, senza strumenti adeguati.
Gli strumenti preziosi a disposizione dell’Unione sono: gli Osservatori, le Commissioni, il Centro Studi giuridici e sociali “Aldo Marongiu”, la Rivista “Diritto di Difesa” e la Scuola.
Osservatori intesi come luoghi di studio, di elaborazione scientifica e di sintesi delle esperienze professionali dei Colleghi che li compongono.
Gruppi di lavoro orientati ad uno scopo ben preciso. Nell’ambito delle direttive e delle linee di politica giudiziaria dettate dalla Giunta, supportarla, a seconda delle rispettive competenze, nelle attività che la stessa intraprende e farsi loro volta promotori di eventuali iniziative da assumere.
Un’altra funzione però, altrettanto se non più importante è propria degli Osservatori, quella di avvicinare all’attività dell’Unione un significativo numero di Colleghi, anche giovani, che intendano dedicare il loro tempo, sottraendolo alla professione e alle loro famiglie, a perseguire con passione disinteressata ed impegno, gli scopi della nostra associazione.
Il rapporto con la Giunta è, e deve essere, basato sullo scambio reciproco di saperi e di sensibilità, gli uni e le altre costitutive di quella cultura che ci accomuna e fa di noi orgogliosamente “Avvocati dell’Unione”.
I Colleghi che compongo oggi gli Osservatori, saranno auspicabilmente gli Avvocati che domani, al termine del nostro mandato, raccoglieranno la responsabilità della guida dell’Unione.
Con queste prospettive abbiamo messo mano al complesso lavoro volto alla migliore composizione di questi gruppi, tenendo in debito conto le indicazioni ricevute dagli amici che prima di noi hanno dato vita alla Giunta e dei responsabili da loro nominati, nonché delle segnalazioni in termini di capacità, qualità e disponibilità provenienti dai territori.
Nel tempo ne è variato il numero, la composizione e la struttura, secondo le indicazioni che ciascuna Giunta ha ritenuto opportuno impartire.
L’avvio di questo biennio ha consentito una nuova riflessione sull’organizzazione di quelli esistenti, l’applicazione di alcuni correttivi e l’istituzione di altri tre Osservatori e una Commissione dedicati rispettivamente: ai rapporti tra scienza e processo, alla luce della nuova realtà dell’intelligenza artificiale; a diffondere i principi e la cultura del giusto processo nelle Università, anche attraverso l’assistenza e l’accompagnamento degli studenti, ad assistere in prima persona ai processi e a visitare le carceri; alla giustizia minorile e al monitoraggio dei Centri di Permanenza per i Rimpatri.
Particolare cura è stata dedicata, nel corso di questo primo anno, a mantenere stretto e vivo il rapporto tra Osservatori e Giunta, realizzando attraverso il contatto costante tra delegati e responsabili, un virtuoso rapporto di reciproca quotidiana sollecitazione.
Ne è derivata un’intesa elaborazione di interventi, documenti, analisi e studi che hanno arricchito e contribuito a rendere più efficace la nostra azione.
Abbiamo chiesto ai Responsabili degli Osservatori e delle Commissioni di predisporre sintetiche relazioni del lavoro svolto, che troverete pubblicate nel sito dell’Unione e che Vi invito compulsare per apprezzare direttamente la quantità e la qualità della produzione che ne è scaturita.
Ad esse Vi devo rimandare, perché se tentassi di darne conto, certamente farei involontariamente torto a qualcuno, trattandosi appunto di una mole di lavoro veramente di grande rilevo.
Possiamo trarre una prima considerazione da questo periodo che ci ha visti lavorare insieme ovvero che l’importanza che noi riteniamo abbia il ruolo degli osservatori delle commissioni è stata ripagata da una fattiva partecipazione sorretta da un tangibile e contagioso entusiasmo.
La direttrice intrapresa è quella giusta e subito dopo il Congresso torneremo nuovamente a mettervi mano, per valorizzare quando di buono si è manifestato e dare nuovo impulso a ciò che è rimasto indietro.
- Il Centro studi giuridici e sociali “Aldo Marongiu”.
Il Centro Studi giuridici e sociali “Aldo Marongiu”, parzialmente rinnovato nella composizione del suo direttivo, affidato alla autorevole ed esperta guida di Roberto D’Errico, ha operato quotidianamente a fianco della Giunta, offrendo il proprio prezioso contributo di elaborazione scientifica in relazione alle numerose iniziative legislative con le quali, nel corso dell’anno, ci siamo dovuti confrontare.
Abbiamo nominato, quali nuovi componenti, i Professori Nicolò Zanon e Francesca Biondi che, nella loro qualità di autorevoli studiosi del diritto costituzionale, ci hanno affiancato e supportato nei necessari approfondimenti relativi alla proposta di legge costituzionale di iniziativa governativa, avente ad oggetto la riforma dell’assetto della magistratura.
Le nostre articolate osservazioni sono state consegnate alla Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati, all’esito dell’audizione che si è tenuta il 12 settembre di quest’anno, suscitando l’interesse dei parlamentari presenti ed in particolare del Presidente, On. Nazario Pagano, primo relatore della proposta, che oggi interverrà al nostro congresso proprio su questi temi.
Abbiamo espresso soddisfazione nel constatare che la proposta governativa recepisce, nella sua parte portante, la nostra impostazione, che vuole due CSM separati per giudici e magistrati d’accusa ed al contempo abbiamo formulato valutazioni sulla natura del Consiglio Superiore, sul fenomeno del correntismo che lo domina da decenni, ben prima che il Dott. Palamara assumesse ruoli di rilievo e sulla rilevante concentrazione di competenze che il CSM si è visto nel tempo attribuire e si è autoattribuito, sulla base della cosiddetta “teoria dei poteri impliciti”, anche in assenza di espresse previsioni di legge.
Gli aspetti sono molteplici e devo purtroppo rinviarVi alla lettura della relazione depositata in Commissione, che trovate, come sempre, pubblicata sul nostro sito.
Il tema della necessaria riforma ordinamentale non riguarda, peraltro, solo il pur fondamentale intervento riformatore costituzionale, ma anche altri profili altrettanto importanti, quali: i magistrati fuori ruolo, la necessità di valutazioni di professionalità effettive, di un forte reclutamento di avvocati e altri professionisti nei ruoli della magistratura, nonché la crisi di un giudice protagonista di un’attività di interpretazione sempre più svincolata dalla legge, che talvolta alla legge stessa si sostituisce, perdendo così la propria legittimazione, derivante dal secondo comma dell’art. 102 della Costituzione che recita, appunto: “I giudici sono soggetti soltanto alla legge”.
Legge come fonte della legittimazione e al contempo come limite del potere del Giudice.
Questioni ampiamente trattate e che continueremo ad affrontare in ogni sede.
Tornando al Marongiu, il Centro si è arricchito di competenze anche nella materia processuale penale, con la nomina dell’Avv. Prof. Luca Marafioti, che già negli anni precedenti aveva attivamente collaborato con la Giunta al fianco dell’Avv. Prof. Oliviero Mazza e del Prof. Daniele Negri, due conferme potremmo dire “obbligate”, in quanto interpreti fondamentali dell’attività del Marongiu.
Abbiamo accolto poi, con grande riconoscenza per la disponibilità che ci hanno manifestato, gli Avvocati e Professori Luigi Stortoni e Giovanni Flora e il Prof. Giovanni Fiandaca, studiosi del diritto penale che, per la loro storia, certo non hanno bisogno di presentazioni in questa assise.
L’Unione è intervenuta come amicus curiae presso la Corte EDU in materia di misure di prevenzione nei casi: Cavallotti + altri c. Italia, relativo alla pericolosità qualificata, e Macagnino + altri c. Italia, relativo alla pericolosità semplice.
Al fine di offrire alla valutazione dei giudici di Strasburgo un contributo di assoluta qualità, su un tema così complesso e rilevante, qual è la prevenzione, rispetto al quale l’Unione ha da sempre denunciato gli evidenti contrasti con i principi costituzionali e convenzionali della presunzione di innocenza, del diritto di difesa, del giusto processo e di protezione della proprietà privata, è stato costituito un gruppo di lavoro, che ha visto collaborare in modo intenso e proficuo i componenti del Centro Marongiu, dell’Osservatorio Misure di prevenzione e dell’Osservatorio Europa.
Un’esperienza di osmosi e di confronto che certamente verrà replicata, quale modello virtuoso da attuare in occasione dei numerosi e diversi contesti nei quali l’Unione è chiamata ad esprimere le proprie posizioni tecnico-giuridiche.
Lasciatemi però sottolineare, con una punta di orgoglio un passaggio importante, che certifica ulteriormente il rilievo che l’azione dell’Unione ha assunto negli anni, anche presso la Corte EDU.
Per prima volta è stata la stessa Corte di Strasburgo a chiederci di intervenite nei 28 diversi procedimenti costituenti altrettanti leading cases inerenti la possibile violazione della Convenzione, in materia di prevenzione, personale e reale.
È un dato che testimonia ancora una volta la costante crescita, anche internazionale, della nostra associazione.
I lavori del Centro Marongiu hanno poi trovato un momento di sintesi, a conclusione di questo primo anno, nel convegno nazionale che pochi giorni or sono, il 27 di settembre, si è tenuto a Bologna, dal titolo: “La minorata difesa ai tempi della Cartabia”.
Si è proceduto ad una lucida analisi complessiva e ad un’esposizione organica delle ricadute della riforma sul processo penale, evidenziando le plurime contrazioni dei diritti di difesa, sacrificati sull’altare di un’asserita impellenza di riduzione dei tempi del processo, quale presupposto necessitato per l’erogazione dei fondi del PNRR.
I dati, in parte raccolti grazie ad un ottimo lavoro, svolto in tempi brevi e malgrado il periodo estivo, dal nostro Osservatorio acquisizione dati giudiziari e in parte provenienti dall’Ufficio Statistica del Ministero della Giustizia, hanno impietosamente denunciato che la gran parte dei risultati ottenuti sulla riduzione del disposition time, deriverebbero: da pronunce di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, da sentenze di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputato ex art. 420 quater c.p.p. e dall’estensione del regime di procedibilità a querela.
Le modifiche introdotte dalla riforma Cartabia sarebbero, dunque, al contempo: inefficaci rispetto all’obiettivo di “velocizzazione” perseguito e limitative, inutilmente, del diritto di difesa.
Possiamo qui ricordare già un primo, sebbene parziale risultato, proprio nell’ambito che maggiormente è stato messo in discussione e che ha subito le più forti pressioni riformatrici, ovvero quello delle impugnazioni.
Oggetto della nostra prima delibera del 20 novembre 2023, è stata proprio la richiesta di sopprimere gli ostacoli ad impugnare introdotti con i commi 1-ter e 1-quater dell’art. 581 c.p.p., oggetto anche di successive interlocuzioni col Ministro della Giustizia.
L’obbligo previsto a pena di inammissibilità di depositare una nuova elezione di domicilio con l’atto di impugnazione, dettato dal comma 1-ter, è stato effettivamente soppresso con un emendamento al “DDL Nordio”, mentre l’obbligo di depositare uno specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo il deposito della sentenza, nel caso di giudizio celebrato in assenza, è stato soppresso solo per la difesa fiduciaria.
Risultato parziale e che certo non possiamo definire soddisfacente, perché penalizza proprio i difesi d’ufficio, ovvero soggetti più deboli, rispetto ai quali il diritto di difesa e l’accesso alle impugnazioni dovrebbe trovare la massima estensione.
Non sfugge poi che una norma così congeniata appare talmente iniqua e irragionevole da destare più di qualche perplessità in merito alla sua possibile incompatibilità costituzionale.
L’obbiettivo del processo penale è quello di giungere ad una decisione giusta e autorevole, non quello di fare statistica perché ad ogni numero di questa statistica corrisponde la vita di una persona, la sua libertà, la sua dignità, il suo posto nella società.
- La rivista “Diritto di Difesa”.
La rivista dell’Unione, “Diritto di Difesa”, già autorevolmente guidata dal nostro Presidente, è stata affidata alla competenza di Vittorio Manes, affinché proseguisse il percorso intrapreso verso un ruolo scientifico e culturale sempre più significativo nel panorama della dottrina e nel dibattito pubblico, offrendo il punto di vista dell’avvocatura sulle principali problematiche che attraversano, e spesso affliggono, la “questione criminale”.
Nelle sue pagine hanno trovato e troveranno spazio contributi che, si propongono di contrastare la dominante “retorica giustizialista”.
Non a caso, il primo fascicolo della nuova direzione ha ospitato un ampio focus tematico sulla “questione carcere”, pubblicando contributi di autorevolissimi studiosi e avvocati come Giovanni Fiandaca, Tullio Padovani, Domenico Pulitanò, Giovanni Flora e molti altri.
Anche il secondo fascicolo della nuova direzione ha dedicato un importante spazio tematico ad una questione che, con sempre più insistenza, aleggia nel dibattito pubblico in materia di giustizia penale: il “nuovo” e crescente spazio da riservare alla vittima. Il focus tematico del numero – fin dal titolo scelto: “Il tempo delle vittime” – ha voluto offrire una chiave di lettura diversa rispetto a quella dominante che potesse contribuire ad arricchire la discussione, cercando di fare proprio quel prezioso insegnamento per cui è solo nella dialettica delle opinioni e nel confronto costruttivo che si assicura il pluralismo culturale e politico alla società e si contribuisce al progresso delle idee.
Il terzo fascicolo riserverà un’attenzione mirata alle prospettive – ormai non più soltanto futuribili – che vedono nei nuovi agenti dell’intelligenza artificiale una fonte oracolare e quasi una “soluzione finale” della mappatura del rischio criminale e che, ben al di là di alcune venature quasi al limite del distopico, tante comprensibili riserve critiche suscitano nel mondo dell’avvocatura, e non solo.
L’importanza che la Rivista ambisce a rivestire nella comunità accademica, nel mondo forense e nel dibattito pubblico è ulteriormente testimoniata dall’istanza di classificazione presentata all’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca Scientifica, che mira ad ottenere un accreditamento come “rivista scientifica”, che contribuirebbe a rafforzarne l’impatto culturale, l’autorevolezza e il prestigio. La voce dell’Avvocatura costituisce un irrinunciabile presidio di civiltà giuridica che deve poter raggiungere l’intera “comunità degli interpreti”, rappresentando un viatico essenziale di strenua difesa del Diritto.
In questa direzione stiamo lavorando convintamente.
- La Scuola Nazionale di formazione specialistica.
Nel corso di questo anno la Scuola nazionale ha proseguito il VII Corso di Alta formazione dell’Avvocato penalista, che giungerà a conclusione nel prossimo mese di dicembre.
In assenza di una norma transitoria il Corso, tuttavia, ad oggi non è riconosciuto come abilitante ai fini del riconoscimento del titolo di specialista, nonostante i suoi programmi siano conformi alle previsioni normative.
L’Unione si è, quindi, attivata presso il CNF e presso il Governo per chiederne il riconoscimento, attraverso l’introduzione di una nuova norma transitoria che “faccia salvi” anche i corsi che hanno avuto inizio nel 2023, prevedendo, altresì, le modalità di riconoscimento del titolo. Il CNF ha fornito al Ministero il proprio parere positivo e attendiamo, dunque, l’intervento governativo.
Sono, inoltre, stati portati a compimento il Corso di Alta Formazione sulle investigazioni difensive e il Corso di specializzazione sulla responsabilità amministrativa dell’ente, organizzati in collaborazione con la Fondazione dell’Unione.
A seguito della entrata in vigore delle Linee Guida ministeriali e, quindi, della definitiva operatività della disciplina del d.m. 144/2015, la Scuola nazionale ha predisposto la convenzione per lo svolgimento del Primo Corso di Alta Formazione, poi sottoscritta con: il CNF, l’Ateneo di Milano-Bicocca, il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Alma Mater Studiorum di Bologna, il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Palermo, l’Ateneo Unitelma Sapienza, il Dipartimento di Giurisprudenza di Roma Tre e il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi del Sannio.
Si è, inoltre, ritenuto necessario prevedere l’organizzazione di corsi per il mantenimento del titolo di avvocato specialista. Vi sono, infatti, Colleghi che hanno già ottenuto il riconoscimento del titolo per comprovata esperienza, in quanto titolari di dottorato di ricerca, ovvero perché frequentanti negli anni passati di uno dei Corsi di Alta formazione di UCPI, riconosciuti in virtù della norma transitoria.
La Scuola nazionale ha, inoltre, proseguito una proficua collaborazione, già in precedenza avviata, con la formazione decentrata della Scuola Superiore della Magistratura, con l’organizzazione congiunta di un corso sulle intercettazioni che si è svolto a Matera il 15-16 marzo 2024. Si tratta di un rapporto particolarmente importante in quanto portatore di un fecondo confronto e scambio di idee tra avvocatura e magistratura.
Nella medesima ottica e grazie al fattivo impegno dell’Osservatorio Corte di Cassazione, è stato, inoltre, per la prima volta organizzato un corso con la Scuola Superiore della Magistratura rientrante nel programma dei corsi centrali, che si svolgerà a Castel Capuano i prossimi 28-30 ottobre, sul tema “Massimario e giustizia penale ai tempi della trasparenza digitale”. La prospettiva a breve è quella di ricambiare l’ospitalità, organizzando con la SSM un corso presso la nostra sede ed avviare così un proficuo scambio formativo permanente.
- Intelligenza artificiale.
Nel panorama degli scenari in constante evoluzione che ci si para dinnanzi, una menzione deve essere riservata all’Intelligenza Artificiale.
Tutti ne cogliamo il rilievo, le potenzialità e i rischi che porta con sé, non solo in relazione al sistema penale, ma più in generale agli equilibri sui quali poggia la società che oggi conosciamo.
L’Unione, oltre ad aver costituito un nuovo Osservatorio ad hoc, ha dedicato al tema ampio spazio all’Open day, nella prospettiva di avviare un percorso di riflessione, di consapevolezza e di sensibilizzazione rispetto ad un tema che ormai fa parte del presente.
La scienza può rappresentare un’opportunità, ma anche allargare il divario tra gli strumenti a disposizione dello Stato e quelli a disposizione del cittadino.
Nel processo e prima ancora nelle indagini, può aumentare lo squilibrio di forze tra accusa e difesa.
Noi Avvocati abbiamo l’obbligo di ampliare l’orizzonte dei nostri saperi, perché questi portati della modernità stanno entrando a pieno titolo a far parte degli strumenti da lavoro del Difensore e al contempo ci porranno di fronte ad insidie che vanno conosciute e contrastate.
In questa prospettiva si muoveranno i lavori del nostro Osservatorio e della Scuola Nazionale.
A seguito dell’incontro tenutosi con il Ministro della Giustizia il 24 settembre, ci è giunta la richiesta di indicare il nominativo di un componente che possa rappresentare l’Unione all’interno della Commissione ministeriale denominata “Osservatorio permanente per l’uso dell’intelligenza artificiale”, istituita lo scorso 10 luglio e presieduta dallo stesso Ministro, della quale fanno parte, tra gli altri, i vertici della Cassazione, il direttore dell’Agenzia per la Cybersicurezza nazionale, e il Presidente del CNF.
Il rilievo, anche politico, dell’Osservatorio permanete è tale che a rappresentarci non potrà essere altri che il nostro Presidente.
- Il “cantiere aperto” del processo penale.
Il rito processuale penale vive in una condizione di modificazione permanente.
Non è questa la sede per affrontarne la ragioni e neppure per ripercorrerne la storia, che tutti conosciamo.
Possiamo limitarci a dare atto della circostanza che nell’anno che ci separa dal congresso di Firenze, proprio in ambito processuale abbiamo visto operare qualche intervento e prendere il via talune iniziative parlamentari, che hanno recepito, almeno in parte, le nostre istanze.
Si manifesta qui, però in senso positivo, l’ossimoro che ho ricordato in apertura di questa relazione: “garantisti nel processo…”.
Ho già ricordato le modifiche dell’art. 581 c.p.p., non soddisfacenti, ma oggettivamente migliorative rispetto allo status quo ante.
Il “DDL Nordio”, approvato e divenuto Legge n. 144/2024, pur con i limiti che abbiamo puntualmente sottolineato in sede di audizione parlamentare, ha modificato l’art. 103 c.p.p., che regola le “garanzie e libertà” del difensore, recependo una battaglia storica dell’avvocatura, che rappresenta l’affermazione di un principio di civiltà, tanto evidente, quanto fortemente osteggiato in primis dalla magistratura.
È stato introdotto il comma 6-ter, che impone l’immediata interruzione delle operazioni di intercettazione delle conversazioni tra difensore e assistito (consulenti tecnici, investigatori ecc.)
Si tratta di una modifica che solo qualche anno fa appariva assolutamente inimmaginabile, che attua la Costituzione e porta con sé un significato ben preciso dal punto vista della prospettiva culturale.
L’art. 24 della Costituzione afferma che la “La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del processo”.
Il Costituente le ha attribuito l’aggettivo “inviolabile” perché è il primo di tutti i diritti, poiché è quello che garantisce tutti gli altri.
L’art. 103 c.p.p. è il presidio che assicura che l’inviolabilità della difesa non resti un enunciato meramente formale, ma si traduca in una tutela effettiva.
Nella stessa direzione, ferme le critiche che abbiamo espresso, si muovono l’interrogatorio di garanzia prima dell’emissione della misura cautelare, la competenza collegiale per deliberare sulla richiesta di custodia cautelare in carcere e il divieto per il Pubblico Ministero di appellare contro le sentenze di proscioglimento emesse all’esisto di processi celebrati a citazione diretta.
Si tratta di norme che in concreto avranno un impatto limitato, poiché l’interrogatorio preventivo è escluso per tutti i reati più gravi e se vi è pericolo di fuga o di inquinamento probatorio.
La competenza collegiale “cautelare” entrerà in vigore fra due anni, per consentire il reclutamento dei magistrati necessari.
Mentre il divieto rivolto al P.M. riguarda i reati meno gravi, in relazione ai quali, come sappiamo, il numero delle impugnazioni è esiguo.
Si tratta comunque di affermazioni di principio frutto di un portato valoriale “garantista” che non possiamo che apprezzare, riconoscendole però, al contempo, come momenti iniziali di un percorso riformatore che dovrà avere ben altro respiro.
Interventi restrittivi sono stati effettuati anche in merito alla pubblicazione delle intercettazioni e sta per essere licenziato di Decreto Legislativo sul divieto di pubblicazione dell’ordinanza di custodia cautelare, sul quale la scorsa settimana l’Unione è stata audita in Commissione Giustizia alla Camera e mercoledì 2 ottobre al Senato.
Come abbiamo affermato nelle sedi parlamentari, anche in questo caso il divieto è da salutare con favore, ma la violazione è presidiata da una sanzione del tutto ineffettiva e senza, ovviamente, voler immaginare pene detentive per il giornalista che pubblica, si potrebbero introdurre profili sanzionatori a carico dell’editore che possano avere un effetto dissuasivo.
Passando dalle affermazioni di principio agli interventi che se attuati, produrranno invece una grande ricaduta pratica, è stato approvato alla Camera dei Deputati e trasmesso al Senato l’11 di aprile di quest’anno il DDL Zanettin, che introduce con l’art. 254-ter c.p.p. un’articolata disciplina che attribuisce al giudice e non più al P.M. la competenza di disporre il sequestro di dispositivi e sistemi informatici, secondo il modello che regola il sequestro preventivo, ed estende, in applicazione dei principi dettati dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 170/2023, la disciplina e limiti di ammissibilità previsti in materia di intercettazioni anche a tutte le comunicazioni contenute negli stessi dispositivi che, ad oggi, sono qualificate come documenti e dunque acquisibili senza limiti.
È questo un tema di enorme rilievo perché, se il DDL verrà approvato, per la prima volta si introdurrà una disciplina regolatrice delle multiformi attività invasive di cui è capace il captatore informatico.
Siamo ormai immersi in una realtà fatta di comunicazioni digitali, le nostre stesse vite sono racchiuse, descritte, riprodotte in immagini e video su supporti informatici che oggi sono accessibili sostanzialmente senza alcun limite e con garanzie pressoché insistenti e soventemente del tutto annullate da una giurisprudenza di scopo orientata solo a salvare gli esiti del processo.
La previsione di regole stringenti e limiti chiari non è più rinviabile.
Ci attende un autunno nel quale misureremo il valore e la sostanza dell’enunciato garantista esibito dalla maggioranza di Governo.
Si tratterà, oltre che del art. 254-ter c.p.p., della riforma in senso restrittivo, della custodia cautelare in carcere (misura che dovrebbe avere una qualche ricaduta anche sul sovraffollamento carcerario) e della limitazione del ricorso alle intercettazioni; temi oggetto di confronto in occasione dell’incontro avvenuto il 24 settembre con il Ministro.
Nel frattempo il “cantiere aperto” è affidato anche ai lavori della “Commissione di studio per la riforma del processo penale”, istituita con d.m. del 5 maggio 2023 e presieduta dal Capo dell’Ufficio Legislativo Dott. Antonio Mura, della quale, come sapete fanno parte autorevoli Avvocati Professori dell’Unione: Beniamino Migliucci, Gian Domenico Caiazza, Eriberto Rosso, Paola Rubini, Oliviero Mazza, Luca Marafioti e Daniele Negri, che in questo anno e mezzo hanno lavorato intensamente, offrendo un contributo di idee (le nostre idee!), attraverso elaborati di assoluta qualità.
La Commissione che, secondo le indicazioni impartite dal Ministro al momento del suo insediamento, si propone l’obbiettivo di condurre a compimento l’opera del Prof. Giuliano Vassalli, riportando in vita la matrice accusatoria del codice del 1988, giustiziata, se mi è consentita l’espressione, dai plurimi interventi demolitori della Corte Costituzionale dei primi anni ’90, e dai successivi reiterati interventi del legislatore, con l’arricchimento dettato dall’esperienza di oltre trent’anni di applicazione.
Vedremo se e in che misura questo sarà possibile, poiché sappiamo che all’interno della Commissione si agitano spinte non sempre convergenti rispetto agli obbiettivi dichiarati ma, nel frattempo, è opportuno essere presenti, per offrire il nostro contributo al dibattito.
Per questa ragione in occasione dell’ultimo incontro con il Ministro, abbiamo chiesto che la composizione fosse integrata con l’ingresso del nostro Presidente, Francesco Petrelli e del sottoscritto.
Richiesta accolta subito accolta dal Ministro che con decreto del 25 settembre, il giorno successivo, ha integrato la Commissione, nominandoci quali nuovi componenti.
La relazione del Presidente traccerà le linee direttive della politica dell’Unione nel prossimo anno, che si presenta ricco di temi di grande rilievo ed anche portatore a breve, di momenti non più rinviabili di verifica rispetto agli impegni più volte formalmente assunti dal Governo, primo fra tutti quello della riforma costituzionale della magistratura che, per essere approvato entro lo scadere della legislatura, dovrà concludere il primo passaggio alla Camera entro la fine di quest’anno.
Io mi auguro, con questa narrazione, avere assolto il compito che mi è attribuito di illustrarVi almeno le principali attività svolte e ancor più di essere riuscito a sottolineare l’impegno e la passione con cui tutti noi, insieme e grazie al contributo di ciascuno, le abbiamo affrontate.
Reggio Calabria, 4.10.2024