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SULLA CIRCOLARE RELATIVA ALL’ORGANIZZAZIONE  DEGLI UFFICI DI PROCURA – DI FABIO PINELLI

SULLA CIRCOLARE RELATIVA ALL’ORGANIZZAZIONE DEGLI UFFICI DI PROCURA – DI FABIO PINELLI

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SULLA CIRCOLARE RELATIVA ALL’ORGANIZZAZIONE DEGLI UFFICI DI PROCURA

Il testo dell’intervento al Plenum del vice presidente del CSM Fabio Pinelli sulla recente circolare relativa all’organizzazione degli Uffici di Procura.

Pubblichiamo di seguito il testo dell’intervento al Plenum del vice presidente del CSM Fabio Pinelli.

Nell’ambito di una decisa critica alla recente circolare relativa all’organizzazione degli Uffici di Procura – caratterizzata da una «esuberanza regolativa», da eccessi limitativi dei poteri del Procuratore della Repubblica e da «un’assoluta e incongrua genericità e lacunosità» delle prescrizioni dettate per i Sostituti – si sottolinea diffusamente l’importanza che la normativa secondaria eviti ogni forma di “personalizzazione” e “atomizzazione” dell’attività degli Uffici, in tensione tanto con le garanzie di un esercizio imparziale, uguale ed efficiente dell’azione penale – vanificate da una normativa che non contenga adeguatamente il rischio di soggettivazione e di espressione di individuali politiche criminali –, quanto con il principio di buon andamento dell’attività inquirente.

L’intento limitativo dei poteri dei Procuratori e il carattere “livellante” nella gerarchia operativa degli Uffici non risulterebbero confacenti a quel progressivo e continuo spostamento del centro del procedimento verso le indagini preliminari, «fase “monologante” in cui si concentrano tutti i rischi di compromissione della vita personale, reputazionale e professionale del cittadino», rispetto ai quali il dibattimento non offrirebbe che una tardiva e spesso insufficiente garanzia.

I diritti da salvaguardare in una fase centrale del procedimento – «dove principalmente si giocano le sorti delle persone» – risulterebbero frustrati da una regolamentazione capillare e limitativa dei poteri del Procuratore – in uno con una disciplina eccessivamente generica dei doveri facenti capo ai singoli Sostituti – e da un orizzonte di aspettative esclusivamente focalizzato sul dibattimento, ove si arriva «stritolati dal processo mediatico», con un irrecuperabile nocumento al personale capitale reputazionale.

Intervento al Plenum

Sulla circolare relativa all’organizzazione degli Uffici di Procura

Machiavelli diceva: “I buoni costumi per mantenersi hanno bisogno di buone leggi, ma anche le leggi per mantenersi hanno bisogno di buoni costumi. È inutile continuare a fare nuove leggi se i costumi restano cattivi, perché resteremo disillusi”. Lo dico, per esempio, sugli accertamenti su fatti e circostanze a favore dell’indagato. È già prevista dalla norma primaria, ora dalla nostra circolare. È stata ed è nei fatti una delle norme più dimenticate del nostro codice. Aspettiamo di farci sorprendere. Nutro peraltro serie perplessità sull’effetto salvifico delle norme, siano esse di rango primario o di rango secondario. Quello che conta più di ogni previsione formale sono i comportamenti; il mio auspicio e anche la mia convinzione è che i pubblici ministeri italiani sappiano esprimere la loro funzione quotidiana nel senso più istituzionale e nel rispetto dei diritti dei cittadini.

Avverto in questa circolare sull’organizzazione degli Uffici di Procura un certo “affanno” regolatorio: è pur vero che essa interviene a seguito delle importanti innovazioni introdotte dalla legge n. 71 del 2022 nelle disposizioni del d.lgs. n. 106 del 2006, succedendo alla circolare del 16 novembre 2017, già modificata già nel 2020 e nel 2022; tuttavia, essa finisce per porre una minuziosa e talvolta “macchinosa” disciplina, che merita una più approfondita riflessione anche e soprattutto alla luce delle esigenze che la modernità giuridica detta per Uffici quali le Procure della Repubblica e su come tali esigenze si possano inserire nell’attuale cornice costituzionale.

La circolare, infatti, secondo una mia lettura, certamente opinabile, ha adottato una prospettiva che definirei “di riunione permanente” della gestione degli uffici di Procura, che non può ritersi in linea con le reali necessità di efficienza e di snellezza delle procedure decisionali proprie della modernità.

Traspare un evidente intento limitativo dei poteri dei Procuratori che, visti con sfiducia e diffidenza anziché come valore aggiunto – la partecipazione è diversa dalla condivisione –, oltre a pregiudicare quella sollecitudine e operosità indispensabili al buon andamento degli Uffici, trascura di considerare che il ruolo del Procuratore corrisponde anche a percorsi di maturità e competenze professionali acquisite negli anni – e valutate dal Consiglio ai fini del conferimento dell’incarico – che difficilmente possono essere presenti in modo sufficiente in chi si affaccia in giovane età alla funzione di magistrato dopo aver vinto il concorso.

Maturità e competenze professionali tanto più importanti in un contesto che ha visto, nei fatti, un progressivo e continuo spostamento del centro del procedimento verso la fase delle indagini preliminari, che è una fase “monologante” in cui ormai si concentrano tutti i rischi di compromissione della vita personale, reputazionale e professionale del cittadino – e in genere del destinatario del servizio-giustizia – rispetto ai quali il dibattimento ormai non offre che una tardiva e spesso insufficiente garanzia. Pensare poi che ci sia un giudice a Berlino non vale più: si arriva a Berlino stritolati dal processo mediatico e irrecuperabile diventa il danno reputazionale subito.

In un simile contesto è vieppiù necessario che gli Uffici di Procura si muovano secondo logiche di armonia interpretativa, di uniforme applicazione della legge e di esercizio obbligatorio, imparziale ed uguale dell’azione penale, che necessitano il riconoscimento di adeguati poteri al Procuratore (titolare dell’azione) che, dopo essere stato selezionato – così dovrebbe sempre essere – innanzitutto sull’effettivo merito e sulla base delle sue capacità direttive e della maturata esperienza professionale, può essere chiamato a rispondere di eventuali inadeguatezze attraverso l’utilizzo dello strumento principe della mancata conferma nell’incarico direttivo, conferma troppo spesso considerata una mera formalità.

D’altro canto, un più consono utilizzo della mancata conferma implica il riconoscimento di poteri adeguati, del cui mancato esercizio il Procuratore possa essere chiamato a rispondere.

Proprio nella prospettiva della valorizzazione della maturazione delle competenze e capacità professionali in capo ai Procuratori devono farsi anche alcune note procedurali sulla preparazione della circolare.

Ferma infatti la piena autonomia e libertà della Commissione, una volta che questa abbia scelto di adottare una procedura partecipativa, sarebbe stato più coerente ed auspicabile un maggior coinvolgimento dei Capi degli Uffici.

La circolare pone, poi, perplessità in relazione al suo funzionale inserimento nel quadro dettato dalla Costituzione letto alla luce delle già indicate esigenze della modernità giuridica – e manifesta una “esuberanza” regolativa che nuoce alla stessa tecnica di formulazione della normazione secondaria.

In relazione alle coordinate costituzionali, deve infatti rilevarsi che le garanzie stabilite dall’art. 107 Cost. per il pubblico ministero non sono quelle previste per i giudici dagli artt. 25, primo comma e 101, secondo comma, Cost. e pongono la nota e discussa questione della indipendenza “interna” del pubblico ministero.

Come già aveva rammentato il Presidente della Repubblica nella citata comunicazione del 2014, “le garanzie di autonomia e indipendenza ‘interna’ del pubblico ministero riguardano l’ufficio nel suo complesso e non il singolo magistrato”, proprio perché l’azione deve essere impersonalmente ricondotta all’Ufficio. Le scelte della presente circolare, dunque, non possono ritenersi costituzionalmente imposte.

Nei rapporti tra Procuratore della Repubblica e Sostituti restano invece validi i principi affermati dalla Corte costituzionale – sin dalla sentenza n. 52 del 1976 – secondo cui tali rapporti non hanno natura giurisdizionale, ma amministrativa, e come tali essi devono rispondere al fondamentale principio di buon andamento della pubblica amministrazione, codificato all’art. 97 Cost., e dunque anche ad esigenze di effettività nella possibilità di rispondere con dovuta efficienza alle richieste e alle sfide che la complessità giuridica attuale pone agli uffici delle Procure della Repubblica.

Quelle dei magistrati del pubblico ministero sono, invero, un’autonomia e una indipendenza che devono essere lette alla luce degli altri principi che governano l’azione del pubblico ministero.

Si tratta, insomma, di un’autonomia e una indipendenza che devono essere inscritte e lette come funzionali a quell’impersonalità, unità e indivisibilità dell’Ufficio, fondamentali per un’azione penale obbligatoria, imparziale ed uguale ai sensi degli artt. 3 e 112 Cost.

È dunque della massima importanza che la normativa secondaria eviti accuratamente ogni “personalizzazione” delle funzioni in modo che – per usare un’efficace espressione della dottrina tradizionale (Manzini) – nell’azione individuale si abbia sempre l’azione impersonale dell’Ufficio e si eviti ogni forma di “atomizzazione” dell’attività degli Uffici, alla base delle molte tensioni che si sono verificate a detrimento, fra gli altri, del già ricordato principio di cui all’art. 97 Cost.

In tale prospettiva, inoltre, risulta essenziale che il Consiglio – come sempre il Presidente della Repubblica ricordava nella missiva già citata – eviti di assumere ruoli “impropri” dilatando a dismisura i propri spazi di intervento con eccessi regolativi dei poteri del Procuratore della Repubblica, titolare dell’azione, che mettono a serio rischio il rispetto del principio di effettività, imponendogli una mole di adempimenti e prescrizioni, cui oltre tutto non corrisponde un analogo dettaglio dei doveri dei Sostituti.

A questo proposito non può non ulteriormente rimarcarsi come la stessa tecnica di formulazione della normativa secondaria debba garantire quella semplicità e chiarezza che – nel rigoroso rispetto della cornice costituzione e dei limiti già segnati da quella ordinamentale, dettata dalla legge ordinaria – lasci gli opportuni spazi di flessibilità ai Capi degli Uffici titolari dell’azione, per essere all’altezza delle esigenze che la modernità giuridica richiede ad Uffici complessi come quelli di Procura, nei quali esiste un preciso rapporto tra lo statuto di indipendenza dei singoli magistrati e le domande sociali di trasparenza e di efficienza che la interrogano.

Non si tratta evidentemente di proporre impossibili mimesi di modelli organizzativi strutturati in un contesto normativo in larga parte diverso – come, ad esempio, quelli relativi alla Procura europea di recente introduzione – ma di verificare la distanza, francamente eccessiva, della via organizzativa che si è inteso adottare, rispetto a quelle che caratterizzano gli Uffici di più attuale e recente introduzione.

Da una parte emergono, dunque, eccessi limitativi dei poteri del Procuratore della Repubblica cui corrisponde, dall’altra parte, un’assoluta e incongrua genericità e lacunosità delle prescrizioni dettate per i Sostituti.

Inadeguata e del tutto generica mi pare l’attenzione dedicata nella circolare a temi fondamentali quali: la speditezza, economia ed efficacia delle indagini, indicate dall’art. 371 c.p.p. come fini del dovere di coordinamento dei pubblici ministeri; la funzionalità di impiego della polizia giudiziaria; l’effettiva e tempestiva assunzione della direzione delle indagini, con conseguente prudente utilizzo dell’istituto della delega; la completezza e tempestività delle investigazioni anche a favore dell’imputato; l’osservanza dei criteri in materia di iscrizione di notizie di reato; l’impiego efficiente di tutte le risorse tecnologiche, cui dovrebbero corrispondere puntuali doveri in capo ai Sostituti oltre che sul Procuratore, perché è nell’adempimento di questi doveri che si declinano in concreto le garanzie dei diritti dei cittadini in generale e delle persone sottoposte alle indagini in particolare.

Credo che concentrare l’attenzione sulla ormai logora dicotomia “gerarchia/indipendenza” abbia in larga parte fatto smarrire la centralità del problema dell’effettività del coordinamento al fine di garantire un’azione autorevole e imparziale, che sola può evitare abdicazioni alla funzione di direzione delle indagini, congetturalismi nelle iniziative cautelari e personalismi e atomizzazioni dell’attività degli Uffici, che non possono che produrre tensioni, perniciose all’istituzione, e gravi inefficienze, contrarie al buon andamento dell’attività, dovute a una forte burocratizzazione dell’Ufficio tutta concentrata sul Procuratore e poco o nulla sui Sostituti.

Insomma, appare evidente l’asimmetria tra l’acribia con cui sono stati regolati e fortemente limitati i poteri dei Procuratori, rispetto alla genericità con cui sono stati trattati i doveri che correlativamente dovrebbero fare capo ai singoli Sostituti, perché l’ufficio possa concretamente funzionare e garantire gli obiettivi che la Costituzione e la legge gli assegnano.

Esemplificative, nel senso predetto, sono le ambiguità e le genericità, che si rinvengono, ad esempio, nell’art. 2, dove si impone al Procuratore della Repubblica il rispetto dell’“indipendenza dei magistrati dell’ufficio, ispirandosi ai principi di partecipazione e leale collaborazione”. La disposizione, infatti, non scioglie il delicato nodo in cui deve essere inteso il principio di indipendenza del pubblico ministero (se riferito all’Ufficio o al singolo) e sembra incoraggiare interpretazioni contrarie al senso costituzionale che deve essere a tale principio attribuito, nel senso ricordato di indipendenza dell’ufficio nel suo complesso. Inutile programmaticamente richiamare (come si fa all’art.1) la necessità di assicurare l’uniformità, tempestività ed efficacia dell’azione, prevedendo altresì procedure per la redazione di linee guida e buone prassi, nonché protocolli investigativi, se poi si adottano scelte regolative che sembrano avvalorare l’idea che ciascun Sostituto sia garantito nell’adozione di propri autonomi indirizzi e criteri valutativi degli elementi di prova, in quanto singolarmente indipendente, frapponendo poi molteplici ostacoli e rendendo oltre modo farraginosa la procedura per la revoca dell’assegnazione o riducendo il valore del visto.

La stessa disposizione sui criteri di priorità dell’azione (art. 4) è redatta in modo da non contenere adeguatamente il rischio di soggettivazione e di espressione di individuali politiche criminali, anziché preoccuparsi di garantire l’esercizio di un’azione obbligatoria e uguale, compatibilmente con le risorse disponibili, che solo può garantire quella percezione nei cittadini di essere tutti ugualmente trattati davanti alla legge e di essere ugualmente garantiti.

Inutile poi dettare disposizioni – invero assai generiche e sintetiche – sul benessere fisico e psicologico dei magistrati e sul clima relazionale, se poi si pongono, attraverso eccessi burocratici e atomizzazioni dell’Ufficio, le premesse per rendere estremamente difficoltoso, se non impossibile, per il dirigente dell’ufficio, l’esercizio di poteri adeguati a tali fini. D’altro canto, il tema del benessere lavorativo è un tema più generale che riguarda tutti i dipendenti e che, inserito in una circolare sull’organizzazione delle Procure, avrebbe dovuto essere funzionalizzato alle sue ricadute sui destinatari del servizio-giustizia.

Sarebbe stato dunque auspicabile che la disciplina organizzativa fosse maggiormente concentrata sul suo scopo precipuo, che è quello di creare condizioni adeguate perché vi sia uniformità dei criteri di esercizio dell’azione penale, un impiego consapevole e controllato delle tecnologie e delle tecniche investigative più invasive e, dunque, un’azione imparziale, uguale ed efficiente, che faccia percepire l’autorevolezza che da ciò deriva e accresca la fiducia di tutti verso la magistratura requirente.

Insomma – e conclusivamente – ritengo che la circolare avrebbe meritato di essere più efficacemente orientata all’esigenza di salvaguardare quella snellezza delle procedure decisionali che sola può garantire un adeguato confronto con la complessità giuridica della modernità e, al contempo, responsabilizzare i Capi degli Uffici previo riconoscimento dei necessari poteri, del cui inadeguato esercizio possano essere chiamati a rispondere in sede di conferma.

I diritti da salvaguardare in una fase ormai centrale del procedimento – come è ormai diventata quella delle indagini preliminari (dove principalmente si giocano le sorti delle persone, siano esse vittime o imputati) – necessitano di uno sguardo lungo della normazione secondaria che, in questa circolare, doveva essere tenuto in ben diversa considerazione.

Mi auguro che la prassi applicativa della circolare delle Procure, qualora approvata, non si declini in una involuzione di tipo burocratico e di arretramento culturale, ma si caratterizzi esclusivamente in un’ottica di servizio per i cittadini e di garanzia di una sempre migliore qualità della giurisdizione.

Roma, 26 giugno 2024

Il Vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura.

Fabio Pinelli