UN ARGINE ALLE INVOLUZIONI INQUISITORIE DEL PROCESSO PENALE di Luca Marafioti
di Luca Marafioti
La “guerra dei trent’anni” per l’affermazione di un modello accusatorio e per un processo penale di parti, incentrato su un’effettiva egalitè des armes continua, aspramente, senza quartiere, né esclusione di colpi.
Sembra, infatti, non finire mai la stagione delle “riforme zibaldone”, dei provvedimenti legislativi che operano un “copia e incolla” della giurisprudenza o, più modestamente, fungono da piccolo pronto-soccorso per la quotidiana gestione delle disfunzioni del processo penale.
A ciò si aggiunge una malintesa, ancorché ribadita, concezione dell’efficienza ed economia del processo. In quest’ottica distorta, regole e garanzie vengono sofferte, anziché venire accettate e protette, e sono sottoposte ad un costante, serrato attacco. Da strumento indispensabile per l’accertamento di un fatto di reato rischiano di essere considerate inutile ostacolo, frapposto all’obiettivo di una urgente ed inevitabile conferma della verità propugnata da una parte.
La deriva antigarantista, al di là di ogni aspetto tecnico, pur meritevole del più ampio ed approfondito ulteriore commento sul piano giuridico e politico, da l’impressione, però, di essere il risultato di un’onda lunga. Cosicché, ogni novella propugnata dalle maggioranze politiche che si sono alternate, assemblandosi in maniera singolare, sembra rappresentare ulteriore tappa nel percorso di affermazione di quel “monopolio culturale”, rispetto al quale il pensiero politico e giuridico di matrice garantistica non sempre è riuscito a sottrarsi alla propria subalternità. Si tratta di un monopolio culturale sull’idea del diritto penale e del processo cui forse solo l’UCPI ha da tempo inteso fornire una risposta chiara, coraggiosa, culturalmente attrezzata, coinvolgendo e chiamando a raccolta tutta l’avvocatura penalistica ed assai ampi settori del pensiero accademico.
Può, allora, sembrare impegno arduo arginare la tremenda spinta finalizzata a legittimare l’involuzione che vuole progressivamente trasformare il processo di parti nel regno incontrastato di una parte, amplificando ulteriormente il ruolo ormai svolto non soltanto dell’imputazione ma, addirittura, del mero addebito preliminare formulato dal Pubblico Ministero.
Una funzione che, oltre all’innegabile peso che esercita nel processo, tende a rivolgersi anche (alle volte, quasi soprattutto…) al di fuori del processo, proiettandosi su terreni altrimenti tipici della sanzione penale, nella sua polifunzionale dimensione retributivo-preventiva, cui mira o, semplicemente, finisce anticipatamente per sostituirsi, se non, addirittura, sfiorando obiettivi di indirizzo su settori della vita del paese, in primo luogo l’economia.
Si tratta di questione che non può più essere affrontata solo a livello processuale, sebbene una disciplina in proposito appaia urgente, senza incidere nel contempo sui nodi dell’assetto costituzionale ed ordinamentale del potere di azione penale, rinnegando una volta per tutte il mito di un’obbligatorietà dell’iniziativa penale da sempre solo di facciata e proseguendo il cammino della separazione delle carriere requirente e giudicante.
Può, poi, sembrare troppo impegnativo il compito di restituire significato e rinnovata valenza a principi fondamentali, in primis contraddittorio e diritto alla prova, la cui tutela viene data troppo spesso per scontata. Innegabile che essi servano al giudice ed al processo, ma occorre tener presente che essi rappresentano anzitutto l’ossigeno senza i quali la difesa si riduce a mero simulacro. Anziché procedere ad un loro progressivo impoverimento, ne andrebbe incrementata, allora, l’effettività, proprio mentre sono sottoposti ad un costante attacco, persino ad opera della stessa giurisprudenza di legittimità a Sezioni Unite che dovrebbe, invece, fungere da insuperabile baluardo a loro tutela.
L’obiettivo si fa ancora più ambizioso se si osserva la nuova era che attraversa la “documentalità” nel rito penale, con progressiva metamorfosi ed esponenziale aumento di peso specifico della prova documentale, digitale e non. Una tendenza idonea a segnare un inarrestabile declino della prova dichiarativa, con correlativa perdita di centralità di un’idea di dibattimento frutto di una visione liberale del processo, con correlativa necessità di ripensare ulteriormente le garanzie in materia.
Può risultare, infine, assai ostico il compito di tutelare in un modo che non si riveli sempre più apparente il diritto alle impugnazioni da parte dell’imputato. In un’epoca in cui si registra un crescente fastidio nei confronti dei controlli, all’interno ed all’esterno dell’apparato giudiziario. Viceversa, si tratta di strumento indispensabile per ridurre al minimo l’incubo dell’errore giudiziario. Questo, infatti, sembra costruirsi in un attimo, in modo imprevedibile ed imperscrutabile, ma si alimenta anche e soprattutto in ragione della debolezza dei controlli in sede giurisdizionale.
Si tratta di solo alcune delle aree in cui si muovono le sfide sul tappeto per la comunità dei giuristi che hanno a cuore le sorti della giustizia penale. Eppure, nessun obiettivo può ritenersi per definizione precluso alla riflessione ed alla coscienza critica dell’avvocatura.
Unica possibile risposta alla dimensione antigarantista cui nella legislazione e nella prassi si vogliono piegare gli istituti del processo, all’insofferenza verso i limiti derivanti dalle regole processuali è, infatti, quella fermamente ancorata al sentimento del garantismo, un sentimento che non muore mai. Ad alimentarlo contribuisce anche e soprattutto il costante dibattito sugli istituti e sulla loro quotidiana dimensione applicativa, sulla struttura e funzione che il processo penale può e deve continuare ad assumere, costantemente ispirata dalla sua insostituibile dimensione strumentale e culturale.