Enter your keyword

IL DIRITTO ALLA SALUTE QUALE DIRITTO FONDAMENTALE PUÒ IMPEDIRE LA CONSEGNA DI UN RICERCATO NEL PROCEDIMENTO PER MANDATO DI ARRESTO EUROPEO? – DI NICOLA CANESTRINI

IL DIRITTO ALLA SALUTE QUALE DIRITTO FONDAMENTALE PUÒ IMPEDIRE LA CONSEGNA DI UN RICERCATO NEL PROCEDIMENTO PER MANDATO DI ARRESTO EUROPEO? – DI NICOLA CANESTRINI

CANESTRINI – IL DIRITTO ALLA SALUTE QUALE DIRITTO FONDAMENTALE PUÒ IMPEDIRE LA CONSEGNA DI UN RICERCATO NEL PROCEDIMENTO PER MANDATO DI ARRESTO EUROPEO.PDF

ordinanza C app Milano omissata.PDF

di Nicola Canestrini *

La human rights defense vera arma della difesa nella cooperazione internazionale.

“Le indiscutibili e crescenti esigenze della lotta contro la criminalità sul piano internazionale, pur sollecitando una sempre più fattiva e leale collaborazione tra gli Stati, non possono in nessun caso andare a detrimento dei valori che la Costituzione dichiara inviolabili”. Corte Costituzionale, sentenza 280/185.

La Corte di Appello di Milano, con ordinanza 17.9.2020 sospendeva il procedimento per consegna su mandato di arresto europeo, accogliendo le richieste della difesa di sollevare la quesitone di legittimità costituzionale della l. 69/2005 artt. 18 e 18 bis nella parte in cui non prevedono un motivo di rifiuto obbligatorio o facoltativo in riferimento agli articoli 2, 3, 32, 110 della Costituzione.

In fatto.

Ad un cittadino italiano veniva notificato un mandato di arresto europeo processuale emesso nel settembre 2019 dal Tribunale di Zara, contenente la richiesta di consegna per il reato di detenzione di sostanze stupefacenti a fini di spaccio commesso qualche anno prima in Croazia.

Il consegnando, peraltro, era affetto da grave patologia psichiatrica (con nesso causale con il reato contestato in Croazia) già da diversi anni, con persistente attualità della grave patologia.

Negli anni, infatti, numerose visite psichiatriche presso diverse strutture sanitarie attestavano la presenza di gravi disturbi, quali:  “idee deliranti a scopo suicidario” e “episodio schizofrenico acuto non specificato, stato ansioso non specificato” (2013), “psicosi indotta da abuso di sostanze stupefacenti” (2014), “stato di cronico scompenso caratterizzato da disturbi dell’ideazione a carattere delirante, episodici fenomeni dispercettivi, gravi anomalie del comportamento” (2014); risulta documentalmente provato anche un TSO (2014), con ricoveri al Servizio psichiatrico diagnosi e cura territoriale con diagnosi di “psicosi paranoidea indotta dall’uso continuo e prolungato di sostanze varie in particolare cannabis e MDMA” (2016 . 2017).

La perizia, disposta dalla corte di appello, confermava che il consegnando è affetto da un disturbo psichiatrico classificabile come “disturbo psicotico non altrimenti specificato” (Disturbo psicotico NAS), con “necessità di terapia farmacologica e psicoterapica essendo portatore di patologia psichiatrica di Asse I”. Veniva altresì evidenziato come “in assenza di terapia farmacologica o in caso di terapia farmacologica in dosaggio inadeguato o di terapia inadatta, la possibilità che il periziando vada incontro a un nuovo episodio di scompenso psichico appare significativa. […]”, con possibile rischio suicidiario.

In diritto: quale tutela del diritto alla salute nel procedimento MAE?

Sulla base delle prove disponibili la difesa evidenziava che in caso di emanazione di un provvedimento di consegna alle autorità dello stato richiedente, non sarebbe stato garantito il suo fondamentale diritto alla tutela della salute (intesa come “stato di totale benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente assenza di malattie o infermità”, secondo quanto stabilito già nel 1946 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità), sancito dall’art. 32 della Costituzione italiana, nonché dall’art. 35 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (c.d. Carta di Nizza).

La stessa normativa europea stabilisce peraltro che  “l’Unione ha l’obiettivo di mantenersi e svilupparsi come spazio di libertà, sicurezza e giustizia in cui sia assicurata, nel rispetto dei diritti fondamentali di ciascuno, la libera circolazione delle persone mediante l’adozione di misure appropriate per quanto concerne la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest’ultima» (articoli 3, paragrafo 2, TUE e 67, paragrafo 1, TFUE)  e « riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europe (e) i diritti fondamentali, garantiti dalla CEDU e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali» (articolo 6, § 1 e 3 TUE)[1].

L’articolo 1, paragrafo 3, della stessa decisione quadro sul MAE, congiuntamente ai considerando 12 e 13 della stessa decisione, chiarisce che nel contesto del MAE dovranno essere rispettati i diritti fondamentali e i principi giuridici fondamentali.

Peraltro, proprio facendo leva sull’argomento che anche il diritto alla sicurezza sia contemplato dall’Unione europea, e «sussiste quindi il rischio chiaro ed evidente che il reato resti impunito e che il suo autore risulti recidivo, violando così i diritti e le libertà degli altri cittadini dell’Unione» (come concludeva l’avvocato generale Yves Bot, C-404/15, 3 marzo 2016) e che quindi «non costituisce un motivo di non esecuzione del mandato d’arresto europeo fondato sul rischio di violazione, nello Stato membro emittente, dei diritti fondamentali della persona consegnata» la Corte di giustizia dell’Unione europea ha invece stabilito che lo stato di esecuzione ha un “obbligo di verifica” sul rispetto dei diritti fondamentali prima di eseguire il MAE (CGUE, C-404/15 ARANYOSI E CALDARARU, 5 APRILE 2016, GC, in tema di condizioni di detenzione).

Il percorso avviato con la storica sentenza Aranyois e Caldararu sulle condizioni di detenzione ha avuto poi sviluppi anche con riguardo ad altri diritti fondamentali, quali quello ad un fair trial[2] ed ha trovato massima espressione nella recente sentenza Corte giustizia dell’Unione europea sui, GS, sentenza Dorobantu, C 128/18,15 ottobre 2019, ECLI:EU:C:2019:857.

Con specifico riguardo alla tutela del diritto alla salute, peraltro, l’art. 18 della l. 69/2005 attuativa della decisione quadro 2002/584/GAI in materia di M.A.E., recante i motivi in forza dei quali la Corte Di Appello deve rifiutarsi di effettuare la consegna alle autorità straniere del soggetto colpito da M.A.E., non vi è un motivo che attenga all’eventualità in cui la consegna possa arrecare pregiudizio alla salute del soggetto.

Una siffatta disposizione non è presente nemmeno nell’art. 3 della decisione quadro 2002/584/GAI, che ugualmente si occupa dei casi di rifiuto obbligatorio dell’autorità giudiziaria chiamata a eseguire il mandato di arresto. La totale assenza di riferimenti alla tutela della salute del soggetto si rinviene anche dall’analisi degli artt. 18-bis della legge italiana e 4 della decisione quadro europea, in materia di motivi in forza dei quali l’Autorità Giudiziaria può (e non deve) rifiutarsi di effettuare la consegna alle autorità straniere.

Un quadro giuridico così delineato pareva quindi assolutamente incompatibile con le disposizioni, interne ed europee, che nel nostro ordinamento forniscono tutela costituzionale al diritto fondamentale alla salute della persona.

Una siffatta omissione risultava ancor più irragionevole dal momento che la l. 69/2005 e la decisione quadro 2002/584/GAI prevedono che, una volta emanato il provvedimento di consegna all’autorità estera, la sua efficacia possa essere solamente sospesa dalla Corte Di Appello “quando sussistono […] gravi ragioni per ritenere che la consegna metterebbe in pericolo […] la salute della persona” (art. 23 comma 3 l. 69/2005; identica formulazione si ritrova nell’art. 23 comma 4 della decisione quadro 2002/584/GAI).

Che senso ha non consentire (nemmeno in via meramente facoltativa) all’Autorità Giudiziaria di non eseguire il M.A.E. in forza di preminenti esigenze relative alla salute dell’interessato, consentendole invece di sospendere la consegna di un M.A.E. già eseguito in forza delle medesime esigenze?

Con specifico riguardo alla tutela della salute nella cooperazione internazionale, peraltro, il grave pregiudizio al diritto alla salute impedisce tout court una decisione favorevole alla estradizione[3].

Pertanto, la difesa sin dalla prima memoria instava affinché il giudice di primo grado della consegna sollevasse questione di legittimità costituzionale degli artt. 18 e 18-bis della l. 69/2005, in riferimento agli artt. 3, 32 e eventualmente art. 117 della Costituzione come parametro interposto per gli articoli i 2, 3 e 8 della Convenzione EDU, nella parte in cui non prevedevano che il giudice competente potesse – o dovesse – rifiutare di consegnare il soggetto destinatario di un M.A.E. all’autorità estera, nel caso in cui tale consegna determinasse un pregiudizio per la salute del soggetto; alternativamente, si instava affinché il giudice investito del procedimento per mandato di arresto europeo sollevasse questione pregiudiziale dinnanzi alla Corte di Giustizia di Lussemburgo.

Il giudice meneghino con l’articolato provvedimento in commento sospendeva quindi il procedimento, dichiarando rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli art. 18 e 18bis della L. 69/2005 attuativa della decisione quadro 2002/584/GLS per possibile contrarietà con gli articolo 2, 3, 32, 110 Costituzione; sarà ora interessante capire nell’ottica di leale cooperazione e del dialogo fa le corti la Corte Costituzionale vorrà a sua volta formulare una domanda pregiudiziale a Lussemburgo per consentire una massima tutela del diritto alla salute in tutti i procedimenti riguardanti il mandato di arresto europeo su tutto il territorio dell’Unione.

* Disclosure: l’autore è, con l’Avv. Nathalie d’Apuzzo, difensore nel procedimento de qua.

[1] La rilevanza è chiarita dal principio per il quale «Un atto dell’Unione deve essere interpretato, nei limiti del possibile, in modo da non inficiare la sua validità e in conformità con il diritto primario nel suo complesso e, in articolare, con le disposizioni della Carta» sentenze McDonagh, C-12/11, EU:C:2013:43, punto 44, Riesame Commissione/Strack, C-579/12 RX-II, EU:C:2013:570, punto 40, N.

[2] Così, il mandato di arresto è ineseguibile se “(..) l’autorità giudiziaria dell’esecuzione accerta che esiste, nello Stato membro emittente, un rischio reale di violazione del contenuto essenziale del diritto fondamentale a un equo processo a causa di carenze sistemiche o generalizzate riguardanti il potere giudiziario di tale Stato membro” CGUE, C-216/18 PPU CELMER, 25 luglio 2018, GC.

[3] Sci si riferisce naturalmente alla estradizione processuale passiva, regolata dal codice procedurale dagli art. 697 c.p.p. ss.; cfr. in particolare art. 705/2 c bis c.p.p.).