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LO STATO DI DIRITTO E IL VIRUS DELL’ASSUEFAZIONE – DI FRANCESCO PETRELLI

LO STATO DI DIRITTO E IL VIRUS DELL’ASSUEFAZIONE – DI FRANCESCO PETRELLI

di Francesco Petrelli

Decreto emergenza e “distanza dal processo”. Le crisi costituiscono il luogo elettivo all’interno del quale il procedimento disciplinare si instaura. La eccezionalità emergenziale rischia tuttavia di divenire ordinarietà. L’apparato immunitario proprio dello Stato di diritto esca rafforzato e non indebolito dal virus dell’assuefazione disciplinare. L’intera collettività deve essere, non solo preservata dai possibili futuri danni ad una piena fruizione delle libertà ed alla interezza delle garanzie, bensì ricompensata attraverso un incremento qualitativo e quantitativo di quegli stessi diritti e di quelle medesime garanzie oggetto di sospensione sul cui valore l’attuale emergenza deve farci utilmente riflettere.

I momenti di crisi costituiscono il luogo elettivo all’interno del quale si inseriscono modifiche profonde delle organizzazioni sociali.

Come ci ricordano gli sviluppi delle sofisticate teorie di Michel Foucault sulle “società disciplinari” e sulle “società del controllo”, i provvedimenti emergenziali e le relative restrizioni tendono infatti a “disciplinare” i comportamenti in senso funzionale alla soluzione delle criticità ma nel far ciò incidono in profondità sullo statuto della legalità. 

Tali procedimenti si sviluppano infatti in nome dell’emergenza spostando progressivamente in avanti il controllo delle istituzioni pubbliche sulla vita del singolo e comprimendo e condizionando gli spazi stessi della libertà personale “disciplinando”, appunto, interi ambiti comportamentali ed interi contesti sociali.

Terremoti e calamità naturali in genere, o anche disastri ecologici, sommosse, sommovimenti politici ed epidemie, forniscono i presupposti politici, etici, ed emotivi condizionanti all’interno dei quali si può agevolmente espandere e radicare la ricomposizione in senso illiberale delle regole di convivenza sociale.

L’emergenza stessa (sanitaria o di ordine pubblico) costituisce il presupposto logico e psicologico per la interiorizzazione dei comandi, al di fuori di ogni ulteriore intervento autoritario, e la giustificazione autosufficiente di una sottoposizione massificata all’autodisciplina.

Misure che impongono una riduzione della stessa libertà individuale e che ordinariamente difficilmente sarebbero recepite in maniera positiva, vengono invece accolte in queste circostanze, se non con favore, con pacifica sottomissione.

Le gravi misure precauzionali prese dal governo nel campo della giustizia penale a causa dell’emergenza epidemiologica inducono pertanto ad alcune riflessioni sulle quali non sembra inutile soffermarsi, allargando lo sguardo ad alcuni possibili fenomeni relativi alla complessiva gestione politica della crisi. Inserita all’interno delle disposizioni introdotte dal D.L. dell’8 marzo 2020 n. 11, volte alla sospensione e regolamentazione delle ordinarie attività giudiziarie, non sfugge la norma (art. 2 comma 7) confermata dal D.L del 17 marzo 2020 (art. 83 comma 12) che riguarda le modalità di celebrazione dei processi con detenuti imponendo il ricorso al discusso strumento della videoconferenza, ovvero al cd. processo a distanza, da celebrarsi ai sensi dell’art. 146-bis disp. att. c.p.p., la cui adozione incide evidentemente in profondità sui principi fondanti del giusto processo, quali il contraddittorio e l’immediatezza.

Una norma fortemente osteggiata ha fatto così ingresso nel nostro ordinamento nella sua versione più radicale.

Dopo la sua prima introduzione operata nell’ambito dei soli processi di criminalità mafiosa, accompagnata anch’essa da rassicuranti affermazioni di eccezionalità e di temporaneità, questa norma è stata segnata da molteplici denunce di incostituzionalità, tornando di recente al centro di un’aspra discussione politica in occasione della proposta formulata dalla commissione Gratteri, ripresa poi dal DDL della cd. riforma Orlando, di operare un più ampio utilizzo di questo dispositivo esteso a quasi tutti i processi con detenuti.

L’ipotesi in questione era stata di fatto temporaneamente accantonata a causa della insufficienza degli strumenti tecnici e delle risorse umane necessarie ad un tanto massiccio utilizzo del mezzo, sia presso le case circondariali che presso i tribunali.

Tale misura, che come è stato efficacemente detto determina una vera e propria “distanza dal processo”, è stata dunque introdotta dal Decreto governativo nella maniera più estesa e più indiscriminata (non limitata al solo dibattimento ma applicata anche alla altrettanto delicata fase delle convalide cautelari), con il solo limite oggettivo della impossibilità pratica della sua adozione, senza alcuna distinzione in termini di gravità dei reati o di pericolosità del detenuto, in quanto ovviamente connessa ad esclusive e condivisibili esigenze di tutela della salute a fronte dell’epidemia COVID-19.

Sono molteplici le modificazioni che, al fine di risolvere analoghi problemi emergenziali, si sono insinuate all’interno dell’ordinamento processuale “mettendo in quarantena” alcune fondamentali garanzie del processo ed alcuni ulteriori diritti dell’imputato detenuto.

Si pensi alla semplificazione delle notificazioni, alla sospensione dei termini di custodia cautelare, alla soppressione dei colloqui visivi con i familiari.

Un uso consapevole del governo disciplinare delle emergenze, ovviamente indispensabile in ogni moderna democrazia, consente in cambio del prezzo della libertà dei singoli, il superamento dello stato di necessità in favore della vita dell’intera collettività. Questo dispositivo “governamentale” agisce tuttavia producendo risultati a più lungo termine, in quanto le misure adottate in quel contesto ed il contenuto emotivo delle stesse tendono a sedimentare ed a creare dunque un sentimento di generica familiarità con le restrizioni, a cristallizzare nuovi abiti mentali che ridimensionano l’impatto illiberale delle discipline le quali tendono a manifestare una insidiosa forma di vischiosità.

Modalità di gestione del processo, quali appunto quelle imposte dalla distanza dell’imputato dal contesto ove la prova si forma e dove il contraddittorio si realizza nella sua materialità e fisicità, tendono pericolosamente a generare assuefazione ed a condizionare le ordinarie reazioni  ad una modalità processuale che appartiene ad un codice di relazioni del tutto irrazionale ed irragionevole, non solo rispetto al modello adottato, ma rispetto all’evoluzione stessa del pensiero che inevitabilmente tende a ridimensionare l’esaltata efficienza delle comunicazioni virtuali.

La eccezionalità emergenziale non solo rischia tuttavia di divenire ordinarietà sotto un profilo normativo, ma ciò che è più grave, di normalizzare le pulsioni del dissenso sotto un profilo psicologico, facendo sembrare naturale e familiare ciò che era nato nel segno della eccezionalità.

Occorre pertanto sorvegliare con attenzione questi meccanismi che possono attentare alla integrità dei nostri diritti e dei diritti dei soggetti più deboli, facendo sì che l’etica delle intenzioni non sopravanzi l’etica della responsabilità, e chiamando comunque a rendere conto i moderni interpreti di questa nuova incipiente società disciplinare che, al di là delle ragioni che ne avevano giustificato la sospensione, la pienezza delle regole processuali deve essere al più presto responsabilmente reintegrata.

Così come l’intera collettività deve essere, non solo preservata dai possibili futuri danni ad una piena fruizione delle libertà ed alla interezza delle garanzie, bensì ricompensata attraverso un incremento qualitativo e quantitativo di quegli stessi diritti e di quelle medesime garanzie oggetto di sospensione sul cui valore l’attuale emergenza deve farci utilmente riflettere.

Perché l’apparato immunitario proprio dello Stato di diritto esca rafforzato e non indebolito dal virus dell’assuefazione disciplinare.