L’AVVOCATURA DOPO IL CORONA VIRUS – DI GIAN DOMENICO CAIAZZA
di Gian Domenico Caiazza
L’editoriale del Presidente dell’Unione Camere Penali Italiane
Se c’è una cosa che dovremmo avere imparato da questa durissima esperienza, tutta ancora da vivere, è che occorre per quanto possibile prevedere e prevenire il futuro.
Cosa sta accadendo, cosa è già accaduto, e dunque cosa accadrà dell’avvocatura italiana dopo il coronavirus?
È ovvio che il primo pensiero vada oggi all’impatto economico di questa emergenza sulla nostra professione. Come tutti coloro che vivono non di uno stipendio ma del normale fluire del proprio lavoro, il prezzo sarà altissimo, anche perché mentre l’attività è ferma, i costi strutturali dei nostri studi professionali, oltre quelli fiscali e previdenziali, restano inalterati.
L’Unione delle Camere Penali, oltre che sostenere e stimolare, su queste problematiche fiscali, previdenziali e di sostegno finanziario dello Stato, l’indispensabile protagonismo dell’avvocatura istituzionale, ha per esempio da subito sostenuto la necessità di accelerare il pagamento degli onorari già da anni maturati dai difensori iscritti negli elenchi del patrocinio dei non abbienti, da tempo liquidati e dunque già finanziariamente coperti. L’iniziativa ha già prodotto risultati importanti, ed altri ne produrrà nei prossimi giorni.
Abbiamo poi sollecitato le Camere penali territoriali a vigilare e se necessario intervenire con determinazione sui tempi dei rinvii delle udienze oltre i termini disposti ex lege. È diffusa la tentazione, in vari uffici giudiziari del Paese, di disporre rinvii ingiustificatamente lunghi delle udienze ordinarie, quasi a cogliere l’occasione per una indebita rottamazione del carico processuale, così determinando un letale aggravamento della paralisi delle normali attività professionali.
Ma al di là di queste e di altre iniziative che possono essere assunte, quello che dobbiamo far comprendere con chiarezza alle forze politiche ed alla pubblica opinione è che una avvocatura fiaccata economicamente e socialmente si traduce inesorabilmente in un allarmante indebolimento delle garanzie e dei diritti e delle libertà di tutti i cittadini.
D’altronde, questa è da sempre la ragione stessa della esistenza dell’Unione delle Camere Penali italiane. Sappiamo bene quanto in questo Paese sia profondamente radicata l’idea manzoniana dell’avvocato. L’Azzeccagarbugli è il leguleio vile ed avido, che usa la propria scienza per ingarbugliare la verità, e che preferisce comunque servire i potenti in danno dei più deboli. Ieri Don Rodrigo, oggi mafiosi e colletti bianchi, l’avvocato è un servizievole favoreggiatore dei propri assistiti, e più essi sono potenti e ricchi, più quei servigi saranno resi al meglio.
Sappiamo come questa percezione, questa diffidenza verso l’avvocato non appartenga solo alla pancia del Paese. Constatiamo quotidianamente di essere non di rado percepiti nel processo come un intralcio, un intruso purtroppo ineliminabile che rallenta ed ostacola il corso della Giustizia.
L’impegno dei penalisti italiani in tutti questi anni ha certamente contrastato in modo sempre più efficace questa radicata idea del ruolo sociale dell’avvocato, ma è ancora lontano il generale riconoscimento del nostro ruolo primario di garanzia costituzionale dei diritti di libertà delle persone che assistiamo, sicché è alto il rischio che questa epidemia possa offrire l’occasione per assecondare e rafforzare quella china pericolosa. I segnali in tal senso non mancano.
Dal punto di vista del sostegno economico, gli avvocati sono stati puntualmente esclusi dal novero dei lavoratori autonomi destinatari di benefici, come se non esistesse una platea soprattutto di giovani avvocati (ma non solo) che rischia di essere letteralmente travolta dal fermo di qualche mese -ancora non sappiamo quanti- delle attività ordinarie.
Dal punto di vista processuale, le misure adottate per la smaterializzazione dei rapporti con gli uffici giudiziari hanno evidentemente privilegiato magistrati e personale di cancelleria, facoltizzati ad un uso della pec nei confronti del difensore del tutto privo di reciprocità. Al tempo stesso, si è data la stura a pressanti richieste verso l’avvocatura da parte degli uffici giudiziari di protocolli per la smaterializzazione del processo penale, rispetto ai quali incontriamo resistenze a vederne riconosciuta in premessa l’assoluta ed inderogabile eccezionalità; la qual cosa autorizza il fondato timore che si voglia cogliere questa eccezionale contingenza per seminare anche nel ritorno alla ordinarietà quella idea “gratteriana” di smaterializzazione dell’imputato e del suo difensore nel processo che segnerebbe d’un colpo la fine dello stesso modello costituzionale del giusto processo.
Morale della favola: occorre rafforzare ancora di più l’identità culturale e politica di una avvocatura che, anche dopo questo tsunami, sappia rivendicare con grande forza il proprio ruolo di garanzia nella società, di certo oggi avanzando, in questa drammatica emergenza, anche tematiche di natura economica, ma senza mai snaturarsi e degradarsi in sindacato di categoria. Solo un’avvocatura politicamente forte, cioè consapevole del proprio ruolo sociale di presidio irrinunciabile dei diritti dei cittadini, potrà e saprà far ascoltare la propria voce.