ESECUZIONE DELLE MISURE ALTERNATIVE ALLA DETENZIONE NEI PAESI DELL’UNIONE EUROPEA: ORA, FORSE, È POSSIBILE – DI COSIMO PALUMBO
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ESECUZIONE DELLE MISURE ALTERNATIVE ALLA DETENZIONE NEI PAESI DELL’UNIONE EUROPEA: ORA, FORSE, È POSSIBILE.
ENFORCEMENT OF ALTERNATIVE MEASURES TO DETENTION IN THE COUNTRIES OF THE EUROPEAN UNION: NOW, PERHAPS, IT IS POSSIBLE.
di Cosimo Palumbo*
Questo contributo è il frutto della rielaborazione della relazione presentata al convegno dal titolo Le pene (im)possibili, organizzato dalla Camera Penale di Busto Arsizio il 26.05.2022. La giurisprudenza di legittimità e di merito più recente ha aperto alla possibilità di dare esecuzione in ambito UE all’affidamento in prova ai servizi sociali concesso dai Tribunali di Sorveglianza italiani. La giurisprudenza, stante l’inerzia del legislatore, svolge un ruolo di supplenza creando, di fatto, un comune spazio giuridico europeo per la esecuzione delle misure alternative previste dall’ordinamento penitenziario.
This article is a reworking of the speech presented at the conference entitled Le pene (im)possibili, organised by the Busto Arsizio Camera Penale on 26.05.2022. The most recent jurisprudence of legitimacy and merit has opened up the possibility to execute within the EU the probation to social services granted by the Italian Supervisory Courts. Given the inertia of the legislature, case law plays a supplative role by creating, de facto, a common European legal space for the execution of alternative measures under the prison system.
SOMMARIO: 1. Premessa sull’esecuzione all’estero delle sentenze di condanna nel codice di procedura penale – 2. La giurisprudenza ante D. LGS. 38/2016: a) La Corte di cassazione; b) La giurisprudenza di merito; c) La Corte costituzionale – 3. Le decisioni quadro del Consiglio europeo: in particolare, la Decisione Quadro 2008/947/GAI – 4. Il Decreto Legislativo n. 38/2016: il reciproco riconoscimento di sentenze in ambito europeo – 5. La giurisprudenza ritorna sui suoi passi: a) La Corte di cassazione; b) I giudici di merito: le ordinanze dei Tribunali di sorveglianza – 6. Alcuni problemi applicativi – 7. Conclusioni – 8. Bibliografia e riferimenti
- Premessa sull’esecuzione all’estero delle sentenze di condanna nel codice di procedura penale.
Il codice processuale ha disciplinato l’esecuzione all’estero delle sentenze di condanna italiane al capo II del titolo IV del libro XI del c.p.p. (artt. 742 e 746), in conformità ai principi espressi dalla Convenzione di Strasburgo del 21 marzo 1983 sul trasferimento delle persone condannate, ratificata con L. 25 luglio 1988, n. 334, fra i quali vi è quello (art. 8) secondo cui « L’esecuzione della condanna è regolata dalla legge dello Stato di esecuzione e questo Stato è l’unico competente a prendere ogni decisione al riguardo ».
- La giurisprudenza ante D. LGS. 38/2016.
a) La Corte di cassazione.
La questione relativa alla possibilità di consentire che l’esecuzione penale di una condanna a pena detentiva, quando il condannato sia stato ammesso alla misura alternativa dell’affidamento in prova ai servizi sociali, possa svolgersi stabilmente e in via continuativa non all’interno del territorio nazionale ma in un paese estero, è stata più volte affrontata dalla giurisprudenza che ha fino a pochi anni orsono, escluso tassativamente tale possibilità, evidenziando come i centri di servizio sociale per adulti siano deputati a svolgere solo in ambito nazionale la loro attività che, per le sue peculiarità e la sua specifica natura, non è ricompresa tra le funzioni statali esercitabili da parte di uffici consolari (tra le molte: Sez. 1, n. 45585 del 24/11/2010, Scozzari, Rv. 249172; Sez. 1, n. 18862 del 27/3/2007, Magnani, Rv. 237363; Sez. 1, n. 46022 del 29/10/2004, Bravo, Rv. 230160; Sez. 1, n. 3278 del 28/4/1999, Di Taranto, Rv. 213724; Sez. 1, n. 5895 del 26/10/1999, Ceruti, Rv. 215027).
Si era osservato, nella motivazione di alcune delle sentenze che, per quanto la formulazione testuale della norma dell’ordinamento penitenziario non contenga la previsione della necessità che l’affidato in prova permanga nel territorio italiano, tuttavia l’esecuzione della misura alternativa deve necessariamente svolgersi nel rio dello Stato, non essendo possibile, nell’ipotesi in cui il condannato risieda ed operi in territorio estero, alcun serio controllo da parte degli organi competenti in ordine alla puntuale osservanza delle prescrizioni imposte all’atto della concessione del beneficio penitenziario, alla corretta esecuzione della misura medesima e al suo progressivo reinserimento, da uomo libero, nel contesto sociale.
La misura alternativa aveva (ed ha tuttora), infatti, una duplice funzione che è quella di condurre alla rieducazione del condannato ed al contempo di prevenire la commissione di altri reati (art. 47, comma 2); i commi 5 e 6 prevedono che all’affidato possano essere imposte prescrizioni limitative della libertà di stabilire la propria dimora e di soggiornare in un luogo piuttosto che in altro, di frequentare determinati locali, di svolgere determinate attività, così come di intrattenere rapporti con determinati soggetti.
Il ruolo svolto dal servizio sociale per adulti (UEPE) è, per come delineato dalla normativa di riferimento, centrale nell’esecuzione della misura, ad esso spettando compiti di controllo e di assistenza dell’affidato (art. 47, comma 9), l’obbligo di riferire periodicamente (almeno con cadenza trimestrale ex art. 97, comma 9, regolamento di esecuzione) al Magistrato di sorveglianza (art. 47, comma 10, ord. pen.), anche ai fini di un’eventuale modifica delle prescrizioni.
Tutta l’attività di sostegno dovuto all’affidato nel corso del trattamento è finalizzata alla prospettiva di un reinserimento sociale compiuto e duraturo (art. 118 reg. esec., comma 8).
La applicazione in concreto delle norme appena citate ( in particolare l’art. 47 dell’ordinamento penitenziario nella sua interezza) rendeva, a giudizio della giurisprudenza di legittimità, impossibile l’esecuzione delle misure alternative all’estero poiché, se tale facoltà è accordata in riferimento all’imposizione di specifiche regole di condotta e di restrizioni alla libertà di movimento e di soggiorno nell’ambito del territorio nazionale, « la medesima finalità che le giustifica risulta ancora più cogente in caso di permanenza all’estero, rispetto alla quale non possono costituire presidi sufficienti nè l’imposizione di forme di controllo con strumenti telematici o comunque diversi da quelli operabili dalle forze dell’ordine, né dell’obbligo di presentazione a cadenze periodiche ai servizi sociali, ai quali in ogni caso sarebbe inibito di condurre di iniziativa o a richiesta dell’autorità giudiziaria verifiche in ambiti spaziali estranei alle proprie competenze. » [1]
Ancora nel 2014 la giurisprudenza di legittimità aveva negato la possibilità di esecuzione all’estero di misure alternative in base al presupposto che i centri di servizio sociale sono deputati a svolgere solo in abito nazionale la loro attività.
Tra le numerose pronunce della Corte di cassazione si ricordano le sentenze n. 10788/2013 e n. 34747 dell’11.12.2014, nelle quali era altresì evidenziato che l’UEPE poteva svolgere solo in ambito nazionale la propria attività che, per le sue peculiarità e la sua specifica natura, non è ricompresa tra le funzioni statali esercitabili all’estero.
Tale orientamento è stato ancora ribadito di recente.[2]
b) La giurisprudenza di merito.
I Tribunali di sorveglianza, con qualche rarissima eccezione, avevano da sempre incondizionatamente seguito l’orientamento della Corte di cassazione.
La possibilità che una misura alternativa potesse essere eseguita sul territorio di uno Stato diverso da quello che ha emesso la sentenza di condanna, era stata abbozzata da qualche sparuta ordinanza dei Tribunali di sorveglianza[3] che avevano ritenuto che l’esecuzione di una misura alternativa in uno Stato diverso da quello di condanna, ovvero nello Stato nel quale il condannato ha stabilito la residenza ed ha legami familiari e sociali, poteva essere percorsa sulla base di una interpretazione estensiva della convenzione Europea adottata a Strasburgo nel 1964 (peraltro ratificata dall’Italia con L. 772/1973), concernente la Sorveglianza di persone condannate o liberate sotto condizione.
Decisioni che furono annullate dalla Corte di cassazione.
c) La Corte costituzionale.
E tale consolidato indirizzo esegetico ha ricevuto l’autorevole avallo del Giudice delle leggi – ordinanza n. 146 del 2001[4]– chiamato a pronunciarsi sulla legittimità dell’art. 47 ord. pen., nella parte in cui non prevede che l’esecuzione della misura possa aver luogo anche nel territorio di altro Stato appartenente all’Unione Europea.
Nel dichiarare manifestamente infondata l’eccezione, la Corte riconobbe come non contrastante con la Costituzione la limitazione dell’esecuzione di misure penali nazionali nell’ambito territoriale dello Stato italiano « in assenza di pur auspicabili sviluppi della normativa comunitaria e degli accordi di cooperazione con altri Stati per l’esecuzione di misure penali. »
Secondo la Consulta, l’esecuzione di una misura restrittiva di carattere penale, come l’affidamento in prova, comporta l’esercizio di poteri autoritativi per il controllo sull’osservanza delle prescrizioni imposte, sotto la vigilanza del Magistrato di sorveglianza. Poteri che non potrebbero essere esercitati al di fuori del territorio nazionale in mancanza di accordo con le autorità di altro Stato.
Quanto alla denunciata violazione dell’art.3 comma 1 della Costituzione, ritenne la Corte che « la disuguaglianza fra cittadini condannati che vivono e lavorano in Italia e cittadini condannati che vivono e lavorano all’estero, come ogni altra disparità che può derivare dalle diverse condizioni personali di vita e di lavoro del condannato, é di mero fatto, e non discende dalla norma impugnata ».
Neppure è violato il principio della finalità rieducativa della pena, di cui all’art. 27, terzo comma, della Costituzione, « per il solo fatto che l’affidamento in prova al servizio sociale come ogni altra misura restrittiva di esecuzione penale può avvenire solo sul territorio nazionale e può perciò rivelarsi, in fatto, di più difficile applicazione, pur essendo, in diritto, sempre possibile, nei confronti di un condannato che vive e lavora all’estero ».
Tuttavia, nella stessa ordinanza, la Corte costituzionale, come si è visto, riteneva auspicabili sviluppi della normativa comunitaria e degli accordi di cooperazione tra Stati per l’esecuzione delle misure penali.
Auspicio rimasto inascoltato.
3. Le decisioni quadro del Consiglio europeo: in particolare, la Decisione Quadro 2008/947/GAI.
Il 27 novembre 2008 fu approvata dal Consiglio europeo la decisione quadro n. 2008/947/GAI, volta ad estendere tra gli Stati dell’Unione il principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie relative all’esecuzione delle pene non restrittive della libertà personale, in vista della sorveglianza di misure di sospensione condizionale e di sanzioni sostitutive.
Le decisioni quadro sono uno degli strumenti previsti dal trattato istitutivo dell’unione europea per la realizzazione di quello spazio di libertà sicurezza e giustizia che costituisce uno degli obiettivi prioritari della politica europea in una prospettiva di cooperazione intergovernativa; hanno come obiettivo il riavvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari dei singoli stati così da uniformare gli ordinamenti nazionali nella prospettiva del conseguimento degli scopi in ambito europeo; hanno favorito il processo di armonizzazione normativa in settori molto diversi fra loro del diritto penale.
Le Decisioni Quadro sono adottate a seguito di una procedura intergovernativa in cui il Parlamento europeo esprime solo un parere. Sono vincolanti per gli Stati membri quanto al risultato da ottenere, ferma restando la competenza delle autorità nazionali in merito alla forma e ai mezzi.
Una volta pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea entrano in vigore, determinando a carico degli Stati l’obbligo di conformarsi a quanto in essi stabilito. Non hanno efficacia diretta ma, sostanzialmente, il giudice nazionale deve interpretare il diritto interno in modo conforme alla decisione quadro: anche in mancanza di apposita norma nazionale di attuazione, la decisione quadro ha il valore di criterio interpretativo per il giudice nazionale, come peraltro stabilito dalla Corte di giustizia europea con la sentenza 16 giugno del 2005.
Nel preambolo della Decisione Quadro 2008/947/GAI (così come nella relazione illustrativa dello schema del Decreto legislativo di adeguamento alla decisione) sono puntualmente esplicitati gli obiettivi perseguiti: lo scopo è quello di garantire l’esecuzione di sanzioni sostitutive e misure di sospensione condizionale nel luogo di residenza, di fatto o di elezione, favorendo, al contempo, non solo il rafforzamento della possibilità di reinserimento sociale della persona condannata, consentendole il mantenimento dei legami familiari, linguistici, culturali con il paese di abituale dimora dove è posto il suo centro di interessi, la sua attività lavorativa, il suo nucleo familiare, ma anche il superamento delle difficoltà di espletamento dell’attività di sorveglianza di obblighi e prescrizioni impartite dai singoli Stati membri, al fine di impedire la recidiva, tenendo così in debita considerazione la protezione delle vittime e della collettività in generale (Considerando n. 8).
- Il Decreto Legislativo n. 38/2016: il reciproco riconoscimento di sentenze in ambito europeo.
Con il Decreto legislativo 38 del 2016 (ovvero 8 anni dopo!) lo Stato italiano ha dato attuazione alla decisione quadro 2008/947/GAI di reciproco riconoscimento delle sentenze e delle decisioni di sospensione condizionale e delle sanzioni sostitutive, ai fini dell’esecuzione nell’Unione Europea.
Tale Decreto completa il quadro delle disposizioni che hanno dato attuazione al principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie nei paesi dell’Unione, con riferimento alla disciplina del mandato di arresto europeo e delle procedure di consegna tra Stati (L. 22 aprile 2005, n. 69), delle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale ai fini della loro esecuzione nell’Unione Europea (D.Lgs. 7 settembre 2010, n. 161) e delle decisioni relative a misure alternative alla detenzione cautelare (D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 36).
L’art. 2. del Decreto (che replica le definizioni dell’art. 2 della decisione quadro), specifica cosa si intende per sanzione sostitutiva, ovvero una sanzione diversa dalla pena detentiva o da una misura restrittiva della libertà personale o dalla pena pecuniaria che impone obblighi e impartisce prescrizioni.
Oggetto di riconoscimento può essere una decisione definitiva emessa da un organo giurisdizionale con la quale è applicata, in luogo di una pena detentiva o restrittiva, una sanzione che non esclude ma limita la libertà, mediante imposizioni di ordini o di prescrizioni e, nell’impossibilità di procedere ad una elencazione compiuta degli istituti interessati, sono stati individuati criteri generali che delimitano la categoria (in essa rientrando istituti che importano: (a) una sospensione condizionale, concessa al momento della condanna, di una pena detentiva o di una misura restrittiva della libertà personale, con una corrispondente imposizione di obblighi e prescrizioni; (b) una condanna ad una pena condizionalmente differita con l’imposizione di uno o più obblighi e prescrizioni o in cui detti obblighi e prescrizioni siano disposti in luogo della pena detentiva o della misura restrittiva della libertà personale; (c) una sanzione sostitutiva, diversa da una pena detentiva, da una misura restrittiva della libertà, da una pena pecuniaria, che impone obblighi ed impartisce prescrizioni; (d) una liberazione condizionale, che prevede la liberazione anticipata di persona condannata, dopo che abbia scontato parte della pena detentiva, anche attraverso l’imposizione di obblighi e prescrizioni.
Tutte decisioni che rispondono alla condizione di una condanna a pena detentiva o restrittiva della libertà personale, sospesa, differita o sostituita con sottoposizione ad uno o più tra obblighi e prescrizioni, ovvero una sanzione che impone obblighi e impartisce prescrizioni.
Tali obblighi e prescrizioni sono elencati nell’art. 4 del citato Decreto e comprendono: l’obbligo di comunicare i cambiamenti di residenza o di posto di lavoro; il divieto di frequentare determinati locali, posti o zone del territorio dello Stato di emissione o dello Stato di esecuzione; restrizioni del diritto di lasciare il territorio dello Stato di esecuzione; le istruzioni riguardanti il comportamento, la residenza, l’istruzione e la formazione, le attività ricreative, o contenenti limitazioni o modalità di esercizio di un’attività professionale; l’obbligo di presentarsi nelle ore fissate presso una determinata autorità; l’obbligo di evitare contatti con determinate persone; l’obbligo di evitare contatti con determinati oggetti che sono stati usati o che potrebbero essere usati dalla persona condannata a fini di reato; l’obbligo di risarcire finanziariamente i danni causati dal reato; l’obbligo di svolgere un lavoro o una prestazione socialmente utile; l’obbligo di cooperare con un addetto alla sorveglianza della persona o con un rappresentante di un servizio sociale; l’obbligo di assoggettarsi a trattamento terapeutico o di disintossicazione.
- La giurisprudenza ritorna sui suoi passi.
a) La Corte di cassazione.
Dopo l’entrata in vigore, nel marzo 2016, del Decreto n. 38, la giurisprudenza di legittimità e di merito ha iniziato a ritornare sui propri passi e, pur tenendo ferma l’impossibilità di eseguire misure alternative in uno Stato estero non appartenente all’Unione Europea è giunta ad opposta conclusione nel caso in cui si tratti di condannato residente in uno Stato dell’Unione Europea.
Va dato atto di un orientamento negativo circa l’applicabilità del Decreto legislativo n. 38 del 2016 anche alle misure alternative alla detenzione: tale orientamento riteneva di non ricondurre al concetto di “sanzioni sostitutive” previste dal Decreto Legislativo, poiché tali misure non sono disposte con la sentenza di condanna ma dal Giudice di Sorveglianza. In ogni caso, non sarebbero assimilabili né alla sospensione condizionale della pena, né alle sanzioni sostitutive espressamente indicate nel Decreto Legislativo, ulteriormente motivando che l’ubicazione all’estero dell’interessato non potrebbe assicurare l’attività della esecuzione della misura da parte dell’UEPE.
La giurisprudenza di legittimità più recente[5] ha risposto a tali obiezioni ammettendo quindi la possibilità di esecuzione dell’affidamento in prova in altro Stato membro dell’Unione europea[6] ma a precise condizioni sostanziali e formali.
In particolare, con la prima sentenza, la Corte di Cassazione ha valorizzato la ratio ed i criteri sottesi alla categoria degli istituti elencati nell’articolo 2 del Decreto legislativo 38 del 2016 per dedurre la assimilabilità dell’affidamento in prova alla sanzione sostitutiva, tenuto conto soprattutto della compatibilità degli obblighi e prescrizioni elencati nel successivo articolo 4 del suddetto Decreto legislativo con quelli dell’affidamento in prova ai servizi sociali.
Rimane il problema del controllo sulla osservanza delle prescrizioni connesse alla misura alternativa.
Anche a questo proposito, le sentenze della Corte di Cassazione richiamano l’art. 8 del Decreto Legislativo 38/2016 che prevende che lo Stato di esecuzione debba informare l’Autorità giudiziaria italiana dell’avvenuto riconoscimento della decisione, con la conseguenza che la sorveglianza degli obblighi e delle prescrizioni passa in capo allo stato di esecuzione che assume direttamente l’esercizio di potere di sorveglianza, nel senso che è lo Stato di esecuzione a dover comunicare l’eventuale sottrazione alla esecuzione e la sempre eventuale inosservanza delle prescrizioni e degli obblighi[7].
Quanto al rilievo che non vi è nel Decreto Legislativo 38 del 2016 un espresso richiamo alle misure alternative, le sentenze della Cassazione (in particolare la sentenza 20977/2020) ritengono che la terminologia del suddetto Decreto (con particolare riferimento alla “sanzione sostitutiva”) debba essere intesa in senso ampio e non circoscritto strettamente agli istituti previsti dalla legge 689/1981 bensì a qualunque sanzione diversa da una pena detentiva o da una misura restrittiva della libertà personale che impone obblighi e impartisce prescrizioni.[8]
Insomma, è una definizione di carattere generale che si può attagliare anche all’affidamento in prova.
Un ulteriore problema che è stato affrontato, ovvero il superamento di quella giurisprudenza che riteneva che il Decreto Legislativo 38/2016 facesse riferimento alle sanzioni disposte con la sentenza di condanna, mentre l’affidamento in prova ai servizi sociali non è il frutto di una sentenza del giudice della cognizione, ma è frutto di una ordinanza del Tribunale di sorveglianza.
A questo proposito, la Corte di cassazione ritiene sufficiente che la decisione sia stata adottata da un organo giurisdizionale penale e che abbia un determinato contenuto sanzionatorio.
In particolare, è stato evidenziato che l’ordinamento penitenziario (art. 47 commi 6 e 7) prevede prescrizioni in tutto e per tutto simili a quelle contenute nell’art. 4 del Decreto Legislativo 38/2016.[9]
b) I giudici di merito: le ordinanze dei Tribunali di Sorveglianza.
Dato quindi conto degli ultimi orientamenti di legittimità che hanno consolidato il principio di attuazione delle misure alternative alla detenzione in ambito territoriale europeo, alcuni Tribunali di sorveglianza[10], hanno ritenuto di precisare alcuni aspetti procedurali.
Il Tribunale di sorveglianza di Brescia[11] ha ritenuto non preclusivo l’impedimento all’esercizio di poteri autoritativi al di fuori del territorio nazionale a ragione del trasferimento di competenza dell’attività di sorveglianza degli obblighi e delle prescrizioni alle competenti autorità dello stato di esecuzione.
Il Tribunale di sorveglianza di Messina, con l’ordinanza del 17 marzo 2021[12] ha ritenuto, quanto alla fase istruttoria che « le informazioni necessarie alla decisione possono essere assunte grazie alla collaborazione del condannato con l’UEPE cui dovrà fornire le notizie necessarie per redigere la relazione di indagine sociale con valutazione della condotta non collaborativa al fine dell’eventuale rigetto l’istanza; grazie ad informazioni richieste all’Interpol; grazie all’acquisizione del certificato del casellario europeo. ».
Per quanto concerne la fase esecutiva, i giudici di sorveglianza messinesi hanno ritenuto che allo Stato di esecuzione che effettua il riconoscimento del provvedimento spetta « non solo la sorveglianza intesa quale controllo del rispetto di obblighi e prescrizioni ma anche, (…) la adozione delle ulteriori decisioni connesse in caso di inosservanza della sanzione sostitutiva o qualora la persona condannata commetta un nuovo reato, le decisioni circa la modifica degli obblighi o delle prescrizioni contenute nella sanzione sostitutiva ».
Sarà lo Stato di esecuzione ad imporre eventualmente misure restrittive della libertà personale in caso di trasgressione delle prescrizioni, comunicandole allo stato di emissione (art. 16 della Decisione quadro 2008/947/GAI).
Infine l’ordinanza ricorda che l’articolo 8 del Decreto legislativo 38 del 2016 prevede che L’Italia riassuma l’esercizio del potere di sorveglianza, previa comunicazione da parte dello Stato di esecuzione, se la persona si è sottratta all’esecuzione o non ha più in quello Stato residenza o dimora.
Il Tribunale di sorveglianza di Catania[13] ricorda che l’affidamento in prova al servizio sociale si prospetta quale trattamento in libertà alternativo alla detenzione assimilabile a una sanzione sostitutiva come tale rientra nella categoria di quell’articolo 2 lettera e) del Decreto legislativo 38 del 2016. Tale misura è volta ad incentivare da un lato la rieducazione e risocializzazione del condannato e dall’altro a neutralizzare il rischio di recidiva.
I giudici catanesi ritengono che non sia di ostacolo all’esecuzione della misura nel paese che aderisce alla decisione quadro l’impedimento all’esercizio di poteri autoritativi al di fuori del territorio nazionale ha ragione del trasferimento di competenza dell’attività di sorveglianza degli obblighi e delle prescrizioni impartite alle competenti autorità dello Stato di esecuzione.
L’articolo 6 del Decreto legislativo 38/2016 pone a carico del Pubblico Ministero, quale promotore dell’esecuzione, l’iniziativa di trasmettere la decisione all’autorità competente dello Stato in cui la persona condannata ha la residenza legale o abituale.
Un’altra ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Lecce del 23.03.2021[14] ha applicato l’affidamento in prova a favore di una persona stabilmente residente in Germania, poiché si tratta di Stato aderente alla decisione quadro in cui « non vi sarebbero effettivi impedimenti all’esecuzione dell’affidamento in prova in quello Stato poiché viene assicurato il controllo sulla puntuale osservanza delle prescrizioni imposte e sulla corretta esecuzione della misura, viene garantito il reinserimento sociale del condannato e viene trasferita alle competenti autorità dello Stato di esecuzione la competenza a vigilare sugli obblighi e le prescrizioni impartite ».
I Giudici salentini hanno ritenuto anche di superare la carenza nella istanza dell’elezione di domicilio in Italia «a fronte del decorso di molti anni dall’effettività delle sentenze in esecuzione, del trasferimento in Germania dell’interessata e ritenendo il requisito integrato dalla documentazione proveniente dagli uffici tedeschi, tradotta in forma giurata e da quanto riferito dall’UEPE nel corso dei colloqui telefonici intercorsi con la istante».
Vanno ancora segnalate due ordinanze del Tribunale di sorveglianza di Milano, pronunciate in esito alle camere di Consiglio del 18.1.2022 e del 28.2 2022[15], con cui è stato concesso l’affidamento in prova ai servizi sociali in Spagna, richiamando espressamente l’articolo 4 del Decreto legislativo 38/2016 nonché gli obblighi e le prescrizioni ivi indicate.
Dopo aver verificato che « la pena da eseguire è superiore a sei mesi di reclusione », Il Tribunale di Sorveglianza rileva che « che lo Stato di esecuzione ha aderito alla decisione quadro dell’unione europea » e che, pertanto, « non vi sono ragioni per non applicare la normativa invocata ».
Con l’ordinanza del 18 gennaio 2022, i giudici milanesi sottolineano che deve essere il condannato a «farsi parte diligente nel consentire l’espletamento dell’attività istruttoria da parte dell’UEPE », ritenendo nel contempo « adeguata la documentazione spagnola in traduzione giurata prodotta dalla parte nonché la documentazione varia allegata all’istanza difensiva ».
Segnalo ancora una ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Torino[16] con la quale è stata dichiarata ammissibile la domanda di esecuzione dell’affidamento in prova in uno Stato dell’Unione Europea proprio alla luce del diverso indirizzo giurisprudenziale venutosi a formare a seguito dell’entrata in vigore del Decreto legislativo 38 del 2016.
Tuttavia, il Tribunale ha respinto nel merito l’istanza, poiché il condannato non si era messo in contatto con l’UEPE, limitandosi a produrre documenti o memorie tramite il difensore, veicolando cioè “documentazione inidonea a comprovare le dedotte risorse in particolare talora dismesse in forma di fotocopie di atti privi di sottoscrizione, non tradotta e autenticata e quindi priva di ogni certezza legale”.
- Alcuni problemi applicativi.
Non vi è dubbio che il recepimento da parte dei Tribunali di sorveglianza del nuovo indirizzo giurisprudenziale comporterà qualche problema applicativo, quale ad esempio la difficoltà di verificare la documentazione prodotta dal condannato, la sua idoneità a comprovare le risorse in base alle quali il soggetto si mantiene, nonché l’impossibilità di verificare de visu e di persona i presupposti in merito all’atteggiamento del condannato rispetto al commesso reato, all’avvio di un percorso di revisione critica, alla effettività della risorsa lavorativa, alle eventuali frequentazioni, alla idoneità dell’abitazione indicata per l’esecuzione della misura.
Un altro tema che sicuramente dovrà essere affrontato è quello di una differenza ontologica, talvolta molto netta, tra l’affidamento in prova italiano e misure alternative extracarcerarie nel resto dell’Europa, quali ad esempio la probation o, in Francia, il “sursis avec mise à l’epreuve” (che è in realtà una ipotesi di sospensione dell’esecuzione della pena).
Ulteriore problema che ci si dovrà porre è quello della applicazione della liberazione anticipata, poiché la gestione della misura è affidata alla Autorità giudiziaria straniera e il Decreto Legislativo 38/2016 non contiene specifiche disposizioni.
Parimenti, andrà affrontata la tematica della concedibilità in ambito europeo dell’affidamento terapeutico previsto dall’art. 94 del D.P.R. 309/1990.
Ritengo che sia quantomai necessario un intervento da parte del legislatore sulla concedibilità di questo specifico istituto all’estero, poiché l’applicazione ed esecuzione dell’affidamento ordinario in ambito europeo che oggi è ritenuta possibile dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, non è immediatamente applicabile anche all’affidamento terapeutico.
L’affidamento terapeutico è infatti un istituto parzialmente diverso dall’affidamento in prova, non equiparabile in toto ad una sanzione sostitutiva classica.
Tale istituto prevede particolari requisiti di ammissibilità della istanza e presuppone la presa in carico dell’utente da parte di un servizio delle dipendenze italiana quale è il SERD; inoltre sono previste specifiche prescrizioni anche in ambito medico.
Infine, il controllo sull’esecuzione corretta della misura dell’affidamento in prova terapeutico dovrebbe essere delegato ad un organo sanitario che non risponde al Ministero della Giustizia (come è invece l’UEPE).
Ulteriore questione è la concedibilità dell’affidamento in prova in via provvisoria da parte del Magistrato di sorveglianza nei confronti di soggetto detenuto come specificamente prevede l’art. 47 comma 4.
Fino ad oggi esiste una sola decisione conosciuta[17] che ha ritenuto che la procedura esecutiva come delineata dal Decreto Legislativo n. 38/2016, presuppone una dettagliata e peculiare istruttoria che contrasta con le ragioni di urgenza che giustificano la celere decisione del Magistrato di sorveglianza, « motivo per il quale la competenza a decidere sull’istanza di tale tenore deve inevitabilmente essere rimessa al Tribunale di sorveglianza, di regola competente in materia di concessione di misura alternativa ».
L’ordinanza citata (proc. n. 1195/2022 SIUS, Varese) è condivisibile per le considerazioni svolte sulla inapplicabilità dell’affidamento in via provvisoria all’estero, ma si segnala soprattutto perché, non esclude a priori che la richiesta di affidamento in altro paese della UE sia formulata da persona detenuta.
- Conclusioni.
Sintetizzando il contenuto delle ultime decisioni di merito e di legittimità fin qui citate, si può dire che l’interpretazione del Decreto Legislativo 38/2016 e la sua applicabilità anche alle misure alternative alla detenzione si basa da un lato sul concetto che la sentenza è anche la decisione assunta dal giudice di sorveglianza e, dall’altro, che la competenza sulla gestione delle misure può essere devoluta alle autorità amministrative e giudiziarie nei paesi europei in esecuzione.
Il procedimento si snoda in varie fasi, la prima delle quali è la concessione della misura alternativa all’estero (ammissibile esclusivamente per pene non inferiori a 6 mesi) da parte dell’Autorità Giudiziaria italiana.
Una volta concessa la misura all’estero, spetta alla Procura della Repubblica presso il Giudice indicato dall’art. 665 c.p.p. e al Ministero della Giustizia curare la procedura finalizzata al riconoscimento e quindi al trasferimento della sorveglianza allo Stato estero ai sensi degli artt. 5 e 8 del Decreto Legislativo.
La sorveglianza nella fase esecutiva viene trasferita allo Stato di esecuzione.
Infine, spetterà all’Autorità Giudiziaria italiana dichiarare l’estinzione della pena, una volta ricevute le necessarie informazioni sull’esito positivo della prova da parte dello Stato di esecuzione.
L’orientamento giurisprudenziale comporta, in definitiva, che il giudice di Sorveglianza italiano conceda la misura alternativa, un giudice di un altro stato europeo gestisca la misura stessa e, infine, nuovamente il giudice italiano valuti l’esito del percorso ai fini di dichiarare l’estinzione della pena.
Le istanze di affidamento in prova con cui si richiede la esecuzione della misura alternativa all’estero devono avere precisi requisiti formali e sostanziali, quali ad esempio:
- l’obbligo a pena di inammissibilità dell’istanza per il condannato libero di eleggere domicilio in Italia ai sensi dell’art. 677 comma 2 bis c.p.p. in Italia;
- la necessità di indicare tutti i propri recapiti (cellulare, mail, indirizzo all’estero ecc. ecc.)
- la disponibilità della persona interessata all’indagine a rientrare in Italia affinché il UEPE possa espletare la propria istruttoria.
- la necessità, in conseguenza dell’assenza dal territorio nazionale, della disponibilità alla collaborazione con l’UEPE: la mancanza di collaborazione può giustificare il rigetto dell’istanza.
La giurisprudenza di merito e di legittimità, come si è visto, si sta ultimamente orientando in senso favorevole alla esecuzione delle misure alternative all’estero ed è auspicabile che trovi sempre il maggiore adesione, perché sarebbe un ulteriore passo avanti nella costruzione di una Europa unita anche sul piano giuridico e giudiziario.
Ma non basta.
Per “stabilizzare” questo orientamento occorre un intervento da parte del Legislatore, per integrare la disciplina attualmente in vigore, introducendo specifiche disposizioni relative all’esecuzione delle misure alternative alla detenzione nello spazio giuridico europeo.
La giurisprudenza della Corte di cassazione, infatti, potrebbe mutare nuovamente orientamento in futuro, creando disparità di trattamento tra persone condannate in Italia che ormai vivono all’estero che hanno già ottenuto questa possibilità.
Non essendo consolidata, la giurisprudenza sulle misure alternative in ambito europeo non costituisce un precedente per il giudice di merito. Sono pochi, ad oggi, i Tribunali di sorveglianza in Italia che si sono pronunciati in senso favorevole alla esecuzione delle misure alternative in altri paesi della UE e non possono pertanto escludersi a priori decisioni di diverso tenore da parte di altri giudici di sorveglianza.
Temo che la conclamata inerzia del Parlamento italiano lascerà ancora una volta l’onere del problema alla giurisprudenza, favorendo l’ennesima ipotesi di creazione del “diritto vivente” in sostituzione del diritto vigente, con conseguente esercizio, di fatto, della funzione legislativa da parte della Magistratura.
Si consoliderebbe così la tendenza alla “supplenza normativa” da parte di chi, secondo la Costituzione (art. 101) la legge è chiamato ad applicarla, interpretarla ma non a scriverla.
* Avvocato del Foro di Torino
- Bibliografia e riferimenti.
– Fabio Fiorentin, L’esecuzione dell’affidamento in prova al servizio sociale nello spazio giuridico europeo, in ilPenalista 26.01.2022;
– Laura Cesaris, Affidamento in prova al servizio sociale per condannati residenti all’estero e nuovi strumenti di cooperazione in materia penale: le Decisioni Quadro 2008/909 e 2008/947
[1] Cass. Sez. I Pen., n. 10788 del 19/02/2013.
[2] Cfr. sentenze n. 3026/2019, 26381/2019 e 13420/2020.
[3] Tribunale di sorveglianza di Firenze 17.05.2005 e Tribunale di sorveglianza di Caltanissetta 20.12.2002
[4] Corte costituzionale, ordinanza n. 146 del 17 maggio 2001
[5] Cass. Pen. Sez. I 16 maggio 2018, n.15091.
[6] Cass. Pen. Sez. I, 25 maggio 2020, n. 16942
[7] Sul punto, v. Cass. Pen. Sez. I 16 maggio 2018, n.15091, cit.
[8] Cass. Pen. Sez. I, 15 giugno 2020, n. 20977
[9] Cfr. Cass. pen., Sez. I Pen., 25 maggio 2020, n. 16949.
[10] Cfr. Tribunale di sorveglianza di Catania del 26.06.2019; Tribunale di sorveglianza di Messina del 17.03.2021; Tribunale di sorveglianza di Brescia del 17.12.2021.
[11] Tribunale di sorveglianza Brescia, ordinanza 07.12.2021.
[12] Tribunale di sorveglianza di Messina, ordinanza del 17.03.2021.
[13] Tribunale di sorveglianza Catania, ordinanza del 26.06.2019.
[14] Tribunale di sorveglianza di Lecce, ordinanza del 23.03.2021.
[15] Tribunale di sorveglianza di Milano, ordinanze del 18.1.2022 e 28.02.2022.
[16] Tribunale di sorveglianza di Torino, ordinanza del 20.10.2020.
[17] Magistrato di sorveglianza di Varese, ordinanza dell’8 febbraio 2022.