INAMMISSIBILI LE IMPUGNAZIONI A MEZZO PEC – DI ANTONELLA MARANDOLA
MARANDOLA – INAMMISSIBILI LE IMPUGNAZIONI A MEZZO PEC.PDF
di Antonella Marandola*
Norme ambigue per la (non) semplificazione delle trasmissioni e dei depositi degli atti penali non superano la tassatività e determinatezza della disciplina codicistica delle impugnazioni.
- Inammissibili l’impugnazione e i motivi nuovi trasmessi via PEC. 2. Le prime critiche. 3. I cataloghi del d. l. n. 137 del 2020: gli atti ex art. 415-bis c.p.p. e… 4. … l’art. 24, comma 3 e 4: le (inapplicabili) norme processuali “in bianco”? 5. Le opinioni contrarie. 6. Una necessaria e più approfondita analisi della materia.
- Inammissibili l’impugnazione e i motivi nuovi trasmessi via PEC.
Giunge con ammirevole rapidità (e forse non casualmente) la decisione n. 325666 della Sezione I della Cassazione (di cui in verità era già circolata l’informazione provvisoria) che, chiamata a decidere “se, sotto il vigore dell’art. 24 decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, sia ammissibile la proposizione tramite posta elettronica certificata di motivi nuovi ex art. 585, comma 4, e 311, comma 4, c.p.p.” ha offerto una soluzione negativa.
Invero, se la questione avesse riguardato il solo problema giuridico sollevato, la sentenza non avrebbe destato tanta eco. Essa, infatti, si sarebbe inserita in quel consolidato filone giurisprudenziale che già ha statuto come inammissibili diversi atti proposti mediante PEC, attesa la tassatività delle forme e delle modalità di presentazione e di spedizione dell’impugnazione, disciplinate dall’art. 583 c.p.p., che – in alternativa alla presentazione in cancelleria ex art. 582 c.p.p.- permettono soltanto la possibilità di spedizione dell’atto, mediante lettera raccomandata o telegramma[1].
Ma, com’è noto, la decisione desta interesse in quanto fornisce una vera e propria “interpretazione autentica” dell’art. 24 del d. l. n. 137 del 2020 e dell’intera disciplina che, in tempi di pandemia, è volta alla semplificazione dei depositi e della trasmissione degli atti agli uffici giudiziari, soprattutto da parte dei difensori[2].
Invero, non va tralasciato il fatto che la questione è sorta per la produzione di motivi nuovi alla cancelleria della Corte da parte del Procuratore Generale presso la Cassazione (ipotesi, peraltro, rarissima), dimostrando come il tema sia, in verità, trasversale e perciò, e a maggior ragione, determinante per il corretto esercizio della giurisdizione.
Ebbene la “dirompente” decisione della Corte di Cassazione che, dopo aver configurato l’atto trasmesso alla stregua di una memoria di parte, ha escluso l’ammissibilità della spedizione dei motivi nuovi e dell’impugnazione via PEC, ha da subito destato ampie critiche fra l’avvocatura[3], tanto da imporre una sollecita revisione della disciplina coinvolta.
Tuttavia, il giudice di legittimità ha fornito un’ampia serie di argomenti a sostegno della raggiunta conclusione.
La decisione si addentra, infatti, su alcuni aspetti della recente disciplina introdotta, causa Covid-19, dal cd. decreto Ristori, circa la possibilità e modalità della trasmissione telematica degli atti, istanze e memorie, via PEC o con firma digitale e sulla regolamentazione delle impugnazioni penali che meritano attenzione.
È noto, infatti, che al fine di semplificare la trasmissione e il deposito degli atti reso difficile dalla pandemia da Covid-19 ed evitare i rischi riguardanti la sicurezza e sanità pubblica degli uffici giudiziari, il legislatore ha stabilito all’art. 24, comma 4 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, che “Per tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati diversi da quelli indicati nei commi 1 e 2, fino alla scadenza del termine di cui all’articolo 1 del decreto legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35, è consentito il deposito con valore legale mediante posta elettronica certificata inserita nel Registro generale degli indirizzi di posta elettronica certificata di cui all’art. 7 del decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44. Il deposito con le modalità di cui al periodo precedente deve essere effettuato presso gli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari ed indicati in apposito provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati e pubblicato sul Portale dei servizi telematici. Con il medesimo provvedimento sono indicate le specifiche tecniche relative ai formati degli atti e le ulteriori modalità di invio”. Il successivo comma 5 ha previsto che “Ai fini dell’attestazione del deposito degli atti dei difensori inviati tramite posta elettronica certificata ai sensi del comma precedente, il personale di segreteria e di cancelleria degli uffici giudiziari provvede ad annotare nel registro la data di ricezione e ad inserire l’atto nel fascicolo telematico. Ai fini della continuità’ della tenuta del fascicolo cartaceo provvede, altresì, all’inserimento nel predetto fascicolo di copia analogica dell’atto ricevuto con l’attestazione della data di ricezione nella casella di posta elettronica certificata dell’ufficio”.
In data 9 novembre 2020 è stato, infatti, adottato il “Provvedimento del Direttore Generale dei sistemi Informativi Automatizzati del Ministero della Giustizia contenente l’individuazione degli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari dei depositi di cui all’art. 24, comma 4, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, e le specifiche tecniche relative ai formati degli atti e le ulteriori modalità di invio” che ha provveduto all’ individuazione degli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari dei depositi di cui all’art. 24, comma 4, del d. l. n. 137 citato e ha dettato le specifiche tecniche, relative ai formati degli atti e le ulteriori modalità di invio .
Ebbene, va osservato che sul piano pratico, accanto al favore da subito manifestato per l’abilitazione di tale modalità di svolgimento dell’attività difensiva, è accaduto che moltissimi Dirigenti degli uffici giudiziari hanno -a loro volta- adottato dei provvedimenti in cui è previsto, da un lato, l’uso della PEC per il deposito degli atti esclusivamente da parte dell’Avvocatura – avallando, in tal modo, la possibilità di procedere in tal senso – e dall’altro lato, sono stati forniti altri e autonomi indirizzi PEC. Di qui la questione circa l’indirizzo al qual fare effettivamente riferimento, problema risolto, non senza disagi, posto che l’invio è spesso presieduto dall’inammissibilità e/o decadenza, con la scelta di inviarli ad entrambi gli indirizzi, con forti aggravi e gravissime ripercussioni per una materia qual è quella delle impugnazioni e del deposito e presentazione degli atti processuali governata dal principio di legalità e tassatività, ergo, determinatezza.
Peraltro, è contestualmente circolato il “Manuale Utente Portale Deposito atti Penali (PDP)”, contenente le funzionalità di tale strumento, emesso in data 11 maggio 2020 dalla DGSIA, che non ha mancato d’indicare come l’atto vada presentato in forma di documento informatico, da depositare attraverso il servizio di posta elettronica certificata presso gli uffici giudiziari e vada trasmesso in formato PDF, ottenuto da una trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti. Il Manuale indica, inoltre, quanto ai documenti allegati all’atto del procedimento, che anche essi devono avere la forma di documento informatico (formato PDF) e le copie per immagine di documenti analogici debbono avere una risoluzione massima di 200 dpi. Si indica, infine, che le tipologie di firma ammesse sono PAdES e CAdES. Gli atti possono essere firmati digitalmente da più soggetti, purché almeno uno sia il depositante. Invero, anche sotto tale aspetto, si è da subito constatata, non soltanto la mancata dotazione ordinaria da parte di alcuni studi legali della firma digitale, ma anche il forte limite e la compressione che gli indicati criteri determinano sul versante della produzione difensiva, certamente non sempre “comprimibile”, tenuto conto della necessità di sviluppare, per il suo tramite, anche forme di contraddittorio “cartolare”.
Sulla scorta delle indicate norme è sorta la questione se “fino alla scadenza del termine di cui all’articolo 1 del decreto legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35”, e dunque, fino al 31 gennaio 2012, possa essere spedita una impugnazione a mezzo PEC.
La soluzione negativa prospettata dalla Corte riposa, innanzitutto, sulla carenza di una norma espressa sul punto, mentre è noto che l’utilizzo della PEC nel processo penale è –allo stato – consentito alla sola cancelleria e per le sole notificazioni a persone diverse dall’imputato; del pari vi è esclusione dell’uso di tale mezzo informatico di trasmissione per la parte privata nel processo penale, mentre, proprio di recente, si è ammesso fra i difensori[4].
In secondo luogo, sulla mancata istituzione del cd. “fascicolo telematico”: la carenza dello strumento di ricezione – “il contenitore” – dell’atto precluderebbe la ricezione degli atti e la loro fruibilità da parte del giudice e delle altre parti processuali.
Infine, si afferma che la presentazione delle impugnazioni tramite PEC che non garantisce l’autenticità della provenienza e la certezza della ricezione dell’atto, in dispregio alla tassatività che regola la materia.
Ebbene, come si comprende ci si addentra, così, all’interno di una materia, quella della informatizzazione vs digitalizzazione nota a pochi, ma che, data l’emergenza sanitaria in corso, sta progressivamente interessando il processo penale.
- Le prime critiche.
In verità, l’approdo raggiunto dalla Cassazione non è parso condivisibile ad alcuni primi e autorevoli commentatori[5] proprio alla luce della sopravvenienza della legislazione della cd. emergenza che, con l’art. 24, comma 4, del d.l. citato, ma anche l’art. 23 dello stesso d.l. che permette il ricorso alla PEC per gli atti delle parti nel giudizio di cassazione, strumento esteso, con l’art. 23 del d.l. 9 novembre 2020, n. 149, al giudizio di appello, parrebbe innovare la materia de qua.
Tenuto conto della difficoltà di accesso delle persone negli uffici giudiziari e il carattere eccezionale della disciplina vigente, la negazione della possibilità di presentare impugnazioni[6] e motivi nuovi non risulterebbe conforme allo spirito della normativa sopravvenuta.
Molti appaiono, dunque, i malintesi che una disciplina straordinaria, colma di vuoti normativi e densa di poca chiarezza, solleva.
Palese è il disappunto formulabile posto che, vertendosi in tema di processo penale, nell’ambito del quale sono in gioco i diritti e le garanzie dei cittadini, spesso detenuti, è chiaro come ogni incertezza sia destinata a cagionare gravissimi lesioni e pregiudizi, come dimostrano, ad esempio, le plurime statuizioni di inammissibilità delle richieste di riesame, inviate via PEC, dichiarate, nei giorni scorsi, dal Tribunale della libertà di Milano[7].
- I cataloghi del d. l. n. 137 del 2020: gli atti ex art. 415-bis c.p.p. e…
Invero, a nostro avviso la risoluzione della dedotta questione passa attraverso una lettura puntuale del testo del d. l. 28 ottobre 2020, n. 137, recante “Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19” che, visto il perdurare -anzi, l’aggravarsi- dell’emergenza COVID-19, ad una rapida e prima lettura sembra(va) aver ammesso l’impiego dell’ auspicata trasmissione telematica per atti diversi e con forme differenti in tre (limitate) ipotesi.
In primo luogo, si prevede che il deposito delle memorie, dei documenti, delle richieste e delle istanze indicate dall’articolo 415-bis, comma 3, c.p.p. presso gli uffici delle Procure della Repubblica presso i tribunali avvenga, esclusivamente, mediante deposito dal portale del processo penale telematico: è questa l’unica ipotesi, in cui il deposito può essere effettuato utilizzando lo strumento denominato «portale del processo penale telematico», già indicato nel provvedimento del Direttore generale della DGSIA dell’11 maggio 2020.
La subentrata previsione completa, dunque, l’attuazione del PDP – raggiungibile dal Portale dei Servizi Telematici (PST) del Ministero tramite apposita “Area riservata” – che consente il deposito con modalità telematica di memorie, documenti, richieste e istanze che possono essere presentati dal difensore a seguito della notificazione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari. La disciplina si congiunge con l’art. 83, comma 12 quater 1, d. l. “Cura Italia” che ha inaugurato la possibilità per il difensore (è dubbio per l’imputato) di procedere al deposito telematico dei menzionati atti per un arco temporale che va dal 30 aprile al 31 luglio del corrente anno.
L’accesso, in tal caso, era –tuttavia- condizionato, da un lato, alla previa richiesta del pubblico ministero alla DGSIA, e, dall’altro lato, limitato ai soli soggetti preventivamente iscritti al registro generale degli Indirizzi elettronici con il ruolo di avvocato: si richiede, infatti, la nomina del difensore, che deve avere la forma del documento informatico (in formato PDF), priva di immagini scansionate, e deve essere inserita nel modulo di sistema SICP, utile alla gestione dei registri di cancelleria. L’atto deve esser sottoscritto dal depositante con firma digitale o firma elettronica qualificata, affinché la sua paternità possa essere immediatamente ricondotta al soggetto depositante. Nel caso di due difensori è sufficiente che il documento venga depositato soltanto da uno dei due.
Il deposito da parte dei difensori di tutti gli atti relativi al procedimento è compito dell’ufficio giudiziario del pubblico ministero, secondo un iter ben definito, al termine del quale il software produrrà una ricevuta (che riporterà i numeri di riferimento del procedimento, data e ora in cui è stato effettuato il deposito, i dati del depositante) che avrà valore legale.
Il sopravvenuto d. l. n. 137 del 2020 ne estende l’utilizzo fino al 31 gennaio 2021 e per l’intero territorio nazionale: si indica, infatti, che gli uffici giudiziari, nei quali è reso possibile tale forma di deposito, sono –ora- autorizzati all’utilizzo del Portale, senza necessità di ulteriore verifica o accertamento da parte del Direttore della DGSIA.
Anche sotto tale aspetto, non si manca, tuttavia, di constatare come siano pochi gli uffici che, al momento, godono di una tale dotazione, creandosi, in tal modo, una deprecabile giustizia “a macchia di leopardo”.
Peraltro non è chiaro se il «portale del processo penale telematico» di cui si discorre coincida con l’attuale «portale deposito atti penali» (PDP), o si tratta di uno strumento differente.
In ogni caso, in tali casi il d. l. n. 137 del 2020 interdice -espressamente- l’impiego della PEC.
4…. l’art. 24, comma 3 e 4: le (inapplicabili) norme processuali “in bianco”?
Il d.l. Ristori 1 indica, poi, una seconda categoria, quella prevista all’art. 24, comma 3, definibile come una vera e propria previsione processuale “in bianco”, nella parte in cui si prevede che, con uno o più decreti del Ministro della giustizia, saranno indicati gli ulteriori atti per quali sarà reso possibile il deposito telematico, secondo le modalità appena indicate, e per i quali è fatto divieto dell’invio tramite pec, a pena d’inefficacia dell’attività.
È chiaro che, in tal caso, il provvedimento rinvia, in maniera impropria, ad atti (o categorie di atti) non individuati né individuabili, ma che verranno indicati con decreto ministeriale, allo stato non ancora intervenuto. Ebbene, alla soluzione potrebbe, forse, comportare qualche dubbio di legittimità posto che si finisce per incidere con una normazione secondaria sull’ efficacia di atti processuali-penali la cui natura e formazione viene disciplinata da norme codicistiche, aventi valore di legge.
La tecnica normativa impiegata rende evanescente anche la tipologia degli atti previsti all’art. 24 comma 4: quest’ultima previsione indica, infatti, che per tutti gli atti, documenti e istanze “comunque denominati”, diversi da quelli indicati nei commi 1 e 2, fino alla scadenza dello stato d’emergenza – 31 gennaio 2020 – è consentito il deposito con valore legale mediante PEC inserita nel Registro generale degli indirizzi di posta elettronica certificata di cui all’art. 7 del decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44.
Il deposito deve essere effettuato presso gli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari indicati con l’apposito provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati e pubblicato sul Portale dei servizi telematici, che conterrà anche le specifiche tecniche relative ai formati degli atti e le ulteriori modalità di invio.
Ai sensi del comma 5 dell’art. 24, inoltre, ai “fini dell’attestazione del deposito degli atti dei difensori inviati tramite posta elettronica certificata ai sensi del comma precedente, il personale di segreteria e di cancelleria degli uffici giudiziari provvede ad annotare nel registro la data di ricezione e ad inserire l’atto nel fascicolo telematico. Ai fini della continuità della tenuta del fascicolo cartaceo provvede, altresì, all’inserimento nel predetto fascicolo di copia analogica dell’atto ricevuto con l’attestazione della data di ricezione nella casella di posta elettronica certificata dell’ufficio”. Unicamente in tali ipotesi dovrà, dunque, essere utilizzato un indirizzo PEC.
La norma comporta, in primo luogo, a carico degli uffici di segreteria o cancelleria destinatari, una duplice modalità di attestazione: dopo aver provveduto ad annotare nel registro la data di ricezione dell’atto, si dovrà prima inserire il medesimo (nel suo formato digitale) all’interno del fascicolo telematico e, in secondo luogo, ai fini della tenuta del fascicolo cartaceo, si dovrà provvedere al materiale inserimento nel predetto di una copia analogica dell’atto ricevuto con l’attestazione della data di ricezione della p.e.c. da parte dell’ufficio.
Proprio tali passaggi consentirebbero il superamento dell’ulteriore questione sollevata in merito alla necessità di provvedere, in caso d’invio telematico dell’impugnazione, al deposito di due copie, nel caso di appello, e cinque copie, nel caso di ricorso per cassazione, da notificare alle altre parti (comma 2): si è correttamente indicato come a tale incombente possa agevolmente contribuire la cancelleria «a spese di chi ha presentato l’impugnazione» (art. 164, comma 3, disp. att. c.p.p.)[8].
Ebbene, se da subito è stata valorizzata l’importanza di tale disciplina, che consente l’avvio dell’attesa trasmissione telematica degli atti difensivi, l’entusiasmo manifestato risulta mal riposto non appena si consideri che la categoria de qua non è assolutamente identificata, neppure per relationem o indirettamente, e subisce di “riflesso” tutte le incognite legate alla mancata identificazione della categoria “intermedia” di cui all’art. 24 comma 3 d. l. n. 137 del 2020.
Correttamente, dunque, sulla scorta di quanto premesso, i giudici di legittimità hanno escluso che la formulazione della previsione potesse ricomprendere anche l’impugnazione che si propone con “atto scritto” (art. 581 c.p.p.).
- Le opinioni contrarie.
Come indicato, l’assunto non è sembrato condivisibile ai primi autorevoli commentatori[9] in quanto, in primo luogo, lo stesso art. 24, comma 4, del d.l. citato prevede che l’atto debba provenire dalla posta elettronica certificata inserita nel Registro generale degli indirizzi di posta elettronica certificata di cui all’art. 7 del decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n. 44; in secondo luogo, con il provvedimento del Direttore Generale dei sistemi informativi già indicato è stato disposto che “l’atto del procedimento in forma di documento informatico, da depositare attraverso il servizio di posta elettronica certificata … è sottoscritto con firma digitale o elettronica qualificata” e, infine, poiché ai sensi dell’art. 24, comma 5, del d. l. più volte citato la cancelleria è tenuta ad inserire nel fascicolo cartaceo copia “analogica” dell’atto digitale, cioè a stampare una copia cartacea dell’atto (oltre ad essere disposto che la stessa cancelleria debba inserire l’atto nel “fascicolo digitale” che, allora, deve essere istituito, quanto meno come raccolta degli atti digitali afferenti ad un certo procedimento).
Perderebbe, così, valore l’argomentazione fondata sull’insussistenza -allo stato- di tale fascicolo, salvo riscontrare, diversamente, una minima (e insufficiente) accuratezza nella predisposizione delle norme volte alla “semplificazione del deposito degli atti” che parevano esser state condivise dalle associazioni di categoria e sulle quali l’intero “mondo giustizia”, in questo momento molto delicato, fa affidamento, ma che, poi, all’atto pratico, risultano del tutto imprecise e/o incomplete.
- Una necessaria e più approfondita analisi della materia.
Pur nella consapevolezza delle forti ricadute che la statuizione determina, la decisione n. 32566 del 2020 emessa dal giudice di legittimità va, però, condivisa non solo perché vanno ancora riempiti di contenuti i commi 3 e 4 dell’art. 24 del d. l. n. 137 del 2020, ma, come sottolinea la decisione, i testi, fin qui indicati, non contengono alcuna eccezione alle norme (generali) codicistiche.
Sotto tale profilo, solo l’art. 24 comma 1 del d. l. deroga all’art. 221 comma 11 d. l. n. 34 del 2020 conv. con modif. dalla l. n. 77 del 2020 e al D. M. n. 44 del 2011, mentre né la disciplina di livello primario (art. 4 d. l. n. 193 del 2009), né quella regolamentare (D. M. n. 44 del 2011), né quella codicistica è modificata dalle ulteriori previsioni contenute nel d. l. n. 137: ne discende – secondo la Corte- che il provvedimento ha una validità per i soli depositi degli atti non codificati.
Certo è che, per quanto sistematicamente corretta, la soluzione alla quale giunge la Corte solleva una critica dirompente: che senso ha emanare norme con efficacia immediata, ma dalla piena (o, peggio) equivoca (in)idoneità operativa, che si prefiggono di semplificare l’attività dei difensori, se poi non sono accompagnate dalla disciplina derogatoria (a quella “ordinaria”) e quella esecutiva, che proprio quello scopo deve poter realizzare.
Una tale incongruenza emerge tanto più allorché si maneggia una materia delicata qual è quella dei controlli e delle istanze processuali che, come si è detto, non consentono margini di errore e sono espressione piena del diritto di difesa e di legalità.
Indubbiamente, sarebbe stato più opportuno che il legislatore, data l’importanza della disciplina, presidiata, appunto, dalla tassatività, avesse, da un lato, impiegato nozioni tecniche e ben definite, e dall’altro lato, dedicato un maggiore approfondimento alle previsioni destinate a regolare –in un momento così difficile, in cui non sempre è garantita la possibilità di spostamento o di accesso ai diversi uffici giudiziari da parte di chi deve operare nel mondo della giustizia penale- i modi, i tempi e le forme con i quali va esercitato il diritto di difesa o, più in generale, il diritto al controllo degli atti giurisdizionali.
Né, al fine di superare i gravi effetti cagionati dall’imperizia del legislatore, che la sentenza ha messo in luce, appare sufficiente la soluzione d’indicare, all’atto della conversione del d. l. n. 137 del 28 ottobre 2020, il termine “impugnazioni” in seno al comma 4 dell’art. 24 più volte menzionato.
L’intreccio delle diverse previsioni e la gerarchia delle diverse fonti che regolano la materia, come ben illustra la decisione, consentono di escludere che sia sufficiente operare nei termini anzidetti.
La trasmissione via PEC non solo non pare possibile per le segnalate difficoltà tecniche-operative, in parte risolte, che la decisione mette in evidenza e che attanaglia, più in generale, l’intero sistema automatizzato del mondo giustizia, ma per il fatto che ad interdire l’operatività fattiva dell’art. 24, comma 4 d. l. n. 137 è il dato che la disciplina delle forme e modalità di presentazione delle impugnazioni è regolata per legge dal codice di procedura penale.
Proprio il caso sottoposto all’esame del giudice di legittimità lascia emergere uno dei nodi che l’informatica applicata al processo penale solleva: l’ingerenza di tale settore all’interno del rito penale crea, al di là dell’ampia normativa che lo regola (v., fra gli altri, d. lgs. n. 82/2005, modificato con d. lgs. n. 179/2016 e n. 217/2017 e modif. d. l. n. 135/2018 con in l. n. 290/2019; d. l. n. 193/2009 conv. in l. n. 24/2010; d. m. n. 44/2011 e decreto Responsabile S.I.A. 16 aprile 2014) problemi relativi non solo alla gerarchia delle fonti, ma anche possibili conflitti interpretativi (abrogazioni espresse o implicite), questioni – come nel caso di specie- legate alla normazione d’urgenza e alla sua continua evoluzione tecnica e/o adeguamento agli standard internazionali.
Ma se così è, allora, è chiaro che, salvo quanto previsto nella prima parte, il d. l. n. 137 del 2020 rubricato “Disposizioni per la semplificazione delle attività di deposito di atti, documenti e istanze” che si prefigge proprio tale finalità attesa l’“emergenza epidemiologica da Covid-19” non ha, al momento, alcun effetto. Per superare il gravissimo empasse sarebbe auspicabile che vengano, allora, puntualmente e specificatamente indicati gli atti a cui fa riferimento il comma 3, che ammette il deposito telematico con firma digitale e non con PEC, e quelli di cui al comma 4, che consentono la produzione solo attraverso tale ultima modalità.
La conclusione raggiunta dalla Sez. I non sarebbe stata di segno diverso, neppure nel caso in cui la Corte avesse valorizzato l’eccezionalità della legislazione e/o la sua “ratio”[10] che dovrebbero ammettere anche la produzione della stessa nomina del difensore di fiducia.
In verità, anche sotto tale aspetto, non è ancora chiaro se sia possibile produrre una semplice scannerizzazione, posto che l’atto va firmato da colui che conferisce il mandato, ovvero un atto digitale nativo con firma elettronica. Se, come si è visto, alcune sue forme sono state, invece, ben delineate dall’ art. 83, comma 12 quater 1, d. l. “Cura Italia” è forse il caso di replicarle, considerato che l’atto de quo è espressione massima e assoluta del diritto di difesa tecnica.
Come si comprende, l’impiego dell’informatizzazione nel processo penale, da più parti e da molto tempo auspicato, solleva, invero, molteplici problemi teorici e applicativi, di più ampio respiro[11], che non dovrebbero essere risolti, posta l’importanza della disciplina processuale-penale, con soluzioni estemporanee e immediate.
Il caso in questione manifesta appieno la necessita di una meditata e approfondita disamina del tema della informatizzazione già, peraltro, oggetto di attenzione da parte delle istituzioni competenti (v. art. 2, comma 1, lett. a-i e 7 comma 1, lett. b del Progetto governativo di riforma della giustizia penale)[12] . Solo in tal modo vi sarà una produzione normativa capace d’ incidere, per ogni segmento coinvolto, sull’ intero assetto del codice di rito penale e di offrire, ai diversi operatori, delle norme chiare e precise, ma, soprattutto, una disciplina che contemperi anche le patologie derivanti dagli (eventuali) errori, discrasie o omissioni, anche parziali, negli invii e nella ricezione.
La puntuale disciplina dei modi di trasmissione delle impugnazioni, delle istanze o richieste processuali e della loro ricezione non può essere alterata con un semplice tratto di penna o, come indica la stessa decisione, nell’affrontare il tema della gerarchia delle fonti, attraverso atti di grado secondario.
Ne discende che, anche alla luce dell’asserita priorità della disciplina ordinaria, la sopraggiunta e sempre auspicata digitalizzazione del rito penale, per i valori e le garanzie che regolano il sistema processuale penale, rende necessaria una lunga e più puntuale riflessione, che si svolga ad ampio raggio e che si attui con norme di carattere primario. La corretta amministrazione della giustizia penale è cosa seria che non consente, al di là della legge, alcuna deroga di sorta, né che sia, di volta in volta, la giurisprudenza a fornire la soluzione delle molteplici questioni a cui una normativa, troppo imprecisa, dà luogo.
*Ordinario di Diritto processuale penale presso l’Università degli studi del Sannio
[1] V., analogamente, Cass., Sez. V, 13 dicembre 2017, dep. 2018, n. 12347, in CED Cass. n. 272781; Cass. Sez. I, 15 novembre 2019, dep. n. 2020, in CED Cass. n. 278163. Sulla base dei delineati criteri è stato dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione proposto mediante l’uso della posta elettronica certificata (Cass., Sez. IV, 27 novembre 2019, n. 52092, in CED Cass. n. 277906; Cass., Sez. VI, 5 dicembre 2017, n. 55444; Cass., Sez. IV, 30 marzo 2016, n. 18823) e l’impugnazione cautelare a mezzo PEC (Cass. Sez. III, 13 aprile 2018, n. 38411, in CED Cass. n. 276698) o ancora, l’opposizione a decreto penale di condanna presentata a mezzo di posta elettronica certificata (Cass., Sez. III, 11 luglio 2017, n. 50932).
[2] V., da ultimo, L. Agostino, Art. 24 del Decreto “Ristori”: l’interpretazione restrittiva della Cassazione in tema di deposito telematico degli atti durante il periodo emergenziale, in www. Sistemapenale.it, 2 dicembre 2020.
[3] V., L’UCPI sui decreti “Ristori” e “Ristori bis”. Il documento della giunta, in www.unionecamerepenali.it., 20 novembre 2020, 2.
[4] V., Cass. Sez. II, 22 settembre 2020, n. 26506.
[5] V., L. Giordano, L’art. 24 del cd. decreto Ristori permette la proposizione di impugnazioni a mezzo PEC? in www.processotelematico.it, 18 novembre 2020.
[6] Così, M. Gialuz- J. Torre, D. L. 28 ottobre 2020, n. 137 e processo penale sulla “giustizia virtuale” servono maggiore cura e consapevolezza, in www.sistemapenale.it, 9 novembre 2020.
[7] V., Alert della Camera penale gli avvocati milanesi: il Tribunale del Riesame dichiara inammissibili le impugnazioni via PEC., in www.dirittoegiustizia.it, 20 novembre 2020.
[8] V., sempre, L. Giordano, op. cit.
[9] Ancora, L. Giordano, L’art. 24 del cd. decreto Ristori, cit., 3.
[10] V., ancora, L. Giordano, op. cit.
[11] Cfr., anche. L. Granozio, Sulla inammissibilità delle impugnazioni via PEC, in www.penaledirittoeprocedura.it, 20 novembre 2020, 2.
[12] V., amplius, M. Gialuz-J. Della Torre, Il progetto governativo di riforma della giustizia penale approda alla Camera per avere processi rapidi (e giusti) serve un cambio di passo, in www.sistemapenale.it, 2020, 10 ss.