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RESCISSIONE DEL GIUDICATO O INCIDENTE DI ESECUZIONE? LA PAROLA ALLE SEZIONI UNITE NELL’INDIVIDUAZIONE DEL RIMEDIO ESPERIBILE PER ECCEPIRE NULLITÀ ASSOLUTE E INSANABILI  DELLA VOCATIO IN IUDICIUM – DI MARINA TROGLIA

RESCISSIONE DEL GIUDICATO O INCIDENTE DI ESECUZIONE? LA PAROLA ALLE SEZIONI UNITE NELL’INDIVIDUAZIONE DEL RIMEDIO ESPERIBILE PER ECCEPIRE NULLITÀ ASSOLUTE E INSANABILI DELLA VOCATIO IN IUDICIUM – DI MARINA TROGLIA

TROGLIA – RESCISSIONE DEL GIUDICATO O INCIDENTE DI ESECUZIONE?.PDF

RESCISSIONE DEL GIUDICATO O INCIDENTE DI ESECUZIONE? LA PAROLA ALLE SEZIONI UNITE NELL’INDIVIDUAZIONE DEL RIMEDIO ESPERIBILE PER ECCEPIRE NULLITÀ ASSOLUTE E INSANABILI DELLA VOCATIO IN IUDICIUM.

RESCISSIONE DEL GIUDICATO OR INCIDENTE DI ESECUZIONE? THE SUPREME COURT CONCERNING THE IDENTIFICATION OF THE AVAILABLE REMEDY TO OBJECT ABSOLUTE AND INCURABLE INVALIDITIES OF THE VOCATIO IN IUDICIUM.

di Marina Troglia* 

L’Autore analizza la recente pronuncia delle Sezioni Unite circa il rimedio esperibile laddove si debbano eccepire nullità assolute e insanabili della vocatio in iudicium, ripercorrendo le argomentazioni della Suprema Corte e cogliendo l’occasione per approfondire gli istituti ivi citati, anche alla luce della più recente legislazione e giurisprudenza.

 The Author analyzes the recent judgment of the Supreme Court about the available remedy in case of absolute and irremediable invalidity of the vocatio in iudicium, retracing the arguments of the Court and also taking the opportunity to clarify some important topics, following to the most recently legislation and the jurisprudential evolution.

SOMMARIO: 1. Premessa. 2. I quesiti sottoposti alle Sezioni unite. 3. L’incidente di esecuzione declinato nella fattispecie di cui all’art. 670 c.p.p. 4. La rescissione del giudicato. Evoluzione legislativa e presupposti applicativi. 5. La soluzione prospettata dalle Sezioni unite. Gli orientamenti contrapposti. 6. «Riqualificazione» e chiarimenti in tema di applicazione del principio di conservazione degli atti.

 

  1. Premessa.

Nella pronuncia in commento, depositata il 23.4.2021[1], le Sezioni Unite, affrontando un caso molto peculiare, hanno colto l’occasione per tracciare la linea di demarcazione tra l’istituto della rescissione del giudicato ex art. 629 bis c.p.p. e l’incidente di esecuzione ex art. 670 c.p.p., rimarcando alcuni punti fermi anche sull’applicazione del principio di c.d. «conservazione degli atti», tracciato dall’art. 568 comma 5 c.p.p.

 Prima di illustrare, nel dettaglio, le considerazioni giuridiche prospettate dalla Suprema Corte, vale la pena di ripercorrere, seppur brevemente, la fattispecie concreta, che riguarda il caso di una cittadina croata la quale, nell’ambito di un procedimento penale per tentato furto celebratosi nel 2014, aveva eletto domicilio per le notificazioni presso il difensore di fiducia. Nel medesimo giudizio, peraltro, l’imputata aveva fornito false generalità a pubblico ufficiale e, dunque, con riguardo a tali fatti, si era instaurato, a suo carico, un autonomo procedimento penale. All’esito di tale secondo giudizio, il Tribunale di primo grado l’aveva condannata alla pena di anni due e mesi dieci di reclusione, previa declaratoria di assenza dell’imputata, essendosi ritenuta valida l’elezione di domicilio effettuata presso il difensore di fiducia e, dunque, la conseguente notifica a quest’ultimo del decreto che disponeva il giudizio. Ciò, sebbene il difensore avesse assunto la qualifica di domiciliatario solo con riguardo al primo procedimento.

Una volta divenuta definitiva la condanna ed essendo la stessa successivamente confluita nel provvedimento di determinazione di pene concorrenti e contestuale ordine di carcerazione, la cittadina croata veniva tratta in arresto nel Regno di Spagna (sulla base di numerosi mandati di arresto europei) e, successivamente, consegnata all’Italia.

Ella aveva dunque proposto personalmente impugnazione straordinaria, in particolare depositando ricorso per rescissione del giudicato (all’epoca ex art. 625 ter c.p.p.), deducendo la mancata incolpevole conoscenza del procedimento a suo carico in ragione dell’irritualità della notifica del decreto che disponeva il giudizio. La Suprema Corte aveva dichiarato l’impugnazione inammissibile per tardività della stessa, essendo stata depositata oltre il termine a partire dal quale risultava provato che la prevenuta aveva avuto contezza della sentenza di condanna a suo carico.

Nelle more, veniva altresì depositato, avanti il Tribunale di primo grado in qualità di giudice dell’esecuzione, incidente ex art. 670 c.p.p., con il quale si richiedeva declaratoria di non esecutività della sentenza in ragione della mancata formazione del titolo esecutivo, determinata dalla nullità assoluta che riguardava la vocatio in iudicium.

Il Tribunale (cui non era stata comunicata la precedente istanza di rescissione del giudicato) rigettava la richiesta, argomentando circa la non proponibilità dello strumento dell’incidente di esecuzione e ritenendo, invece, astrattamente esperibile l’impugnazione straordinaria ex art. 629 bis c.p.p., contestualmente trasmettendo – per una eventuale «riqualificazione» – gli atti alla Corte di appello territorialmente competente[2].

Quest’ultima, appreso nel frattempo della già intervenuta pronuncia, da parte della Corte di cassazione, dell’inammissibilità dell’istanza per rescindere il giudicato, dichiarava il non luogo a provvedere, mentre la prevenuta impugnava con ricorso per cassazione l’ordinanza del Tribunale, richiedendone l’annullamento per mancanza di motivazione e rilevando, in particolare, la perfetta esperibilità dell’incidente di esecuzione ex art. 670 c.p.p.al fine di far valere la nullità assoluta e insanabile degli atti processuali per omessa notificazione del decreto che dispone il giudizio nei confronti dell’imputato e del difensore e, dunque, in definitiva, per ottenere una declaratoria di non eseguibilità della sentenza.

La Prima Sezione Penale della Suprema Corte, originariamente assegnataria del ricorso, rimetteva la decisione, con ordinanza del 23.6.2020, alle Sezioni Unite, rilevando la sussistenza di un contrasto sul tema dei rimedi esperibili per far valere, dopo la formazione del giudicato, la nullità della vocatio in iudicium[3], anche nella prospettiva di «prevenire un contrasto potenziale in merito ai rapporti tra incidente di esecuzione e rimedio rescissorio ex art. 629 bis cod. proc. pen».

Assegnato, così, il ricorso alle Sezioni unite, il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione richiedeva in udienza l’annullamento senza rinvio, rilevando la «perplessità» del dispositivo emesso dal Tribunale[4], il quale aveva rigettato la richiesta e, contestualmente, riqualificato l’istanza in rescissione del giudicato. Nel merito, la Procura Generale rappresentava, peraltro, la propria adesione all’orientamento maggioritario sul tema, del tutto sfavorevole – come si illustrerà nel prosieguo – alla proposizione di un incidente di esecuzione nella fattispecie concreta.

  1. I quesiti sottoposti alle Sezioni unite.

Così descritta la vicenda in esame vanno ora illustrati, nel dettaglio, i quesiti sottoposti alle Sezioni unite[5], che così possono riassumersi:

  1. un primo quesito da affrontare riguardava la possibilità di esperire incidente di esecuzione ex 670 c.p.p. (e, dunque, in merito alla formazione del titolo esecutivo) per il condannato con sentenza pronunciata «in assenza» che intendesse eccepire, con tale rimedio, nullità assolute e insanabili, derivanti dall’omessa citazione propria e/o del suo difensore;
  2. un secondo quesito atteneva, invece, alla possibilità di utilizzare, quale rimedio per rimuovere le medesime nullità, la rescissione del giudicato ex 629 bis c.p.p., previa allegazione dell’incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo;
  • l’ultimo quesito – rilevante in caso di risposta negativa al primo – riguardava la percorribilità di una «riqualificazione», ai sensi dell’art. 568 comma 5 c.p.p., dell’incidente di esecuzione (depositato ex 670 c.p.p. e finalizzato alla dichiarazione di non esecutività della sentenza) in rescissione del giudicato.

Per fornire risposta adeguata ai quesiti suddetti, la Suprema Corte ha opportunamente svolto alcune considerazioni di natura preliminare che attengono, in particolare, all’analisi del rapporto tra incidente di esecuzione e rescissione del giudicato, chiarendone i rispettivi ambiti di applicazione e le potenziali «interferenze», soprattutto laddove sia contestata la nullità assoluta della notificazione dell’atto di vocatio in iudicium e si sia proceduto, nel giudizio di cognizione, in assenza dell’imputato.

  1. L’incidente di esecuzione declinato nella fattispecie di cui all’art. 670 c.p.p.

            Come parzialmente anticipato, la sentenza in commento ha offerto l’occasione per riprendere la natura giuridica degli istituti menzionati e per fissare alcuni punti fermi circa la loro applicabilità generale.

In primo luogo, infatti, la Suprema Corte si è concentrata sull’incidente di esecuzione, con specifico riferimento all’ipotesi disciplinata dall’art. 670 comma 1 c.p.p.[6], ritenendo che «la formulazione testuale della disposizione, la sua collocazione sistematica nell’ambito del libro X del codice di procedura penale vigente, dopo il corpo di disposizioni che disciplinano le impugnazioni, nonché le esigenze di certezza del diritto e di stabilità delle situazioni giuridiche sottese alla nozione di giudicato, concorrono a circoscrivere l’oggetto della giurisdizione esecutiva […] che riguarda la mancanza del titolo o la sua non esecutività».

Si è infatti chiarito che «sul piano classificatorio l’incidente di esecuzione non appartiene alla categoria delle impugnazioni, perché presuppone l’irrevocabilità del provvedimento costituente il titolo da porre in esecuzione»[7].

Trattandosi, dunque, di istituto con inquadramento del tutto diverso rispetto alle impugnazioni, il sindacato del giudice dell’esecuzione non può investire questioni che attengono alla fase della cognizione, nemmeno in relazione a vizi processuali da denunciare con i mezzi di impugnazione, tanto ordinari, quanto straordinari[8].

Sulla scorta di tali premesse le Sezioni unite hanno così chiarito il perimetro di tale strumento, asserendo, in particolare, che «l’indagine consentita dall’art. 670 cod. proc. pen. è dunque focalizzata sulla mancanza del titolo esecutivo, intesa in senso materiale o giuridico, e sulla sua non esecutività». Si è, poi, precisato, cosa debba intendersi per «inesistenza» del titolo e «ineseguibilità». L’inesistenza, in particolare, oltre al caso di mancanza in senso oggettivo-naturalistico, è stata ravvisata «allorché l’atto, per difetto di alcuni elementi strutturali che devono contraddistinguerlo, si pone totalmente fuori dal sistema, tanto da non essere ad esso riferibile, nel senso che è assolutamente inidoneo a produrre un qualsiasi effetto sia nell’ambito che al di fuori del processo e, in quanto tale, non è suscettibile di essere ricondotto ad alcuna delle categorie di vizi che determinano l’invalidità degli atti secondo la disciplina del codice di rito. Quale forma di patologia radicale, l’inesistenza supera persino lo sbarramento del giudicato ed il principio di tassatività, proprio delle nullità; può, pertanto, essere rilevato in qualsiasi momento attraverso un’azione di accertamento, che compete al giudice dell’esecuzione (Sez. 6, n. 3683 del 2000, Rizzo ed altro, Rv. 215844)»[9].

Quanto, poi, al profilo della «non eseguibilità», le Sezioni unite hanno precisato che si tratta di «inidoneità materiale o giuridica del provvedimento ad essere posto in esecuzione» e, dunque, di una caratteristica per lo più collegata al profilo della irrevocabilità del provvedimento giudiziale[10].

Poiché, in sostanza, «la giurisdizione esecutiva non ha il compito di emendare o integrare in via postuma il giudicato, ma di riscontrare la regolarità formale e sostanziale dell’esecuzione penale», secondo la Suprema Corte, la portata dell’incidente di esecuzione non può essere estesa illimitatamente e ciò, pur a fronte del progressivo utilizzo estensivo dello strumento dell’incidente di esecuzione, ulteriormente riscoperto in tempi recenti  laddove sia stato necessario intervenire sul giudicato per garantire tutela ai diritti di libertà individuali, ritenuti prevalenti sulla c.d. funzione positiva del giudicato, ovvero la certezza e la stabilità dei rapporti giudici definiti[11].

In definitiva, secondo le Sezioni unite,  «la giurisprudenza di questa Corte non ha mai ammesso che in sede di incidente di esecuzione possa attribuirsi rilievo a nullità endoprocedimentali che avrebbero dovuto essere fatte valere nel corso del giudizio di cognizione», con la conseguenza che è rimasta immutata la tradizionale affermazione di principio «secondo la quale con questo strumento non è consentito far valere forme di patologia degli atti processuali, nullità o inutilizzabilità, che siano occorse prima della formazione del giudicato, compresa la irregolare costituzione del rapporto processuale di cognizione»[12].

  1. La rescissione del giudicato. Evoluzione legislativa e presupposti applicativi.

Così inquadrata la disposizione di cui all’art. 670 c.p.p., la pronuncia in commento, prima di dedicarsi, nello specifico, al confronto tra i due rimedi e alla soluzione da prospettarsi nel caso concreto, ripercorre le tappe che hanno condotto all’introduzione della rescissione del giudicato e, più in generale, l’evoluzione che si è avuta con il passaggio dal tradizionale istituto della contumacia a quello dell’assenza, fondato su esigenze di conoscenza reale della sussistenza di un procedimento a carico dell’imputato[13].

E infatti, le Sezioni unite richiamano il panorama legislativo, a cominciare dalle modifiche che hanno interessato l’istituto della restituzione nel termine, disciplinato dall’art. 175 c.p.p., fino ad arrivare al punto di arrivo di tale percorso, costituito proprio dall’introduzione della rescissione del giudicato, avvenuta con la legge 67/2014[14].

A proposito del raffronto con il più tradizionale rimedio previsto dall’art. 175 c.p.p., infatti, la rescissione del giudicato si pone – secondo la Suprema Corte – come strumento di più ampio respiro, che assume la natura di mezzo di impugnazione straordinario, non limitato alla mera concessione di un nuovo termine per impugnare, ma capace di garantire all’imputato assente la celebrazione di un nuovo giudizio, laddove la mancata partecipazione sia risultata non volontaria.

E infatti, la rescissione del giudicato «si pone quale mezzo di impugnazione straordinario e quale strumento di chiusura del sistema, dato che con essa è perseguito l’obiettivo del travolgimento del giudicato e dell’instaurazione ab initio del processo, quando si accerti la violazione dei diritti partecipativi dell’imputato»[15].

***

A proposito dell’istituto in questione, va poi ricordato che, come ben noto, la norma originaria (ovvero l’art. 625 ter c.p.p.) è stata abrogata dall’art. 1, comma 70, della L. 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017[16] con l’effetto che la disciplina relativa è migrata nel nuovo articolo 629 bis c.p.p., posto toponomasticamente all’interno delle disposizioni che regolano la revisione, mezzo di impugnazione straordinario per antonomasia.

La differenza principale, rispetto all’originaria formulazione, risiede, come ben noto, nell’attribuzione della competenza funzionale a decidere sull’impugnazione alla Corte di appello, in luogo della Suprema Corte, come si era sin da subito suggerito, per la verità, da parte della dottrina più accorta[17]. E infatti, poiché l’istituto riguarda, in concreto, la valutazione circa l’assenza dell’imputato (e, soprattutto, in merito alle ragioni di detta assenza) si riteneva che il vaglio meglio potesse essere effettuato dalla Corte di appello, piuttosto che dall’organo della legittimità[18], e ciò anche in considerazione di esigenze di ripartizione del lavoro, essendo la Suprema Corte destinataria di un sempre maggior numero di ricorsi.

Attualmente, dunque, rimane in capo alla Corte di appello la verifica sull’ammissibilità dell’istanza, che va presentata presso la cancelleria della «Corte di appello nel cui distretto ha sede il giudice che ha emesso il provvedimento […] personalmente dall’interessato o da un difensore munito di procura speciale, autenticata nelle forme previste dall’articolo 583, comma 3, entro trenta giorni dal momento dell’avvenuta conoscenza del procedimento» (cfr. art. 629 bis, comma 2, c.p.p.).

La decisione sull’impugnazione interviene con le forme dell’art. 127 c.p.p. e si prevede, in via alternativa, l’accoglimento della richiesta (e in questo caso la sentenza sarà revocata, con trasmissione degli atti al giudice del primo grado per la celebrazione del nuovo procedimento[19]) o il suo rigetto. In questo caso – così come nell’ipotesi di declaratoria di inammissibilità – è ammesso ricorso per cassazione[20].

  1. La soluzione prospettata dalle Sezioni unite. Gli orientamenti contrapposti.

Chiariti, così, i tratti distintivi dei vari istituti[21] – incidentalmente, anche della restituzione nel termine di cui all’articolo 175 c.p.p. – le Sezioni unite esaminano i quesiti sottoposti e, in particolare, richiamano gli orientamenti contrastanti che si sono formati in merito al rimedio da utilizzare laddove si verifichino nullità assolute della vocatio in iudicium.

A fronte di un orientamento assolutamente predominante (anche in relazione all’istituto della contumacia) si è di recente contrapposta una diversa corrente di pensiero, che ha ritenuto di includere – soprattutto a seguito dell’abrogazione della disciplina contumaciale – tra le finalità dell’incidente di esecuzione, anche quella di dare rilievo alle nullità endoprocessuali che non era stato possibile dedurre tempestivamente prima della formazione del giudicato[22]. In sostanza, secondo tale impostazione, si attribuisce rilievo al fatto che la regolarità della notifica è presupposto e condizione necessaria per operare i controlli, dovuti alla mancata comparizione dell’imputato, ammettendolo così a far valere tale nullità per consentire la celebrazione di un processo equo, al quale l’interessato abbia consapevolmente partecipato.

Le Sezioni unite, dopo avere ampiamente ripercorso le motivazioni sottese a tale impostazione, hanno ritenuto, invece, di aderire all’orientamento prevalente[23], escludendo del tutto che, «tramite le contestazioni sul titolo esecutivo secondo la previsione dell’art. 670 c.p.p. possano farsi valere nullità assolute, verificatesi nella fase introduttiva del giudizio di cognizione nei confronti dell’imputato o del suo difensore, la cui deduzione o il cui rilievo di ufficio sono preclusi dall’irrevocabilità delle decisione, che definisce il procedimento».

Si è ritenuto, infatti, che «va piuttosto recepito l’orientamento secondo cui l’art. 629 bis c.p.p. si pone in stretta correlazione con le previsioni dell’art. 420 bis cod. proc. pen. e offre una forma di tutela all’imputato non presente fisicamente in udienza, mediante la possibilità di proposizione di un mezzo straordinario di impugnazione, che realizza la reazione ripristinatoria del corretto corso del processo per situazioni di mancata partecipazione del soggetto accusato, in dipendenza dell’ignoranza incolpevole della celebrazione del processo stesso, che non siano state intercettate e risolte in precedenza in sede di cognizione. Ignoranza che non deve essere a lui imputabile, né come voluta diserzione delle udienze, né come colposa trascuratezza e negligenza nel seguirne il procedere».

Tra le argomentazioni a sostegno di tale interpretazione vi sarebbe, in primo luogo, la formulazione testuale dell’art. 629 bis c..p.p. il quale, non contenendo alcuna tipizzazione dei casi ivi rientranti, consentirebbe un margine più elastico nella valutazione[24], essendo esperibile a prescindere dalla correttezza delle verifiche eventualmente compiute nella fase della cognizione e «con la conseguenza che, al di fuori di ogni presunzione, anche l’imputato dichiarato assente nel rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 420 bis c.p.p. è legittimato ad allegare l’ignoranza del processo a lui non imputabile».

Così argomentando, secondo la Suprema Corte, non solo l’istituto sarebbe coerente e conforme rispetto ai dettami costituzionali e convenzionali, ma acquisirebbe altresì maggiore utilità e applicabilità pratica.

Alle medesime conclusioni si perverrebbe – non solo, come visto, in relazione al tenore letterale della norma – anche sulla scorta del criterio teleologico, per cui la finalità dell’istituto rescissorio «assegna centralità alla mancanza di prova della reale conoscenza del processo da parte dell’imputato che non vi abbia presenziato e di approntare tutela a chi sia stato involontariamente assente» e, dunque, «conferma la possibilità di ricorrervi in tutti i casi in cui la mancata partecipazione non sia stata addebitabile a libera determinazione e non abbiano operato i meccanismi preventivi, attivabili nel giudizio di cognizione prima dell’irrevocabilità del provvedimento di condanna»[25].

Del resto, «un diverso approdo interpretativo – come quello rappresentato dalla Sezione Remittente – che negasse legittimazione ad ottenere di rescindere il giudicato a chi sia stato per errore giudiziale dichiarato assente, nonostante la nullità assoluta ed insanabile della citazione, condurrebbe a esiti irrazionali, priverebbe di tutela il condannato che abbia subito tra le più gravi forme di violazione del diritto di difesa; ciò, in contrasto con gli obiettivi perseguiti con la introduzione dell’istituto di cui all’art. 629 bis cod. proc. pen. e con le modifiche apportate nel tempo al processo penale per adeguarlo ai canoni del giusto processo, come interpretati dalla Corte EDU»[26].

Né, secondo le Sezioni unite, si potrebbe condividere l’assunto per cui, aderendo a tale interpretazione, non avrebbe ragion d’essere il mantenimento dell’art. 670 c.p.p., «superato» dalle norme in materia di processo in assenza. Anche su questo punto le Sezioni unite dissentono dall’orientamento minoritario e ritengono che esso abbia comunque uno spazio di autonoma rilevanza e utilità processuale laddove si deducano, ad esempio, vizi attinenti alla notificazione del decreto penale di condanna, vizi di omessa o illegittima notificazione dell’avviso di ritardato deposito della sentenza ex 548 comma 2 c.p.p. ecc. perché in questi, ed altri casi, il processo rimane soggetto alla previgente regolamentazione, ovvero precedentemente all’introduzione dell’istituto dell’assenza (e della disciplina transitoria introdotta con Legge 118/2014)[27].

Le Sezioni unite, dunque, pervengono al principio di diritto per cui: «il condannato con sentenza pronunciata in assenza che intenda eccepire nullità assolute ed insanabili, derivanti dall’omessa citazione in giudizio propria e/o del proprio difensore nel procedimento di cognizione, non può adire il giudice dell’esecuzione per richiedere ai sensi dell’art. 670 cod, proc. pen. in relazione ai detti vizi, la declaratoria della legittimità del titolo di condanna e la sua non esecutività. Può, invece, proporre richiesta di rescissione del giudicato ai sensi dell’art. 629 bis c.p.p., allegando l’incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo che possa essere derivata dalle indicate nullità».

  1. «Riqualificazione» e chiarimenti in tema di applicazione del principio di conservazione degli atti.

Rimane, dunque, l’ultima questione che attiene alla possibilità, o meno, di «convertire» l’incidente di esecuzione finalizzato a far dichiarare la non esecutività della sentenza in istanza di rescissione del giudicato.

            Seppure nel caso concreto sottoposto alla Corte non vi sia alcuno spazio per tale «riqualificazione» (avendo, infatti, la ricorrente già esperito in passato istanza di rescissione del giudicato dichiarata inammissibile per tardività), le Sezioni unite hanno ritenuto il tema di rilevanza generale, essendosi peraltro formato, sul punto, un contrasto in seno alle Sezioni semplici[28]. Dopo l’esposizione delle varie tesi, infatti, viene operato dalla Suprema Corte un inquadramento generale, che muove dalla disposizione di cui all’art. 568 comma 5 c.p.p., secondo cui: «l’impugnazione è ammissibile indipendentemente dalla qualificazione ad essa data dalla parte che l’ha proposta. Se l’impugnazione è proposta a un giudice incompetente, questi trasmette gli atti al giudice competente».

            Partendo, così, dal tenore letterale della norma, viene ribadito che la disposizione in questione non è certo espressiva di una regola generale, ma è valevole solo per il settore delle impugnazioni. E quindi, essendo assolutamente pacifico che incidente di esecuzione e rescissione del giudicato sono istituti di natura diversa – per petitum e per effetti – il principio di conservazione dell’atto giuridico per come enunciato dalla norma citata si applica solo e soltanto a rimedi omogenei, non essendo in alcun modo suscettibile di attagliarsi al diverso caso di rimedi non omogenei.

Sarebbe dunque del tutto «improprio parlare non solo di riqualificazione, ma anche di conversione del mezzo di impugnazione al di fuori dei casi previsti in via tassativa dal legislatore quando, come nella presente vicenda, non concorrano in via simultanea distinti rimedi impugnatori proposti per avversare uno stesso provvedimento giudiziale ma sia stato esperito un unico strumento, potenzialmente riferibile a diversi modelli legali».

            In conclusione, dunque, viene stabilito un ulteriore principio di diritto, secondo cui: «la richiesta formulata dal condannato perché sia dichiarata la non esecutività della sentenza ai sensi dell’art. 670 cod. proc. pen. in ragione di nullità che abbiano riguardato la citazione a giudizio nel procedimento di cognizione, non è riqualificabile come richiesta di rescissione del giudicato ai sensi dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen.».

*Avvocato del Foro di Milano, Dottore di ricerca in Diritto processuale penale

[1] Per un primo commento v. S. QUATTROCOLO, Actio finium regundorum tra incidente di esecuzione e rescissione del giudicato, in Sistema Penale, 18 maggio 2021.

[2] Va ricordato, sul punto (e la questione verrà trattata meglio infra) che la vicenda in commento si colloca a cavallo tra l’originaria disciplina della rescissione del giudicato – che ne attribuiva la competenza funzionale, come ben noto, alla Corte di cassazione, ex art. 625 ter c.p.p. – e quella successivamente introdotta nel 2017, che l’ha assegnata definitivamente alla Corte di appello.

[3] La Prima sezione, in particolare, aveva rilevato la presenza di un orientamento maggioritario (successivo rispetto alla Legge 67/2014 che ha introdotto, come ben noto, l’istituto dell’assenza nel codice di rito) secondo il quale non è esperibile incidente di esecuzione ex art. 670 c.p.p. finalizzato a eccepire nullità endoprocessuali ormai coperte da giudicato e un orientamento opposto, minoritario, secondo cui, invece, ciò sarebbe possibile, laddove si tratti di nullità assolute e insanabili «derivanti dall’omessa citazione dell’imputato o dall’assenza del suo difensore nei casi in cui ne è obbligatoria la presenza» (Cfr. Cass. Pen. Sez. 1, 16598 del 23.02.2018, Esposito, Rv. 272604).

[4] Sul punto, la Suprema Corte affronta in via preliminare la richiesta conclusiva del Procuratore Generale, ritenendo di poter «escludere la contraddittorietà logica e la perplessità della decisione, tale da indurre al suo annullamento, non ricorrendo una situazione di incertezza della volontà decisoria, ostativa alla individuazione dell’esito logico e del preciso convincimento del giudice». La Corte perviene a tale conclusione dopo un’approfondita disamina del provvedimento impugnato che risulta, dunque, solo apparentemente contraddittorio.

[5] I quesiti sono i seguenti: «Se il condannato con sentenza pronunciata “in assenza” che intenda eccepire nullità assolute e insanabili derivanti dall’omessa citazione propria e/o del suo difensore nel procedimento di cognizione possa a tal fine adire il giudice dell’esecuzione, con richiesta ai sensi dell’art. 670 cod. proc. pen., formulando questione sulla formazione del titolo esecutivo; se le nullità che abbiano riguardato la citazione dell’imputato e/o del difensore, coperte dal giudicato, pongano il condannato nella condizione di proporre richiesta di rescissione del giudicato ai sensi dell’art. 629-bis cod. proc. pen., allegando l’incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo, che, da quelle, sia derivata; se, in caso di risposta negativa al primo quesito, la richiesta formulata dal condannato, perché sia dichiarata la non esecutività della sentenza (art. 670 cod. proc. pen.) in ragione di nullità che abbiano riguardato la citazione a giudizio del procedimento di cognizione, sia riqualificabile, ai sensi dell’art. 568 comma 5, cod. proc. pen., come richiesta di rescissione del giudicato».

[6] Di cui si riporta, per comodità di consultazione, il disposto: «quando il giudice dell’esecuzione accerta che il provvedimento manca o non è divenuto esecutivo, valutata anche nel merito l’osservanza delle garanzie previste nel caso di irreperibilità del condannato, lo dichiara con ordinanza e sospende l’esecuzione, disponendo, se occorre, la liberazione dell’interessato e la rinnovazione della notificazione non validamente eseguita. In tal caso decorre nuovamente il termine per l’impugnazione».

[7] Evocando, così, anche la Corte costituzionale che, con sentenza n. 45 del 10.02.1997, ne ha chiarito le finalità: «di stabilire, nell’interesse della giustizia, il concreto contenuto dell’esecuzione».

[8] Sul punto, la pronuncia in commento richiama opportunamente diversi casi, nei quali la Suprema Corte ha pronunciato l’abnormità delle decisioni assunte in sede esecutiva «che si siano tradotte nella verifica di vizi relativi alla fase di cognizione con effetti di invalidazione del giudicato di condanna (Sez. 1, n. 58524 del 11/12/2017, Improta, Rv. 274661; Sez. 1, n. 41604 del 13/10/2009, Zanetti, Rv. 245062; Sez. 6, n. 1785 del 07/04/2000, Miola, Rv. 217224; Sez. 5 n. 2862 del 09/01/1998, Zagami, Rv. 209942)».

[9] È particolarmente interessante la casistica individuata dalla Suprema Corte, che riferisce di ipotesi nelle quali la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto inesistenti taluni atti (es.: la sentenza emessa dal soggetto che non appartenga all’ordine giudiziario; la sentenza emessa da autorità giudiziaria straniera, non ancora riconosciuta; la sentenza pronunciata nei confronti di un minore non imputabile al momento del fatto ecc..).

[10] Anche su tale tema la Suprema Corte fornisce un’ampia casistica, che spazia dai casi in cui vi sia omessa o invalida notificazione alle parti dell’avviso del ritardato deposito della sentenza di cui all’art. 548, comma 2 c.p.p.; alla mancata o invalida notificazione dell’estratto della sentenza all’imputato contumace, prescritto dall’art. 584 comma 3 c.p.p.; all’invalida dichiarazione di irreperibilità del condannato ai sensi dell’art. 159 c.p.p. ecc..

[11] Sul punto il riferimento della Suprema Corte è «ai casi in cui il giudicato già formatosi debba essere aggredito per garantire tutela ai diritti di libertà individuali, stimati preminenti sull’esigenza di certezza e stabilità dei rapporti giuridici definiti, quando la loro perdurante compressione sia frutto di una norma di legge, anche diversa da quella incriminatrice, che sia stata abrogata, modificata in termini più favorevoli o dichiarata incostituzionale in un momento successivo alla sua applicazione nel giudizio di cognizione, nonché per conformarsi ai precetti della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali a seguito di sentenza di condanna della Corte sovranazionale nei confronti dello Stato italiano […]. Sono noti gli sviluppi cui è approdata la giurisprudenza della Suprema Corte, pervenuta, in base ad una lettura costituzionalmente orientata, a riconoscere la possibilità che tramite l’incidente di esecuzione venga posto rimedio ad illegittimità in cui sia incorso il giudice della cognizione nell’irrogare immotivatamente sanzioni, principale o accessoria, difformi dalle previsioni di legge per specie o quantità (Sez. U., n. 47766 del 26.6.2015, Butera, Rv. 265108; Sez. U, n. 6240 del 27/11/2014, dep. 2015, B., Rv. 262327; Sez. 1, n. 26601 del 16/09/2020, Bucaria, Rv. 279579)».

[12] Anche su questo punto la Suprema Corte passa in rassegna le varie pronunce che hanno escluso l’esperibilità dell’incidente di esecuzione a fronte della deduzione di ipotesi di nullità endoprocessuali e cita, tra queste, il caso della nullità della notificazione effettuata al domicilio eletto presso lo studio del difensore rinunciante al mandato; l’omessa comunicazione all’imputato della notifica dell’atto di citazione ricevuto dal difensore di fiducia domiciliatario ecc… precisandosi che le nullità conseguenti trovano un limite preclusivo con il perfezionarsi del giudicato.

[13] Vale la pena di richiamare, sul punto, la recente pronuncia delle Sezioni unite, n. 23948 del 28.11.2019, dep. 2020, Ismail, Rv. 279420, secondo cui i principi ispiratori del processo in assenza postulano che si accerti, con certezza, la conoscenza della sussistenza di un procedimento, in capo all’interessato.

[14] Per una disamina completa dell’istituto cfr. L. Camaldo, La rescissione del giudicato: dinamiche processuali, in Le impugnazioni straordinarie nel processo penale, a cura di P. CORVI, Giappichelli Editore, Torino, 2016, pp. 229 ss.

A tale proposito un passaggio della sentenza in commento precisa che: «La legge n. 67 del 2014 rivela il mutamento di prospettiva che ispira il processo “in assenza” anche sul piano della regolamentazione dei rimedi esecutivi tradizionali per avere eliminato il legame, operativo in fase esecutiva, tra incidente di esecuzione ex art. 670 cod. proc. pen. e restituzione nel termine per impugnare di cui all’art. 175 cod. proc. pen. ed avere drasticamente ridotto l’ambito di applicazione di quest’ultimo istituto».

[15] Cfr. sul punto anche Cass. Pen. Sez. unite, sentenza n. 32848 del 17.7.2014, Burba, Rv. 259990.

[16] Sul punto, per la verità, va segnalato anche il progetto di legge (d.d.l. 2798/2014) che era stato presentato ad appena un anno di distanza dall’introduzione del nuovo istituto da parte del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’interno e con il Ministro dell’economia delle finanze, in data 23 dicembre 2014 e che già evidenziava l’opportunità di attribuire la competenza suddetta alla Corte di appello in luogo della Corte di cassazione.

[17] Cfr., sul punto J. DELLA TORRE, Le Sezioni Unite sulla rescissione del giudicato: nonostante i primi chiarimenti l’istituto rimane problematico, in Dir. pen. cont., 5 dicembre 2014; M. BARGIS, La rescissione del giudicato ex art. 625 ter c.p.p.: un istituto da rimeditare, in www.penalecontemporaneo.it, 16 gennaio 2015, pp. 160 ss.

[18] Sul punto v. P. SILVESTRI, Le nuove disposizioni in tema di processo “in assenza” dell’imputato, in R. Piccirillo-P. Silvestri, Prime riflessioni sulle nuove disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili – Relazione dell’Ufficio del massimario della Corte di Cassazione n. III/07/2014 , Novità legislative: legge 28 aprile 2014, n. 67, in www.cortedicassazione.it, secondo cui l’attività necessaria per verificare la rescissione del giudicato implica necessariamente la verifica accurata del fascicolo processuale.

[19] Degno di nota, sul punto, è il rinvio della disposizione all’art. 489 comma 2 c.p.p., che consente all’imputato di essere rimesso nei termini per formulare le richieste di rito abbreviato o patteggiamento, trovandosi egli di fronte alla celebrazione di un vero e proprio nuovo processo. L’ultimo comma della disposizione, infine, rinvia agli artt. 635 e 640 c.p.p., rispettivamente relativi alla sospensione dell’esecuzione della pena o della misura di sicurezza e l’impugnabilità della sentenza nel procedimento di revisione.

[20] Ciò, in relazione al rinvio espresso all’art. 640 c.p.p. operato dal comma quarto della disposizione in commento.

[21] «Le riflessioni già esposte convincono della differenza concettuale, finalistica e regolamentativa dei due istituti a confronto: l’incidente di esecuzione (art. 670 cod. proc. pen.); la rescissione del giudicato (art. 629-bis cod. proc. pen.). Essi, seppur accomunati dall’essere rimedi giuridici proponibili dopo la definizione del processo di cognizione contro pronunce giudiziali irrevocabili, presentano caratteri distintivi, producono effetti autonomi e sono collocati in contesti sistematici differenti nell’ambito delle norme del codice di procedura penale. Il primo si pone quale istanza volta a sollecitare il controllo giurisdizionale sull’esecuzione […] il secondo costituisce un’impugnazione straordinaria».

[22] Espressione di tali principi sono, in particolare, Cass. Pen. Sez. 5, n. 7818 del 27.11.2018, Viti, Rv. 275380; Cass. Pen. n. 48723 del 18.10.2019, Piccolo, Rv. 2777822 e Cass. Pen. Sez. 1, n. 20989 del 23.06.2020, Barsotti, Rv. 279320; Cass. Pen. Sez. 1, n. 16958 del 23.02.2018, Esposito, Rv. 272604; Cass. Pen. Sez. IV, n. 50571 del 14.11.2019, Fabiani, Rv. 278441.

[23] Vengono citate, sul punto, le seguenti pronunce: Cass. Pen. Sez. 1, n. 12823 del 13.2.2020, Lozzi; Cass. Pen. Sez. 1, n. 3265 del 07.05.2020, Kassimi; Cass. Pen. Sez. 1, n. 1812 del 17.12.2019, Ahmetovic; Cass. Pen. Sez. 1, n. 10877 del 17.01.2020, Sallaku; Cass. Pen. Sez. 1, n. 31051 del 22.5.2018, Buzzo.

[24] E infatti, in altro passaggio della pronuncia, le Sezioni unite ribadiscono che  l’interpretazione letterale di tale norma «consente di affermare che il rimedio è utilizzabile anche nei casi in cui la declaratoria di assenza sia stata preceduta da notificazioni dell’atto di citazione a giudizio, inficiate da nullità assoluta – non rilevate nel processo di cognizione – che abbiano pregiudicato l’informazione sull’esistenza del processo e sulla fissazione dell’udienza e non abbiano consentito al destinatario di scegliere se parteciparvi o meno».

[25] La Suprema Corte afferma, peraltro, che tale conclusione è già stata espressa dalle Sezioni unite Ismail, «laddove si è osservato che con il ricorso per rescissione del giudicato non può escludersi “che venga dedotto l’errore di valutazione del giudice nel considerare la parte a conoscenza della chiamata in giudizio”».

[26] Nella pronuncia in commento vengono altresì spesi ulteriori argomenti a sostegno della correttezza di tale tesi richiamandosi, peraltro, i poteri cognitivi ampi e conferiti al giudice per effettuare un controllo non solo formale, ma sostanziale, circa i dati fattuali da cui desumere, o meno, la conoscenza della celebrazione del processo, nonché, comunque, di compatibilità rispetto all’interpretazione convenzionalmente orientata, per cui «la lettura proposta è aderente all’esigenza di apprestare meccanismi efficaci e realmente restitutori di facoltà perdute nella fase dei controlli volti a garantire la posizione dell’imputato non presente al processo e i suoi diritti fondamentali e rende il rimedio della rescissione del giudicato perfettamente adeguato e funzionale rispetto a tale finalità, senza imporre torsioni interpretative del diverso strumento dell’incidente di esecuzione».

[27] A proposito della permanente utilità dell’istituto e del suo coordinamento con la restituzione nel termine si vedano le ulteriori argomentazioni spese dalla Suprema Corte.

[28] E infatti sussisterebbe un orientamento tendente a negare ogni possibilità di riqualificazione dell’incidente di esecuzione in istanza di rescissione e viceversa. Sul punto vengono riportate numerose sentenze, le quali, «si basano sulla eterogeneità dei due istituti per natura e funzione, tale da escludere la riconducibilità dell’incidente di esecuzione alla categoria delle impugnazioni, cui, invece, appartiene la rescissione del giudicato. Con la conseguente non operatività del disposto dell’art. 568, comma 5 cod. proc. pen.». Vi sarebbe, poi, altro orientamento, sostenuto in particolare da Cass. Pen. Sez. 5, n. 7818, del 27/11/2018, dep. 2019, Viti, Rv. 275380, per il quale «la conversione deve consentirsi quando sia dedotta la nullità della notificazione del decreto di citazione, tale da inficiare anche la sentenza di condanna, prospettandosi in tali termini una questione sulla corretta formazione e validità del titolo esecutivo. A fondamento di tale posizione si è argomentato che la già riconosciuta possibilità di operare la conversione tra un mezzo di impugnazione ed un atto che non ha strettamente tale natura, ma che può essere riqualificato in senso lato impugnatorio, si giustifica in nome del principio generale di conservazione degli atti giuridici e del principio del favor impugnationis, che riceve applicazione in tutti i gradi del processo e anche nella fase cautelare».