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UN MANIFESTO E UNA RIVISTA CONTRO LE IMPOSTURE DEL GIUSTIZIALISMO  – DI BENIAMINO MIGLIUCCI

UN MANIFESTO E UNA RIVISTA CONTRO LE IMPOSTURE DEL GIUSTIZIALISMO – DI BENIAMINO MIGLIUCCI

di Beniamino Migliucci

Siamo fermamente, razionalmente e fieramente garantisti, perché esserlo significa porsi a difesa dello Stato di Diritto, dei Diritti Individuali e delle Garanzie Costituzionali a tutela della dignità e della libertà delle persone e questo anche nell’interesse di chi si dichiara giustizialista. Il perché di una rivista dell’Unione Camere Penali Italiane, strumento adeguato a diffondere ideali, principi e regole del giusto processo, declinandoli in modo chiaro e puntuale.

Perché una rivista dell’Unione delle Camere Penali?

Perché il manifesto del diritto penale liberale e del giusto processo?

Le ragioni, anche se non perfettamente coincidenti, sono sostanzialmente sovrapponibili e vanno ricercate nell’esigenza di dotarsi di strumenti adeguati a diffondere ideali, principi e regole del giusto processo, declinandoli in modo chiaro e puntuale.

Gian Domenico Caiazza, al Congresso Straordinario di Roma del 2017, aveva significativamente rilevato che l’Unione, soprattutto dopo la raccolta delle firme per la separazione delle carriere aveva rafforzato l’immagine di una “comunità politica”, capace di esprimere valori e porsi al centro del dibattito sulla giustizia.

Un soggetto politico, dunque, ed era stata proprio questa consapevolezza che, nel 2016, ci aveva spinto a riproporre una rivista dei penalisti “Parola alla Difesa”, dopo 24 anni dall’ultimo numero di “Difesa Penale”, vecchio periodico dell’Unione.

Raccogliemmo, così, anche l’invito di Gaetano Pecorella, perché dare voce all’Avvocatura penale era divenuto un obiettivo ineludibile e permetteva, tra l’altro, di avviare un proficuo, quanto virtuoso rapporto con la migliore Accademia, che, in più di un’occasione nel passato, si era sottratta al confronto sui temi di politica giudiziaria per timore di perdere autorevolezza nello schierarsi, considerato lo scontro permanente nel nostro Paese sulla giustizia.

Il tempo della neutralità, anche per la Dottrina, doveva ritenersi terminato come, con coraggiosa lungimiranza, aveva annunciato il Maestro Marcello Gallo invitando l’Accademia a “sporcarsi le mani”.

Non c’era più tempo, né spazio per indugiare; non era più possibile rimanere alla finestra a fronte del progressivo sfilacciarsi del pensiero e delle tensioni ideali che ci avevano portato, alla fine degli anni 80, ad abbracciare il processo accusatorio, ritenendolo più consono ad un Paese liberale e democratico.

Iniziava, infatti, ad essere evidente come una politica pavida, in continua ricerca di effimeri consensi, fosse disponibile a trascurare, oscurare, vilipendere principi costituzionali come quelli sanciti dall’art. 111, approvato grazie alla determinazione dell’Unione delle Camere Penali.

Presunzione di innocenza, risocializzazione del reo, diritto alla difesa, separazione dei poteri, principio di legalità, diventavano ingombranti e scomodi da difendere e tutto questo perché, già a partire dalla fine del 2015, potevano avvertirsi i prodromi di quello che è stato, poi, definito “populismo penale o giudiziario”.

In un Convegno organizzato dall’Università di Bologna e dal Centro Studi Giuridici e Sociali dell’UCPI “Aldo Marongiu”, Luciano Violante avvertiva: “comincia a trovare un proprio spazio tra la società civile e la società politica, una società di mezzo che possiamo chiamare società giudiziaria. Questa società si avvale di criteri di valutazione e di metodi di confronto basati essenzialmente sulla centralità nella vita economica, sociale e politica della Nazione del diritto penale; conseguentemente ha come decisivo punto di riferimento la Magistratura ordinaria, in particolare quella parte rappresentata dalle Procure della Repubblica. Della società giudiziaria fanno parte cittadini comuni, mezzi di comunicazione, forze sociali, parlamentari e interi partiti. Essa attinge tanto dalla società civile, quanto dalla società politica, ma si presenta solo come rappresentante della società civile, disdegnando qualunque relazione con la società politica, anche se alcune sue componenti ne fanno parte a pieno titolo. La società giudiziaria non chiede il processo, chiede la punizione di chi è colpevole perché imputato, non condannato, per qualsiasi tipo di reato. Ciò che punisce risana sempre, ritiene la società giudiziaria”.

In questo contesto, venivano approvate norme come quella sulla prescrizione – anche se non secondo i desiderata di una parte della Magistratura per l’efficace opposizione dell’UCPI – e quella sul processo a distanza, volute dal Ministro Orlando; si abbandonavano, invece, riforme come quella dell’ordinamento penitenziario.

Sullo sfondo il desiderio, mai abbandonato da una parte della Magistratura, di tornare a un codice di rito inquisitorio di stampo autoritario.

Il cementarsi della collaborazione tra Avvocatura e Accademia diventava, dunque, fondamentale, perché l’azione di politica giudiziaria non può che fondarsi su riflessioni culturali, sociali e dottrinali e dovevano trovare anche luogo di aggregazione in una rivista.

Il Presidente Caiazza ha inteso fortemente ribadire questa linea rivitalizzando e rafforzando la rivista dell’Unione, con una veste ancora più prestigiosa, affidando la direzione – e la scelta non poteva essere migliore – a Francesco Petrelli, coadiuvato da un Comitato scientifico e da un Comitato di redazione di eccellenza; inoltre, la rivista può avvalersi di una newsletter di giurisprudenza, fiore all’occhiello dell’Unione, coordinata da Fabio Alonzi.

La scelta di Giandomenico Caiazza e della sua Giunta è coerente con il programma di Sorrento, ed è strettamente connessa alle motivazioni che hanno portato alla brillante intuizione costituita dal “Manifesto del diritto penale liberale e del giusto processo”.

Si legge nella presentazione del Manifesto che l’idea di promuoverlo è determinata dall’esigenza di contrastare “il lungo processo degenerativo dei fondamentali principi dello stato di diritto e la conseguente crisi del processo penale”.

Un soggetto politico, quale l’Unione è divenuta sempre più nel tempo, doveva indicare con chiarezza, appunto manifestandolo, quali sono i principi che sostengono l’idea di una giustizia penale ancorata ai valori costituzionali e della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo: un diritto penale orientato a restringere al minimo le libertà, ed a esaltare l’umanità della giustizia e la dignità dell’individuo quali valori irrinunciabili ed essenziali.

Ma il Manifesto ha anche l’obiettivo di rappresentare, ancora una volta insieme all’Accademia, un punto di riferimento per chi ritenga di difendere tali valori e principi nella società.

Piero Sansonetti, in un Convegno organizzato dall’Unione delle Camere Penali, ricordava che può avvenire, o persino può essere naturale, che in certi momenti possano avanzare – ed è ciò che si è verificato in parte dell’Europa e nel nostro Paese – forme di populismo, ma che quello che manca è una controspinta che le contrasti sulla base di ideali che sembrano, invece, dimenticati.

Chi li dovrebbe sostenere sembra impaurito anche per il timore di perdere consensi ed è mancata la forza nel sostenere ideali e principi, in molti casi contro intuitivi, perché implicano approfondimento, in una società, invece, sempre più diffidente degli organismi di mediazione anche culturale, affascinata dal linguaggio spesso semplicistico dei social.

Il Manifesto ha avuto il merito di riportare al centro del dibattito culturale, sociale e politico principi e valori che sembravano essere posti in un angolo e la Magistratura ha accettato il confronto e, in gran parte, ha aderito alle sollecitazioni e alle enunciazioni contenute nel Manifesto.

Rivista e Manifesto avranno, dunque, un percorso comune e accompagneranno le battaglie dell’Unione che, quale soggetto politico autorevole, rappresenta la controspinta ideale al populismo giudiziario e al giustizialismo.

Qualcuno, definitosi “avvocato del popolo” ha affermato che la contrapposizione tra garantismo e giustizialismo sarebbe manichea e buona solo per riempire le pagine dei giornali. Sbaglia di grosso.

In merito, occorre proprio essere rigorosi e operare scelte decise e ineludibili. Nella prefazione al libro di Sebastiano Ardita e Piercamillo Davigo “Giustizialisti”, Marco Travaglio scrive, e non poteva essere altrimenti, che “garantismo, presunzione di innocenza, separazione dei poteri sono tutte imposture”, ed ancora che “è venuto il momento di dichiarare con orgoglio da che parte stiamo: ebbene si, siamo giustizialisti”.

Ecco: l’Unione delle Camere Penali si trova dalla parte diametralmente opposta e per di più in ottima compagnia, quella dei valori e dei principi costituzionali e convenzionali, e continuerà a sostenere con tutte le energie il diritto penale liberale e democratico.

Siamo fermamente, razionalmente e fieramente garantisti, perché esserlo significa porsi a difesa dello Stato di Diritto, dei Diritti Individuali e delle Garanzie Costituzionali a tutela della dignità e della libertà delle persone e questo anche nell’interesse di chi si dichiara giustizialista.