Enter your keyword

BREVI RIFLESSIONI CRITICHE IN MERITO ALLA “UDIENZA DI COMPARIZIONE PREDIBATTIMENTALE A SEGUITO DI CITAZIONE DIRETTA”, IN PARTICOLARE, SULLA SEPARAZIONE DELLE FUNZIONI – DI MARCO CANEPA

BREVI RIFLESSIONI CRITICHE IN MERITO ALLA “UDIENZA DI COMPARIZIONE PREDIBATTIMENTALE A SEGUITO DI CITAZIONE DIRETTA”, IN PARTICOLARE, SULLA SEPARAZIONE DELLE FUNZIONI – DI MARCO CANEPA

CANEPA – BREVI RIFLESSIONI CRITICHE IN MERITO ALLA UDIENZA DI COMPARIZIONE PREDIBATTIMENTALE A SEGUITO DI CITAZIONE DIRETTA.pdf

BREVI RIFLESSIONI CRITICHE IN MERITO ALLA “UDIENZA DI COMPARIZIONE PREDIBATTIMENTALE A SEGUITO DI CITAZIONE DIRETTA”, IN PARTICOLARE, SULLA SEPARAZIONE DELLE FUNZIONI

(art. 554 bis e ss. c.p.p. introdotto dalla legge 134/’21 attuata con d.lgs. 150/’22)

SHORT CRITICAL THOUGHTS ABOUT “PRE-TRIAL HEARING” FOLLOWING CASES TRIED WITHOUT PRELIMINARY HEARING, IN PARTICULAR, ABOUT DIFFERENT ROLES OF THE PARTIES

(art. 554 bis enabling act 134/’21 as introduced by L. 150/’22)

di Marco Canepa*

L’Autore analizza il nuovo assetto normativo relativo all’udienza predibattimentale al fine di evidenziare gli aspetti critici di contrasto con i valori fondamentali del processo accusatorio, focalizzando l’attenzione, in particolare, sul potere di intervento del giudice sulla formulazione del capo di imputazione.

The Author analyzes the new set of rules regarding the “pre-trial hearing” in order to draw attention to critical points at odds with fundamental principles of the adversaial system values, focusing, in particular, on the intervention of the Judge by imposing to the Prosecutor the correct drafting of the charges.

1.La premessa.  2. L’attrito con il principio della separazione delle funzioni.

  1. La premessa

Con le norme in esame (in particolare, con l’introduzione dell’art. 554 bis c.p.p.) si è ritenuto di introdurre un filtro per i reati a citazione diretta tramite il vaglio degli atti di indagine (contenuti nel fascicolo del pubblico ministero) effettuato da un giudice del dibattimento, giudice chiaramente diverso da quello che sarà eventualmente chiamato a celebrare il dibattimento.

La scommessa del legislatore è quella di un effetto deflattivo nell’obbiettivo della ragionevole durata del processo e del raggiungimento degli obbiettivi richiesti dal P.N.R.R. attraverso un filtro attuato, in primo luogo, all’interno del medesimo ufficio giudicante e, in secondo luogo, attraverso uno standard di valutazione delle prove (di ragionevole previsione di condanna) più rigoroso rispetto a quello precedente (della sostenibilità della accusa in giudizio).

Il legislatore ha avuto ben chiaro che il filtro attuato con l’udienza preliminare non è stato effettivo e non ha portato a risultati utili per il buon funzionamento del processo penale e si è mosso, da un lato, aumentando il numero dei reati perseguibili a citazione diretta, dall’altro lato, in maniera apparentemente contraddittoria, introducendo questo nuovo sistema di filtro delle imputazioni azzardate.

Con le norme in esame (in particolare, con l’introduzione dell’art. 554 ter c.p.p.) si è ritenuto, inoltre, di individuare l’udienza predibattimentale come luogo deputato alla richiesta e alla celebrazione dei riti alternativi.

Le istanze, infatti, devono essere formulate, ai sensi della sopraddetta norma, “a pena di decadenza, prima della pronuncia della sentenza di cui al comma 1” (in particolare, prima della sentenza di proscioglimento perché non vi è una ragionevole previsione di condanna).

Si rileva, per inciso, come la formulazione appaia non corretta in quanto la fase predibattimentale può concludersi non con tale sentenza ma, ai sensi del comma 3, con una ordinanza di fissazione del processo davanti al giudice del dibattimento.

Si rileva, sempre per inciso, come la tecnica legislativa appaia carente nel momento in cui non è prevista alcuna forma di nullità nel caso di mancata celebrazione della udienza predibattimentale. In pratica, non è stata prevista una norma analoga all’art. 550, comma 3, c.p.p., che prevede una forma di nullità (interpretata dalla giurisprudenza come intermedia) nel caso di esercizio della azione penale con citazione diretta per un reato per il quale è prevista l’udienza preliminare. Poiché non si tratta certamente di una nullità di ordine generale, per il principio di tassatività delle nullità (art. 177 c.p.p.) non sembra poter esservi alcuna conseguenza nel caso di mancata celebrazione della udienza predibattimentale

Nella sostanza, risulta evidente come la struttura della udienza predibattimentale sia del tutto analoga a quella della udienza preliminare e, ad avviso dello scrivente, lungi dal raggiungere gli obbiettivi di deflazione sperati, si risolverà in un ulteriore allungamento dei tempi processuali e nella perdita di quella immediatezza del giudizio e della decisione che si voleva realizzare con il processo a citazione diretta.

A tale perdita di immediatezza conseguirà certamente una diminuzione delle richieste di riti alternativi, così come si verifica in tutte le circostanze in cui si crea una decadenza e si impone, al tempo stesso, un rinvio del processo, addirittura davanti ad altro giudice.

  1. L’attrito con il principio della separazione delle funzioni.

Fatte queste premesse, si rileva come, tramite le previsioni in esame, il legislatore abbia attribuito al giudice della udienza predibattimentale poteri non propri dell’organo giudicante in un sistema tipicamente accusatorio quale quello delineato dall’attuale codice di procedura penale.

Ci si riferisce non tanto al potere di imporre al pubblico ministero di formulare la imputazione in maniera maggiormente chiara e precisa, ed eventualmente dichiarare nulla la imputazione e restituire gli atti al pubblico ministero (art. 554 bis comma 5), quanto, piuttosto, al potere del giudice di obbligare il pubblico ministero a una determinata enucleazione dei fatti (“in termini corrispondenti a quanto emerge dagli atti”) e/o a una determinata qualificazione giuridica e di ordinare, ove lo stesso non provveda, la restituzione degli atti al pubblico ministero (art. 554 bis, comma 6).

Così recita testualmente la norma: “al fine di consentire che il fatto, la definizione giuridica, le circostanze aggravanti e quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza, siano indicati in termini corrispondenti a quanto emerge dagli atti, il giudice, anche d’ufficio, sentite le parti, invita il pubblico ministero ad apportare le necessarie modifiche e, ove lo stesso non vi provveda, dispone, con ordinanza, la restituzione degli atti al pubblico ministero”.

Questo potere, che si potrebbe definire di “formulazione coatta della imputazione” (cosa ben distinta dalla “imputazione coatta” che fa seguito ad una richiesta di archiviazione non accolta ex art. art. 409, comma 5, c.p.p.) rappresenta una novità assoluta nell’ambito del nostro codice e si pone in netto contrasto con i fondamentali principi del processo di parti in un sistema tipicamente accusatorio.

Questo contrasto con principi fondamentali è tale da porre problemi di rilievo.

Il primo problema è rappresentato dal fatto che il pubblico ministero d’udienza potrebbe non concordare con l’imputazione ipotizzata dal giudice dell’udienza predibattimentale. Questo problema è risolto direttamente dalla norma nel momento in cui prevede che il giudice, ove il pubblico ministero non faccia seguito al suo invito, sentite le parti, dispone con ordinanza la restituzione degli atti al pubblico ministero.

Il secondo problema è costituito dalla possibilità che il pubblico ministero a cui sono stati restituiti gli atti ritenga non corretta imputazione prospettata dal giudice o, addirittura, ritenga di dover effettuare altre scelte, quale, ad esempio, quella di chiedere la archiviazione.

Tra l’altro, questa ordinanza di “formulazione coatta della imputazione” non sembra poter essere in qualche modo impugnata dal pubblico ministero (o dalla difesa).

Peraltro, se l’organo dell’accusa fosse, come sembra, assolutamente obbligato a adeguarsi alla indicazione del giudice non si comprende come mai è stato previsto questo meccanismo con il quale il giudice prima invita il pubblico ministero d’udienza a riformulare la imputazione e poi restituisce gli atti all’ufficio del pubblico ministero. Se quest’ultimo non ha altra alternativa che quella di adeguarsi, tanto valeva che il giudice dell’udienza predibattimentale riformulasse lui stesso la imputazione. Si tratta, evidentemente, di un riguardo meramente formale ai principi in esame.

Il terzo problema è costituito dal fatto che questo potere del giudice in tema di formulazione della imputazione si pone in aperto contrasto con gli altri principi codicistici, primo fra tutti quello espresso dall’art. 521 c.p.p. in tema di correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza.

Infatti, la nuova norma prevista dall’art. 554 bis, comma 5, dà al giudice il potere di incidere sulla formulazione della imputazione in maniera completa, sia con riguardo al fatto che alla definizione giuridica, affinché gli stessi “siano indicati in termini corrispondenti a quanto emerge dagli atti”.

Al contrario, l’art. 521 c.p.p. consente al giudice, nell’esercizio della sua funzione decisoria, di dare al fatto “una definizione giuridica diversa da quella enunciata nella imputazione”, ferma restando la immodificabilità dei fatti come contestati (dal pubblico ministero) nella imputazione stessa che ha costituito l’ipotesi accusatoria su cui si è fondato il processo, si è sviluppata l’istruttoria, si sono confrontate le parti, si sono parametrati i diritti della difesa dell’imputato.

Come noto, l’art. 521 comma 2 c.p.p. prevede ipotesi eccezionali di restituzione degli atti al pubblico ministero senza una pronuncia del giudice sul merito della accusa “se accerta che il fatto è diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio”. Tale “diversità”, secondo l’orientamento uniforme della Suprema Corte, è da intendersi con riguardo alla ricostruzione del fatto che nel corso del giudizio è emerso con connotazioni materialmente diverse dalla prospettazione accusatoria originaria, si è svolto, cioè, in un tempo, in un luogo o con modalità difformi rispetto alla imputazione originaria. Rilevata, infatti, la diversità del fatto emerso nel dibattimento, il giudice perde automaticamente la disponibilità del procedimento e, dunque, non può pronunciarsi sul fatto originariamente contestato.  Un provvedimento decisorio in tal senso sarebbe manifestamente abnorme, determinando un “ne bis in idem” e precludendo la possibilità dell’inizio di una nuova azione penale per il “fatto diverso”.

Peraltro, risulta abnorme anche il provvedimento con il quale il giudice restituisca gli atti al pubblico ministero senza pronunciarsi sulla imputazione nel caso in cui ritenga che il fatto, corrispondente alle emergenze processuali, non possa essere riportato alla fattispecie astratta contestata, ad esempio per la insussistenza di requisiti essenziali del reato, mentre sarebbe, a suo avviso, possibile riferirlo ad un’altra fattispecie astratta. In questo caso, la restituzione costituirebbe una mancata pronuncia sulla imputazione contestata e avrebbe il significato di imporre all’organo della accusa una formulazione coatta della imputazione che, non essendo consentita, potrebbe creare una situazione di stasi processuale (il provvedimento sarebbe, pertanto, abnorme).

In tal senso, è stato affermato che “la regressione alla fase antecedente, che è istituto eccezionale e applicabile nei soli casi tassativamente previsti, non può essere disposta per imporre al P.M. di procedere per il medesimo fatto utilizzando una diversa qualificazione giuridica senza sovvertire lo schema tipico dell’art. 521 cod. proc. pen. che non prevede un potere in tal senso del giudice dibattimentale e che è, pertanto, assolutamente estraneo al vigente ordinamento processuale”: Cass., s ez. 5, Sentenza n. 28137 del 24/05/2005 Cc.  (dep. 28/07/2005) Rv. 232290.

Tali principi, come detto, risultano completamente sovvertiti dai poteri attribuiti al giudice della udienza predibattimentale, il quale ha, invece, il potere di imporre al pubblico ministero una riformulazione della imputazione che sia in fatto e in diritto a suo avviso più aderente agli atti di indagine.

Ci si domanda se questi poteri del giudice predibattimentale possano essere estesi, per analogia, sempre in nome della economia processuale, anche al giudice del dibattimento, con conseguente necessità di rivisitazione dei principi di cui all’art. 521 c.p.p.

Se così fosse, si potrebbe giungere a situazioni di grave violazione dei diritti della difesa dell’imputato quale la pendenza di una stessa vicenda processuale per un tempo indefinito a seguito della conclusione di un processo senza una pronuncia sul merito ma con l’invito al pubblico ministero d’udienza a riformulare l’imputazione o con l’invio degli atti all’Ufficio del pubblico ministero “al fine di consentire che il fatto, la definizione giuridica, le circostanze aggravanti e quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza, siano indicati in termini corrispondenti a quanto emerge dagli atti” (così, testualmente, l’art. 554 bis, comma 6).

In conclusione, appare evidente come il legislatore abbia ritenuto prioritaria la necessità di trovare soluzioni che evitino intoppi processuali come la presenza di una imputazione inadeguata, non corrispondente, in fatto e/o in diritto, agli atti di indagine.

Tale discrasia tra emergenze processuali e imputazione conduce talvolta, nella esperienza pratica, all’esito del processo, a pronunce assolutorie per l’insussistenza del fatto, in quanto l’imputazione stessa, pur corrispondente agli accadimenti storici e pur essendo astrattamente riconducibile ad altra ipotesi criminosa, non è tale da configurare gli elementi essenziali del reato contestato. Ciò, chiaramente, nel caso in cui per la formulazione della imputazione non sia possibile dare al fatto una qualificazione giuridica diversa.

Fino ad oggi, la difesa dell’imputato aveva l’onere di difendersi dalla imputazione come cristallizzata negli atti introduttivi del giudizio.

Da oggi, in nome delle esigenze di economia processuale, l’imputazione diventa una ipotesi fluida nella disponibilità non solo dell’organo dell’accusa ma anche del giudice.

È chiaro come le soluzioni adottate dal legislatore si pongano in conflitto con principi che si ritenevano acquisiti.

Tra l’altro, tornando alle considerazioni espresse nella premessa, è verosimile che l’udienza predibattimentale sconterà gli stessi difetti dell’udienza preliminare e, lungi dal raggiungere gli obbiettivi di deflazione sperati, si risolverà in un ulteriore allungamento dei tempi processuali, nella perdita di quella immediatezza del giudizio che si voleva realizzare con il processo a citazione diretta, nella diminuzione dell’accesso a riti alternativi, nelle creazione di problemi pratici di rilievo quale il moltiplicarsi di situazioni di incompatibilità.

L’auspicio è quello che vi possa essere un ripensamento prima della prossima entrata in vigore della normativa.

 *Giudice del Tribunale di Genova