CONSIGLIO COSTITUZIONALE FRANCESE: NO ALLA VIDEO CONFERENZA IN MATERIA DI LIBERTÀ PERSONALE – DI AMEDEO BARLETTA
di Amedeo Barletta
Lo scorso 30 aprile il Consiglio costituzionale francese, con la decisione n. 2020-836 QPC, ha dichiarato contraria alla Costituzione, per la seconda volta in meno di un anno, la norma che consente la partecipazione mediante videoconferenza alle udienze relative alla decisione sulla detenzione cautelare.
Il Conseil constitutionnel è stato investito di una questione pregiudiziale di costituzionalità dalla Chambre criminelle della Corte di Cassazione transalpina.
La questione (decisione n. 2020-836 QPC) [1], ha riguardato la costituzionalità dell’articolo 706-71 del codice di procedura penale francese nella versione da ultimo riformata nel marzo 2019 e si iscrive in un ampio dibattito che ha visto il Consiglio costituzionale pronunciarsi più volte negli ultimi anni, introducendo una serie di limitazioni e di condizioni rispetto alla normativa che ha introdotto l’utilizzo delle tecnologie di telecomunicazione nell’ambito dei procedimenti penali.
Secondo il citato articolo 706-71 del codice processuale francese è infatti possibile fare ricorso a mezzi di telecomunicazione audiovisuale nel quadro di una procedura penale.
Nel caso di specie ad essere sospettato di incostituzionalità è stata la parte della disposizione francese che prevede l’utilizzo della videoconferenza per la comparizione della parte sottoposta alla misura custodiale dinanzi alla “chambre de l’instruction”, allorquando deve essere assunta una decisione sulla libertà personale.
Ovvero il riferimento è alle udienze relative allo stato detentivo in fase cautelare. In questi casi, secondo il consesso francese, l’esclusione della presenza fisica, senza il consenso della parte, è un sacrificio eccessivo per i diritti della difesa ed anche per il principio di non colpevolezza del soggetto non ancora condannato.
Il Consiglio costituzionale, ribadendo quanto deciso nella decisione del 20 settembre 2019 n. 2019-802-QPC[2], ha dichiarato che la norma, nella parte in cui consente che l’imputato, anche senza il suo esplicito consenso, appaia in videoconferenza dinanzi al giudice chiamato a decidere sulla sua detenzione nella fase cautelare, è incostituzionale in quanto viola il diritto a comparire fisicamente dinanzi al giudice, in tal modo incidendo negativamente sul diritto di difesa della parte detenuta.
Per il Consiglio costituzionale si tratta, dunque, di una limitazione eccessiva del diritto della parte ad un giudizio equo e a una difesa effettiva e ribadisce la propria posizione sottolineando l’importanza della garanzia che risiede nella presenza fisica dell’interessato davanti alla giurisdizione competente a decidere della legittimità della detenzione provvisoria o sulla richiesta di scarcerazione.
Si tratta, come detto, della seconda dichiarazione di incostituzionalità che in pochi mesi ha riguardato la norma del codice di rito transalpino che consente l’utilizzazione della videoconferenza nell’ambito del procedimento penale e vale la pena sottolineare come il Consiglio costituzionale in tal modo, ritornando sul tema, rimetta al centro del sistema penale la comparizione fisica come prima garanzia del soggetto detenuto al quale non può essere sottratto il rapporto fisico, e non mediato della tecnologia, con il giudicante, ritenendo eccessivamente penalizzante la possibilità di una partecipazione all’udienza mediante il sistema della videoconferenza.
La centralità riaffermata dai Sages (come vengono definiti i membri del Consiglio costituzionale) si coniuga altresì con le previsioni del diritto dell’Unione europea che, nella Direttiva 2016/343/UE del 9 marzo 2016 sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, all’articolo 8, par. 1, prevede il diritto dell’indagato e dell’imputato ad essere “presente” al proprio procedimento.
La decisione francese offre uno spunto di riflessione certamente interessante anche per il dibattito italiano laddove la scelta del legislatore, con la riforma del 146 bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, ha inteso privilegiare lo strumento della videoconferenza proprio partendo dalla posizione dell’imputato detenuto, privandolo in molti casi del diritto di presenziare al proprio processo, senza di contro aver affrontato tutta una serie di altre possibili ipotesi di utilizzazione delle nuove tecnologie nel processo penale.
Tale impostazione ha raggiunto il suo apice durante l’emergenza coronavirus mediante, da una parte, l’adozione di numerosi protocolli locali che hanno previsto per le stesse udienze di convalida dell’arresto la partecipazione a distanza del detenuto cui è stato in tal modo negato il diritto ad essere ascoltato in presenza dal giudicante responsabile della decisione in materia di libertà personale e, dall’altra, il tentativo del legislatore di imporre una generalizzata applicazione del processo da remoto anche, in una prima fase, prescindendo dal consenso dell’imputato e del suo difensore.
[1] Decisione n. 2020-836 QPC https://www.conseil-constitutionnel.fr/decision/2020/2020836QPC.htm
[2] Decisione n. 2019-802-QPC https://www.conseil-constitutionnel.fr/decision/2019/2019802QPC.htm