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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO E CONTENZIONE MECCANICA: ITALIA CONDANNATA PER VIOLAZIONE DELL’ART. 3 DELLA CONVENZIONE, SIA SOTTO L’ASPETTO SOSTANZIALE CHE PROCEDURALE – DI STEFANIA MANTELLI

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO E CONTENZIONE MECCANICA: ITALIA CONDANNATA PER VIOLAZIONE DELL’ART. 3 DELLA CONVENZIONE, SIA SOTTO L’ASPETTO SOSTANZIALE CHE PROCEDURALE – DI STEFANIA MANTELLI

MANTELLI – CEDU E CONTENZIONE MECCANICA.pdf

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO E CONTENZIONE MECCANICA: ITALIA CONDANNATA PER VIOLAZIONE DELL’ART. 3 DELLA CONVENZIONE, SIA SOTTO L’ASPETTO SOSTANZIALE CHE PROCEDURALE

di Stefania Mantelli*

Una analisi della sentenza emessa dalla Corte EDU il 7 novembre 2024 nel caso Lavorgna contro Italia, con riferimento al ricorso n. 8436/21, con nota di commento in calce.

 

  1. Il caso.

1.1 La vicenda.

Il ricorrente, nato nel 1995 a Segrate (MI), affetto da un disturbo psicotico non altrimenti specificato, con alle spalle altri tre ricoveri ospedalieri nel 2013 (con diagnosi di psicosi indotta da sostanze e abuso di sostanze) e un ricovero nel luglio 2014 (dopo aver minacciato la madre con un coltello), su raccomandazione del suo psichiatra, richiede, in data 30 settembre 2014, un ricovero volontario presso il presidio ospedaliero di Melzo (MI), versando in una situazione di crisi acuta non gestibile in regime ambulatoriale.

Il successivo 7 ottobre 2014, in occasione della vista dei genitori, chiede di essere dimesso. Gli psichiatri dell’ospedale dispongono altri quattro giorni di ricovero, stante la permanenza dei sintomi che avevano comportato il ricovero stesso e la necessità di dover previamente operare una rivalutazione della terapia psicofarmacologica in atto. A questa risposta, il ricorrente reagisce ponendo in essere una aggressione fisica nei confronti del padre e successivamente della madre (lesione del timpano) e del primario del reparto (frattura del naso), da ciò la determinazione di sottoporlo alla misura di contenzione meccanica (viene quindi tenuto a letto, bloccato ai polsi e alle caviglie) e la richiesta di un trattamento sanitario obbligatorio (vista l’insistente richiesta di essere dimesso), stante lo stato di agitazione psicomotoria e l’aggressività dimostrata verso gli altri.

Nei giorni seguenti, l’interessato risulta rabbioso e sembra non comprendere la gravità di quanto accaduto. Viene liberato dalla contenzione ad intermittenza, ma permane l’atteggiamento acritico rispetto alle aggressioni perpetrate. Viene annotata – sempre nel registro medico giornaliero – una prospettiva persecutoria rispetto alle relazioni interpersonali (dichiarandosi lui vittima di aggressioni e ingiustizie) ed il rischio di ulteriori comportamenti aggressivi in caso di mancate dimissioni. Nei giorni seguenti dimostra – a dire dei medici – un apparente pentimento che tenta di giustificare, però, col fatto di essere stato provocato. Si legge, nel registro, che sarebbe stato dimesso quando avesse dimostrato di essere più bravo a gestire i sentimenti di tensione e rabbia, soprattutto verso i genitori. Viene gradualmente liberato qualche arto, anche per muoversi, per l’igiene personale e per consentirgli di fumare e, inoltre, modificata la sedazione. Ricompaiono atteggiamenti aggressivi dopo la visita dei parenti del 13 ottobre, data in cui viene rinnovato il trattamento obbligatorio.

Il 14 ottobre due psichiatri presentano una segnalazione urgente di pericolosità sociale alla direzione sanitaria della struttura, alla Procura di Milano e ai Carabinieri, rappresentando l’aggressione perpetrata, peraltro in modo incontrollato e impulsivo, ed evidenziando la mancanza di una rivalutazione critica delle proprie azioni e la scarsa consapevolezza della gravità del gesto.

La relazione di segnalazione dei due psichiatri rileva l’esigenza primaria di garantire la sicurezza fisica degli altri pazienti e del personale, per cui si era resa necessaria la misura di contenimento fisico, che però non poteva gestirsi a lungo termine, risultando anche eticamente discutibile. Sollecitano, pertanto, il trasferimento del paziente, non potendo contenere le sue manifestazioni di pericolo sociale, per mancanza di competenze e di una struttura adeguata. I sanitari concludono con la richiesta di adozione di misure urgenti per consentire la prosecuzione dell’osservazione clinica in un contesto più appropriato.

Il giorno successivo viene cessato l’uso della contenzione e il 19 ottobre revocato l’ordine di trattamento obbligatorio. Il successivo 20 ottobre viene annotato che il paziente continua a essere sottoposto a sedazione farmacologica che dal 23 viene ridotta. Il 27 ottobre 2014 il sig. Lavorgna viene dimesso e, in stato di sedazione, trasferito in altro ospedale.

1.2 La denuncia.

Il 25 novembre 2015 il ricorrente presenta denuncia contro due medici dell’ospedale di Melzo per maltrattamenti, sequestro di persona e coercizione, causati dalla ingiustificata contenzione meccanica. Il denunciante sottolinea il periodo estremamente lungo di immobilizzazione forzata e arbitraria che, in quanto gravemente coercitiva, era stata attuata in modo inumano e degradante, fonte di una profonda sofferenza fisica e psicologica. Lamenta di non essergli stata garantita una adeguata mobilità e di essere stato privato per molti giorni del conforto dei familiari, essendogli state precluse le visite. Sostiene, quindi, che, nonostante la contenzione meccanica si possa utilizzare solo ove strettamente necessaria per scongiurare un pericolo di atti di autolesionismo e di danni a terzi, la misura adottata sia stata priva di qualsiasi proporzionalità, essendo durata otto giorni consecutivi e avendo interessato tutti gli arti, salvo momenti sporadici di libertà. Inoltre, specifica che la contenzione può essere applicata solo per gestire la contingenza e che cessato il pericolo non può dirsi giustificata, ragion per cui ritiene sia stata utilizzata a soli fini precauzionali, per prevenire un futuro potenziale rischio del ripetersi del comportamento aggressivo e per gestire un paziente difficile. Sottolinea a supporto di ciò che, solo in data 8 ottobre, aveva avuto un atteggiamento minaccioso e aggressivo nel chiedere di essere liberato dalle costrizioni e che successivamente risultava calmo e collaborativo. Rileva, inoltre, che non erano state poste in essere, prima della misura estrema, altre misure alternative e meno gravose e che sembrava piuttosto che detta misura fosse stata prorogata con uno scopo pedagogico, per indurlo a pentirsi delle proprie azioni.

  1. L’indagine.

Il 20 giugno 2016 la Procura presso il Tribunale di Milano nomina un consulente medico che conferma la necessità in concreto della adozione, in data 7 ottobre 2014, della contenzione, alla luce del gesto di violenza concretante una manifestazione molto grave di aggressività, evidenziando il rispetto dei requisiti di cui alle linee guida sulla contenzione del presidio ospedaliero in questione, ritenendo tuttavia “insolitamente prolungata” la contenzione meccanica che normalmente (nei protocolli e nelle linee guida) viene raccomandato di limitare il più possibile e di provare a ridurne la durata. In ogni caso, la persistenza della condizione psicotica, accompagnata da tendenze paranoiche, poteva far ritenere probabile la ripetizione della condotta aggressiva, per cui il consulente concludeva escludendo la negligenza e l’imperizia nella condotta dei medici, i quali, al più, avrebbero dimostrato un eccesso di interventismo e un eccesso di prudenza, specificando che gli psichiatri avevano, comunque, seguito le linee guida e i protocolli approvati dalla Regione Lombardia e utilizzati nel reparto psichiatrico.

2.1 La richiesta di archiviazione.

Il 7 febbraio 2019 il Pubblico ministero deposita una richiesta di archiviazione. Alla base della determinazione, tenuto conto delle linee guida della Società italiana di psichiatria secondo cui la contenzione meccanica può essere giustificata solo a fronte di un rischio concreto e imminente di violenza (sia come atto di autolesionismo che verso gli altri), riscontra, nel caso di specie, un rischio imminente di violenza derivante da una aggressione perpetrata a danno dei genitori e del personale medico e non un senso di rischio. Conclude, perciò, rilevando che le modalità di esecuzione della contenzione potevano dirsi adeguate e che erano state fatte valutazioni quotidiane, da cui rilevava la permanenza di una grave condizione psicotica, accompagnata da tendenze paranoiche.

2.2 L’opposizione alla richiesta di archiviazione.

Il 9 aprile 2019 il ricorrente presenta opposizione alla richiesta di archiviazione rilevando la laconicità delle argomentazioni rispetto alle doglianze mosse e la sostanziale adesione alle conclusioni tratte dal consulente medico, sottolineando che essa era intervenuta dopo ben tre anni e mezzo dalla denuncia penale. Lamenta, poi, che le conclusioni tratte non tenevano conto degli arresti giurisprudenziali della Suprema Corte che con la sentenza “Mastrogiovanni” n. 50497, emessa dalla V sezione penale il 20 giugno 2018, esclude la legittimità della contenzione meccanica a scopo cautelare, in quanto detta misura può essere praticata solo a fronte di una situazione concreta di pericolo evidente e attuale di danno grave per il paziente, da vagliare in modo accurato e dettagliato. Il caso, inoltre, non era stato approfondito, a suo dire, alla luce dei criteri indicati dalla Cassazione per la configurazione dello stato di necessità di cui all’art. 54 c.p. Lamenta, ancora, che l’attualità del pericolo non era stata vagliata sulla scorta di una valutazione del pericolo effettivo di danno grave, ma su “una base prudenziale e prognostica di una ripresa ipotetica e meramente possibile del suo stato di agitazione”, in quanto basata su un rischio futuro e incerto di una reiterazione del suo comportamento aggressivo ed in assenza di un pericolo imminente. Tale condizione era da ritenersi insussistente poiché era stata immediatamente somministrata una sedazione farmacologica e nei giorni successivi era stato descritto come calmo, seppur acritico rispetto alla condotta posta in essere. In aggiunta a ciò, sostiene che non era stata condotta alcuna indagine circa l’esistenza di un pericolo da qualificarsi attuale e giustificativo della permanenza delle condizioni della contenzione per otto giorni e che non erano state tentate strategie alternative in modo infruttuoso, risultando la contenzione come l’unica misura impiegata.

2.3 L’ordinanza di archiviazione.

Il GIP presso il Tribunale di Milano emette ordinanza di archiviazione del procedimento non riscontrandosi alcun errore nella pratica terapeutica adottata dai sanitari – come si evince dalla relazione tecnica – avendo gli stessi rispettato le linee guida e i protocolli applicabili al caso di specie e giustificandosi la durata del trattamento di contenzione per le condizioni non stabili del paziente, tenuto conto che la contenzione non poteva dirsi totale, risultando agli atti che gli arti uno alla volta sono stati lasciati liberi e che gli è stato consentito di curare l‘igiene personale e di fumare, senza restrizioni. Afferma poi il GIP che ritiene assolto il dovere di una valutazione quotidiana delle condizioni, da ciò desumendosi l’assenza di negligenza o superficialità, a fronte di un persistente stato di aggressività del paziente prima e dopo il ricovero che aveva portato ad una valutazione di pericolosità.

2.4 Quadro giuridico e prassi rilevanti.

Art. 13 Cost.; Art. 54 c.p.: art. 60 R.D. 16.08.1909 n. 615 (Regolamento sugli asili e sui malati di mente); Cass. V sez. pen. N. 50497 del 20.06.2018 (sentenza Mastrogiovanni); Protocollo applicabile presso l’Ospedale di Melzo; Codice di deontologia medica; Parere dal titolo “La contenzione problemi bioetici” del Comitato Nazionale per la Bioetica del 2015; XVI rapporto generale del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti e ulteriori standard adottati il 21.03.2017 sull’uso dei mezzi di contenzione negli Istituti psichiatrici per adulti; documento dell’ottobre 2020 pubblicato dal World Psychiatric Association intitolato “Position Statement and Call to Action: Implementing Alternative to Coercion: A Key Component of Improving Mental Health Care.

  1. Contestazioni oggetto del ricorso in rapporto all’art. 3 della convenzione.

Il ricorrente lamenta che la contenzione meccanica e il trattamento farmacologico applicati durante la sua permanenza in un reparto ospedaliero, nel contesto di un ricovero involontario, abbiano concretato maltrattamenti, in violazione dell’art. 3 della Convenzione; inoltre che non siano state svolte indagini efficaci sulle accuse mosse, come richiesto sempre dal medesimo articolo.

3.1 Valutazione circa l’ammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 35, par.1 della convenzione.

Per quanto concerne i rilievi del Governo circa il mancato assolvimento dell’obbligo di esaurimento dei ricorsi interni, ai sensi dell’art. 35, par. 1, in quanto il ricorrente avrebbe dovuto impugnare il provvedimento di ricovero ospedaliero coatto presso i Tribunali nazionali, la Corte rileva che, come sottolineato dal ricorrente, oggetto del ricorso non è il ricovero coatto in quanto tale, ma i maltrattamenti a cui sarebbe stato sottoposto durante detto ricovero, ragion per cui non può muoversi alcun rimprovero al ricorrente di non aver impugnato detta ordinanza.

Quanto all’eccezione secondo cui il ricorrente non avrebbe previamente avviato un procedimento civile ai sensi dell’art. 2043 c.c., la Corte ribadisce che davanti ad una richiesta ammissibile di maltrattamento ai sensi dell’art. 3 della Convenzione, la nozione di ricorso effettivo implica lo svolgimento di una indagine approfondita ed efficace, atta a condurre all’identificazione e alla punizione dei responsabili, per cui a tal fine un’azione di risarcimento danni non può costituire un rimedio effettivo da perseguire  ai fini dell’esaurimento delle vie interne.

Con riferimento poi alla necessità che, ai sensi degli artt. 412 e 413 c.p.p., il ricorrente avrebbe potuto chiedere al PM presso la Corte di appello di assumere la direzione delle indagini per dare loro una accelerazione, stimolandosi cosi un mero potere di controllo, ciò non rileva ai sensi dell’art. 35 della Convenzione.

A dire del Governo, il ricorrente avrebbe anche dovuto presentare ricorso ai sensi dell’art. 410 bis, co. 2, c.p.p. contro l’ordinanza di archiviazione del GIP.  Su tale fronte la Corte rileva che detta decisione non è suscettibile di contestazioni su questioni di fatto o su vizi della motivazione e avrebbe potuto essere impugnata solo per motivi di nullità di cui all’art. 127, co. 5, c.p.p. che sono di natura procedurale. Sul punto, poi, che con una impugnazione ai sensi dell’art. 410 bis c.p.p. il ricorrente avrebbe potuto sollevare la questione dell’insufficiente partecipazione all’inchiesta, poiché non era stato ascoltato, la Corte rileva che tale impugnazione avrebbe avuto rilevanza solo se il ricorrente avesse chiesto di essere ascoltato durante l’udienza a porte chiusa tenutasi successivamente alla richiesta di archiviazione e detta richiesta non fosse stata accolta; non avrebbe certo affrontato la doglianza di non essere stato ascoltato  nel corso delle indagini in una fase diversa dalla suddetta udienza.

  1. Argomentazioni presentate nel merito della misura di contenzione applicata in relazione all’art. 3 della Convenzione.

4.1 Osservazioni dei terzi intervenienti.

Alle argomentazioni sopra esposte, rappresentate dal ricorrente e dal Governo, devono aggiungersi le osservazioni dei terzi intervenienti.

Il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, L’altro diritto ODV, la Società della ragione ONLUS e la Fondazione Franca e Franco Basaglia hanno evidenziato i limiti giuridici entro cui potrebbe essere adottata la contenzione meccanica, rilevando però che non esiste una legislazione che detti una disciplina giuridica sul relativo utilizzo.

Hanno, quindi, concluso col dire che l’art. 54 c.p. può invocarsi solo in casi eccezionali, in cui si palesi un rischio oggettivo di danno grave imminente per il paziente o per altri e rifacendosi ai principi sanciti dalla sentenza Mastrogiovanni, per cui la contenzione meccanica può ritenersi giustificata quando la situazione di pericolo è attuale, escludendo la possibilità di una sua applicazione precauzionale o che possa essere un mezzo per supplire ad un’insufficienza di personale; né che possa essere utilizzata per scopi punitivi o pedagogici. Si è poi rilevato che è necessario evitare il protrarsi della contenzione per periodo lunghi, in quanto possono intervenire danni osteo-muscolari e complicanze tromboemboliche e stress post-traumatico, col rischio di essere esposti a violenze fisiche senza potersi difendere. Si è poi posto l’accento sulla circostanza che le regioni Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna hanno messo in campo strategie che eliminano completamente l’uso della contenzione meccanica nei servizi psichiatrici.

4.2 Valutazioni della Corte.

Il ricorso alla forza fisica nei confronti delle persone private della libertà, non resasi strettamente necessaria in relazione alla condotta posta in essere, svilisce la dignità umana e viola perciò l’art. 3 della Convenzione. La particolare vulnerabilità delle persone affette da malattie mentali deve essere tenuta in giusto conto nella valutazione se il trattamento sia compatibile con gli standard del predetto articolo 3, poiché la posizione di inferiorità e impotenza di queste persone richiede una maggiore vigilanza sul rispetto della Convenzione. L’utilizzo di misure di contenzione deve essere effettuato come ultima istanza, quando sia l’unico mezzo per prevenire danni immediati o imminenti al paziente stesso o a terzi. Devono, quindi, esservi garanzie adeguate contro gli abusi ed è necessario fornire una protezione procedurale sufficiente e il rispetto dei requisiti di necessità e proporzionalità, dando conto che tutte le altre misure possibili non siano riuscite a contenere il rischio di danni a sé e a terzi. Deve, inoltre, poter essere dimostrato che la misura coercitiva non sia stata prolungata oltre il periodo strettamente necessario al predetto scopo. Infine, deve adottarsi una stretta sorveglianza su detti pazienti e ogni uso della contenzione deve essere registrato.

4.2.1. Sulla decisione di ricorrere alla contenzione il 7 ottobre 2014.

Avendo in data 7 ottobre 2014 aggredito prima il padre e poi la madre, con uno schiaffo che le provocò una lesione al timpano, nonché il primario del reparto, al quale sferrò un pugno provocandogli la frattura del naso e trovandosi in uno stato di agitazione, rispetto al quale nulla avevano sortito i precedenti tentativi di sedazione, la Corte conclude stabilendo che la contenzione meccanica iniziale fosse strettamente necessaria per impedire al paziente di arrecare danno a se stesso e agli altri.

4.2.2. Sulla decisione di protrarre la misura restrittiva.

È necessario, quindi, soffermarsi sullo stabilire se la contenzione meccanica non si sia prolungata oltre il periodo strettamente necessario, in relazione alla possibilità di prevenire un danno immediato o imminente a se stesso o a terzi. Per quanto stabilito con la sentenza Aggerholm c. Danimarca, la Corte ha stabilito che affinché “un pericolo possa considerarsi imminente, deve essere specifico, presente e dimostrabile” e che un pericolo latente che possa manifestarsi in presenza di alcune condizioni o circostanze verificabili in seguito non può considerarsi sufficiente. Del resto, la Corte di Cassazione italiana ha specificato che non può ricorrersi alla contenzione meccanica in via precauzionale, specificando che l’attualità del pericolo deve essere concretamente provata, vagliando gli elementi oggettivi del caso di specie che il sanitario deve indicare in modo preciso. Aggiunge la Corte che la valutazione circa l’imminenza o l’immediatezza del pericolo di danno deve essere oggetto di valutazione frequente, ad intervalli brevi, durante l’esecuzione della misura.

Con riferimento all’indagine penale, nella richiesta di archiviazione, il PM non ha operato una valutazione sulla persistenza del pericolo e quindi sulle caratteristiche di imminenza e immediatezza dello stesso per tutta la durata della misura di contenzione, in quanto sul punto si è affidato alla relazione del consulente tecnico, circa le gravi condizioni psicopatologiche del ricorrente che lasciavano ritenere altamente probabile il rischio di recidiva del comportamento aggressivo che, quindi, giustificavano – a suo dire – l’applicazione per l’intero periodo.

La Corte, sul punto, ritiene che non ci sia stata da parte del GIP una valutazione adeguata circa l’attualità del pericolo, per tutti gli otto giorni in cui il ricorrente è stato sottoposto a limitazioni nel movimento e che il Giudice non abbia dato risposta a tutte le argomentazioni contestate dall’opponente. Sulla scorta della citata sentenza Mastrogiovanni, il GIP non ha dato conto se vi fossero concreti elementi da cui desumere la sussistenza di un pericolo imminente, piuttosto che meramente potenziale.

Ritiene, pertanto, la Corte che nell’indagine penale interna non siano state affrontate le questioni principali, per valutare se la proroga della contenzione fosse necessaria per prevenire un danno imminente o immediato al paziente o a terzi. Peraltro, non si era risposto alle doglianze dell’opponente che riteneva non fosse stata vagliata la possibilità di misure meno estreme, così da poter ritenere la contenzione come atto di ultima istanza. Lo stesso protocollo dell’ospedale specificava che detta misura poteva essere adottata solo se le altre tentate si erano dimostrate inefficaci e inappropriate.

Davanti alla mancanza di una legislazione specifica che definisca i limiti nell’uso della contenzione per i malati psichiatrici, i limiti al suo utilizzo possono individuarsi in una scelta adottata per necessità di difesa, di cui all’art. 54 c.p. A fronte di ciò, però, nel caso di specie, due medici avevano richiesto il ricovero in una struttura più adeguata (trattandosi di un soggetto pericoloso) e non essendo né competenti, né attrezzati per gestire casi del genere. Detta situazione faceva loro ritenere problematica la gestione a lungo termine del paziente in stato di contenzione e, comunque, eticamente discutibile la situazione.

Alla luce di ciò, la Corte ha concluso ritenendo che non sia stato sufficientemente dimostrato che la prosecuzione della misura di contenzione per un periodo lungo fosse strettamente necessaria e rispettasse la dignità umana del ricorrente e non lo esponesse, piuttosto, a dolore e sofferenza.

Detto ciò, per i Giudici di Strasburgo la contenzione meccanica iniziale del ricorrente era stata strettamente necessaria per impedirgli di arrecare danno a se stesso o ad altri, mentre il protrarsi della misura restrittiva, mantenuta per un periodo significativamente lungo, non era strettamente necessaria, per cui si era esposto il paziente a dolore e sofferenza ingiustificata. Per tali ragioni, è stata dichiarata la violazione dell’art. 3 della Convenzione, sotto l’aspetto sostanziale.

La Corte ha ritenuto, poi, di non doversi pronunciare sulla compatibilità della sedazione farmacologica somministrata con l’art. 3 della Convenzione, in quanto, avendo affrontato la questione giuridica principale sollevata, non ha ritenuto vi fosse motivo di esaminare il merito dell’ulteriore doglianza sotto l’aspetto sostanziale.

  1. Aspetto procedurale in relazione all’art. 3 della Convenzione.

Dopo aver sottolineato di essersi pronunziata più volte sulla necessità di svolgere indagini efficaci sulle denunce relative a trattamenti lesivi di cui all’art. 3, perpetrato da personale dello Stato, la Corte specifica che un’indagine per essere efficace deve essere adeguata ed in grado di condurre all’accertamento dei fatti e, quindi, a stabilire se la forza utilizzata sia o meno giustificata in base alle circostanze ed atta ad identificare i responsabili. Una indagine, pertanto, deve anche essere tempestiva e celere.

Nel caso di specie, la Corte rileva che dalla denuncia dei fatti alla richiesta di archiviazione erano trascorsi 3 anni e 4 mesi, in assenza di altri atti investigativi, fatta eccezione per la richiesta di documenti all’ospedale e per la consulenza tecnica. Ed anche la richiesta di archiviazione era intervenuta a distanza di due anni dal deposito della relazione, un lasso temporale non giustificato dalla corposità o complessità della relazione stessa.

Non risultano esserci stati, infatti, ostacoli o difficoltà nella conduzione delle indagini e una pronta risposta dell’autorità giudiziaria sui casi di maltrattamenti è necessaria per mantenere alta la fiducia nelle Istituzioni e per evitare che l’opinione pubblica possa pensare a collusione o tolleranza verso gli atti illeciti.

Risulta, pertanto, che l’indagine non si sia svolta in tempi ragionevoli e che non sia stata approfondita, non avendo dato risposta alle argomentazioni pertinenti dell’interessato, rappresentate sia con la denuncia che con l’opposizione all’archiviazione.

A seguito di ciò, la Corte ha ritenuto violato l’art. 3 della Convenzione anche nel suo aspetto procedurale oltre che sostanziale. Conclusivamente, in applicazione dell’art. 41 della Convenzione, ritenendo che il ricorrente abbia subito un danno morale, in via equitativa, ha riconosciuto la somma di € 41.600,00, nonché di € 8.000,00 a titolo di spese ed oneri.

  1. Considerazioni conclusive.

La sentenza in esame è di particolare rilevanza tanto per le statuizioni sugli aspetti procedurali attinenti alle indagini svolte e alle determinazioni assunte dall’Autorità giudiziaria, culminate nell’emissione di una ordinanza di archiviazione del caso, quanto per il merito della vicenda con riferimento alla misura della contenzione, entrambe in rapporto alla dichiarata violazione dell’art. 3 della Convenzione.

Per quanto concerne gli aspetti di natura procedurale, la sentenza rimarca che l’indagine conseguente ad una denuncia penale per essere efficace deve essere adeguata ed idonea a giungere ad un accertamento dei fatti e, quindi, nel caso di specie, a decidere se la forza posta in essere sia stata necessaria o meno in base alle contingenze, specificando ancora che per potersi dire efficace una indagine deve essere anche “tempestiva e celere”, nonchè atta ad individuare i colpevoli. Le indicazioni ed i richiami operati sono consolidati nella giurisprudenza della Corte edu, la quale si è espressa in tal senso anche nella valutazione di altri casi (Bouyid c. Belgio[1]). In entrambe le pronunce la Corte ha ribadito i predetti precetti, specificando ancora che la vittima deve essere messa nelle condizioni di partecipare in modo effettivo all’indagine e che essa non può dirsi approfondita laddove non si dia conto delle ragioni per cui si è ritenuto di dare maggiore credito alle allegazioni e argomentazioni del personale sanitario rispetto a quelle rappresentate dal ricorrente (Bures c. Repubblica Ceca[2]).

Tuttavia il particolare pregio della pronuncia in esame si rinviene nella valutazione della questione di merito, sul tema della contenzione meccanica nei confronti di una persona affetta da disturbi di natura psichiatrica.

Orbene, sul tema, la sentenza della Suprema Corte di Cassazione, c.d. Mastrogiovanni, ha affrontato in modo ampio, ma non esaustivo, la questione della contenzione. In base a quanto statuito, la contenzione non deve considerarsi una pratica di carattere sanitario, né un’attività medica, non avendo una finalità di carattere terapeutico; essa deve essere prescritta dal medico e quindi richiede la “valutazione del paziente, l’eventuale attuazione di azioni alternative e una valutazione prognostica”. Essa è una pratica eccezionale che può essere giustificata solo con il ricorso ai limiti in cui è riscontrabile lo stato di necessità, ex art. 54 c.p., in ordine alla attualità ed imminenza del pericolo di un danno a se stesso o a terzi, per cui la sua adozione contempla una rivalutazione continua da parte dei medici che si alternano nel corso del ricovero, di cui deve restare traccia in cartella clinica, così consentendo di poter dimostrare la sussistenza di quegli elementi che concretano lo stato di necessità[3]. In detta pronuncia, la Corte sottolinea, peraltro, che la prescrizione non può essere intesa come un ordine gerarchico rivolto agli infermieri e, quindi, che essi devono verificare la correttezza della contenzione, avendone un obbligo giuridico e deontologico. Specifica la Suprema Corte in detta sentenza che “in materia di contenzione del paziente psichiatrico, l’infermiere è titolare, ai sensi dell’art. 1 della legge 10 agosto 2000, n. 251 e del codice deontologico degli infermieri, di specifici obblighi giuridici autonomi rispetto a quelli del medico, essendo egli tenuto a verificare la legittimità della contenzione, affinché sia circoscritta ad un uso straordinario del trattamento, e a segnalare all’autorità competente eventuali abusi”.

La stessa tematica è stata affrontata dalla Corte edu nel caso Aggerholm c. Danimarca[4]. Il ricorrente, affetto da schizofrenia paranoide, lamentava la violazione da parte delle autorità danesi del divieto di trattamenti inumani o degradanti dell’art. 3 Cedu, in relazione alle misure di contenzione fisica applicate nei suoi confronti nell’ospedale psichiatrico ove era ricoverato in seguito ad una condanna penale. Sulla scorta della considerazione che le misure di contenzione implicanti la privazione della libertà personale devono applicarsi in ultima istanza, ove siano strettamente necessarie e commisurate al fine di prevenire un danno immediato o imminente al paziente o a terzi, i giudici di Strasburgo hanno ritenuto che l’immobilizzazione del ricorrente fosse stata inizialmente disposta rispettando tali parametri, ma che le autorità giudiziarie non avevano vagliato se anche il protrarsi di tale contenzione, per quasi ventitré ore, fosse strettamente necessaria per prevenire tale danno. La Corte ha perciò riconosciuto la violazione da parte delle autorità danesi dell’art. 3 Cedu.

Con la sentenza in esame, Lavorgna c. Italia, oggi in esame, si è compiuto un altro passo importante nella direzione di abbandonare la misura della contenzione, laddove non ci si trovi in casi di necessità assoluta, dimostrabile attraverso le annotazioni sulla cartella clinica del paziente, secondo una valutazione stringente delle prescrizioni dell’art. 54 c.p. Non può, infatti, essere una misura usata a scopo cautelare, e quindi precauzionale, ancor meno per scopi punitivi e/o pedagogici o adottata per carenza di personale, ma unicamente disposta per rispondere ad un pericolo concreto e imminente di gesti di autolesionismo o danni a terzi.

Con detta decisione, la Corte europea dei diritti dell’uomo stimola il legislatore italiano ad intervenire con una normativa specifica che tenga conto degli standard sul rispetto dei diritti umani, individuati dalla CEDU e delle linee guida del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura, sul presupposto che la contenzione non è un trattamento terapeutico, ma uno strumento di sicurezza, da utilizzare solo come extrema ratio e per un tempo quanto più possibile ridotto, poiché lesivo della dignità umana. Tale precetto è in linea anche con quanto statuito dalla Corte edu con la sentenza emessa dalla Grande Camera, nel caso Bouyid c. Belgio[5], in quanto “nei confronti delle persone private della libertà, il ricorso alla forza fisica che non si sia reso strettamente necessario, in rapporto alla condotta posta in essere, diminuisce la dignità umana e concreta la violazione del diritto tutelato dall’articolo 3 della Convenzione”.

Parimenti, la Corte edu sollecita anche una rivisitazione dei protocolli sanitari italiani poiché mancano regole precise sulla contenzione meccanica e farmacologica, atte a garantire una maggiore tutela dei diritti delle persone affette da patologie psichiatriche.

L’Italia, pioniera nell’abolizione dei manicomi, continua ad applicare misure coercitive, quali la contenzione fisica prolungata e sproporzionata, dimostrando una scarsa tutela giuridica anche nei trattamenti sanitari obbligatori all’interno delle strutture psichiatriche.

L’abuso della contenzione nel nostro Paese è emerso già nel rapporto del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura (Cpt) del 2023[6] che perviene alle medesime conclusioni dell’allora Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale.

L’attuale normativa in materia, c.d. “Legge Basaglia”, ha comportato, suo malgrado, il trasferimento dei metodi adottati nei manicomi in ambito ospedaliero, rimanendo inascoltate le indicazioni degli organismi internazionali. La Guida ai servizi di salute mentale basati sulla comunità, pubblicata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2021[7], ha sollecitato l’abbandono del modello biomedico-farmacologico e l’eliminazione delle procedure coercitive, in favore di maggiori misure di sostegno territoriale e dell’integrazione dei servizi di salute mentale. La guida in questione individua gli ambiti in cui è necessario intervenire e quindi la legislazione sulla salute mentale, la politica, la fornitura di servizi, il finanziamento, lo sviluppo della forza lavoro e la partecipazione della società civile, affinché i servizi di salute mentale siano conformi alla CRPD. In essa vengono portati gli esempi di quanto effettuato in Paesi come Brasile, Myanmar, India, Kenya, Norvegia, Nuova Zelanda e Regno Unito, in cui i servizi di salute mentale basati sulla comunità hanno dimostrato di essere in grado di superare le pratiche coercitive, coinvolgendo la comunità e rispettando il diritto delle persone di prendere decisioni sul loro trattamento. Vi sono, quindi, servizi di sostegno alle crisi, servizi di salute mentale forniti all’interno degli ospedali, servizi di prossimità e servizi di supporto fornito da gruppi di pari.

Anche l’Alto Commissario per i Diritti Umani presso le Nazioni Unite ha sollecitato l’abolizione delle misure coercitive e l’applicazione del CRPD (Convention on the Rights of Persons with Disabilities)[8]. Nel 2023, l’OMS e l’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani hanno pubblicato le comuni linee guida su “Salute mentale, diritti umani e legislazione”[9] impegnandosi a favorire un cambiamento radicale nel campo della salute mentale basato sul rispetto dei diritti umani, sul rispetto della capacità giuridica delle persone e sul favorire la consapevolezza di sé e l’autodeterminazione. In questa direzione, le raccomandazioni rivolte ai Governi sono molto chiare e tendono, per quanto di interesse, all’eliminazione degli abusi in ambito psichiatrico e, quindi, a vietare le misure non volontarie e le pratiche coercitive in quanto “violano il diritto di essere protetti dalla tortura o da trattamenti crudeli, inumani e degradanti”, specificando che la legislazione può contribuire a garantire che la tutela dei diritti umani sia alla base di tutte le pratiche adoperate nel settore della salute mentale.

Sul presupposto che sia opportuno definire idonee azioni programmatiche per la tutela della salute mentale, per garantire uniformità sul territorio nazionale, tanto del diritto alla cura che all’inclusione sociale, con la Conferenza Stato-Regioni del 2022[10] si è raggiunta una intesa al fine di implementare i flussi informativi sanitari e amministrativi in tema di salute mentale dell’infanzia e dell’adolescenza, prevedere standard organizzativi, quantitativi e qualitativi non solo a livello ospedaliero, superare la contenzione meccanica e avviare percorsi formativi idonei alle esigenze legate alla salute mentale, convenendo che le Regioni (e le province autonome) debbano intraprendere delle azioni programmatiche indirizzate al superamento della contenzione meccanica e al consolidamento di percorsi di cura mediante progetti alternativi rispetto a quelli comportanti il ricovero in REMS.

Orbene, finora, le indicazioni della comunità internazionale sono state ignorate o rimaste sulla carta come dichiarazioni di principio e buoni propositi, con scarsa applicazione pratica.

Si ha ragione, tuttavia, di credere che la sentenza di condanna dell’Italia possa portare ad una seria riflessione circa l’opportunità di una riforma delle pratiche adottate nei confronti dei malati psichiatrici che, in quanto soggetti vulnerabili, devono essere maggiormente tutelati dal nostro legislatore nazionale.

*Avvocato, componente Consiglio direttivo della Camera Penale “A. Cantàfora” di Catanzaro e componente Osservatorio Europa dell’Unione Camere Penali Italiane

[1] Corte EDU, Grande Camera, Bouyid c. Belgio, sentenza del 28 settembre 2015, nel caso n. 23380/09;

[2] Corte EDU, Bures c. Repubblica Ceca, sentenza del 18 ottobre 2012, nel caso n. 37679/08;

[3] Corte di Cassazione, sezione V, sentenza n. 50497 del 20.06.2018, c.d. Mastrogiovanni. E quindi sul punto, ai fini della sussistenza dello stato di necessità, idoneo a escludere la responsabilità per il delitto di sequestro di persona in capo ai medici e agli infermieri che abbiano posto o mantenuto un paziente psichiatrico in regime di contenzione, occorre accertare in modo rigoroso che: 1) la contenzione non sia stata applicata in via precauzionale; 2) gli imputati abbiano monitorato costantemente il paziente, dando conto in modo fedele delle sue condizioni nella cartella clinica; 3) non fosse possibile salvaguardare la salute del paziente con metodi alternativi; 4) detto presidio sia stato applicato nei limiti dello stretto necessario, verificando se fosse sufficiente il blocco di alcuni arti.

[4] Corte EDU, Aggerholm c. Danimarca, sentenza del 15 settembre 2020, nel caso n. 45439/18;

[5] Corte EDU, Grande Camera, Bouyid c. Belgio, sentenza del 28 settembre 2015, nel caso n. 23380/09 “la proibizione della tortura e pene o trattamenti inumani o degradanti è un valore di civiltà strettamente collegato con il rispetto della dignità umana” e sul punto “il rispetto della dignità umana fa parte dell’essenza stessa della Convenzione”.

[6] XVI rapporto generale del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti presso il Consiglio d’Europa del 24 marzo 2023;

[7] Guida ai servizi di salute mentale basati sulla comunità, pubblicata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità del 10 giugno 2021;

[8] Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (CRPD) e relativo Protocollo addizionale, adottati dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2006 (l’Italia ha sottoscritto il 30.03.2007).

[9] Linee guida OMS e Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani del 9 ottobre 2023;

[10] Linee di indirizzo per la realizzazione dei progetti regionali volti al rafforzamento dei Dipartimenti di Salute Mentale regionali del 28 aprile 2022 – Conferenza Stato, Regioni e Provincie Autonome (volta al superamento della contenzione meccanica e al rafforzamento dei percorsi di cura mediante la sperimentazione di progetti alternativi ai percorsi di ricovero in REMS);