“CRITICA DELLA RETORICA GIUSTIZIALISTA” – UNA BREVE RECENSIONE – DI FRANCESCO D’ERRICO
Un breve recensione del libro “Critica della retorica giustizialista” del Direttore Francesco Petrelli, scritta da Francesco d’Errico e pubblicata su Il Foglio del 3.08.22
Il giustizialismo consiste in una pulsione multiforme e trasversale. Da un lato non riconducibile a un preciso modello filosofico, politico o ideologico, dall’altro capace di restare sempre fedele a sé stesso, di avere un’identità riconoscibile, di mutare pur mantenendo inalterato il proprio lugubre apparato repressivo, seducendo e convincendo gran parte della comunità Questa capacità trasformativa, lungi dall’indebolirlo, gli ha permesso di rafforzare la sua presenza nell’opinione pubblica, fino a diventare, o tornare a essere, lo Zeitgeist. Non è un caso che Francesco Petrelli, noto penalista romano, già segretario dell’Ucpi e attualmente direttore della rivista Diritto di Difesa, nel suo Critica della retorica giustizialista abbia scelto di non cercare una definizione statica del giustizialismo. L’autore, infatti, ha piuttosto deciso di inquadrare e descrivere gli elementi essenziali del panpenalismo osservandoli da una prospettiva genealogica, non limitandosi a un’astratta analisi dell’argomento, ma tracciando un percorso lungo una linea precisa, direttrice e generatrice di ogni sua riflessione: la contrapposizione tra l’armamentario mitologico populista e il trinomio “umanità, razionalità, progresso”. Il giustizialismo per Petrelli è, innanzitutto, istintualità, impulsività, terreno fertile per le più svariate forme di bias e non solo; si tratta di una tendenza che affonda le radici “nella perdurante fascinazione di una intuizione primitiva che lega l’ordine della comunità e la salvezza del singolo all’esemplarità delle pene” e che rifiuta il confronto con le “indicazioni statistiche e le esemplificazioni empiriche in materia di pena e di sicurezza”. Sono i giorni nostri, quelli attraversati dal ritorno a una concezione della pena “come un valore in sé” e dal tentativo di affossare quel “sistema di garanzie volte a impedire che ogni cittadino e ogni essere umano venga trattato come un mezzo e non invece posto quale fine ultimo di ogni ordinamento che voglia dirsi civile”. Un’epoca, dunque, sì “postmoderna” e del “post-diritto” – in cui il principio di legalità si è sciolto come una qualunque sostanza solubile nell’imprevedibile soluzione liquida del creazionismo giudiziario – ma al tempo stesso una fase assimilabile a una temperie pre-illuministica, in cui l’equazione “più pena, più sicurezza” è ancora dominante. “La complessità del moderno mondo globalizzato”, però, non può trovare risposte “nella seduzione securitaria propria di un mondo trapassato”. La via da intraprendere per superare questo nuovo ordine giuridico medievale e “rifondare lo statuto del processo penale” è impervia. Petrelli, citando Cordero, avverte: se la barca è in balìa dei flutti, bisogna tornare al più presto “alla fatica dei remi”.