DALLA ULTRONEA MA CHIARA PREVEDIBILITÀ EUROUNITARIA-CONVENZIONALE ALLA RILEVANTE QUANTO DISSIMULATA PREVEDIBILITÀ “NOSTRANA” – DI ROBERTO RAMPIONI
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DALLA ULTRONEA MA CHIARA PREVEDIBILITÀ EUROUNITARIA-CONVENZIONALE ALLA RILEVANTE QUANTO DISSIMULATA PREVEDIBILITÀ “NOSTRANA”
di Roberto Rampioni*
Con l’avvento della legalità europea-convenzionale – a scapito della legalità interna-costituzionale – il principio di prevedibilità si rivela più confacente, meglio adattabile al “diritto vivente”, al contrario del principio di legalità, il quale – alla fine –non può che entrare in rotta di collisione con la norma di creazione giurisprudenziale. La prevedibilità intesa come prevedibilità della decisione non riesce a fungere da parametro di legittimità della norma in concreto applicata, con il rischio di applicare “norme”, più o meno consolidatesi nella giurisprudenza, frutto di procedimenti analogici in malam partem, lasciando pericolosamente pieno e libero ingresso al cd. diritto vivente; ad una norma, frutto della interpretazione creativa del giudice che, in spregio alle regole ermeneutiche basate sulla lettera della legge, non intende più il precetto, connotato da precisione e determinatezza, quale tipo criminoso capace di ricomprendere al proprio interno solo ed esclusivamente i fatti esprimenti un medesimo disvalore.
1. Pur nelle (già) varie accezioni, nel mondo penalistico, non si parla che di “prevedibilità” dell’esito del giudizio. Vien da chiedersi come sia stato possibile – e per quale apprezzabile arco temporale! – non pensare di fare ricorso ovvero rinunciare a tale “strumento”, ora, subitamente, eletto a principio.
La crisi dell’ormai (troppo) classico canone della “riserva di legge” ha portato a ravvisare nel principio di recente conio l’espressione, maggiormente in linea coi tempi, ma anche con i più ampi “spazi”, della legalità penalistica.
Con l’avvento della legalità europea-convenzionale – a scapito della legalità interna-costituzionale – il principio di prevedibilità si rivela più confacente, meglio adattabile al “diritto vivente”, al contrario del principio di legalità, il quale – alla fine –non può che entrare in rotta di collisione con la norma di creazione giurisprudenziale.
Il passaggio dal “tipo criminoso legale” al “tipo criminoso giurisprudenziale” – indice di un avvicinamento tra sistemi di civil law e sistemi di common law – risulta del resto favorito dalle interazioni fra diritto nazionale e diritto eurounitario-convenzionale, ordinamento questo governato da standards normativi di stampo casistico che, necessariamente, impongono giudizi discrezionali, forse meglio, flessibili.
Principio, comunque, ritenuto in grado di assolvere alla fondamentale “funzione di garanzia” propria del diritto penale.
Il crescente potere di “normazione” del giudice, pur determinando una flessione del tasso di formalità-precisione del sistema penale, verrebbe infatti “contenuto” dalla funzione “coerenziatrice”, prima ancora che tassativizzante, della giurisprudenza di Cassazione attraverso la formazione di “autorevoli precedenti”.
La moderna nomofiliachia, in ragione della nuova forza del vincolo del precedente, impone così di spostare l’indagine dal terreno della legalità della fonte alla legalità dell’interpretazione. “Ermeneutica giudiziale” che consentirebbe di approdare alla legalità effettuale del diritto vivente ed ermeneutica che riuscirebbe ad essere in linea con lo statuto assiologico della tipicità (genericamente intesa come accessibilità alla regula iuris), grazie alla formazione ed applicazione di regole metodologiche, deontologiche e procedurali condivise – seppure anch’esse flessibili – dalla comunità dei giuristi[1]; regole cui – appunto – la tecnica dell’ermeneutica giudiziale dovrebbe conformarsi.
2. Un simile ordine di idee, chiaramente ispirato alla teoria discorsiva elaborata da Habermas[2], forse proponibile sul piano dialettico-argomentativo, sul piano della prassi giudiziaria si rivela, per un verso, irreale, per l’altro, tutto meno che garantistico.
Argomentare che, in concreto, promuove ulteriormente l’idea di una magistratura sempre più “potere” piuttosto che “auctoritas” e che enfatizza la figura del giudice il quale, interpretando “liberamente” la disposizione, crea la norma del caso singolo[3]. Ed argomentare che per tale via, da un lato, entra in collisione con la stessa struttura ordinamentale descritta in Costituzione[4] e, dall’altro, vagheggia un apparato processual-penalistico informato ad una troppo ampia “discrezionalità” del magistrato; discrezionalità che non riesce a trovare i propri parametri di riferimento in canoni ermeneutici sempre vaghi ovvero in canoni deontologici sempre sprovvisti di sanzione; canoni, entrambi, frutto di un problematico processo di “flessibile condivisione” tra giudice di legittimità ed una non meglio individuata “comunità di giuristi”[5].
Ora, innanzitutto, se si intende parlare di prevedibilità della “decisione giudiziale”, intesa quale prevedibilità dell’esito processuale del giudizio, delle conseguenze penali della condotta ad esso esito collegabili, una simile prevedibilità è pura illusione! Come fondatamente si è inteso rilevare, è “un principio promettente e pieno di buone intenzioni, ma dai risultati operativi molto incerti e, soprattutto, potenzialmente capace di innescare processi erosivi delle nostre tradizioni costituzionali”[6].
Quali, in cosa consistenti la base, il parametro e l’oggetto del giudizio di prevedibilità?
La “base” è lo zoccolo duro su cui poggia il risultato decisorio e che, al contempo, consente di ritenere prevedibile tale esito. Per certo, nella prospettiva in esame, non la “disposizione”; ma quale “norma giurisprudenziale” può essere individuata, fissata come base? La sempre flessibile, comunque provvisoria in quanto fallibile, pronuncia della S.C. a Sezioni Unite? E, a tacer d’altro, come ci si regola per il cd. “caso zero” (inteso come il primo caso in cui si faccia applicazione di una lettura diversa della fattispecie rispetto a quella invalsa fino a quel momento: v. il cd. concorso esterno e la vicenda Contrada) ovvero nell’ipotesi, non infrequente, della coesistenza di interpretazioni evolutive diverse a Sezioni semplici. Il contrasto giurisprudenziale non comporta l’imprevedibilità della decisione, tutt’altro; potendo, tuttavia, essere risolto solo ex post, la prevedibilità delle conseguenze penali della condotta – come ritenuto dalle Sezioni Unite[7] – viene qui problematicamente “veicolata attraverso la nozione di errore di diritto incolpevole”, non in termini oggettivi, ma soggettivi come giudizio di superabilità-insuperabilità del dubbio, quale errore sul precetto? Ovvero ancora nell’ipotesi di mutamento sfavorevole di indirizzo giurisprudenziale, come avvenuto in tema di pornografia minorile senza che ci si ponesse il problema dei limiti temporali alla retroattività della “dilatazione” progressiva dell’ambito applicativo dell’art. 600-ter c.p.?
In difetto della praticabilità del ricorso individuale alla Corte costituzionale avverso interpretazioni analogiche contra reum[8], a ben poco vale la fissazione di regole interpretative di natura deontologica, la cui inosservanza potrebbe al più rilevare in sede di valutazione professionale del giudice. “Dubbio metodico” e “senso del limite” nell’attività interpretativa – nell’ottica del fondamentale principio dell’extrema ratio – non sono – come tristemente noto – le note caratterizzanti dell’operato del giudice; del giudice di merito, in particolare, al quale la cd. riforma Cartabia oggi assegna, improvvidamente, in una prospettiva “anticipatrice” della definizione del processo, poteri discrezionali ad amplissimo spettro; giudice: – non supportato sul piano organizzativo; – spesso non dotato di una scrupolosa informazione sul caso e dei precedenti in materia; – non infrequentemente affetto da “protagonismo” e “pre-comprensione”.
Quale, peraltro, il “parametro” del giudizio di prevedibilità? Due i possibili metri di riferimento per la formulazione del giudizio predittivo: l’uno soggettivo, modellato sull’agente concreto; l’altro oggettivo, esaurentesi nella valutazione della “norma” in sé considerata.
Ma se il secondo criterio conduce inesorabilmente all’annientamento del principio di prevedibilità, esaurendone la (solo) ritenuta portata innovativa; il primo, ritagliato sull’agente concreto (quali, peraltro, le caratteristiche da individuare per la costruzione del “modello”?), rischia una volta di più di far approdare la prevedibilità nella distinta sfera della colpevolezza.
Né, in ogni caso, è chiaro quale possa essere l’”oggetto” proprio del giudizio di prevedibilità, dal momento che nella decisione giudiziale rientra una serie varia e composita di elementi: l’affermazione o meno di responsabilità, la qualificazione giuridica del fatto, il trattamento sanzionatorio anche alla luce dell’applicazione delle circostanze, il riconoscimento o meno di cause di esclusione della punibilità. E se è chiaro che, analogamente a quanto avviene per il giudizio di colpevolezza, la prevedibilità riferita alle possibilità predittive del soggetto agente va circoscritta al generico carattere di antigiuridicità del comportamento tenuto, nella prospettiva della legalità l’esigenza della predeterminazione legale di tutti gli elementi che concorrono alla costituzione della decisione è notoriamente assoluta, così che il principio di prevedibilità si rivela non in grado di sostituirsi alle ben più ampie garanzie approntate dalla legalità tradizionale.
3. Ciò detto, va tuttavia sottolineato che, se, in effetti, nella giurisprudenza di Strasburgo la nozione di “prevedibilità” – inequivocabilmente quanto in modo del tutto ultroneo – è rapportata alla “decisione giudiziale”, ecco che sempre più spesso nella prassi interna viene surrettiziamente riferita alla “norma penale” da applicare al caso concreto: la prevedibilità non delle conseguenze penali, ma del “diritto penale giurisprudenziale” applicabile al caso concreto!
Posti di fronte – si assume – alla “incerta capacità ordinatoria della “legge””, occorre “assicurare il giusto equilibrio tra la dimensione parzialmente creativa e plurale del diritto vivente di matrice giurisprudenziale e l’interesse collettivo alla prevedibilità e uniformità delle soluzioni decisorie, nella proiezione costituzionale dei principi di legalità e di uguaglianza. A tal fine si avverte l’esigenza di un più pregnante controllo di razionalità della insostituibile operazione applicativa del giudice”, in forza della funzione “coerenziatrice” del precedente – per quanto fluido e fallibile – “al massimo livello dell’organo collegiale di vertice della giurisdizione ordinaria”.[9]
In un simile quadro di incertezza delle fonti legali, del resto, v’è chi considera: piuttosto che di prevedibilità della decisione giudiziale, “più corretto riferirsi alla prevedibilità del diritto penale, meglio se riferita alla norma penale, sintesi tra fattispecie legale e interpretazione stabilizzata della stessa”[10].
Ora, però, mentre con il termine “prevedibilità” si fa necessariamente riferimento ad un qualcosa di futuro, quale – appunto – la decisione giudiziale rispetto alla scelta di azione dell’individuo; se invece si intende far riferimento alla base legale, alla norma che regola la fattispecie concreta – così operando un richiamo ad un qualcosa che deve “pre-esistere” – allora si fa ricorso ad un termine, innanzitutto, improprio e sviante in luogo di quello corretto e di portata ben diversa: accessibilità, conoscibilità della norma.
Peraltro, pur nell’attuale temperie delle cd. trasformazioni della legalità (disposizione-norma; puntuale applicazione della legge-giudizi discrezionali in forza di standards normativi di taglio casistico), la prevedibilità intesa come prevedibilità della decisione giudiziale – alla luce di quanto già detto – non riesce a fungere da parametro di legittimità della norma in concreto applicata, con il rischio (e di grado elevato come dimostra l’esperienza della corruzione cd. sistemica ante riforma o del falso in bilancio valutativo post riforma) di applicare “norme”, più o meno consolidatesi nella giurisprudenza, frutto di procedimenti analogici in malam partem, erroneamente scambiati per interpretazione teleologica e, in realtà, fondati sulla valorizzazione di una solo pretesa ratio della norma[11].
Detto diversamente, correlando la prevedibilità ad una “base legale” che può essere individuata anche “fuori” dal tipo legale, si lascia pericolosamente pieno e libero ingresso al cd. diritto vivente; ad una norma, frutto della interpretazione creativa del giudice che, in spregio alle regole ermeneutiche basate sulla lettera della legge, non intende più il precetto, connotato da precisione e determinatezza, quale tipo criminoso capace di ricomprendere al proprio interno solo ed esclusivamente i fatti esprimenti un medesimo disvalore.
*Avvocato del Foro di Roma, Ordinario di Diritto Penale all’Università di Tor Vergata
I In argomento G. Canzio, Legalità penale, processi decisionali e nomofilachia, in Sistema penale, 2022. V. anche E. Lupo, Sistema delle fonti, diritto giurisprudenziale e legalità penale, in Cass. pen., 2022, 404 s.
[2] G. Canzio, op. cit., 16: “Questa concezione procedurale s’ispira alla teoria discorsiva elaborata da J. Habermas, per cui, come ogni attore pubblico, anche il giudice esercita con la decisione un <<agire comunicativa orientato all’intesa>>: la sentenza non parla soltanto alle parti, ma anche agli altri giudici, alla dottrina e alla pubblica opinione. Per il filosofo tedesco, il definitivo tramonto della certezza giuridica in senso materiale suggerisce di ridefinirla in senso procedurale, nell’orizzonte della Diskursethik, basata sulla forza degli argomenti e non sugli argomenti della forza>>.
[3] Sul tema, in generale, S. Cassese, Il governo dei giudici, Bari-Roma, 2022.
[4] C. Cost., sent. n. 115 del 2018; C. Cost., sent. n. 98 del 2021. In argomento, V. Manes, Sui vincoli costituzionali dell’interpretazione in materia penale (a margine della recente giurisprudenza della Consulta), in Riv. it. dir. proc. pen.., 2021, 1233 s.; R. Rampioni, Ragioni di giustizia vs. divieto di analogia in malam partem. Il richiamo all’ordine del giudice costituzionale, in Diritto difesa, 2022.
[5] Rileva significativamente G. Canzio, op. cit., 16, al riguardo: “Particolarmente eloquente appare, innanzitutto, il fondamento etico e culturale del protocollo procedurale sui rapporti discorsivi fra Corti e giudici…Lungi dal postulare una sorta di immobilismo giuridico gerarchicamente e inammissibilmente dettato da un’istanza superiore, esso – com’è reso palese dalla mancata previsione di sanzioni di qualsiasi natura, processuale o disciplinare, in caso d’inosservanza – si limita a vincolare l’istanza inferiore a conformarsi all’autorevole precedente (che non ha dunque la veste di <<binding precedent>>) laddove difettino valide argomentazioni a sostegno del dissenso, oppure a riaprire il discorso intorno ad esso con migliori e nuovi argomenti, nell’ottica della costruzione condivisa di un opposto e più autorevole precedente>>.
[6] F. Palazzo, Considerazioni minime sulla prevedibilità della decisione giudiziale (tra miti, illusioni, pragmatismi), in Cass. pen., 2022, 941 s.
[7] Cass. pen., Sez. Un., 24 ottobre 2019-3 marzo 2020, n. 8544, in Cass. pen., 2020, 2259 s.: “Può dunque concludersi che la Corte europea ha ricondotto al principio di legalità convenzionale quella nozione di prevedibilità che la giurisprudenza costituzionale italiana aveva già riconosciuto, pur se correlata al principio di colpevolezza in termini altrettanto funzionali per la garanzia del cittadino …”
[8] R. Bartoli, Nuovi scenari della legalità penale, tra regole ermeneutiche, giustizialità dell’analogia e mutamento sfavorevole, in Sistema penale, 2022.
[9] G. Canzio, op. cit., 15.
[10] Sul tema v. F. Consulich, Così è (se vi pare), Alla ricerca del volto dell’illecito penale tra legge indeterminata e giurisprudenza imprevedibile, in Sistema penale, 2020.
[11] In argomento, più in generale, R. Rampioni, Diritto penale, Scienza dei limiti del potere punitivo, 2020, 91.