LA E-JUSTICE (Brevi note in tema di giusto processo penale telematico) – DI FEDERICO FEBBO
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LA E-JUSTICE
Brevi note in tema di giusto processo penale telematico
di Federico Febbo *
(Il presente contributo è tratto dai lavori del Seminario di studi in modalità webinar “Giusto Processo Penale telematico e Giudizio d’Appello” organizzato, in data 4 febbraio 2023, dalla Camera Penale di Palermo)
Su un profilo della riforma sussiste un generale riconoscimento, che ne segna la portata storica: essa introduce, per la prima volta nel nostro Ordinamento, il principio generale della “digitalizzazione del processo penale” rispetto al quale, quindi, sussiste un prima ed un dopo la riforma Cartabia.
On one profile of the reform there is general recognition, which marks its historic significance: it introduces, for the first time in our legal system, the general principle of the “digitalization of the criminal process” with respect to which, therefore, there is a before and after the Cartabia reform.
Sommario: 1. Una breve premessa in chiave politica. -2. Il Processo Penale Telematico. -3. La e-justice. -4. L’atto processuale penale come documento informatico. -5. Il deposito telematico -6. Il fascicolo informatico. -7. La valenza sussidiaria dell’analogico in caso di malfunzionamento dei sistemi informatici. -8 Modifiche consequenziali e disciplina transitoria -9. Il capitolo delle risorse.
- Una breve premessa in chiave “politica”
La riforma cd. Cartabia è foriera di contrapposte valutazioni critiche, anzitutto in chiave politica.
Infatti, mentre la parte sostanziale è oggetto di un generalizzato apprezzamento da parte sia degli operatori pratici (Magistratura ed Avvocatura) che (enfatizzando) della migliore Dottrina, sussiste il timore di una sua interpolazione da parte dell’attuale maggioranza politica, fondato sulla consapevolezza che se il baricentro del nuovo emiciclo sanzionatorio poggia su un architrave non carcero centrico, quale quello delle sanzioni sostitutive, esso è espressione di un’ingegneria culturale tendenzialmente antagonista a quella cui pare ispirarsi il nuovo Esecutivo, orientato ad un generale inasprimento della risposta sanzionatoria penale e ad una sua utilizzazione in chiave securitaria (quanto meno sulla base dei primi passi mossi in tema di ergastolo ostativo e di incriminazione del cd. rave party).
La parte processuale, invece, è oggetto di una valutazione globalmente negativa da parte dell’Unione delle Camere Penali Italiane e la critica si appunta, anzitutto, sull’introduzione della giustizia riparativa nella fase di cognizione, la quale rappresenta un concreto vulnus al principio di presunzione di non colpevolezza ed alla funzione cognitiva del processo penale
Più in generale, è tutta la riforma processuale ad essere contraddistinta da un connotato di natura penitenziale ed efficientista e ad essere costruita sulla figura di un imputato già colpevole: la previsione di possibili mediazioni e sconti premiali, in cambio di pentimento e collaborazione, stridono infatti con il principio del contradditorio quale miglior metodo euristico per l’accertamento della verità processuale e con i criteri epistemologici che innervano l’attuale codice di rito, a trazione tendenzialmente accusatoria.
In particolare la giustizia cd. riparativa, applicabile prima ancora ed indipendentemente dall’accertamento del fatto storico, pare rispondere ad un’esigenza parossistica, orientata alla deflazione del carico processuale ed all’efficientamento del sistema.
Ma ancor prima desta non poche perplessità la circostanza che una riforma così ampia del processo penale sia stata dapprima veicolata da una legge delega approvata con l’apposizione di una doppia questione di fiducia, giustificata dalla necessità di conseguire gli obbiettivi tracciati dal PNRR, per cui non c’è stata alcuna discussione parlamentare sui temi della riforma.
Successivamente è stata attuata con decreti legislativi varati da un esecutivo dimissionario, la cui operatività era limitata agli affari correnti, tra i quali è arduo comprendere una riforma sistemica di così ampio respiro.
Sullo sfondo un equivoco di fondo: il PNRR non è mai menzionato nel Next Generation EU, il quale traccia solo alcuni macro obiettivi agli Stati membri, lasciandoli liberi di determinare le concrete modalità con cui raggiungerli.
Tuttavia non è revocabile in dubbio che sussiste un generale riconoscimento su un profilo della riforma, che ne segna in qualche modo la portata storica: essa introduce, per la prima volta nel nostro Ordinamento, il principio generale della “digitalizzazione del processo penale” rispetto al quale, quindi, sussiste un prima e un dopo la riforma Cartabia.
- Il Processo Penale Telematico
Uno dei giunti cardanici della legge delega, infatti, è l’introduzione del Processo penale telematico (deinde Ppt) e la sua implementazione nella massima espansione possibile, attraverso un’innovativa ed organica disciplina della formazione, deposito, notificazione e comunicazione degli atti (digitali), finalizzata all’efficientamento del processo penale e ad una più celere definizione dei procedimenti giudiziari, motivata anche dalla volontà politica di non “perdere” gli effetti benefici di alcune scelte emergenziali (a dire il vero obbligate) effettuate dal Legislatore della pandemia e fondate sull’impiego massiccio degli strumenti digitali quale presupposto essenziale per il buon funzionamento del processo[1].
È tuttavia necessario distinguere due profili che frequentemente sono sovrapposti.
Un tema è la digitalizzazione del processo, da intendersi quale introduzione del Ppt, che va indubbiamente accolta con favore ed implica la formazione, fin dall’origine dell’accertamento penale e, quindi, a partire dalla notizia criminis, del fascicolo penale digitale, che è il nuovo contenitore degli atti nativi digitali in cui si sviluppa ogni stato e grado del Ppt.
Il riferimento è alla cd. e-justice ed al processo penale cd. paperless, espressioni evocative della “gestione informatica del dato giudiziario, dal momento della redazione della notitia criminis fino alla fase definitoria del processo ed all’eventuale esecuzione della pena” [2].
Altro e distinto tema è il processo penale da remoto, da intendersi quale utilizzazione ed implementazione della rete digitale per imporre il processo penale a distanza.
Il riferimento è alla cd. remote-justice, che si pone in tensione con alcuni principi fondamentali del diritto penale liberale e del giusto processo, quali l’oralità e l’immediatezza nel contraddittorio “in presenza” delle parti, scolpiti dagli artt. 24 e 111 Cost. nonché dall’art. 117 primo comma Cost. in relazione all’art. 6 CEDU, tema che non è oggetto di approfondimento in questa sede (sia consentito rinviare ad un significativo documento, elaborato dall’osservatorio Corte costituzionale della UCPI durante il periodo di lockdown, in tema di possibili eccezioni di illegittimità costituzionale della disciplina del processo da remoto[3]).
- La e-justice
Affrontando il tema della digitalizzazione del processo non è necessario approfondire in questa sede le implementazioni interne apportate alla dotazione infrastrutturale del cd. “Dominio Giustizia”, termine con il quale si fa riferimento all’intelaiatura digitale nella quale si innesta il Ppt, quali il SICP (Sistema Informativo della Cognizione Penale) e gli applicativi collegati, come il TIAP (Trattamento Informatico Atti Penali), gli “Atti e Documenti” digitali o la “Consolle del Magistrato”.
Piuttosto si rileva che le utilità che la comunità forense deve pretendere dal Ppt devono essere speculari a quelle assicurate dal Processo Civile Telematico (deinde Pct), che si è dimostrato in breve tempo un utile strumento tecnico di interazione tra il giudice e le altre parti processuali, che possono operare da remoto dal proprio ufficio o studio professionale e ridurre drasticamente gli accessi “fisici” agli uffici giudiziari.
In tal senso, sarà possibile parlare di un Ppt in senso stretto solo quando avremo una esaustiva normazione dei suoi elementi costitutivi quali:
– il carattere nativo del formato digitale, che va distinto dalla cd. scannerizzazione del fascicolo cartaceo (che consiste nella traduzione in byte di un atto in formato analogico), operazione che non consente un’attività essenziale allo svolgimento del Ppt: l’indicizzazione degli atti (prodromica ad ogni attività di ricerca, visualizzazione ed implementazione del fascicolo digitale);
– il fascicolo telematico, quale contenitore degli atti nativi digitali ed il deposito telematico, quale strumento di veicolazione dei medesimi all’interno del primo;
– la possibilità di accedere agli atti ed ai documenti del fascicolo penale (anche) da parte di utenti esterni, che si traduce nella bidirezionalità delle trasmissioni dei dati in modo da consentire alle parti private di esercitare i propri poteri e facoltà con le stesse modalità innovative consentite al pubblico ministero ed al giudice: facendo un esempio tratto dall’esperienza giudiziaria, avremo un Ppt solo quando l’ufficio del pubblico ministero presenterà in via telematica una richiesta di misura cautelare alla cancelleria del giudice per le indagini preliminari e quest’ultimo depositerà la relativa ordinanza in un fascicolo telematico che, ad ordinanza eseguita, sarà accessibile da remoto al difensore, il quale potrà eventualmente impugnare il provvedimento con un’istanza di riesame, anch’essa depositata telematicamente, con conseguente trasmissione del fascicolo telematico al tribunale distrettuale del riesame e via di seguito per ogni stato e grado del procedimento;
A tal fine, il d.lgs. n. 150 ha introdotto un nutrito gruppo di previsioni volte ad attuare la digitalizzazione del processo penale (cui si è mostrata precedentemente refrattaria il diritto vivente sia in tema di notificazioni che di deposito degli atti[4]) secondo i criteri direttivi contenuti nell’art. 1 comma 5 della legge delega, che ha posto le premesse per una generale informatizzazione del processo penale nell’auspicio di sfruttare i vantaggi potenziali, in termini di efficienza, promessi dall’innovazione tecnologica e di espugnare la sacralità del formato analogico.
- L’atto processuale penale come documento informatico
Primo pilastro del Ppt è l’art. 6 comma 1 lett. a) del d.lgs. n. 150, che ha sostituito interamente l’art. 110 del cod. proc. pen. ed ha introdotto il principio generale per cui l’atto deve, tendenzialmente, nascere ed essere conservato in modalità digitale.
Ove sia stabilita la forma scritta, infatti, «gli atti del procedimento penale sono redatti e conservati in forma di documento informatico» a condizione che ne siano garantiti determinati requisiti essenziali quali l’autenticità, l’integrità, la leggibilità, la reperibilità, l’interoperabilità e, quando indicato dalla legge, la segretezza (primo e secondo comma). Fanno eccezione gli atti che «per loro natura o per specifiche esigenze processuali non possono essere redatti in forma di documento informatico», per i quali l’ufficio che li ha formati o che li ha ricevuti è tuttavia onerato della conversione «senza ritardo» dalla forma analogica alla copia informatica (terzo e quarto comma).
La disposizione, tuttavia, si inserisce nel novero delle disposizioni sprovviste di sanzioni, ergo non assistite dalla previsione di termini a pena di decadenza ovvero di altre patologie.
Comunque è introdotto il primo principio cardine della e-justice, eversivo del formato analogico, per cui l’atto nativo digitale è, di regola, la modalità obbligatoria di configurazione dell’atto penale, il quale dovrà nascere ed essere conservato in forma di documento informatico.
Si tratta di un principio di digitalizzazione nativa, destinato a “rottamare” il pregresso sistema di digitalizzazione derivata (limitato alla trasformazione in files digitali, mediante scansione, di atti redatti in forma analogica) con cui il Legislatore delegato ha attuato nella massima espansione ermeneutica possibile il criterio di delega, che nell’incipit recava unicamente il riferimento alla mera facoltà della formazione digitale degli atti (“possono”): per l’effetto, è stata attribuita la massima legittimazione all’impiego dell’atto digitale, con la previsione dell’atto nativo digitale quale modalità obbligatoria di configurazione degli atti.
I requisiti dell’atto nativo digitale, come anticipato, sono l’autenticità (per cui si esige l’utilizzazione di sistemi di firma digitale o elettronica certificata), l’integrità, la leggibilità (per cui l’atto deve essere consultabile anche mediante software gratuiti e open source in linea con quanto previsto, in via generale, dall’art. 68 del Codice dell’Amministrazione digitale), la reperibilità (intesa quale libera accessibilità dell’atto) e la segretezza (assicurata dall’adozione di tecnologie crittografiche).
È stato interpolato anche il successivo art. 111 del codice di rito, allo scopo di adattare la sottoscrizione e la data degli atti alla nuova regola di formazione in modalità digitale: i nuovi commi 2-bis e 2-quater stabiliscono, per la redazione digitale dell’atto informatico, l’impiego della firma digitale o di altra firma elettronica qualificata.
Quanto alle ipotesi residue di atto analogico, la novella chiarisce che è sufficiente, laddove sia richiesta la sottoscrizione, la firma di propria mano (a meno che non sia disposto diversamente).
- Il deposito telematico
Secondo principio cardine del Ppt, introdotto per il deposito telematico di atti, memorie, richieste e documenti, è il regime di obbligatorietà ed esclusività del ricorso alle modalità telematiche in ogni stato e grado del procedimento (nuovo art. 111-bis cod. proc. pen primo comma), cui è correlata l’esigenza della «certezza, anche temporale, dell’avvenuta trasmissione e ricezione nonché l’identità del mittente e del destinatario» (secondo comma).
In linea con quanto previsto dalla norma che precede, siffatto regime tollera eccezione in relazione agli atti e documenti che «per loro natura o per specifiche esigenze processuali, non possono essere acquisiti in copia informatica» (terzo comma) quali, esemplificativamente, un testamento olografo (rispetto alle quali appare indispensabile il mantenimento della forma analogica) ed in relazione agli atti compiuti personalmente dalle parti: quest’ultima eccezione è opportunamente finalizzata a presidiare l’effettività dell’accesso alla giustizia e del diritto di difesa ai soggetti privi di sufficiente alfabetizzazione digitale o della disponibilità di adeguati strumenti di accesso alla rete digitale i quali, pertanto, potranno continuare a depositare atti e documenti in formato analogico.
Tuttavia, del tutto irragionevolmente, l’eccezione non è stata estesa alla persona offesa la quale, in linea con l’ermeneusi più rigorosa del diritto vivente, è esclusa dal novero di “parte” processuale in senso stretto, con l’effetto di rilevanti criticità in relazione agli atti che la persona offesa voglia compiere personalmente e non sia in grado di fare o depositare a causa dell’assenza di mezzi tecnologici idonei o di adeguata alfabetizzazione digitale.
Completa la disciplina generale sul deposito telematico l’interpolazione della disciplina che governa i termini processuali: l’art. 172 del codice di rito, nell’ottica di favorire l’esercizio del diritto di difesa, prevede ora che il termine di deposito (in un ufficio giudiziario) di atti e documenti con modalità telematiche si consideri rispettato se l’accettazione da parte del sistema interviene entro le ore 24 dell’ultimo giorno utile (nuovo comma 6-bis) mentre, laddove dal deposito decorrano termini per lo svolgimento di specifici adempimenti da parte degli uffici giudiziari si prevede, onde evitare che «la loro decorrenza abbia inizio nei giorni festivi o (se si tratta di termini previsti ad horas) in orari di chiusura degli uffici», che laddove il deposito telematico avvenga fuori dall’orario dell’ufficio i termini «si computano (salva diversa disposizione) dalla data della prima apertura immediatamente successiva dell’ufficio» (nuovo comma 6-ter ).
Un breve ma significativo cenno meritano le modifiche apportate alla normativa sul deposito degli atti di impugnazione: la novella, come è noto, ha abrogato il comma 2 dell’art. 582 e l’art. 583 cod. proc. pen. e, interpolando l’art. 582, ha prescritto la regola generale dell’obbligatorietà del deposito telematico, fatta salva la facoltà per le parti private di continuare ad avvalersi delle modalità tradizionali costituite dalla presentazione personale del gravame nella cancelleria del giudice a quo, anche a mezzo di incaricati. Il problema, come è noto, è che il nuovo art. 582 cod. proc. pen. è destinato ad entrare in vigore a partire dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei regolamenti previsti per la disciplina del processo penale telematico (art. 87) mentre gli artt. 582 comma 2 e 583 cod. proc. pen. sono abrogati con efficacia immediata, con l’effetto di rendere eccessivamente penalizzanti per l’imputato le modalità di deposito degli atti di impugnazione: tuttavia il governo, su sollecitazione della UCPI, attraverso l’inserimento di un nuovo art.87-bis ha prorogato sino all’entrata a regime della nuova disciplina del Ppt, la disciplina emergenziale inerente alla proponibilità dell’atto di impugnazione a mezzo di posta elettronica certificata[5].
La nuova disciplina supera definitivamente il diritto vivente il quale, sulla base di un atteggiamento formalistico, aveva sempre negato la possibilità di depositare gli atti di impugnazione tramite strumenti informatici con l’effetto, da valutare con favore, che la digitalizzazione del procedimento comporterà un importante risparmio di tempi e di energie alle parti.
Si sottolinea, incidentalmente, che la disciplina inerente al deposito degli atti di impugnazione va letta unitamente alla riforma del processo in absentia (nuovo comma 1-quater dell’art. 581 cod. proc. pen.) in base alla quale il difensore dell’imputato assente è legittimato ad impugnare la sentenza solo se munito di specifico mandato rilasciato dopo la data di emissione della pronuncia della sentenza impugnata: per l’effetto, all’atto di impugnazione depositato digitalmente va allegata anche la procura speciale autenticata dal difensore, recante data successiva a quella di emissione della sentenza impugnata.
Si tratta di una interpolazione che ha incontrato feroci critiche da parte dell’avvocatura in chiave di limitazione al diritto di difesa, per cui il Legislatore ha innestato una forma di tutela “compensativa”: l’ampliamento di quindici giorni del termine per impugnare e l’estensione del rimedio della restituzione in termini per impugnare a beneficio dell’imputato giudicato in assenza, a condizione che fornisca la prova di non aver avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo e di non aver potuto proporre impugnazione nei termini senza sua colpa (nuovo comma 2.1 dell’art. 175 cod. proc. pen.).
Strettamente connessa è la regola che prescrive alle parti private ed ai difensori di depositare con all’atto d’impugnazione, a pena d’inammissibilità, la dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio, onerando le parti dell’indicazione del luogo ove ricevere le notificazioni (nuovo comma 1-ter dell’art. 581 cod. proc. pen.).
- Il fascicolo informatico
Terzo pilastro del Ppt è l’introduzione del fascicolo informatico.
È innestato un nuovo art. 111-ter cod. proc. pen., rubricato «fascicolo informatico e accesso agli atti» il quale statuisce (primo comma) che «i fascicoli informatici del procedimento penale sono formati, conservati, aggiornati e trasmessi nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente il fascicolo informatico in maniera da assicurarne l’autenticità, l’integrità, l’accessibilità, la leggibilità, l’interoperabilità nonché l’agevole consultazione telematica».
La disposizione prescrive, altresì, in linea con quanto dettato dal citato art. 110 cod. proc. pen., la conversione senza ritardo dei residuali atti e documenti analogici nella forma digitale con eccezione, naturalmente, delle ipotesi in cui ciò non sia possibile «per loro natura o per specifiche esigenze processuali»; in tale evenienza, è previsto che il fascicolo informatico contenga un elenco di tali atti e documenti (comma 3).
Infine, in linea con l’esperienza mutuata dal Pct, è previsto che le copie informatiche degli atti e dei documenti analogici debbano considerarsi equivalenti agli originali anche se mancanti della firma digitale di attestazione di conformità all’originale (comma 4).
Non è revocabile in dubbio che la facilità e rapidità di trasmissione del fascicolo telematico promette di risolvere una delle principali cause dell’irragionevole durata dei procedimenti: la dilatazione dei “tempi di attraversamento” dei fascicoli dall’udienza preliminare al giudizio dibattimentale e, soprattutto, dal primo grado al giudizio di appello.
- La valenza sussidiaria dell’analogico in caso di malfunzionamento dei sistemi informatici
Chiude l’ambiziosa riforma la disciplina dettata in ipotesi di malfunzionamento dei sistemi informatici.
Il malfunzionamento dei Domini del Ministero della giustizia deve essere certificato «dal direttore generale per i servizi informativi automatizzati del Ministero della giustizia (deinde DGSIA), attestato sul portale dei servizi telematici del Ministero della giustizia e comunicato dal dirigente dell’ufficio giudiziario, con modalità tali da assicurarne la tempestiva conoscibilità ai soggetti interessati» (comma 1 del nuovo art. 175-bis cod. proc. pen.) con indicazione della data, e, laddove risulti, dell’orario dell’inizio e di fine del malfunzionamento (comma 2).
Il malfunzionamento di un ufficio a livello locale, invece (non certificabile quindi dal DGSIA) deve essere accertato ed attestato dal dirigente dell’ufficio giudiziario il quale è onerato anche di comunicarlo con mezzi idonei a garantire la tempestiva conoscibilità della data e, ove possibile, dell’orario di inizio e di fine del medesimo (comma 4): in entrambi i casi, durante l’arco temporale del malfunzionamento dei sistemi informatici, è previsto il deposito con modalità non telematiche degli atti e dei documenti redatti, eccezionalmente, in formato analogico (comma 3) ed è sancito, per effetto del rinvio operato agli artt. 110 comma 4 e 111-ter comma 4 cod. proc. pen., l’obbligo in capo all’ufficio giudiziario di provvedere alla celere conversione degli atti nella forma digitale.
Infine, laddove un termine previsto a pena di decadenza scada nel segmento temporale interessato dal malfunzionamento senza che l’interessato lo abbia rispettato (pur potendo valersi della modalità di deposito non digitale) si prevede che «il pubblico ministero, le parti private e i difensori sono restituiti nel termine quando provino di essersi trovati, per caso fortuito o forza maggiore, nell’impossibilità di redigere o depositare tempestivamente l’atto» con modalità non telematiche (comma 5 dell’art. 175-bis cod. proc. pen.).
- Modifiche consequenziali e disciplina transitoria
Onde evitare che l’introduzione immediata della e-justice comportasse difficoltà operative e organizzative, con il concreto pericolo di determinare una paralisi dell’attività giudiziaria, il d.lgs. n. 150 ha introdotto (art. 87) «disposizioni transitorie in materia di processo penale telematico» al fine di garantire un graduale periodo di transizione digitale e di delineare l’infrastruttura che costituirà il contenitore del Ppt: il portale telematico.
È demandato ad un decreto del Ministro della giustizia, da emanarsi entro il 31 dicembre 2023 l’individuazione, sentiti il CSM e il CNF, degli uffici giudiziari e delle tipologie di atti per cui sono consentite anche modalità non telematiche di deposito, comunicazione o notificazione nonché le scansioni temporali verso il nuovo processo telematico.
Sempre ad un decreto del Ministro della giustizia, da adottarsi entro il 31 dicembre 2023, «sentito il Garante per la protezione dei dati personali», è affidato il compito di predisporre le previsioni tecniche concernenti i depositi, le comunicazioni e le notificazioni telematiche assicurando, in ogni caso, la «conformità al principio di idoneità del mezzo ed a quello della certezza del compimento dell’atto» (art. 87 comma 1).
È prevista, infine, la facoltà di adottare ulteriori regole tecniche con atto dirigenziale del DGSIA (art. 87 comma 2).
Sussiste un riferimento, infine, alla disciplina emergenziale per cui, fino al quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione dei regolamenti od al diverso termine stabilito dal decreto (art. 87 comma 6) continuano ad applicarsi l’art. 24 commi 1-3 d.l. 28 ottobre 2020 n. 137 convertito, con modificazioni, nella l. 18 dicembre 2020, n. 176: il rinvio a tali previsioni implica, pertanto, la persistenza dell’obbligo, in tale arco temporale, di depositare memorie, documenti, richieste e istanze di cui all’art. 415-bis comma 3 cod. proc. pen. o gli ulteriori atti individuati da decreti del Ministro della giustizia tramite il già esistente portale del processo penale telematico.
Sino al medesimo termine continua, inoltre, a operare l’art. 164 disp. att. cod. proc. pen.
9. Il capitolo delle risorse
Entro il 2023 è previsto il raggiungimento di alcuni obbiettivi nella transizione digitale, quali:
– l’espansione completa del Pct nel procedimento di legittimità, ai Giudici di pace ed ai tribunali per i minorenni;
– il Ppt di primo grado (con esclusione dell’udienza preliminare), con l’introduzione del portale telematico;
– una banca dati giurisprudenziale gratuita e ad accesso libero (tramite sistemi di autenticazione quali Spid);
– l’operatività delle video registrazioni.
Entro il 2026 è prevista la realizzazione del cd. data lake Giustizia, ovvero un repository destinato all’archiviazione, analisi e correlazione di dati strutturati e non strutturati in formato nativo e la digitalizzazione di circa dieci milioni di fascicoli giudiziari degli ultimi dieci anni.
La Corte dei conti ha recentemente evidenziato «come la digitalizzazione del processo richieda investimenti significativi in termini sia di hardware che di software» e che «la realizzazione delle infrastrutture dedicate, la progettazione, i continui aggiornamenti, la manutenzione e, non ultima, la formazione, richiedono la disponibilità di risorse adeguate alla complessità del sistema e di carattere non estemporaneo in quanto inserite in un più ampio quadro di programmazione»[6].
Ebbene l’evocato programma pluriennale di “transizione digitale”[7] ha subito un taglio delle risorse finanziarie pari, nel prossimo triennio, a circa cinque milioni di euro, mentre il programma dei “servizi di gestione amministrativa per l’attività giudiziaria” (gestito dal Dipartimento degli Affari di Giustizia), è stato tagliato per un importo di poco superiore al milione di euro (ancorché la legge di bilancio 2023 autorizzi la Ragioneria generale dello Stato a riassegnare allo stato di previsione del Ministero della giustizia, nell’ambito della missione “Giustizia”, le somme versate ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio a seguito di convenzioni stipulate dal Ministero con enti pubblici e privati oppure derivanti da contributi, rimborsi e finanziamenti).
Pertanto, le risorse disponibili ai due programmi destinati alla digitalizzazione degli uffici giudiziari sono state significativamente ridotte proprio in coincidenza della transizione digitale, che ne esigerebbe la massima implementazione e nonostante i timori, agitati costantemente dalla Politica, di non riuscire a centrare gli obbiettivi imposti dal PNRR.
Un deja vu della nostra democrazia, esposta ormai ad un regime che è stato definito di post-verità, nel quale «ciascuno può ritagliarsi la propria cornice interpretativa per la propria collezione di fatti dentro la propria bolla comunicativa»[8].
* Presidente della Camera Penale di Prato, Componente dell’Osservatorio Corte Costituzionale UCPI
[1] Cfr. art. 83 d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27 ed art. 24 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176.
[2] B. Galgani, Il processo penale paperless: una realtà̀ affascinante, ancora in divenire, in Dimensione tecnologica e prova, a cura di Luparia, Marafioti, Paolozzi, Torino, 2019, p. 249.
[3] Osservatorio Corte Costituzionale Unione Camere Penali Italiane, Appunti sulle possibili eccezioni di illegittimità costituzionale in ordine alla disciplina del processo da remoto, in www.camerepenali.it., 12 maggio 2020
[4] Cfr., Cass pen.., Sez. 1, 15 settembre 2020 n. 28540, Santapaola, Rv. 279644 in tema di inammissibilità del ricorso per cassazione trasmesso a mezzo posta elettronica certificata; Cass. pen., Sez. 2, 16 maggio 2017 n. 31336, P.M. in proc. Silvestri, Rv. 270858 e Cass. pen., Sez. 1, 28 gennaio 2015, n. 18235, Livisianu, Rv. 263189 (in tema di deposito telematico, rispettivamente, di memorie e istanze); Cass. pen., Sez. 4, 23 gennaio 2018, n. 21056, D’Angelo, Rv. 272740 (in tema di deposito a mezzo pec di un’opposizione a decreto penale di condanna). Cfr., tuttavia, le timide aperture della giurisprudenza più̀ recente, quale, ad esempio, Sez. 6, 25 settembre 2019, dep. 2020, n. 2951, Di Russo, Rv. 278127: «Le parti private non possono effettuare comunicazioni, notificazioni ed istanze mediante l’utilizzo della posta elettronica certificata, fermo restando che, non essendo le stesse irricevibili, possono essere prese in considerazione dal giudice se poste alla sua attenzione. (Fattispecie relativa ad istanza di rinvio per legittimo impedimento avanzata a mezzo PEC dal difensore di fiducia dell’imputato)». In dottrina cfr., sul punto, F. Cerqua, La difesa non può̀ comunicare con la posta elettronica certificata: osservazioni critiche, in Dir. pen. proc., 2019, 5, 690.
[5] Si allude a quanto stabilito dall’art. 24 del d.l. 28 ottobre 2020 n. 137, convertito dalla l. 18 dicembre 2020, n. 176, che prevedeva l’invio dell’atto di impugnazione anche tramite posta elettronica certificata fino alla data prorogata del 31 dicembre 2022.
[6] Delibera n. 53/2022/G della Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato – Obiettivi di efficientamento e risultati conseguiti dall’introduzione del processo civile telematico (2016-2020).
[7] Programma di transizione digitale, analisi statistica e politiche di coesione /Uso delle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni nell’azione amministrativa – D.lgs. 82/2005 art. 12.
[8] M. Adinolfi, Hanno tutti ragione? Post-verità, fake news, big data e democrazia, Ed. Salerno, Roma, 2019.