IL DIRITTO DI DIFESA, QUESTO SCONOSCIUTO: IL CASO DEI CRIPTOFONINI E DEGLI ORDINI EUROPEI DI INDAGINE – DI LADISLAO MASSARI
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IL DIRITTO DI DIFESA, QUESTO SCONOSCIUTO: IL CASO DEI CRIPTOFONINI E DEGLI ORDINI EUROPEI DI INDAGINE
di Ladislao Massari*
Da circa due anni è sorta una complessa questione processuale in merito ai dati dei cd. criptofonini, nata dalla massiva acquisizione in fase di indagini di esiti di attività di polizia svolta oltralpe. Una disanima del percorso giurisprudenziale dell’ultimo biennio e la sua conseguenza: un diritto di difesa ineffettivo, vuoto e compresso tra formante giurisprudenziale e necessità di garantire con immediatezza la uniformità dei giudizi futuri.
Da circa due anni la giurisprudenza di merito prima e poi copiosamente quella di legittimità, è stata posta difronte ad una complessa questione processuale, nata dalla massiva acquisizione in fase di indagini di esiti di attività di polizia svolta oltralpe[1]: veniva infatti decrittata una enorme quantità di messaggi trasmessi attraverso le piattaforme criptate Encrochat e Sky ecc.
La garanzia (almeno nelle originarie intenzioni) di assoluta inviolabilità ed impenetrabilità delle predette piattaforme aveva ragionevolmente allettato anche la criminalità organizzata, sempre alla ricerca di spazi franchi di comunicazione ed al riparo da attività captative degli investigatori. Tale promessa indecifrabilità per le forze dell’ordine delle comunicazioni intercorrenti su piattaforme dedicate aveva comprensibilmente indotto allo scambio di messaggi di contenuto illecito senza dover ricorrere al linguaggio criptico o al consueto lessico in codice.
L’intervento inaspettato degli inquirenti (attraverso una delle più estese e complesse attività di indagine europea degli ultimi anni) determinava l’efficace “violazione” del sistema di comunicazioni criptate e generava l’acquisizione contestuale di milioni di messaggi e di informazioni, utili alle indagini in numerosi paesi europei e dunque anche in Italia.
Ma quali strumenti utilizzare per l’acquisizione e la utilizzazione di tali dati e con quali garanzie?
La giurisprudenza di merito prima e di legittimità poi, ha inizialmente sposato la tesi della piena utilizzabilità del contenuto delle predette chat attraverso il richiamo al disposto dell’art. 234 bis c.p.p.[2] (salvo un timido arresto di segno parzialmente difforme – stranamente non massimato – che richiamava la necessità di garantire alla difesa l’accesso alla documentazione relativa all’attività di indagine svolta all’estero per un compiuto contraddittorio[3]), nel mentre venivano profilandosi interpretazioni differenti a livello costituzionale e sovranazionale.
Dapprima con la sentenza della Corte Costituzionale n°. 170 del 2023 (nel noto caso Renzi) si è chiaramente ritenuto che i messaggi su chat telefoniche o posta elettronica rientrassero nel concetto di corrispondenza. Tanto in linea con la interpretazione della giurisprudenza convenzionale: “la Corte europea dei diritti dell’uomo non ha avuto infatti esitazioni nel ricondurre nell’alveo della «corrispondenza» tutelata dall’art. 8 CEDU anche i messaggi informatico-telematici nella loro dimensione “statica”, ossia già avvenuti (con riguardo alla posta elettronica, Corte EDU, sentenza Copland, paragrafo 44; con riguardo alla messaggistica istantanea, Corte EDU, sentenza Barbulescu, paragrafo 74; con riguardo a dati memorizzati in floppy disk, Corte EDU, sezione quinta, sentenza 22 maggio 2008, Iliya Stefanov contro Bulgaria, paragrafo 42). Indirizzo, questo, recentemente ribadito anche in relazione a una fattispecie del tutto analoga a quella oggi in esame, ossia al sequestro dei dati di uno smartphone, che comprendevano anche SMS e messaggi di posta elettronica (Corte EDU, sentenza Saber, paragrafo 48)” (così nella sentenza del Giudice delle Leggi citata).
La Consulta richiamava dunque significativamente decisioni della Corte Europea dei diritti dell’uomo nella perimetrazione delle tecniche comunicative “moderne” delle chat all’interno della nozione classica di corrispondenza e della conseguente estensione della tutela della specifica libertà fondamentale.
Quell’indirizzo interpretativo di legittimità che andava dunque consolidandosi nel solco della prova documentale ex art. 234 bis c.p.p., subiva una brusca battuta di arresto con due sentenze “gemelle” adottate dalla Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione[4], in dichiarato contrasto con l’indirizzo interpretativo prevalente.
Con le citate decisioni si segnalava come fosse del tutto inapplicabile l’art. 234 bis c.p.p. ove riferito all’apprensione occulta del contenuto archiviato in un server ovvero al sequestro di dati ivi memorizzati o presenti in supporti informatici. Si ponevano peraltro complessi problemi interpretativi rispetto alla competenza a decidere per l’ordine europeo di indagine avente ad oggetto l’acquisizione dei predetti dati, nel richiamo alla nota decisione della CGUE del 2021[5] che aveva profondamente inciso sulla procedura acquisitiva dei tabulati telefonici, evocando il requisito di proporzionalità e necessità e la competenza esclusiva dell’autorità giurisdizionale.
Peraltro, per una interessante coincidenza, sempre il 26 ottobre 2023 venivano rese note le conclusioni dell’Avvocato Generale nel procedimento all’epoca pendente innanzi alla CGUE a seguito della questione pregiudiziale posta dal Tribunale del Land di Berlino in ordine alle condizioni per l’emissione di un ordine europeo di indagine ed al trasferimento di prove già in possesso di un altro Stato membro.
Procedimento poi conclusosi con la recente sentenza della CGUE del 30 aprile 2024, Grande Sezione – C-670/22.
Ma tornando alle tormentate vicende interpretative della Corte di Cassazione, a seguito delle richiamate due sentenze gemelle della Sesta Sezione Penale ed il relativo “orientamento dissenziente”, dopo pochi giorni la Terza Sezione Penale[6], dovendosi ancora una volta pronunciare sulla medesima materia (sempre su ricorso cautelare ex art. 311 c.p.p.) ed a fronte di una specifica richiesta difensiva di sottoporre alla CGUE una analoga questione pregiudiziale rispetto a quella tedesca già pendente, attivava il meccanismo previsto dall’art. 618 c.p.p.. Si leggeva così nella ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite che “si ritiene, pertanto, tenuto conto delle diverse impostazioni giurisprudenziali riferite che sussiste, dunque, una duplice questione di diritto che pare idonea a dare luogo ad un contrasto giurisprudenziale che, ai sensi dell’art. 618, comma 1, c.p.p., considerata anche la particolare rilevanza della questione, come dimostrato dalla non esigua messe di pronunce, non sempre uniformemente orientate, che si sono succedute in breve tempo sulla materia, giustifica la rimessione del ricorso alle Sezioni Unite di questa Corte…”.
L’urgenza di una decisione del massimo consesso dell’organo di nomofilachia era attestata dalla immediata fissazione da parte del Primo Presidente dell’udienza del 29 febbraio 2024.
Ma nella tecnica decisoria che ricorre alla rimessione alle Sezioni Unite ex art. 618 c.p.p. è consueta l’indicazione di un orientamento velatamente “preferito” dalla sezione rimettente rispetto alle questioni giuridiche controverse; ed anche la Terza Sezione Penale, dopo aver ricostruito l’orientamento prevalente e quello dissenziente (delle due decisioni della Sesta Sezione Penale precedentemente citate), ricordava “per completezza informativa, che successivamente alla decisione di questa suprema Corte di rimettere il presente ricorso alle Sezioni Unite e nelle more della redazione della presente ordinanza sono state depositate due sentenze della VI Sezione penale” che sostanzialmente ritornavano all’applicazione del disposto dell’art. 234 bis c.p.p., ovvero aderivano all’indirizzo interpretativo maggioritario.
Nel frattempo così gli ulteriori procedimenti pendenti in Cassazione ed aventi sempre ad oggetto la medesima tematica, venivano rinviati a nuovo ruolo in attesa dell’autorevole intervento interpretativo provocato dall’ordinanza di rimessione.
Ma prima ancora dell’udienza del 29.02.2024, sempre la Sesta Sezione Penale[7], dopo aver anticipato l’udienza originariamente fissata proprio per il 29 febbraio 2024 “onde consentirne l’esame in data precedente all’udienza delle Sezioni Unite… nella quale verrà trattata l’ordinanza di rimessione adottata dalla Terza Sezione penale, con riferimento ad un ricorso nel quale si sollevano questioni affini in tema di acquisizione e utilizzo di chat su piattaforma Sky ECC oggetto di OEI inviati dall’Italia alla Francia”, decideva di formulare nuovi quesiti da sottoporre sempre alle Sezioni Unite.
Continuando però ad escludere “invece la configurabilità della fattispecie processuale di cui all’art. 234 bis c.p.p.”, così prendendo ancora una volta posizione in adesione all’indirizzo minoritario già espresso dalle precedenti due sentenze “gemelle” della stessa sezione.
Anche in questo caso veniva individuata l’udienza del 29 febbraio 2024, con assegnazione al medesimo giudice relatore.
Ma ciò che appare più interessante in questa sede notare è che pressoché tutti i ricorsi di legittimità pendenti che proponevano questioni analoghe venivano rinviati a nuovo ruolo, in attesa delle due decisioni delle Sezioni Unite.
E tuttavia, trattandosi nella maggior parte dei casi di ricorsi cautelari, al rinvio del giudizio di legittimità non poteva certo seguire analogo rinvio del giudizio di cognizione, in considerazione dei termini di fase delle misure cautelari; di modo che si giungeva alla inevitabile conseguenza della possibile ineffettività del ricorso cautelare di legittimità posto che la decisione del giudizio di primo grado rendeva del tutto inutile la decisione ex art. 311 c.p.p. In caso di assoluzione, nulla quaestio sulla libertà personale; in caso di condanna, avrebbe operato il principio di “assorbimento” che – come noto – non consente la valutazione della gravità indiziaria in presenza di una intervenuta sentenza che accerti l’esistenza del reato e la responsabilità dell’imputato.
Ma il rinvio delle decisioni pendenti è – tranne sporadiche eccezioni[8] – proseguito anche nei giorni successivi al 29 febbraio 2024, allorquando pure venivano rese note le informazioni provvisorie in ordine all’esito decisorio dei due procedimenti innanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Si attendevano infatti le motivazioni, in mancanza delle quali le singole sezioni preferivano rinviare la trattazione dei ricorsi inerenti il medesimo tema.
Né ancora, a fronte della sentenza della CGUE del 30 aprile 2024 disponibile nella sua motivazione (e con l’efficacia vincolante in ordine alla interpretazione delle disposizioni esaminate erga omnes nell’ambito dell’Unione Europea), si è comunque ritenuto di poter decidere i ricorsi in subiecta materia, non potendosi prescindere dal testo delle attese sentenze delle Sezioni Unite.
Si è dunque in presenza di un emblematico caso di tecnica decisoria del giudice di legittimità fondata sulla forza del precedente e sulla vincolatività delle decisioni delle Sezioni Unite, che ci avvicina sempre più ai sistemi di common law.
Al di là delle articolate soluzioni che il testo delle due sentenze, anche queste gemelle, delle Sezioni Unite della Suprema Corte[9] restituisce agli operatori del diritto, come interagiscono in questo così peculiare contesto il diritto di difesa, il principio di prevedibilità delle decisioni giudiziarie ed il c.d. formante giurisprudenziale?
In un contesto fisiologicamente incerto di una fattispecie penal-processuale non ancora oggetto di una stabile opera normatrice della giurisprudenza, come si declina il diritto di difesa nella dimensione della prevedibilità delle decisioni giudiziali?
Perché potrà in questa sede rimandarsi alla più completa analisi della articolata motivazione delle autorevoli sentenze delle Sezioni Unite[10] e delle soluzioni interpretative fornite ai vari quesiti emergenti dalle tre ordinanze di rimessione; in questa sede invece ci si vuole esclusivamente soffermare sull’aspetto peculiare della verifica del rispetto dei “diritti fondamentali”, particolarmente del diritto di difesa.
Non vi sarebbe così violazione del diritto di difesa nella preclusione all’accesso all’algoritmo utilizzato nell’ambito del sistema di comunicazioni per “criptare” il contenuto delle stesse; osserva la Corte: “Ed infatti, se è vero che la disponibilità dell’algoritmo di criptazione è funzionale al controllo dell’affidabilità del contenuto delle comunicazioni acquisite al procedimento, deve però osservarsi, in linea con quanto evidenziato da numerose decisioni, che il pericolo di alterazione dei dati non sussiste, salvo specifiche allegazioni di segno contrario, in quanto il contenuto di ciascun messaggio è inscindibilmente abbinato alla sua chiave di cifratura, per cui una chiave errata non ha alcuna possibilità di decriptarlo, anche solo parzialmente (cfr., tra le tante: Sez. 6, n. 46833 del 26/10/2023, Bruzzaniti, non mass. sul punto; Sez. 6 n. 48838 dell’11/10/2023, Brunello, non mass. sul punto; Sez. 4, n. 16347 del 05/04/2023, Papalia, non mass. sul punto; Sez. 1, n. 6364 del 13/10/2022, dep. 2023, Calderon, non mass. sul punto)”.
Per le Sezioni Unite anche la giurisprudenza sovranazionale confermerebbe che l’indisponibilità dell’algoritmo non costituisca di per sé violazione dei diritti fondamentali e comunque, quale emblematica considerazione di chiusura, “resta fermo che l’onere dell’allegazione e della prova dei fatti da cui desumere la violazione dei «diritti fondamentali» grava sulla parte interessata”, ovvero sull’indagato. Peraltro nell’accertamento del rispetto dei diritti fondamentali avrebbe valenza il principio di presunzione relativa di conformità dell’attività svolta dall’autorità giudiziaria estera nell’ambito dei rapporti di collaborazione ai fini dell’acquisizione della prova; ancora una volta è onere della difesa di allegare e provare il fatto dal quale dipenda la violazione denunciata.
Presunzione che troverebbe espressa previsione nella direttiva 2014/41/UE, ed in particolare nel Considerando 19, per cui: “La creazione di uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia nell’Unione si fonda sulla fiducia reciproca e su una presunzione di conformità, da parte di tutti gli Stati membri, al diritto dell’Unione e, in particolare, ai diritti fondamentali. Tuttavia, tale presunzione è relativa. Di conseguenza, se sussistono seri motivi per ritenere che l’esecuzione di un atto di indagine richiesto in un o.e.i. comporti la violazione di un diritto fondamentale e che lo Stato di esecuzione venga meno ai suoi obblighi in materia di protezione dei diritti fondamentali riconosciuti nella Carta, l’esecuzione dell’o.e.i. dovrebbe essere rifiutata”.
Ed ancora si è affermato che “Per quanto riguarda il rispetto dei «diritti fondamentali», poi, la qualificazione degli atti consegnati dall’autorità̀ giudiziaria francese in esecuzione di o.e.i. come documenti, specie se costituiscono “corrispondenza”, comporta l’esigenza di specifica attenzione a profili “contenutistici” degli stessi. Ad esempio, un principio generale, in materia di tutela di diritto di difesa, positivizzato nel sistema italiano dall’art. 103 cod. proc. pen., è quello del divieto di sequestro e di ogni forma di controllo della «corrispondenza» tra l’imputato ed il suo difensore, salvo il fondato motivo che si tratti di corpo del reato”. Ed ancora si ribadisce, come un mantra, che “Resta fermo, ovviamente, che l’onere dell’allegazione e della prova in ordine ai fatti da cui desumere la violazione dei «diritti fondamentali» grava sulla parte interessata”.
La Suprema Corte, nel tracciare il perimetro di ciò che “non” costituisce violazione dei diritti fondamentali, precisa ancora che è consentita l’acquisizione dei dati da parte del pubblico ministero senza alcuna autorizzazione del giudice per il procedimento in cui si intendano utilizzare detti dati, posto che l’intervento del giudice si è già avuto a monte; né ancora può parlarsi di violazione dei diritti fondamentali nella massiva acquisizione di “un’ampia mole di dati relativi al traffico ed all’ubicazione, concernenti comunicazioni elettroniche”, posto che la giurisprudenza della Corte di Giustizia “non pone limiti quantitativi, ma, diversamente, richiede «criteri oggettivi per definire le circostanze e le condizioni in presenza delle quali deve essere concesso alle autorità nazionali competenti l’accesso ai dati in questione ed indica, come accessibili, «i dati di persone sospettate di progettare, di commettere o di aver commesso un illecito grave, o anche di essere implicate in una maniera o in un’altra in un illecito del genere» (così Corte giustizia, Grande Sezione, 02/03/2021, H.K./Prokuratuur, C-706/18, § 50, e Corte giustizia, Grande Sezione, 05/04/2022, Commissioner of An Garda Síochkba, C-140/20, § 105)”.
Nell’ambito più specifico dell’ordine europeo di indagine ed in ossequio a quanto previsto dal d. lgs. n° 108 del 2017 e dalla citata direttiva 2014/41/UE, si ribadisce dapprima la necessità del rispetto dei diritti fondamentali previsti dalla Costituzione e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, e, tra questi, del diritto di difesa e della garanzia di un giusto processo, ma non anche l’osservanza, da parte dello Stato di esecuzione, di tutte le disposizioni previste dall’ordinamento giuridico italiano in tema di formazione ed acquisizione di tali atti.
In realtà l’aspetto centrale ai fini di una corretta verifica dell’effettivo rispetto dei diritti di difesa riguarda la condizione di ammissibilità posta dall’art. 6, paragrafo 1, lett. a) della direttiva 2014/41/UE, sulla necessità e proporzionalità delle attività richieste mediante l’o.e.i..
Per la giurisprudenza di legittimità nel suo più autorevole consesso non vi sarebbe alcun travalicamento dei requisiti di necessità e proporzionalità, in una sostanziale preclusione pressoché totale per la difesa alla conoscenza delle tecniche, dei presupposti e delle modalità di effettivo svolgimento dell’attività di indagine posta a monte della mera acquisizione statica degli esiti investigativi effettuata attraverso l’o.i.e..
Nella sostanza nulla può la difesa a fronte della percepibile necessità di preservare i preziosi esiti dell’attività di indagine: poco conta che non sia chiaro quale tecnica di decrittazione sia stata utilizzata; che non si possa conoscere l’origine dell’indagine e se effettivamente fosse legata ad ipotesi di reato che nel nostro ordinamento avrebbero consentito il ricorso ad attività di intercettazione; che non si abbia conoscenza delle modalità con cui i flussi di dati e l’enorme congerie di messaggi siano stati gestiti (sembrerebbe anche attraverso il ricorso all’Intelligenza Artificiale) e da chi (nella collaborazione con la polizia olandese, francese e belga); che non si possa approfondire se si sia fatto ricorso anche a tecniche di intercettazione attraverso captatore informatico prima ancora che alla decrittazione attraverso azioni poste in essere direttamente sui server e non sugli apparecchi cellulari.
Ma ciò che sorprende maggiormente nella vicenda in esame è constatare come, pure a fronte di ordinanze di merito (come detto trattasi di provvedimenti adottati pressoché tutti in ambito cautelare) che individuavano una strada ermeneuticamente non corretta (il ricorso all’art. 234 bis c.p.p.), la Corte di Cassazione abbia inteso ugualmente verificare – nei limiti di cognizione evidentemente ristretti per mancanza di tutti gli elementi a disposizione (è noto che nel grado di legittimità non vengano trasmessi nella loro interezza gli atti posti a sostegno del titolo cautelare genetico) – la sussistenza dei requisiti indicati nelle due decisioni del massimo consesso del 29.02.2024.
Gravando sulla difesa in una nuova ed inconsueta riperimetrazione del giudizio di legittimità, e dopo che per mesi si è attesa la motivazione dei due autorevoli pronunciamenti, l’onere dell’allegazione e della prova dei fatti da cui desumere la violazione dei «diritti fondamentali».
In una sorta di probatio diabolica, nella preclusione opposta al difensore[11] di poter compiutamente accedere agli atti originari e presupposto dell’o.e.i. (tra segreto di Stato francese e preclusione all’algoritmo di decrittazione) ed in presenza di una preliminare presunzione di legittimità dell’attività inquirente per reciproco affidamento di sapore eurounitario.
Un diritto di difesa ineffettivo, vuoto e compresso tra formante giurisprudenziale e necessità di garantire con immediatezza la uniformità dei giudizi futuri.
*Avvocato, componente Osservatorio UCPI Corte di Cassazione
[1] Delle forze di polizia di Francia, Belgio ed Olanda.
[2] A partire da Cass. Sez. 1, n°. 34059 dell’1.7.2022 e poi in senso sempre conforme (e citandone solo alcune, atteso il conforme indirizzo interopretativo, Cass. Sez. 6, n°. 48330 del 25.10.2022; Cass. Sez. 1, n°. 6363 e 6364 del 13.10.2022; Cass. Sez. 4, n°. 12140 del 15.02.2023; Cass. Sez. 1, n°. 17529 del 16.02.2023; Cass. Sez. 4, n°. 17647 del 28.03.2023; Cass. Sez. 4, n°. 16345, 16346 e 16347 del 05.04.2023; Cass. Sez. 4, n°. 38002 del 16.05.2023.
[3] Cass. Sez. 4, n°. 32915 del 15.07.2022.
[4] Cass. Sez. VI, n°. 44154 del 26.10.2023, dep. il 2.11.2023 e Cass Sez. VI, n°. 44155 del 26.10.2023, dep. il 2.11.2023
[5] CGUE, 2.3.2021, H.K., C-746/18.
[6] Cass. Sez. III, n°. 47798 del 3.11.2023, dep. il 30.11.2023.
[7] Cass. Sez. VI, n°. 2329 del 15.1.2024, dep. il 18.01.2024.
[8] Cass. Sez. IV, n°. 13819 del 13.3.2024; Cass. Sez. I, n°.13535 del 12.03.2024.
[9] Cass. Sezioni Unite n°. 23755 e 23756 del 29/02/2024 dep. il 14/06/2024.
[10] Per un commento si veda, G. GUAGLIARDI, Utilizzo nel processo penale di messaggi criptati ottenuti tramite una operazione di hacking massiva all’estero e acquisiti in Italia tramite Ordine Europeo di Indagine. Il fine giustifica i mezzi?, in https://www.giurisprudenzapenale.com/2024/06/19/utilizzo-nel-processo-penale-di-messaggi-criptati-ottenuti-tramite-una-operazione-di-hacking-massiva-allestero-e-acquisiti-in-italia-tramite-ordine-europeo-di-indagine-il-fine-giustifica-i-m/; M.DANIELE, Le sentenze “gemelle» delle Sezioni Unite sui criptofonini, in https://www.sistemapenale.it/it/scheda/daniele-le-sentenze-gemelle-delle-sezioni-unite-sui-criptofonini;
[11] Scrive FILIPPI che “…è evidente che l’equo processo non ammette una prova dalla genesi ignota”. In L. FILIPPI, Criptofonini SKY-ECC e messaggi criptati: la Corte di cassazione attua i principi di diritto enunciati dalle Sezioni unite. https://www.penaledp.it/criptofonini-sky-ecc-e-messaggi-criptati/