IL MUTAMENTO GIURISPRUDENZIALE SU UNA NORMA PROCESSUALE SFAVOREVOLE MA PREVEDIBILE – DI FRANCESCO TALAMO
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IL MUTAMENTO GIURISPRUDENZIALE SU UNA NORMA PROCESSUALE SFAVOREVOLE MA PREVEDIBILE.
THE UNFAVOURABLE BUT FORESEEABLE CHANGE IN CASE-LAW ON A PROCEDURAL RULE.
di Francesco Talamo*
Diritto processuale penale – tempus regit actum – overruling giurisprudenziale – principio di legalità processuale.
(artt. 585 c.p.p.; l. 28 aprile 2014 n. 67; art. 2 c.p.; art. 25 Cost.; 7 CEDU)
“L’overruling non consentito, perché non prevedibile per l’imputato, è ravvisabile nei soli casi di radicale innovazione della soluzione giurisprudenziale, inconciliabile con le precedenti decisioni, mentre deve essere esclusa qualora la soluzione offerta si collochi nel solco di interventi già noti e risalenti, di cui costituisca uno sviluppo prefigurabile pur nel contrasto di opinioni, che di per sé rende l’esito conseguito comunque presente e possibile, anche se non accolto dall’indirizzo maggioritario”[1]
Il principio di irretroattività del mutamento giurisprudenziale sfavorevole al reo, sancito dagli artt. 2 c.p. 25 Cost. e 7 CEDU opera solo laddove lo stesso sia connotato dal carattere dell’imprevedibilità, ossia per aver agito in modo inopinato e repentino sul consolidato orientamento pregresso e, dunque, nei soli casi di radicale innovazione della soluzione giurisprudenziale, inconciliabile con le precedenti decisioni. Viceversa, deve escludersi l’operatività della preclusione derivante dall’overruling qualora sia esistente un contrasto interpretativo sulla norma processuale e l’approdo giurisprudenziale si collochi nel solco di interventi già noti e risalenti, di cui costituisca uno sviluppo prefigurabile.
The principle of non-retroactivity of the change in case-law unfavorable to the offender, enshrined in art. 2 c.p. 25 Cost. and 7 ECHR operates only where the same is characterized by the character of unpredictability, that is, for having acted in an unexpected and sudden way on the consolidated previous orientation and, therefore, only in cases of radical innovation of the jurisprudential solution, irreconcilable with the previous decisions. Conversely, the operation of the foreclosure deriving from overruling must be excluded if there is an interpretative contrast on the procedural rule and the jurisprudential landing is placed in the wake of already known and dating interventions, of which it constitutes a prefigurable development.
Sommario: 1. Il mutamento improvviso di un orientamento giurisprudenziale. – 2. Il caso di specie alla luce delle Sezioni Unite Sinito. – 3. Angolazioni e prospettive.
1. Il mutamento improvviso di un orientamento giurisprudenziale. – Il fenomeno dell’overruling, manifestazione di origine anglosassone e tipica dei sistemi di common law fondati sul principio dello stare decisis, è argomento gradualmente in crescita anche nei sistemi continentali, laddove il moltiplicarsi labirintico delle fonti ha ormai, da tempo, determinato una inclinazione del piano su cui poggiano i valori illuministici dell’era moderna.
Argomento che si mostra maggiormente ostico ed enigmatico nel diritto processuale penale nel quale il paradigma rigido-legalistico, affermatosi non senza criticità in ambito sostanziale anche a livello europeo[2], viaggia ancora su binari ambigui che lo disorientano sovente verso un paradigma “flou“, in cui il diritto giurisprudenziale si pone al fianco[3], e in talune occasioni al di sopra, della legge sfidando gli imprescindibili presupposti di affidabilità, prevedibilità ed uniformità dell’interpretazione delle norme processuali. È il medesimo paradigma che, secondo alcuni autori, rischia di attribuire eccessivi poteri a quella “giurisprudenza creativa” che negli ultimi anni ha concepito numerosi prodotti c.d. paranormativi[4], di dubbia legittimità: si pensi ad esempio alle innovazioni introdotte de facto con le sentenze delle Sezioni Unite Galtelli in tema di inammissibilità dell’appello per aspecificità dei motivi[5], oppure alle Sezioni Unite Bajrami sul principio di immediatezza e mutamento del giudice[6].
Il dibattito sulla validità immanente del principio di stretta legalità nella materia penale viaggia, ovviamente, di pari passo con il tema della successione delle norme processuali nel tempo, laddove il criterio discretivo dei due diversi regimi di applicabilità derivanti dal principio del tempus regit actum in campo processuale e del divieto di retroattività in malam partem in campo sostanziale è, come noto, incentrato sulla natura (appunto, sostanziale o processuale) della norma[7].
È, d’altronde, in questo senso che si indirizza la giurisprudenza di legittimità, secondo cui ad esempio il principio della retroattività della legge penale più favorevole all’imputato non può essere ritenuto un principio anche dell’ordinamento processuale, poiché «non esistono principi di diritto intertemporale propri della legalità penale che possano essere pedissequamente trasferiti nell’ordinamento processuale»[8].
La dottrina più illuminata[9] è tuttavia da tempo ormai orientata verso posizioni evolutive rispetto alla visione “unilaterale” del rapporto tra diritto penale e processo, nell’ottica di una relazione tra loro interdipendente: per arginare “la sfida della legalità” occorrerebbe, pertanto, una visione dinamica del diritto[10] in base al quale affermare che i principi di legalità sostanziale (nullum crimen, nulla poena sine lege) e processuale (nullum crimen, nulla poena sine iudicio), sebbene fondati su diversi presupposti normativi, realizzano tuttavia concretamente la medesima finalità del sistema. Il principio di legalità processuale, in tal senso, va necessariamente identificato in un principio generale della materia penale[11] che concorre a costituire l’intervento punitivo dello Stato unitariamente alla legge penale sostanziale, e con pari dignità compartecipa alla limitazione della sua attività repressiva[12].
Il rischio, d’altronde, è il medesimo: quello di affermare un modello ibrido di legalità, in cui la dimensione giudiziale del diritto comporti un «intollerabile saldo negativo in punto di “certezza soggettiva del diritto” che comporti nel diritto penale una “ridefinizione al ribasso” delle garanzie individuali che presidiano lo ius puniendi»[13] e nel processo penale il verificarsi di contraddizioni sistemiche che pregiudichino ingiustificatamente l’imputato[14].
In questo quadro, reso innegabilmente complesso dalla eterogenea e variegata conformazione delle norme processuali, il fenomeno del c.d. overruling rischia indubbiamente di rappresentare una inaccettabile ipertrofia del sistema in quanto, una volta affermato il carattere vincolante del revirement pronunciato dalle Sezioni Unite – il cui potere da nomofilattico diviene dunque normante – esso compie evidentemente un percorso involutivo della legalità che rischia di dissolvere i principi di certezza del diritto e di affidamento nel sistema processuale sottesi proprio al principio del tempus regit actum[15].
La questione è, dunque, come può accettarsi il rischio della compromissione di un atto posto in essere facendo affidamento su di una interpretazione di una norma processuale improvvisamente superata da un revirement della giurisprudenza che diviene, a tutti gli effetti, vincolante[16]?
2. Il caso di specie alla luce delle Sezioni Unite Sinito. – Con la sentenza in commento, la Corte di cassazione ha affrontato i riflessi del tema poc’anzi sinteticamente esposto. Nel caso di specie, gli imputati avevano appellato la sentenza di condanna emessa in data 13 settembre 2018 nei loro confronti in sede di rito abbreviato in udienza preliminare. Assenti alla lettura del dispositivo, gli imputati avevano impugnato la sentenza computando il termine ex 585 c.p.p. considerando quale dies a quoil giorno della notifica dell’estratto della sentenza prevista ex art. 442, comma 3, c.p.p., ed effettivamente eseguita dalla cancelleria.
Nel conseguente secondo grado di giudizio, la Corte di appello dichiarava tardiva l’impugnazione, basandosi sulla pronuncia delle Sezioni Unite n. 698[17] del 13 gennaio 2020, intervenuta quindi successivamente alla proposizione del gravame, con la quale veniva definito negativamente il contrasto, sorto a seguito della riforma della disciplina sulla contumacia, sulla necessità della notifica all’imputato assente dell’estratto della sentenza emessa nel giudizio abbreviato. Pertanto, in conformità a tale pronuncia, argomentava la Corte, il dies a quo dal quale computare il termine per l’impugnazione andava individuato nella data di deposito della sentenza, e non in quella di notifica dell’estratto all’imputato assente, seppur effettuata dalla cancelleria.
La Corte di legittimità, chiamata a pronunciarsi sul ricorso proposto dagli imputati per violazione degli artt. 2 c.p., 25 Cost. e 7 CEDU sul presupposto principio di irretroattività della interpretazione giurisprudenziale più sfavorevole, dichiarava inammissibile il ricorso.
La Corte evidenziava, conformemente alle Sezioni Unite Sinito, che «dopo l’introduzione del processo in absentia di cui alla legge n. 67 del 2014, l’estratto della sentenza emessa a seguito di giudizio abbreviato non deve essere notificato all’imputato non comparso, di talché, come per il processo ordinario, i termini per l’impugnazione, nel caso di tempestivo deposito della motivazione, decorrono dalla scadenza del termine di legge o di quello eventualmente fissato ex art. 544, comma 3 c.p.p. e non dalla notifica dell’avviso di deposito della sentenza agli imputati rimasti assenti, adempimento non più dovuto» in quanto non trovano più applicazione le disposizioni di cui agli artt. 442, comma 3 c.p.p. e 134 disp. att. c.p.p.
Sulla questione sollevata dai ricorrenti circa la ritenuta applicabilità del principio di irretroattività della interpretazione giurisprudenziale più sfavorevole, sosteneva la Corte che questa non poteva trovare accoglimento, rappresentando il caso di specie un evidente caso di overruling giurisprudenziale, in cui le Sezioni Unite avevano favorito un mutamento ermeneutico che legittimava un’applicazione retroattiva della disposizione di legge: «l’art. 7 della CEDU […] non impedisce alla giurisprudenza nazionale di mutare il proprio orientamento nell’interpretazione di una norma legislativa, né in materia extrapenale né in materia penale. Si richiede, tuttavia, che tale mutamento sia ragionevolmente prevedibile dal destinatario della norma affinché lo Stato non incorra in una violazione dell’art. 6 (quanto alla materia extrapenale) e dell’art. 7 (in relazione alla materia penale)». Rammentava sul punto la Corte, l’orientamento espresso sul tema dalle Sezioni Unite civili[18] che avevano affermato che il mutamento della propria precedente interpretazione della norma processuale da parte del giudice della nomofilachia che porti a ritenere esistente, in danno di una parte del giudizio, una decadenza od una preclusione prima escluse, opera come interpretazione correttiva che si salda alla relativa disposizione di legge processuale ‘ora per allora’, nel senso di rendere irrituale l’atto compiuto o il comportamento tenuto dalla parte in base all’orientamento precedente, precisando che «il precetto fondamentale della soggezione del giudice soltanto alla legge (art. 101 Cost.) impedisce di attribuire all’interpretazione della giurisprudenza il valore di fonte del diritto, sicché essa, nella sua dimensione dichiarativa, non può rappresentare la lex temporis acti, ossia il parametro normativo immanente per la verifica di validità dell’atto compiuto in correlazione temporale con l’affermarsi dell’esegesi del giudice». Tale regola, secondo gli Ermellini, si arresta solo nell’ipotesi in cui l’overruling sia connotato dal carattere dell’imprevedibilità, ossia per aver agito in modo inopinato e repentino sul consolidato orientamento pregresso. In tal caso si giustificherebbe, secondo la Corte, una scissione tra il fatto (e cioè il comportamento della parte risultante ex post non conforme alla corretta regola del processo) e l’effetto, di preclusione o decadenza, con la conseguenza di escludere l’operatività della preclusione o della decadenza derivante dall’overruling nei confronti della parte che abbia confidato incolpevolmente nella consolidata precedente interpretazione della regola stessa la quale, sebbene soltanto sul piano fattuale, aveva comunque creato quella che la Corte definisce «l’apparenza di una regola conforme alla legge del tempo». Affinché si verifichi una tale situazione è necessario tuttavia che ricorrano cumulativamente le seguenti condizioni: che si verta in materia di mutamento della giurisprudenza su di una regola del processo; che tale mutamento sia stato imprevedibile in ragione del carattere lungamente consolidato nel tempo del pregresso indirizzo, tale da indurre la parte a un ragionevole affidamento su di esso; che non vi siano preesistenti contrasti interpretativi della norma processuale in questione ad opera della Corte di cassazione.
Precisava la Corte che l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale esclude a priori il requisito della imprevedibilità della decisione giudiziale che adotti una delle soluzioni in contrasto, ancorché minoritaria, e correlativamente esclude l’operatività del divieto di retroattività della relativa regola giurisprudenziale; «l’overruling non consentito, perché non prevedibile per l’imputato, è ravvisabile nei soli casi di radicale innovazione della soluzione giurisprudenziale, inconciliabile con le precedenti decisioni, mentre deve essere esclusa qualora la soluzione offerta si collochi nel solco di interventi già noti e risalenti, di cui costituisca uno sviluppo prefigurabile pur nel contrasto di opinioni, che di per sé rende l’esito conseguito comunque presente e possibile, anche se non accolto dall’indirizzo maggioritario».
Nel caso in esame nella sentenza in commento, la Corte riteneva non sussistere i requisiti per l’applicazione del principio di irretroattività poiché «l’interpretazione prospettata dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 698 del 24/10/2019, Sinito, non costituisce un novum assoluto nel panorama delle pronunzie della giurisprudenza di legittimità in tema di obbligo notifica, dopo l’introduzione del processo in absentia di cui alla legge n. 67 del 2014, dell’estratto della sentenza emessa a seguito di giudizio abbreviato all’imputato non comparso ma si pone nel solco di un corposo e prevalente orientamento giurisprudenziale da tempo affermatosi nell’ambito delle Sezioni semplici di questa Corte ed è intervenuta in presenza di contrasto interpretativo, per cui essa non costituisce un orientamento ‘non ragionevolmente prevedibile’».
3. Angolazioni e prospettive. – La più recente occasione per affrontare e rinnovare il dibattito sul tema era stata offerta con l’introduzione del comma 1bis all’art. 618 c.p.p. ad opera della l. 23 giugno 2017 n. 103 con la quale è stato rafforzato il ruolo nomofilattico del precedente stabilito dalle Sezioni Unite[19], laddove è stata imposta la “rimessione obbligatoria” dalla sezione semplice che non condivida il principio di diritto in precedenza enunciato dalle Sezioni Unite, la cui pronuncia assume in facto un ruolo vincolante di carattere processuale, in grado di operare il superamento del precedente non condiviso dalla sezione semplice[20].
Senza voler entrare nel merito delle multiformi questioni sollevate dagli studiosi in ordine alla suddetta riforma[21], vale la pena evidenziare che la pronuncia in commento avvalora ulteriormente i timori emersi in seguito alla sua introduzione, secondo cui tale norma, anziché contenere l’imprevedibilità delle decisioni giurisprudenziali, viceversa raggiunge l’obiettivo di uniformare le libere scelte processuali verso l’orientamento giurisprudenziale più adatto alla contingenza politica[22]. Appare invero evidente che, in tale contesto, la tendenza difensiva maggioritaria non potrebbe che essere quella di eludere il rischio della compromissione dell’atto, attraverso una “uniformazione utilitaristica” a quell’orientamento che, seppur non ancora ritenuto risolutivo, tuttavia rappresenta la scelta più sicura per l’imputato[23]. Il risultato finale, agevolmente intuibile, di questo percorso è evidentemente la progressiva rimozione dalle aule giudiziarie dell’orientamento difforme, nei cui confronti il canone della “prevedibilità” del mutamento giurisprudenziale appare tutt’al più un efficace strumento di sterilizzazione.
Sotto altro profilo, la sentenza in commento pare inserirsi a pieno titolo nel profluvio normativo ed interpretativo che nell’ultima legislatura ha avviato una costante azione di offuscamento del principio del favor impugnationis nel processo penale, in virtù di un efficientismo giudiziario elevato illegittimamente a valore costituzionale.
Orbene, appare evidente che il dibattito sulla validità del principio di legalità processuale e sulla successione delle leggi processuali non possa prescindere dalla estensione dei principi e delle garanzie ex art. 25 comma 2 Cost. alle norme e agli istituti del procedimento penale che incidono su beni e diritti fondamentali della persona, e che sorreggono i principi regolanti il giusto processo ex art. 3, 24, 25, 111 Cost., sulla cui stabilità i cittadini ripongono un legittimo affidamento[24].
Tra questi, riconoscibili dall’analisi dei riflessi sostanziali che conferiscono alle norme processuali, può certamente rientrare anche il favor impugnationis quale «ineludibile canone interpretativo delle norme che sacrificano l’interesse pubblico (non solo del singolo, ma prima di tutto) alla giustizia sostanziale della decisione penale a favore dell’esigenza di certezza del diritto, ossia di relativa economicità e tempestività dell’intervento giurisdizionale»[25].
Appare dunque fondato il timore di coloro che, come prima accennato, temono fortemente la vincolatività in facto del precedente espresso dalle Sezioni Unite, applicabile senza previo bilanciamento tra gli interessi in gioco e i principi costituzionali sottesi alle norme da interpretare, da imporsi viceversa con particolare intensità[26]. Orbene, in questo quadro oggi più che mai occorre una ricostruzione unitaria delle problematiche connesse all’overruling: una nuova occasione può essere il tempo fervido di riforme che investono il processo penale sotto il canone dell’efficientismo giudiziario, durante il quale sarà alto il rischio di interpretazioni “creative” e di mutamenti interpretativi e giurisprudenziali che seguiranno l’entrata in vigore delle nuove norme processuali. Ciò obbligherà il fronte “legicentrista” a proteggere l’edificio giuridico-moderno[27] per prevenire il rischio della compromissione dei valori in gioco nel processo penale, tra i quali deve indiscutibilmente assumere prevalenza quello del giusto processo sancito dall’art. 111 Cost., al fine di tutelare l’effettività sia dei mezzi di azione che quelli di difesa.[28]
*Avvocato del Foro di Napoli, perfezionato in Scienze penalistiche integrate presso l’Università degli studi di Napoli Federico II
[1] Massima redazionale a cura dell’Autore.
[2] Basti pensare all’ormai celebre saga Taricco, all’affaire Contrada nonché a tutta la giurisprudenza europea collegata in tema di violazione del principio di stretta legalità nei casi di mutamento giurisprudenziale sfavorevole e imprevedibile (a partire da Corte Edu, Sez. V, 25 giugno 2009, Liivik c. Estonia; Corte Edu, Sez. III, 24 maggio 2007, Dragotoniu e Militaru – Pidhorni c. Romania; Corte Edu, Sez. II, 10 ottobre 2006, Pessino c. Francia), anche in ambito esecutivo (a partire da Corte Edu, Grande Camera, 21 ottobre 2013, Del Rio Prada c. Spagna).
[3] Con la sentenza n. 18288 del 21 gennaio 2010 (dep. 13 maggio 2010) – ricorrente Beschi – le Sezioni Unite hanno ritenuto che il mutamento giurisprudenziale autorevole costituisce ius novum sostanzialmente equiparabile a una modifica legislativa. Si è trattato di una decisione molto dibattuta in dottrina, che sulla base della ritenuta necessità di garantire il rispetto dei diritti fondamentali della persona, ha inteso includere nel concetto di legalità sia il diritto di produzione legislativa che quello di derivazione giurisprudenziale.
[4] Di decisioni «paranormative» ne parla L. Magi, Tramonto della immediatezza o sano realismo? Le Sezioni Unite Bajrami e il novum processuale, intervista a P. Ferrua, C. Intrieri, F. Cascini e N. Russo, in Le interviste di Giustizia Insieme, 2019, nonché A. Franceschini, Per l’affermazione della legalità processuale, contro la giurisprudenza creativa, in Rass. Pen. 4-2019, in cui si evidenzia come si vada diffondendo, attraverso l’attività delle Sezioni Unite, la percezione di un ruolo non meramente nomofilattico di tale organo, nel senso che attraverso la soluzione dei contrasti interpretativi si giunga a concepire nuove regole di comportamento per i giudici di merito.
[5] Cass. pen., S.U., 27 ottobre 2016 (dep. 2017), n. 8825, Galtelli, Pres. Canzio, Rel. Andronio.
[6] Cass. pen., S.U., 30 maggio 2019, n. 41736, Bajrami, Pres. Carcano, Rel. Beltrani.
[7] Cfr. O. Mazza, La norma processuale penale nel tempo, Milano, 1999. Estremamente lucido, sul punto, anche G. Flora, Norme penali “sostanziali”, norme penali “processuali” e divieto di retroattività, in disCrimen del 8 giugno 2020, il quale si chiede «ha un senso interrogarsi sulla natura sostanziale o processuale?» [..] «Altro è se si tratta di deciderne l’afferenza al diritto penale sostanziale o a quello processuale ai fini didattici o scientifici [..] altro se si tratta di stabilire la soggezione o meno al divieto di retroattività in pejus. Già sembrerebbe frutto di censurabile “strabismo” impostare la questione muovendo dalla ricerca del criterio distintivo basato sulla natura di norme o istituti».
[8] Cass. pen., S.U., 31 marzo 2011 n. 11, Pres. Lupo Rel. Blaiotta ric. Ambrogio. Tuttavia, secondo M. Chiavario, Norme processuali penali nel tempo: sintetica rivisitazione (a base giurisprudenziale) di una problematica sempre attuale, in L.P., 31 luglio 2017, si tratta di una pronuncia che non si limita «ad una acritica ripetizione dell’omaggio al tempus regit actum» in quanto la Corte è costretta ad ammettere che esso non è una sorta di “passe-par-tout“, giacché «i problemi possono più facilmente insorgere quando il compimento dell’atto, o lo spatium deliberandi o ancora gli effetti si protraggono, si estendono nel tempo: un tempo durante il quale la norma regolatrice muta [..] così da far emergere problemi diversi l’uno dall’altro, ben presenti nell’esperienza giuridica, rispetto ai quali la logica atomistica può in alcuni casi risultare di difficile applicazione o apparire insufficiente, inappagante».
[9] Su tutti, T. Padovani, Il problema «Tangentopoli» tra normalità dell’emergenza ed emergenza della normalità, in Riv. it. dir. proc. pen., 1996, 448 ss.; Il crepuscolo della legalità nel processo penale. Riflessioni antistoriche sulle dimensioni processuali della legalità penale, in Ind. pen., 1999; Il diritto sostanziale e il processo, in Diritto e processo penale fra separazione accademica e dialettica applicativa, Bologna, 2016, dove l’Autore spiega che «la dialettica metaforica del servo e del socio non individua – è chiaro – stati evolutivi distinti e, in qualche modo separati. Si tratta piuttosto di aspetti “compresenti” destinati a manifestarsi nel quadro della complessità e della reciprocità dei rapporti tra diritto penale e processo».
[10] Cfr. C. Iasevoli, La nullità nel sistema processuale penale, Padova, 2008.
[11] Sulle norme processuali a rilevanza sostanziale, cfr. F. Carnelutti, Riflessioni sulla successione di leggi penali processuali, in Questioni sul processo penale, Bologna 1950, p. 197 «[..] Si ammetta pure che la statuizione della pena appartenga al primo di codesti campi e al secondo le sole norme, che disciplinano le forme del giudizio: chi vorrà negare che pure il giudizio possa essere congegnato in modo più o meno favorevole al reo? [..] Non dimentichiamo, del resto, che anche il giudizio, come la pena, è un mezzo di repressione del reato, analogo alla medicina prescritta contro la malattia».
[12] In questo senso militano le riflessioni di D. Negri, La costruzione della fattispecie giudiziaria. Oltre i vincoli della legalità processuale: strategie, prassi, conseguenze del rifiuto di un paradigma, in Diritto e processo penale fra separazione accademica e dialettica applicativa, Bologna, 2016; ma anche, e soprattutto, in Splendori e miserie della legalità processuale. Genealogie culturali, èthos delle fonti, dialettica tra le Corti, in Arch. Pen., 2017, n. 2.
[13] V. Manes, Common law-isation del diritto penale? Trasformazioni del nullum crimen e sfide prossime future, in Cass. pen. n. 3-2017, pp. 955-976, in cui l’Autore richiama, tra gli altri, U. Murmann, Entformalisierung des Strafrechts – Eine Erste Annaherung, nonché G. Insolera, Dogmatica e orientamento della giurisprudenza, in www.penalecontemporaneo.it, 13 novembre 2013.
[14] Cfr. A. Franceschini, Per l’affermazione della legalità processuale, contro la giurisprudenza creativa, cit. secondo cui «sul virtuoso esercizio dell’interpretazione incombe, come un feticcio, il c.d. diritto vivente: i giudici di merito si sentono ormai inesorabilmente condizionati da esso al punto di giungere a sollevare incidente di costituzionalità di una disposizione normativa, nei termini esegetici propugnati dal c.d. diritto vivente, sebbene di essa possa darsi una lettura costituzionalmente conforme»; nonché I. Borasi, Prospective overruling e processo penale, in Il Caso.it del 7 dicembre 2010, il quale svolge una interessante analisi sul tema ed evidenziando che «correlata è la possibile sanzione disciplinare del magistrato in caso di grave e non motivata inosservanza, nell’attività applicativa, del diritto vivente cristallizzato dalle pronunce delle Sezioni unite della Corte di cassazione».
[15] Sul tema del principio del tempus regit actum cfr. M. Chiavario, Norme processuali penali nel tempo: sintetica rivisitazione (a base giurisprudenziale) di una problematica sempre attuale, cit. secondo cui «tutto ciò non toglie, peraltro, che la sensibilità per le esigenze di garanzia filtri pure in rapporto al campo di cui qui ci si occupa», evidenziando che «quanto alla Corte costituzionale italiana, possibili limiti a un’assolutizzazione delle regole desumibili dal brocardo sono stati ricavati non solo dal principio di uguaglianza (con quanto vi si riconnette per valutazioni in chiave di «ragionevolezza») ma altresì nella tutela del diritto di difesa e nel principio del contraddittorio, in quanto ormai elevato a principio-guida dello statuto costituzionale della prova penale».
[16] Il rischio è quello di un «cambiamento delle regole del gioco a partita già iniziata», come si è espressa più volte la giurisprudenza civile, ad es. Cass. civ., S.U., 11 luglio 2011, n. 15144.
[17] Cass. pen., S.U., 13 gennaio 2020 n. 698, Pres. Carcano, Rel. Rago, ric. Sinito.
[18] Cass. civ., S.U., 12 febbraio 2019 n. 4135; Cass. civ., S.U., 8 novembre 2018, n. 28575; Cass. civ., S.U., 11 luglio 2011, n. 15144.
[19] Cfr. P. Ferrua, Soggezione del giudice alla sola legge e disfunzioni del legislatore: il corto circuito della riforma Orlando, in Dir. pen. proc., 2017, 1265 ss., secondo cui dalla riforma del 2017 «deriva una profonda crisi del principio di soggezione del giudice alla sola legge, già notevolmente indebolito dalle sentenze costituzionali sul carattere vincolante delle interpretazioni della Corte di Strasburgo. L’asse della legalità si sposta sempre più dalla legge verso la giurisprudenza, mentre si manifesta la tendenza ad attribuire alla Cassazione e, in particolare, alle Sezioni unite poteri di interpretazione vincolante. Non è una buona soluzione. Nell’assetto di una magistratura reclutata per concorso e politicamente irresponsabile la tutela della legalità deve restare affidata in primis al carattere precettivo della legge».
[20] Secondo D. Carcano, Presidente Aggiunto della Corte di Cassazione, nell’intervento reso al corso «Il valore del precedente nel processo penale» svoltosi presso la Corte di Cassazione il 8 novembre 2018, non si rileva «nessun vincolo interpretativo, dunque, per le sezioni semplici le quali, da un lato, attraverso la dissenting opinion esposta nell’ordinanza di rimessione, avviano un interlocuzione con le Sezioni Unite che potrà portare al rafforzamento del precedente o al suo superamento, e dall’altro, possono liberamente valutare che la questione da trattare non rientra nell’ambito di operatività del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite (distinguishing) ovvero, decidere il ricorso sulla base della c.d. ragione più fluida, differendo, così l’attivazione della procedura di devoluzione ad un momento in cui sarà maggiormente matura la dissenting opinion».
[21] Cfr. S. Moccia, Qualche considerazione sugli aspetti di diritto sostanziale della riforma Orlando, in La riforma Orlando, Aracne 2017: «in tal modo si ritiene di porre argine all’incertezza ed all’imprevedibilità delle decisioni giurisprudenziali che ormai regna sovrana nel sistema penale italiano, in contrasto con le più elementari esigenze di uno stato di diritto, tanto più nella materia penale, retta dal principio di stretta legalità. Tuttavia, la novella rappresenta a mio avviso un rimedio che, in realtà, si inserisce proprio nello stesso percorso involutivo della legalità che si intende contrastare: un percorso che affida la legalità penale al potere giudiziario».
[22] E non appare neppure sufficiente, sotto questo aspetto, il richiamo operato dalla Corte nella sentenza in commento, al requisito della «ragionevole prevedibilità»: l’esistenza di un contrasto vale esso stesso a ritenere ontologicamente possibile fare affidamento su di un orientamento piuttosto che sull’altro.
[23] Secondo C. Iasevoli, Le nuove prospettive della Cassazione penale: verso l’autonomia dalla Costituzione?, in Giur. It. – Ottobre 2017, il tema è strettamente connesso alle modifiche introdotte con la riforma Orlando all’art. 610 c.p.p. e sul fervido dibattito sulle cause di inammissibilità: «in questo contesto, il timore è che la genericità della “manifesta infondatezza” funga da filtro della quaestio iuris, qualora il provvedimento impugnato abbia deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte ed il ricorrente non abbia indicato le ragioni per cui “l’orientamento della stessa” è erroneo, argomentando criticamente l’esigenza del mutamento. Il ricorso sarebbe considerato ammissibile, qualora uno o più dei suoi motivi o le circostanze del caso suscitassero nell'”apposita sezione”, almeno il dubbio circa l’opportunità di un ripensamento della giurisprudenza di legittimità».
[24] cfr. ancora M. Chiavario, op. cit. secondo cui «al principio dell’”affidamento” deve riconoscersi un ruolo essenziale anche nell’ambito del diritto processuale penale intertemporale o transitorio, secondo una logica di garanzia, non identica, ma in parte analoga a quella che ispira l’art. 25 co. 2 Cost. e le norme similari: imponendo, dunque, un’esigenza di stabilità, seppur non assoluta ma relativa, del quadro normativo applicabile nei singoli casi di specie, ed inducendo a guardare, non necessariamente alle norme processuali vigenti nel momento della commissione del fatto assunto come “regiudicanda”, ma piuttosto, di volta in volta, a quello o a quelli in cui la parte o il giudice sono chiamati a tenere determinati comportamenti nel corso del procedimento e in relazione ai quali dunque si possono configurare correlativamente, come opportune o persino come obbligate, per l’uno e/o per le altre, determinate scelte strategiche o tattiche, destinate a essere frustrate, totalmente o parzialmente, dal sopravvenire di mutamenti in quel quadro». Sul tema del legittimo affidamento, con riferimento alle norme processuali civili, A. Carratta, Il Giudice e l’interpretazione della norma processuale, in Dall’esegesi giuridica alla teoria dell’interpretazione, 2020, secondo cui «proprio in considerazione dell’incidenza che può avere sull’affidamento delle parti il mutamento di interpretazione delle disposizioni processuali, lo stesso giudice della nomofilachia è pervenuto alla conclusione che il mutamento di interpretazione in materia processuale debba ammettersi soltanto restrittivamente, e cioè solo nei casi in cui si sia in presenza di un’interpretazione della disposizione processuale priva di qualsiasi giustificazione razionale, manifestamente arbitraria e pretestuosa », o «dia luogo (eventualmente anche a seguito di mutamenti intervenuti nella legislazione o nella società) a risultati disfunzionali, irrazionali o “ingiusti”. E dunque, a giustificare il mutamento di interpretazione non è sufficiente che la precedente interpretazione sia ritenuta meno plausibile o meno condivisibile sul piano letterale, logico e/o sistematico».
[25] M. Ceresa Gastaldo, La riforma dell’appello, tra malinteso garantismo e spinte deflattive, in DPC 3/2017, «l’idea che sembra dominare la logica dell’irrigidimento dei requisiti formali dell’atto è che valga in materia una presunzione di strumentalità dell’iniziativa impugnatoria della parte, rispetto alla quale il favor impugnationis non è altro che un segno della decadenza dei “costumi” processuali, un sintomo dell’atteggiamento colpevolmente lassista del giudice che ammette controlli non dovuti, ritardando l’esecuzione della sentenza. Un’idea tanto discutibile sul versante esegetico, quanto pericolosa nella prospettiva de iure condendo. [..] La necessità di trovare tra le due istanze un ragionevole punto di equilibrio, se per un verso giustifica le regole restrittive (dal numero limitato dei controlli al contingentamento dei tempi per attivarli, dalla disponibilità dei mezzi per i soli interessati, alla devoluzione oggettiva con le sue eccezioni, dalla imposizione di requisiti oggettivi, soggettivi, modali alla previsione, appunto, di caratteristiche formali), allo stesso tempo esige che quel bilanciamento sia da un lato, riservato alla sola previsione di legge, in nessun caso espansibile in via interpretativa e, dall’altro, appunto, ragionevole». Sul favor impugnationis cfr. Cass. pen., Sez. II, 4 dicembre 2012 (dep. 20 dicembre 2012) n. 49424 secondo cui «in tema di impugnazioni, la specificità che deve caratterizzare i motivi di appello deve essere intesa alla luce del principio del “favor impugnationis”, in virtù del quale, in sede di appello, l’esigenza di specificità del motivo di gravame ben può essere intesa e valutata con minore rigore rispetto al giudizio di legittimità, avuto riguardo alle peculiarità di quest’ultimo».
[26] cfr. C. Iasevoli, Le nuove prospettive della Cassazione penale: verso l’autonomia dalla Costituzione?, cit. «per questa via, il giudizio di diritto che ne discende si imporrebbe, spontaneamente, come l’interpretazione della legge applicata per la sua logicità interna, per la sua “coerenza con le finalità del legislatore ed il tessuto assiologico della Costituzione”, per la sua conformità al diritto dell’Unione europea ed alla giurisprudenza consolidata della Corte di Strasburgo, si affermerebbe cioè, come precedente, applicabile nelle ipotesi similari, non per una sorta di automatismo processuale, ma in virtù della ragionevolezza insita nell’argomentazione giuridica, con l’effetto della sua inclinazione alla conservazione e reiterazione futura».
[27] V. Manes, Common law-isation del diritto penale? Trasformazioni del nullum crimen e sfide prossime future, cit. che rinvia a P. Grossi, Introduzione al novecento giuridico, Laterza, 2012.
[28] Il Manifesto del diritto penale liberale, in questo senso, ha evidenziato tali principi agli art. 11, 13, 14, 16.
art. 11 – È dovere precipuo dell’ordinamento la chiara delimitazione del fatto penalmente rilevante. Il cittadino, dinanzi a definizioni ambigue od oscure, deve poter opporre, con efficacia liberatoria, l’ignoranza scusabile e il dubbio ragionevole sull’esistenza del divieto e la sua interpretazione giudiziale.
art. 13 – Tutti sono uguali di fronte alla legge. L’interpretazione della legge è uguale per tutti. I principi di irretroattività, tassatività, applicazione retroattiva della legge più favorevole, proporzionalità e ne bis in idem devono applicarsi, indipendentemente dalle denominazioni formali, a tutte le disposizioni di carattere afflittivo, ivi comprese quelle intrinsecamente punitive o sostanzialmente penali.
art. 14 – Non è ammessa l’interpretazione analogica in malam partem. Stante la funzione di garanzia della legge penale, la dimensione testuale del divieto è base ineludibile, che deve essere rispettata secondo una “stretta interpretazione”.
art. 16 – La sede nella quale deve svolgersi il confronto sulle scelte punitive non può che essere il Parlamento. Il confronto deve svolgersi senza strozzature del dibattito maggioranza/opposizione, non adottando tecniche procedimentali che impediscano il consapevole esercizio del voto da parte dei rappresentanti.