Enter your keyword

IL PRINCIPIO DI IMMEDIATEZZA NEL PROCESSO PENALE, TRA ORDINAMENTO INTERNO E CEDU – DI GIACOMO MANFRINI E DARIA SARTORI

IL PRINCIPIO DI IMMEDIATEZZA NEL PROCESSO PENALE, TRA ORDINAMENTO INTERNO E CEDU – DI GIACOMO MANFRINI E DARIA SARTORI

MANFREDINI-SARTORI – IL PRINCIPIO DI IMMEDIATEZZA NEL PROCESSO PENALE, TRA ORDINAMENTO INTERNO E CEDU.PDF

IL PRINCIPIO DI IMMEDIATEZZA NEL PROCESSO PENALE, TRA ORDINAMENTO INTERNO E CEDU.

THE PRINCIPLE OF IMMEDIACY IN CRIMINAL PROCEEDINGS BETWEEN ITALIAN LAW AND THE ECHR.

di Giacomo Manfrini* e Daria Sartori**

Il principio di immediatezza, se da un lato mostra, da tempo, di essere in crisi nel nostro ordinamento (quale riflesso di una più generale crisi del processo accusatorio), dall’altro sta vivendo una stagione di grande favore in seno alla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, le cui decisioni non potranno (e non dovranno) non avere riflesso in Italia, sia in prospettiva de jure condendo, sia nella prassi applicativa.

In the Italian legal order, the principle of immediacy has been suffering of the more general crisis affecting the adversarial system. However, the same principle is flourishing in the case law of the European Court of Human Rights. This case law cannot (and should not) be ignored by the Italian system, when applying the principle of immediacy or when evaluating legislative reforms.

Sommario: 1). Il principio di immediatezza nell’ordinamento italiano e la sua (perdurante) crisi. Il mondo delle idee e il mondo reale. – 2). Il principio di immediatezza nella giurisprudenza CEDU. – 2.1). L’immediatezza in primo grado. – 2.2). L’immediatezza in appello. – 3). Conclusioni.

1). Il principio di immediatezza nell’ordinamento italiano e la sua (perdurante) crisi. Il mondo delle idee e il mondo reale.

Il principio di immediatezza rappresenta, forse, uno dei temi dove si manifesta con maggiore evidenza la distanza tra il mondo delle idee (ὑπερουράνιος) e il mondo reale, ossia, in altri termini, tra law in the books e law in action, tra regola (dato positivo) ed eccezione (dato giurisprudenziale).

Questa distanza ha fatto sì che tale principio abbia subìto un declino (benché non abbia forse mai vissuto, in effetti, stagioni di grande favore), accentuato, come vedremo, da alcuni recenti arresti giurisprudenziali, che ne hanno certificato il (definitivo?) tramonto (o comunque accelerato la crisi).

Per procedere ad analizzare le ragioni di tale crisi occorre, a livello di metodo, preliminarmente effettuare lo studio “ontologico” del principio[1].

Occorre, pertanto, tornare “alle origini” e a quello che ci è stato insegnato all’università, che certamente rappresenta – lo si dice affettuosamente – quella dimensione ideale dello studio dei fenomeni, libera, per così dire, dalla “contaminazione” della quotidianità (che racconta una frenetica celebrazione dei processi), per affrontare uno studio “genuino” del dato positivo[2].

E dalla (semplice) lettura della previsione normativa – rappresentata, come noto, dall’art. 525 c.p.p. (immediatezza della deliberazione)[3] – abbiamo appreso che non vi deve essere alcuna intermediazione tra l’acquisizione della prova in dibattimento e la sua valutazione in sentenza.

Da un lato, quindi, vi deve essere (a pena di nullità assoluta) identità fisica tra il giudice che assiste (o i giudici che assistono) all’assunzione della prova in dibattimento e il giudice che delibera (o concorre a deliberare) la sentenza; dall’altro, tale decisione deve basarsi – ex art. 526 c.p.p. – (solo) sulla prova legittimamente acquisita in dibattimento.

Con l’ulteriore, fondamentale, precisazione che – illuminando tali assunti con il “faro” costituzionale, ed in particolare con l’art. 111 Cost. – la prova è quella formatasi nel contraddittorio tra parti. L’immediatezza dovrebbe dunque essere, per così dire, il naturale “precipitato” del principio del contraddittorio: pertanto, le riflessioni intorno alla crisi dell’immediatezza devono andare di pari passo con quelle in merito alla crisi, in generale, del processo accusatorio e dei suoi tratti fondamentali.

Ebbene, se questo era (rectius, è) il dato positivo, ossia la rappresentazione del mondo “ideale”, su di esso sono intervenuti – in un quadro, occorre ribadire, già in effetti ampiamente compromesso dalla concreta applicazione processuale[4] – una serie di decisioni, prima giurisprudenziali, poi legislative[5].

i). Il primo “colpo”[6] al principio di immediatezza è stato assestato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 132/2019[7], la quale, come noto, da un lato, ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità sollevate dal Tribunale ordinario di Siracusa, con riferimento agli artt. 525, comma 2, 526, comma 1 e 511 c.p.p., in relazione all’art. 111 Cost.[8]; dall’altro – preso atto che  il principio di immediatezza rischia di divenire «un mero simulacro» poiché il processo penale, lontano dal modello ideale concepito dal legislatore, non riesce ad essere celebrato in un arco temporale contenuto  – ha evidenziato al legislatore[9] come rimanesse aperta «la possibilità di introdurre ragionevoli eccezioni al principio dell’identità tra giudice avanti al quale è assunta la prova e giudice che decide, in funzione dell’esigenza, costituzionalmente rilevante, di salvaguardare l’efficienza dell’amministrazione della giustizia penale».

La Consulta ha rilevato – richiamando anche la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ( “Corte EDU”, o “Corte di Strasburgo”)[10] – come il diritto della parte alla nuova audizione dei testimoni di fronte al nuovo giudice o al mutato collegio non sia «assoluto, ma “modulabile” (entro limiti di ragionevolezza) dal legislatore», «restando ferma – in particolare – la possibilità per il legislatore di introdurre presidi normativi volti a prevenire il possibile uso strumentale e dilatorio del diritto in questione», «anche in considerazione della possibilità che, proprio per effetto delle dilatazioni temporali […] il reato si prescriva prima della sentenza definitiva».

Colpisce (ma, visti i tempi, nemmeno più di tanto) la connotazione del diritto (e, di fatto, dell’attività difensiva) come “strumentale” e “dilatorio” (anche se, nel caso concreto, le sei mutazioni del collegio giudicante intervenute non potevano certo attribuirsi alle difese): se c’è un diritto questo deve essere garantito, o eventualmente sottoposto a bilanciamento con altri potenzialmente confliggenti, ma in tal caso utilizzando parametri o criteri verificabili (e non del tutto indeterminati come quelli in questione).

ii). Il secondo “colpo” al principio di immediatezza è stato assestato, pressoché contemporaneamente alla decisione appena ricordata, dalla Corte di cassazione a Sezioni Unite (c.d. Bajrami)[11], dove, come ampiamente noto, sono stati affermati i seguenti princìpi di diritto[12]:

– «il principio d’immutabilità del giudice, previsto dall’art. 525, comma 2, prima parte, cod. proc. pen., impone che il giudice che provvede alla deliberazione della sentenza sia non solo lo stesso giudice davanti al quale la prova è assunta, ma anche quello che ha disposto l’ammissione della prova, fermo restando che i provvedimenti sull’ammissione della prova emessi dal giudice diversamente composto devono intendersi confermati, se non espressamente modificati o revocati»;

– «l’avvenuto mutamento della composizione del giudice attribuisce alle parti il diritto di chiedere, ai sensi degli artt. 468 e 493 cod. proc. pen., sia prove nuove sia la rinnovazione di quelle assunte dal giudice diversamente composto, in quest’ultimo caso indicando specificamente le ragioni che impongano tale rinnovazione, ferma restando la valutazione del giudice, ai sensi degli artt. 190 e 495 cod. proc. pen., anche sulla non manifesta superfluità della rinnovazione stessa»;

– «il consenso delle parti alla lettura ex art. 511, comma 2, cod. proc. pen. degli atti assunti dal collegio in diversa composizione, a seguito della rinnovazione del dibattimento, non è necessario con riguardo agli esami testimoniali la cui ripetizione non abbia avuto luogo perché non chiesta, non ammessa o non più possibile».

iii). In questo quadro “giurisprudenziale”, si è poi mosso il legislatore con il ddl. A.C. 2435 («Delega al Governo per l’efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d’appello»), contenente proposta di riforma della giustizia penale (c.d. riforma Bonafede, dal nome dell’allora Ministro della giustizia).

L’art. 5, lett. e), del ddl. in parola, in tema di rinnovazione del dibattimento nel caso di mutamento della persona fisica di uno dei componenti del collegio – “recependo” i suggerimenti della Corte costituzionale di “allentare” il rigore della tutela del principio di immediatezza-oralità in favore del binomio ragionevole durata/efficienza del processo – conteneva la direttiva di «prevedere che la regola di cui all’art. 190-bis, comma 1, del codice di procedura penale[13] sia estesa, nei procedimenti di competenza del tribunale, anche ai casi nei quali, a seguito del mutamento della persona fisica di uno dei componenti del collegio, è richiesto l’esame di un testimone o di una delle persone indicate nell’articolo 210 e queste hanno già reso dichiarazioni nel dibattimento svolto innanzi al collegio diversamente composto, nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate».

iv). Cambiato il governo, insediatosi un nuovo Ministro della Giustizia[14], il progetto di riforma (ora c.d. riforma Cartabia) ha ricevuto nuovo impulso: nel momento in cui si scrive, sono stati approvati dal Consiglio dei ministri gli emendamenti del Governo al ddl. A.C. 2435 in questione, il cui testo è stato inviato al Parlamento (il 14 luglio 2021) per il successivo iter.

Rispetto al tema oggetto del presente contributo, si stabilisce[15], all’art. 5, lett. e), che i decreti legislativi recanti modifiche al codice di procedura penale in materia di giudizio – che il Governo è delegato ad adottare – devono conformarsi alle seguenti direttive: «prevedere che, nell’ipotesi di mutamento del giudice o di uno o più componenti del collegio, il giudice disponga, a richiesta di parte, la riassunzione della prova dichiarativa già assunta; stabilire che, quando la prova dichiarativa è stata verbalizzata tramite videoregistrazione, nel dibattimento svolto innanzi al giudice diverso o al collegio diversamente composto, nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate, il giudice disponga la riassunzione della prova solo quando lo ritenga necessario sulla base di specifiche esigenze».

Ad una prima lettura (necessariamente provvisoria), se, da un lato, si può guardare con favore il superamento del primo testo della riforma – e dell’acquisizione “sic et simpliciter” della prova dichiarativa precedentemente resa –, dall’altro il tenore della direttiva appena indicata solleva immediatamente degli interrogativi, tanto di natura giuridica quanto di natura “pratica”.

Cominciando da questi ultimi, si possono avanzare (ragionevoli) dubbi sulla “copertura economica” della videoripresa di ogni istruttoria dibattimentale, sia in termini di dotazione della necessaria strumentazione tecnica, sia in termini di individuazione di personale dedicato a tale specifica attività (potendosi in ogni caso ipotizzare un significativo periodo di “transizione tecnologica”, nel quale il tema della rinnovazione della prova dichiarativa continuerà a porsi nei medesimi termini rispetto ad oggi).

Con riferimento, invece, alla latitudine applicativa di una emananda norma conforme alla direttiva[16] – che, in maniera esplicita, intende rimettere al centro la regola della riassunzione (ovviamente, sempre a richiesta di parte) della prova dichiarativa – ci si può interrogare se dovrà ritenersi definitivamente superata la “regola Bajrami” o se, invece, questa verrà invocata ogniqualvolta non sia stata disposta la videoregistrazione (con ciò rendendosi superflua la riforma, perché, di fatto, si finirebbe sempre per acquisire la prova dichiarativa già assunta: la prospettiva non appare del tutto inverosimile, e del resto sappiamo che, spesso, “più del dato positivo poté l’interpretazione giurisprudenziale”).

In ogni caso, se questo è il quadro normativo (seppure in fieri) e giurisprudenziale all’interno del nostro ordinamento, le riflessioni intorno al principio di immediatezza non possono prescindere – anche in ottica futura e de jure condendo – da una attenta disamina dell’ampia giurisprudenza della Corte EDU formatasi sul punto.

2). Il principio di immediatezza nella giurisprudenza CEDU.

Nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, il principio di immediatezza è considerato un elemento costitutivo dell’equità del processo penale, tutelato dall’articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (“CEDU”).

L’affermazione più consolidata di tale principio è riconducibile alle pronunce concernenti la mancata nuova escussione di testi a fronte di un mutamento del giudice in primo grado[17], ma di recente la Corte EDU ha richiamato l’immediatezza anche in ipotesi di rovesciamento in appello del giudizio assolutorio reso in primo grado senza un previo ri-esame delle prove[18]. In entrambi i casi, infatti, può verificarsi una discrasia tra giudice che assiste all’assunzione della prova e giudice che delibera, o concorre a deliberare, la sentenza.

Nella giurisprudenza di Strasburgo è evidente la relazione tra immediatezza e principio del contraddittorio: la Corte EDU tradizionalmente apre le parti “in diritto” delle sentenze relative all’immediatezza ricordando che «elemento essenziale di un processo penale equo è la possibilità per l’accusato di confrontarsi con il testimone in presenza del giudice che prenderà la decisione finale sul caso»[19] [trad. non uff.][20].

La Corte EDU non considera certo il principio di immediatezza come assoluto: eccezioni sono ammesse, ma una lettura attenta e comprensiva della giurisprudenza di Strasburgo rivela come esse siano molto più limitate di come le interpretano le corti italiane (peraltro operando diversamente a seconda del contesto – primo grado o appello – in cui sono invocate).

Pur riconoscendo che l’approccio tipicamente casistico della Corte EDU impone cautela nell’estrazione di principi di natura generale dal corpus di giurisprudenza, si esaminerà di seguito il diverso atteggiarsi del principio di immediatezza nelle due ipotesi in cui esso rileva a Strasburgo (mutamento del giudice di primo grado, o appello) per identificare gli standard imposti dal sistema CEDU all’ordinamento italiano.

2.1). L’immediatezza in primo grado.

Come anticipato, la più consolidata affermazione del principio di immediatezza nella giurisprudenza di Strasburgo si ricollega alle ipotesi di mutamento del giudice di primo grado.

Con riferimento a tali ipotesi, la Corte EDU ha sviluppato il principio di diritto secondo cui «di regola, un mutamento nella composizione della corte di merito dopo l’audizione di un testimone importante dovrebbe comportare la nuova audizione del testimone stesso»[21] .

La ratio di tale principio, espressamente denominato “di immediatezza”, è stata individuata nell’esigenza che il giudice entri in contatto diretto con il teste, al fine di poter formulare «osservazioni [] riguardo al [suo] comportamento e alla [sua] attendibilità»[22].

La Corte di Strasburgo chiarisce che l’immediatezza non equivale a una proibizione assoluta di ogni cambiamento in itinere della composizione del tribunale/corte. Sono ammesse, dunque, eccezioni, purché ricorrano le «misure che possono essere adottate per assicurare che i giudici che continuano il processo [abbiano] una comprensione adeguata delle prove e degli argomenti [delle parti]»[23].

In particolare, i fattori che la Corte EDU dichiara di prendere in considerazione per valutare se la mancata ri-escussione dei testi possa essere “compensata” o meno, sono i seguenti: il numero di giudici che muta (e quando avviene il mutamento); l’esistenza di una trascrizione integrale della testimonianza; il fatto che sia stata messa in discussione, o meno, la credibilità del testimone; la rilevanza della testimonianza ai fini della condanna; la complessità fattuale del caso; il fatto che il mutamento sia stato, o meno, imposto con l’obiettivo di influenzare l’esito della controversia.

Questi elementi sono quasi sempre presi in considerazione cumulativamente, ma esaminando la giurisprudenza CEDU si scopre che ve ne è uno che rileva maggiormente: quello del numero di giudici, requisito che appare poter, da solo, determinare l’esito della valutazione.

Ed infatti, quando il mutamento riguardi un giudice unico, o un intero collegio, la mancata ri-escussione dei testi determina automaticamente una violazione dell’articolo 6 CEDU, senza che possano rilevare fattori compensativi quali la disponibilità di una trascrizione della testimonianza, o il fatto che la testimonianza fosse solo una delle fonti di prova su cui si fondava la condanna[24].

Viceversa, quando il mutamento riguardi un solo componente del collegio, se il nuovo giudice ha a disposizione la trascrizione della testimonianza (cosa che, di regola, avviene), la mancata ri-escussione dei testi non pone problemi: e, questo, nonostante sia stata messa in discussione la credibilità del testimone[25], e nonostante il fatto che il giudice che muta sia componente togato di un collegio misto[26] (e addirittura, l’unico componente togato[27]).

Pertanto, può dirsi che – di regola – il mutamento di un giudice unico o di un intero collegio senza la ri-escussione dei testi comporta automaticamente una violazione del principio di immediatezza, mentre il mutamento di un solo giudice del collegio non comporta (apparentemente, mai)[28] la violazione di tale principio, purché il nuovo componente possa conoscere il contenuto della deposizione mediante accesso alla trascrizione della stessa.

Quanto al momento in cui interviene il mutamento di giudice, il potenziale problema di immediatezza può porsi fino a che non siano state adottate decisione e motivazione: in Cerovšek e Božičnik c. Slovenia, la Corte ha chiarito che – anche se il giudice che aveva escusso i testimoni aveva reso la decisione – il fatto che le motivazioni della sentenza fossero state poi redatte da un giudice diverso è comunque idoneo a determinare una violazione del principio di immediatezza, poiché la motivazione è parte integrante della decisione di giustizia, che consente al condannato di conoscere le ragioni per l’eventuale appello, e al pubblico lo scrutinio sull’esercizio del potere giurisdizionale[29]. Viceversa, nel recente caso Iancu c. Romania, la Corte non ha riscontrato una violazione dell’immediatezza nell’ipotesi in cui una sentenza, adottata e già redatta dal collegio che aveva assistito alla formazione prove, fosse stata meramente sottoscritta da parte di un giudice che aveva sostituito un membro del collegio andato in pensione[30].

2.2). L’immediatezza in appello.

Per consolidata giurisprudenza CEDU[31], quando il giudice d’appello è chiamato a esaminare una causa in fatto e in diritto, e a valutare nel complesso la questione della colpevolezza o dell’innocenza dell’imputato, egli non può, per motivi di equità del processo, decidere di tali questioni senza una diretta valutazione dei mezzi di prova[32].

In particolare, egli non potrà fare a meno di confrontarsi con le testimonianze decisive, interpretate favorevolmente all’accusato in primo grado, di cui si appresti a fornire un’interpretazione sfavorevole[33], e con le dichiarazioni dell’accusato stesso, il quale, prima che il giudice proceda a sua condanna in appello, deve essere sentito personalmente[34].

La ratio di questo principio è individuata nella necessità che il giudice senta di persona l’imputato e i testi al fine di poterne valutare l’attendibilità, attività che secondo la Corte di Strasburgo è «complessa» e «normalmente non può essere svolta mediante una semplice lettura del contenuto delle dichiarazioni […] come riportate nei verbali delle audizioni»[35].

Sebbene tale principio sia stato solo di recente definito in via espressa come “di immediatezza”[36], la contiguità con quanto affermato dalla Corte EDU in relazione al mutamento del giudice di primo grado appare evidente: la necessaria vicinanza tra prove e giudice che ha il potere di statuire sul merito di un’accusa penale rappresenta l’aspetto essenziale che accomuna la giurisprudenza sull’immediatezza in primo grado con quella sulla nuova escussione di testi e imputato in appello.

In applicazione di tale principio, la Corte EDU ha riscontrato violazioni dell’articolo 6 CEDU in casi in cui il giudice di secondo grado aveva rovesciato un giudizio assolutorio reso in primo grado senza risentire i testimoni[37], l’imputato stesso[38], o entrambi[39]. In tutti questi casi, la decisione di condanna si fondava su una re-interpretazione delle testimonianze[40] o una diversa valutazione della credibilità dei testimoni[41], senza però che le testimonianze fossero necessariamente l’unica fonte di prova[42].

L’immediatezza in appello è applicata dalla Corte EDU in modo particolarmente stringente, e le tendenze “espansive” della giurisprudenza italiana sul punto non sono accolte.

In due recenti decisioni, Morzenti c. Italia e Di Febo c. Italia[43] (rese da un Comitato, e quindi sul presupposto che esse rappresentano applicazione di una “giurisprudenza consolidata” – vedi art. 28 § 1 b) CEDU), la Corte EDU ha riscontrato violazioni dell’equo processo motivate da una interpretazione restrittiva della giurisprudenza Lorefice operata dalle corti italiane.

In entrambi i casi, i ricorrenti erano stati assolti in primo grado e condannati in appello senza nuova audizione di un testimone la cui deposizione era rilevante per il giudizio di colpevolezza. Le corti interne (appello e Cassazione) avevano rigettato gli argomenti di diritto CEDU, offerti dalle difese, in ordine alla necessità di ri-escutere i testimoni in appello, ritenendo che i casi alla loro attenzione si differenziassero da quello esaminato dalla Corte EDU in Lorefice, poiché la condanna non si era fondata su una nuova valutazione della credibilità del testimone, ed era stata sostenuta anche da altri elementi di prova.

La Corte di Strasburgo, verificato che in entrambi i casi la testimonianza costituiva un elemento rilevante per l’affermazione di colpevolezza degli imputati, ha concluso che i diritti degli imputati sub art. 6 CEDU fossero stati violati per la mancata ri-escussione in appello: a prescindere, quindi, dal fatto che l’attendibilità dei testi non fosse mai stata in discussione, e dal fatto che altre prove corroborassero la decisione di condanna assunta in appello.

La peculiare stringenza del principio di immediatezza in appello è dimostrata anche dalle circostanze in cui la mancata riammissione delle prove è “tollerata” dalla Corte di Strasburgo: nel caso di testi, solamente qualora non sia possibile fare altrimenti (ovvero nei «casi in cui risulta impossibile sentire un testimone di persona al dibattimento di appello, ad esempio a causa del suo decesso […] o al fine di rispettare il suo diritto di mantenere il silenzio su circostanze che potrebbero condurre alla sua incriminazione»);[44] nel caso dell’imputato, solamente quando questi abbia espressamente e inequivocabilmente rinunciato al proprio diritto ad essere esaminato, con tuttavia il caveat che tale rinuncia non possa comunque ritenersi desumibile dalla mera non partecipazione al processo di secondo grado[45].

Appare abissale – e, del resto, è confermato dalle più recenti condanne riportate, sul punto, dal nostro Paese[46] – la distanza tra la posizione estremamente garantista della Corte di Strasburgo e la giurisprudenza e prassi italiane circa la rinnovazione dell’istruttoria in appello.

Peraltro, se è vero che la Corte EDU ha sviluppato un corpus giurisprudenziale relativo alla sola ri-escussione di testi e imputato (e non, più in generale, relativo alla rinnovazione dell’istruttoria in appello), è possibile che ciò dipenda dal fatto che queste erano le fattispecie portate alla sua attenzione, e che il principio di immediatezza nel sistema CEDU possa estendersi, in realtà, anche ad altri tipi di prove, oltre a quelle dichiarative.

Invero, dal momento che la Corte di Strasburgo afferma la necessaria vicinanza tra prove e giudice d’appello in termini piuttosto generali («quando il giudice d’appello è chiamato a esaminare una causa in fatto e in diritto, e a valutare nel complesso la questione della colpevolezza o dell’innocenza dell’imputato, egli non può, per motivi di equità del processo, decidere di tali questioni senza una diretta valutazione dei mezzi di prova»), non si vede perché l’operatività dell’immediatezza non possa estendersi anche oltre l’assunzione della prova dichiarativa mediante l’esame di testimoni e imputato.

3). Conclusioni.

Dalla disamina della giurisprudenza di Strasburgo sopra fornita, emerge come il principio di immediatezza operi nel sistema CEDU in modo decisamente più ampio e garantista che nell’ordinamento italiano.

In caso di mutamento integrale del giudice di primo grado, l’immediatezza CEDU impone sempre la nuova escussione dei testi, senza che rilevino fattori compensativi quali la disponibilità di una trascrizione della testimonianza, o il fatto che la testimonianza fosse solo una delle fonti di prova su cui si fondava la condanna.

In caso di rovesciamento in appello di sentenza assolutoria resa in primo grado, l’immediatezza impone sempre (salvo impossibilità oggettiva) la ri-escussione dei testi, anche se non ne era in discussione la credibilità, e anche se le testimonianze non erano la sola o principale prova di colpevolezza. Allo stesso modo, essa impone sempre ed ex officio (salvo rinuncia dell’interessato) la nuova audizione dell’imputato, anche se costui non era presente al processo d’appello.

In entrambi i casi, si tratta di regole che derivano dalla più generale esigenza che vi sia contiguità tra prove e giudice che decide sul merito, e che quindi ben potrebbero estendersi ad altri tipi di prove.

Nel corpus di giurisprudenza CEDU, il fatto che l’imputato sia proattivo non appare, invece, avere alcuna rilevanza: tra i criteri che la Corte di Strasburgo utilizza per vagliare il rispetto o meno dell’immediatezza in primo grado, non vi è alcun riferimento a richieste di rinnovazione e motivazioni circa le ragioni che impongono la rinnovazione.

Nel sistema CEDU, se l’immediatezza impone la rinnovazione probatoria, questa deve essere effettuata a prescindere dal fatto che l’imputato l’abbia richiesta o motivata (e, addirittura, secondo la giurisprudenza più recente, in appello sarà il giudice a doversi preventivamente attivare per sentire l’imputato eventualmente assente ma non rinunciatario).

Certamente la Corte di Strasburgo ammette che l’immediatezza patisca eccezioni: in primo grado, quando a mutare sia solo un componente del collegio, e vi siano fattori in grado di compensare il mutamento (in particolare, l’esistenza di trascrizione integrale della testimonianza)[47]; in appello, quando la ri-escussione dei testi sia oggettivamente impossibile, o l’imputato abbia volontariamente rinunciato. Però, si badi bene, la casistica all’attenzione della Corte EDU per il primo grado ha avuto sinora ad oggetto solo ipotesi di mutamento di un componete del collegio: resta aperta la questione relativa all’eventuale mutamento di un numero superiore di componenti (e viste le tendenze “garantiste” della giurisprudenza di Strasburgo, non stupirebbe se tale questione venisse risolta in termini contrastanti con le conclusioni della giurisprudenza italiana).

Se questo è, dunque, il quadro sovranazionale – che il legislatore e il giudice italiani non potranno (rectius, non dovranno) ignorare – si possono svolgere, a conclusione del presente contributo, alcune ulteriori riflessioni di più ampio respiro.

Innanzitutto, si vuole valorizzare quel punto, più volte sottolineato dalle decisioni della Corte EDU, del necessario confronto personale con la prova (rectius, con la formazione della prova) da parte di chi assume la decisione: lo si può leggere, dunque, come un monito a tutelare, con rigore, il principio del contraddittorio nella formazione della prova e restituire (finalmente) pienezza al dettato costituzionale dell’art. 111.

Ecco allora come non possa essere guardata con favore la prospettiva di non rendere necessaria la ripetizione della prova dichiarativa nell’ipotesi di mutamento del giudice o della composizione del collegio, tanto attraverso la semplice lettura dei verbali (“regola Bajrami”)[48], quanto mediante il ricorso alla videoregistrazione (riforma Cartabia): entrambe le modalità rappresentano un’alterazione del metodo dialettico di formazione della prova nel processo, non potendosi accettare la riduzione del principio del contraddittorio (che è nella formazione della prova) alla semplice acquisizione della prova in presenza delle parti processuali.

Non si può accettare, in nome dell’efficienza (di recente eretta ad autentico totem) la smaterializzazione[49] della dialettica processuale – che “vive” e si realizza solo all’interno dell’aula di udienza – pena la abdicazione ai tratti più profondi del giusto processo.

Ci si trova, insomma, dinanzi a un bivio: attuare con pienezza i princìpi del processo accusatorio (cui l’avvocato penalista non potrà mai rinunciare), oppure abbandonare, una volta per tutte (ma passando attraverso una riforma legislativa, anche costituzionale), questo modello. Tertium non datur.

Non è peccare di ingenuità. Siamo consapevoli che il contraddittorio forte è un gigante (non con i piedi, ma) con un terreno giuridico-culturale d’argilla.

Si tratta di non rassegnarsi ad accettare, passivamente, di arrestarsi alla difficoltà (sia essa strutturale, economica, tecnica, culturale o di altra natura) dell’impossibile piena attuazione di quel modello ideale, ma, invece, di frapporre un ostacolo alla sua lenta e inesorabile trasfigurazione, vigilando costantemente, con fermezza, perché non vi sia un arretramento delle garanzie difensive.

Ora, viviamo nella stagione dell’efficientismo (cioè dell’efficienza “a tutti i costi”), in cui la giurisprudenza – nella perdurante e colpevole inerzia del parlamento, troppo occupato a fare da cassa di risonanza alle istanze delle varie correnti politiche, à la recherche del consenso elettorale, nell’epoca del populismo penale – si è fatta carico di introdurre, a livello interpretativo, dei “correttivi” al dato positivo, con lo scopo (dichiarato o tacito) di ridurre la durata dei procedimenti penali, definendone al contempo il maggior numero possibile[50].

Invocando l’efficienza, si è introdotta, dunque, expressis verbis o implicitamente, la carenza strutturale come giustificazione per operare un bilanciamento tra interessi di giustizia e diritti difensivi. Ebbene, tale operazione, agli occhi del difensore, non è accettabile, poiché sono i diritti che possono essere bilanciati tra loro, non anche le esigenze di “tenuta del sistema”: questa non è giustizia, è burocrazia!

Siamo tutti concordi nel vedere il problema della lentezza nella celebrazione e definizione dei processi, ma non possiamo accettare l’approccio – che rappresenta un vizio (metodo)logico – di non intervenire sulle cause della lentezza investendo risorse per colmare le carenze strutturali (compito che spetta, evidentemente, allo Stato)[51], scegliendo invece di comprimere i diritti difensivi: di nuovo, questa non è giustizia, è burocrazia!

E non può nemmeno invocarsi, “mascherandola” da diritto da sottoporre a bilanciamento, la ragionevole durata del processo, che non è un valore di per sé: lo è in tanto in quanto sia la ragionevole durata di un processo giusto.

Il parametro dell’efficienza non è, quindi, un valore bilanciabile con i diritti difensivi, e deve pertanto essere riservato all’apparato burocratico dello Stato, quale unico soggetto abilitato a decidere l’allocazione delle proprie risorse; per converso, deve essere sottratto alla “disponibilità” (intesa come concreta capacità di intervento) degli attori del processo, ossia di chi non può (e non deve) controllarlo.

*Avvocato, Foro di Verona. Dottore di ricerca in Studi Giuridici Comparati ed Europei (Indirizzo specialistico in Diritto e Procedura Penale e Filosofia del Diritto), Università degli Studi di Trento.

**Avvocato, Foro di Verona. Dottore di ricerca in Studi Giuridici Comparati ed Europei (Indirizzo specialistico in Diritto e Procedura Penale e Filosofia del Diritto), Università degli Studi di Trento. Già Giurista Assistente presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

[1] In tema di immediatezza, cfr., di recente, nell’ampia letteratura in materia (e senza alcuna pretesa di esaustività), L. Agostini, La mutabilità del giudice: da Corte costituzionale 132 del 2019 alle Sezioni Unite “Bajrami”, in Giurisprudenza penale web, 12, 2019; V. Aiuti, L’immediatezza presa sul serio, in Dir. pen. proc., 1, 2019, p. 109 ss.; E. Aprile, Invito della Consulta al legislatore a modificare la disciplina della rinnovazione del giudizio dibattimentale in caso di mutamento della persona fisica del giudice, in Cass. pen., 10, 2019, p. 3623 ss.; M. Bargis, Il principio di immediatezza nel caso di mutata composizione del giudice: dai responsi della Corte costituzionale, Sezioni Unite e corti europee alle prospettive de jure condendo, in Sist. pen., 4, 2020, p. 41 ss.; H. Belluta – L. Lupària, La rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale fra legge e giurisprudenza: tra punti fermi… e non, in G. Canzio – R. Bricchetti (a cura di), Le impugnazioni penali, Giuffrè, 2019, p. 345 ss.; C. Bonzano, La parabola del contraddittorio dal giusto processo all’efficientismo emergenziale, in Dir. pen. proc., 11, 2020, p. 1413 ss.; M. Daniele, Le ragionevoli deroghe all’oralità in caso di mutamento del collegio giudicante: l’arduo compito assegnato dalla Corte costituzionale al legislatore, in Giur. cost., 3, 2019, p. 1551 ss.; Id., L’immediatezza in crisi. Mutazioni pericolose ed anticorpi accusatori, in Sist. pen., 2, 2021, p. 53 ss.; A. De Caro, La Corte Costituzionale chiama, le Sezioni Unite rispondono: il triste declino del principio di immediatezza, in Dir. pen. proc., 3, 2020, p. 293 ss.; Id., Le ambigue prospettive di riforma del processo penale contenute nel d.d.l. n. 2435/2020: il declino delle garanzie e il (vano) tentativo di accelerare la durata dei processi, in Dir. pen. proc., 4, 2021, p. 524 ss.; M.L. Di Bitonto – P. Pinto de Albuquerque, In difesa del dibattimento penale, in Dir. pen. proc., 8, 2020, p. 1116 ss.; P. Ferrua, Il sacrificio dell’oralità nel nome della ragionevole durata: i gratuiti suggerimenti della Corte costituzionale al legislatore, in Arch. pen. web, 2, 2019, p. 1 ss.; M. Gialuz – J. Dalla Torre, Il progetto governativo di riforma della giustizia penale approda alla Camera: per avere processi rapidi (e giusti) serve un cambio di passo, in Sist. pen., 4, 2020, p. 145 ss.; S. Lorusso, Il fascino indiscreto della “mediatezza”, in www.sistemapenale.it, 23 novembre 2020; O. Mazza, Il sarto costituzionale e la veste stracciata del codice di procedura penale, in Arch. pen. web, 2, 2019, p. 1 ss.; R. Muzzica, La rinnovazione del dibattimento per mutamento del giudice: un impulso della corte costituzionale per una regola da rimeditare, in www.penalecontemporaneo.it, 3 giugno 2019; D. Negri, La Corte costituzionale mira a squilibrare il giusto processo sulla giostra dei bilanciamenti, in Arch. pen. web, 2, 2019, p. 1 ss.; G. Pecchioli, Le SS.UU. ed il principio di immediatezza del giudice: una “quadratura del cerchio”?, in Dir. pen. proc., 9, 2020, p. 1219 ss.; F. Porcu, Mutamento della composizione del giudice e nuova semantica (preagonica) del principio di immediatezza, in Giur. it., 5, 2020, p. 1218 ss.; R.A. Ruggiero, Ciò che resta della prova testimoniale in dibattimento, in Riv. dir. proc., 3, 2020, p. 1104 ss.; C. Scaccianoce, Mutamento del giudice e rinnovazione della prova: la Corte costituzionale esorbita dai confini accusatori, in Proc. pen. giust., 1, 2020, p. 174 ss.; G. Spangher, Immutabilità del giudice. La norma non è incostituzionale ma per la Corte va cambiata, in Il penalista, 11 giugno 2019; E. Valentini, Dalla Corte costituzionale un invito a ridimensionare il principio di immutabilità del giudice penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 3, 2019, p. 1716 ss.; A. Vele, La rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, in Dir. pen. proc., 10, 2014, p. 1226 ss.; L. Zilletti, La linea del Piave e il duca di Mantova, in Arch. pen. web, 2, 2019, p. 1 ss.

[2] Un noto avvocato disse – rivolto alla platea di giovani colleghi, invitandoli a mantenere come cardine, nell’attività di difensori, il dato positivo – di “aprire prima il codice”, e poi, solo in un secondo momento, di studiare le opinioni della dottrina e gli orientamenti giurisprudenziali sul punto.

[3] Il dato letterale [«La sentenza è deliberata subito dopo la chiusura del dibattimento» (comma 1) e «Alla deliberazione della sentenza concorrono, a pena di nullità assoluta, gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento» (comma 2)] riprende quanto era già previsto nell’art. 472 del codice Rocco del 1930 [«Il dibattimento è chiuso appena terminata la discussione» (comma 1) e «La sentenza è deliberata dagli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento, senza interruzione» (comma 2)].

[4] La realtà quotidiana d’udienza ha, cioè, già abbondantemente dimostrato lo svilimento del principio di immediatezza (accentuando anzi la percezione di un imminente e definitivo tramonto). Il riferimento è, ad esempio, alla prassi (avallata dalla giurisprudenza di legittimità e invalsa già ante Sezioni Unite cc.dd. Bajrami, che hanno poi inteso “eliminare alla radice” il problema), per cui, in caso di mutamento del giudice, si ascolta nuovamente il testimone, ma limitando l’esame alla semplice richiesta di confermare quanto dichiarato. In effetti, è innegabile come la realtà quotidiana d’udienza stia ampiamente dimostrando, altresì, il costante svilimento dello stesso processo accusatorio, rispetto al quale si continua a registrare la resistenza, si vorrebbe dire, “culturale”, anche da parte delle “nuove” – nel senso di formatesi interamente sotto la vigenza del codice del 1988 – generazioni di magistrati. Si pensi al fenomeno delle cc.dd. contestazioni in aiuto alla memoria (secondo la nota successione: domanda al testimone di ricordare un fatto / risposta negativa / contestazione dando lettura di quanto dichiarato a sommarie informazioni in fase di indagini). Prassi che, come sappiamo, incontrano un favore pressoché assoluto degli organi giudicanti e, specularmente, un insuccesso pressoché totale delle opposizioni formulate dai difensori. Il massiccio ricorso alle contestazioni in aiuto alla memoria rappresenta, di fatto, un’introduzione di atti di indagine nel fascicolo del dibattimento, finendo per tradursi in un giudizio allo stato degli atti (id est, giudizio abbreviato), senza il carattere premiale previsto da quest’ultimo, con conseguente difficoltà “a monte”, per il difensore, sulla scelta della strada processuale più opportuna da percorrere.

[5] Secondo quella discutibile tendenza – di recente manifestatasi in termini più marcati, e prescindendo qui se tale trend sia maggiormente attribuibile all’inerzia del potere legislativo o alla crescente centralità del potere giudiziario, o a entrambi – per cui è il legislatore ad “inseguire” il diritto vivente, che sempre più si pone in “tensione” rispetto al dato positivo, per interpretarlo ma anche, sovente, per “superarlo”, non necessariamente “in bonam partem”.

[6] Colpo particolarmente significativo, soprattutto se letto nella prospettiva di “anticipazione di giudizio” in ordine a future prospettazioni di questioni di legittimità costituzionale fondate, ad esempio, su interpretazioni “convenzionalmente orientate”, dal momento che, come si vedrà infra, la Corte EDU, in ordine al principio de quo, sembra procedere su un diverso binario rispetto alla giurisprudenza interna.

[7] Cfr. Corte cost., sentenza 20 maggio 2019 (dep. 29 maggio 2019), n. 132.

[8] Più precisamente, era stato chiesto alla Corte di valutare la legittimità costituzionale (rispetto all’art. 111 Cost.) degli artt. 525, comma 2, 526, comma 1 e 511 c.p.p., «[…] se interpretati nel senso che ad ogni mutamento della persona fisica di un giudice, la prova possa ritenersi legittimamente assunta solo se i testimoni già sentiti nel dibattimento, depongano nuovamente in aula davanti al giudice-persona fisica che deve deliberare sulle medesime circostanze o se invece ciò debba avvenire solo allorquando non siano violati i principi costituzionali della effettività e della ragionevole durata del processo».

[9] La circostanza per cui la Corte costituzionale – all’interno di un obiter dictum nella parte conclusiva della sentenza – “non si sia potuta esimere” (l’espressione è del redattore) dal sottolineare le incongruità dell’attuale disciplina e abbia ritenuto «doveroso sollecitare l’adozione di rimedi strutturali» e introdurre meccanismi “compensativi” (quali, ad esempio, la videoregistrazione delle prove dichiarative), rappresenta una “modalità comunicativa” non infrequente negli ultimi anni, che tuttavia, fermo il doveroso ossequio nei confronti dell’autorevolezza del luogo di provenienza del “suggerimento”, rischia di alterare il delicato equilibrio che sussiste tra potere legislativo e giudice delle leggi, perché finisce per collocarsi al di fuori degli “stretti” binari del giudizio di legittimità costituzionale.

[10] La Corte costituzionale ha evidenziato, in particolare, come la giurisprudenza della Corte di Strasburgo ricomprenda «tra le garanzie dell’equo processo la possibilità, per l’imputato, di confrontarsi con i testimoni in presenza del giudice che dovrà poi decidere sul merito delle accuse, sul presupposto della maggiore affidabilità epistemologica dell’osservazione diretta del comportamento dei testi (ex multis, Corte EDU, sentenze 27 settembre 2007, Reiner e altri contro Romania, paragrafo 74 e 30 novembre 2006, Grecu contro Romania, paragrafo 72)». Ma, prosegue la Consulta, la Corte EDU riconosce parimenti come il principio dell’immediatezza possa «essere sottoposto a ragionevoli deroghe, purché siano adottate misure appropriate per assicurare che il nuovo giudice abbia una piena conoscenza del materiale probatorio». Ricorda, ad esempio, come la Corte EDU abbia ritenuto adeguata la “misura compensativa” data dalla «possibilità, per il nuovo giudice, di disporre la rinnovazione della deposizione dei (soli) testimoni la cui deposizione sia ritenuta importante (Corte EDU, sentenze 2 dicembre 2014, Cutean contro Romania, paragrafo 61, e 6 dicembre 2016, Škaro contro Croazia, paragrafo 24)». Ed ancora, la Consulta evidenzia come non sia stata ravvisata la violazione dell’art. 6 CEDU «in un caso in cui non era stata rinnovata l’escussione dei testimoni nonostante la sostituzione di un membro del collegio giudicante, sottolineando come i verbali delle deposizioni in precedenza raccolte fossero a disposizione del nuovo componente del collegio, e l’imputato non avesse chiarito quali elementi nuovi e pertinenti la rinnovazione avrebbe potuto apportare (Corte EDU, sentenza 10 febbraio 2005, Graviano contro Italia, paragrafi 39-40; in senso analogo, decisione 9 luglio 2002, P. K. c. Finlandia)».

Preme evidenziare fin da qui come la panoramica appena indicata dalla Corte rappresenti un quadro soltanto parziale dello “stato dell’arte”, che nei paragrafi seguenti ci si propone di illustrare con maggiore compiutezza (la Corte EDU valuta l’immediatezza, rispetto al mutamento del giudice e alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, con riferimento sia al giudizio di primo grado, sia a quello di appello), ai fini di rendere più completi i confini entro cui svolgere il dibattito in ordine al principio de quo.

[11] Cfr. Cass. pen., Sezioni Unite, sentenza 30 maggio 2019 (dep. 10 ottobre 2019), n. 41736, imp. Bajrami.

[12] Richiamandosi, nelle ultime pagine (cfr. p. 22 ss.), tanto la sentenza n. 132/2019 della Corte costituzionale, quanto, sostanzialmente, le stesse sentenze della Corte EDU ivi elencate.

Il Supremo Collegio, nella sua composizione più autorevole, ha rivisto quanto affermato in precedenza (cfr. Cass. pen., Sezioni Unite, sentenza 17 febbraio 1999, n. 2, imp. Iannasso), rilevando come «quando le dichiarazioni rese in dibattimento dai soggetti esaminati dal giudice diversamente composto siano state integralmente verbalizzate stenotipicamente, con contestuale registrazione fonografica – come oggi accade sostanzialmente nella stragrande maggioranza dei processi –, il problema della mediazione del primo giudice tra le effettive dichiarazioni e la relativa verbalizzazione si sdrammatizza, risultando le stesse invece completamente e genuinamente riportate, e come tali integralmente conoscibili dal nuovo giudicante. In presenza di tale ausilio tecnico, potrà eventualmente ravvisarsi una giusta ragione per non disporre la pedissequa ripetizione dell’esame» (cfr. pp. 26-27 delle motivazioni). Per le Sezioni Unite «trova, quindi conferma, anche a livello convenzionale, la possibilità di gravare legittimamente la parte che intenda ottenere il nuovo esame dinanzi al giudice nella composizione sopravvenuta di un testimone già esaminato dinanzi al giudice nella composizione poi mutata, dell’onere di: – chiedere il nuovo esame del teste; – indicare le circostanze decisive in ordine alle quali la nuova audizione del teste dovrebbe avere luogo. E risultano, conseguentemente, legittime, anche in relazione alle garanzie convenzionali: – la mancata rinnovazione dell’esame, in difetto di una richiesta di parte; – la mancata ammissione della richiesta di rinnovazione dell’esame formulata senza indicare le circostanze decisive in ordine alle quali il nuovo esame dovrebbe avere luogo, ovvero quando le circostanze indicate siano dal giudice ritenute prive di concreto rilievo e, conseguentemente, la rinnovazione dell’esame risulti manifestamente superflua» (cfr. p. 27 delle motivazioni).

[13] Ossia, come noto, l’acquisizione (nei procedimenti per taluno dei delitti indicati nell’art. 51, comma 3-bis, c.p.p., o dei delitti e nei casi indicati nel comma 1-bis dello stesso art. 190-bis c.p.p.) dei verbali delle dichiarazioni già rese – in sede di incidente probatorio o in dibattimento (nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate) – dal testimone o dall’imputato in un procedimento connesso («salvo l’esame riguardi fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni ovvero se il giudice o taluna delle parti lo ritengono necessario sulla base di specifiche esigenze»).

[14] La prof.ssa Cartabia era, peraltro, giudice della Corte costituzionale al tempo della ricordata sentenza n. 132/2019 (“recependo” da ministro, per così dire, quei suggerimenti indirizzati al legislatore quale membro della Consulta, ad esempio in tema di videoregistrazione delle prove dichiarative).

[15] Recependosi in toto, sul punto, la proposta di emendamento elaborata dalla Commissione Lattanzi –  istituita presso l’Ufficio legislativo del Ministero della Giustizia («Commissione di studio per elaborare proposte di riforma in materia di processo e sistema sanzionatorio penale, nonché in materia di prescrizione del reato, attraverso la formulazione di emendamenti al Disegno di legge A.C. 2435, recante Delega al Governo per l’efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d’appello») – la cui relazione finale, pubblicata sul sito del Ministero della Giustizia, è stata consegnata al Ministro Cartabia in data 24 maggio 2021.

[16] Desta comunque perplessità il requisito, generico, della necessità “sulla base a specifiche esigenze”, sembrandone quantomeno auspicabile una tipizzazione.

[17] P.K. c. Finlandia, n. 37442/97, decisione del 9 luglio 2002; Milan c. Italia, n. 32219/02, decisione del 4 dicembre 2003; Graviano c. Italia, n. 10075/02, sentenza del 10 febbraio 2005; Cutean c. Romania, n. 53150/12, sentenza del 2 dicembre 2014; Beraru c. Romania, n. 40107/04, sentenza del 18 marzo 2014; Škaro c. Croazia, n. 6962/13, sentenza del 6 dicembre 2016; Cerovšek e Božičnik c. Slovenia, nn. 68939/12 e 68949/12, sentenza del 7 marzo 2017; Svanidze c. Georgia, n. 37809/08, sentenza del 25 luglio 2019.

[18] Dan c. Repubblica di Moldavia (n. 2), n. 57575/14, sentenza del 10 novembre 2020, § 52: «Un problema di immediatezza può sorgere anche quando una corte d’appello rovescia un giudizio assolutorio senza un previo esame ex novo delle prove, inclusa l’audizione dei testi ed il loro controesame da parte della difesa».

[19] Vedasi, ex multis: Chernika c. Ucraina, n. 53791/11, sentenza 12 marzo 2020, §47.

[20] Le traduzioni di estratti di sentenze della Corte EDU riportate nel presente contributo sono elaborate personalmente dall’Autrice e non costituiscono versioni ufficiali delle dette sentenze. L’originale inglese o francese delle sentenze è reperibile su HUDOC.

[21] Beraru c. Romania, cit., § 23; Cutean c. Romania, cit., §60; Škaro c. Croazia, cit., §23; Graviano c. Italia, cit., §38.

[22] Ibid.

[23] Cutean c. Romania, cit., §61.

[24] Cutean c. Romania, cit.; Svanidze c. Georgia, cit.

[25] Škaro c. Croazia, cit.; Graviano c. Italia, cit.

[26] Graviano c. Italia, cit.

[27] Škaro c. Croazia, cit.; P.K. c. Finlandia, cit.

[28] In un solo caso la Corte EDU ha riscontrato una violazione in caso di mutamento di un componente di collegio, ma si trattava di un caso molto particolare, in cui ad un giudice unico era stato affiancato in corso di causa un secondo collega, così integrandosi un collegio prima inesistente: Beraru c. Romania, cit.

[29] Cerovšek e Božičnik c. Slovenia, nn. 68939/12 e 68949/12, sentenza del 7 marzo 2017.

[30] Iancu c. Romania, n. 62915/17, sentenza del 23 febbraio 2021. La sentenza non è ancora definitiva.

[31] Botten c. Norvegia, n. 16206/90, sentenza del 19 febbraio 1996; Constantinescu c. Romania, n. 28871/95, sentenza del 27 giugno 2000; Popovici c. Moldavia, nn. 289/04 e 41194/04, sentenza del 27 novembre 2007; Marcos Barrios c. Spagna, n. 17122/07, sentenza del 21 settembre 2010; Dan c. Moldavia, n. 8999/07, sentenza del 5 luglio 2011; Lazu c. Repubblica di Moldavia, n. 46182/08, sentenza del 5 luglio 2016; Hanu c. Romania, n. 10890/04, sentenza del 4 giugno 2013; Manoli c. Repubblica di Moldavia, n. 56875/11, sentenza del 28 febbraio 2017; Lorefice c. Italia, n. 63446/13, sentenza del 29 giugno 2017; Dan c. Repubblica di Moldavia (n. 2), cit.

[32] Constantinescu c. Romania, cit., § 55; Popovici c. Moldavia cit. § 68; Marcos Barrios c. Spagna, cit. § 32; Dan c. Moldavia, cit. §30; Lazu c. Repubblica di Moldavia, cit. § 40; Manoli c. Repubblica di Moldavia, cit. § 32; Lorefice c. Italia, cit. § 36.

[33] Dan c. Moldavia, cit. §30; Lazu c. Repubblica di Moldavia, cit. §40; Lorefice c. Italia, cit. § 36.

[34] Maestri e altri c. Italia, nn. 20903/15 20973/15 20980/15, sentenza dell’8 luglio 2021. La sentenza non è ancora definitiva.

[35] Manoli c. Repubblica di Moldavia, cit. §32; Lorefice c. Italia, cit. § 43; Dan c. Moldavia, cit. § 33.

[36] Dan c. Repubblica di Moldavia (n. 2), cit. §52.

[37] Dan c. Moldavia, cit.; Lazu c. Repubblica di Moldavia, cit.; Lorefice c. Italia.

[38] Constantinescu c. Romania, cit.; Botten c. Norvegia, cit.

[39] Manoli c. Repubblica di Moldova, cit.; Hanu c. Romania, cit.; Marcos Barrios c. Spagna, cit.

[40] Manoli c. Repubblica di Moldova, cit.; Hanu c. Romania, cit.

[41] Dan c. Moldavia, cit.; Lorefice c. Italia, cit.

[42] Lazu c. Repubblica di Moldavia, cit; Marcos Barrios c. Spagna, cit.

[43] Morzenti c. Italia, n. 67024/13, decisione del 17 giugno 2021; Di Febo c. Italia, n. 53729/15, decisione del 17 giugno 2021.

[44] Lorefice c. Italia, cit. § 44; Dan c. Moldavia, cit. § 33. Per le interrelazioni tra la giurisprudenza in materia di immediatezza in appello, e quella relativa al testimone assente, vedasi Chernika c. Ucraina, cit.

[45] Maestri e altri c. Italia, cit.

[46] Ci si riferisce alle menzionate pronunce Maestri e altri c. Italia, cit.; Morzenti c. Italia, cit.; Di Febo c. Italia, cit.

[47] Orientamento, questo, che appare, per certi versi, sorprendente (rendendosi, quindi, auspicabile un overruling), se accostato al rigore assunto dalla Corte EDU nelle altre ipotesi menzionate: per quale ragione sarebbe sufficiente, in questo caso, per assumere una decisione “equa”, da parte di un giudicante collegiale, l’esistenza di una trascrizione della prova dichiarativa, mentre la semplice lettura non viene ritenuta misura idonea in caso di valutazione delle prove in appello?

[48] Come evidenziato supra, in conclusione del par. 1, se da un lato si valuta certamente con favore l’abbandono (si auspica definitivo) del testo originario della riforma c.d. Bonafede, dall’altro occorre considerare come, per il diritto vivente post Sezioni Unite Bajrami (la cui stagione non andrà ad esaurirsi a breve), la lettura delle precedenti dichiarazioni sia divenuta la regola e non più l’eccezione. Sul punto, non si possono non ricordare le parole di un insigne Maestro, sulla «sottile suggestione delle cose scritte» e sul rischio che il libero convincimento del giudice si risolva «in una salvaguardia del fatto compiuto» (cfr. F. Cordero, Scrittura e oralità, ora in Tre studi sulle prove penali, Milano, 1963, p. 212 ss). Del resto, in relazione alla prova dichiarativa, non si può ignorare come la comunicazione (che il giudice dovrebbe essere chiamato a valutare globalmente) sia di due tipi: verbale e non verbale. La comunicazione non verbale, come noto, coinvolge il canale uditivo (si ha riguardo a qualità della voce, intonazione, velocità e ritmo del discorso, pause osservate e silenzi, durata degli stessi, ripetizione delle parole, ecc.) e il canale visivo (si considerano gesti, mimica facciale, sguardi, postura, ecc.). Ecco, dunque, che la semplice lettura della prova dichiarativa pretermette (indebitamente) ogni valutazione su questo tipo di comunicazione, pure fondamentale nella valutazione della genuinità del racconto e dell’attendibilità del riferito.

[49] Anche con riferimento alla videoregistrazione della prova dichiarativa (suggerita da Corte costituzionale n. 132/2019 e, per ora, recepita nella riforma c.d. Cartabia) sussistono alcuni dubbi. Se pure, da un lato, avrebbe il merito, forse (tecnologia permettendo), di “cogliere” – diversamente dalla semplice lettura della trascrizione dei verbali – anche la comunicazione non verbale, dall’altro su tale modalità di acquisizione aleggerebbero comunque diversi dubbi, in primis quello dato dall’assegnazione della “regia” (e quindi della gestione delle inquadrature) a un soggetto esterno (alla difesa, ma in generale alle parti). Si ritiene, di nuovo, di sottolineare come si debba privilegiare la garanzia del contraddittorio nella formazione della prova rispetto alla (più blanda) forma di contraddittorio nell’acquisizione della prova: in tal senso, si potrebbe incentivare l’utilizzo della videoregistrazione, ma come ausilio, ai fini della decisione, allo stesso giudice che ha assistito all’assunzione della dichiarazione.

[50] In questo senso, si possono leggere, oltre alle più volte richiamate Sezioni Unite “Bajrami”, la decisione delle Sezioni Unite c.d. Cavallo (Cass. pen., Sezioni Unite, sentenza 28 novembre 2019, n. 51) in tema di utilizzabilità dei risultati di intercettazioni di conversazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali siano state autorizzate; ancora, gli orientamenti giurisprudenziali in ordine alla specificità dei motivi d’appello e, in generale, la (non) uniformità del giudizio (non ulteriormente censurabile) di inammissibilità del ricorso per cassazione.

[51] Approccio che abbiamo visto sposare in occasione della (sciagurata) riforma Bonafede sulla prescrizione: preso atto della durata eccessiva dei procedimenti penali e del fatto che i reati spesso si prescrivono (benché questo avvenga, per larga parte, già nella fase delle indagini preliminari), si è ritenuto, anziché investire profondamente nel sistema giustizia, di abolire, di fatto, la prescrizione dopo la sentenza di primo grado (con buona pace, peraltro, anche dello stesso principio di ragionevole durata del processo, obiezione cui gli stessi – pochi – entusiasti della riforma non hanno saputo rispondere).