ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE DEGLI ARTT. 268 COMMI VI E VIII, 269 COMMI I E II, 270 CO. III E 89 BIS COMMI III E IV DISP. ATT. COD. PROC. PEN. PER CONTRASTO CON GLI ARTT. 2, 14 E 15 COST. – DI FEDERICO FEBBO, MARCO D’AGNOLO E ANTONIO TURRISI
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ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE DEGLI ARTT. 268 COMMI VI E VIII, 269 COMMI I E II, 270 CO. III E 89 BIS COMMI III E IV DISP. ATT. COD. PROC. PEN. PER CONTRASTO CON GLI ARTT. 2, 14 E 15 COST.
CONSTITUTIONAL ILLEGITIMACY OF THE ARTICLES 268 PARAGRAPHS VI AND VIII, 269 PARAGRAFS I AND II, 270 PARAGRAF III, 89 BIS PARAGRAFS III AND IV DISP. ATT. CODE PROC. PEN. FOR CONTRAST WITH THE ARTICLES 2, 14 AND 15 OF THE CONSTITUTION
di Federico Febbo, Marco D’Agnolo ed Antonio Turrisi*
Illegittimità costituzionale degli artt. 268 commi VI e VIII, 269 commi I e II, 270 comma III, 89 bis commi III e IV disp. att. cod. proc. pen. per contrasto con gli artt. 2, 14 e 15 Cost., nella parte in cui non prevedono il diritto dei terzi intercettati estranei al procedimento di essere avvisati, dopo la conclusione delle indagini preliminari, dell’attività di intercettazione compiuta nei loro confronti, di accedere agli atti con facoltà di esaminarli ed estrarne copia nonché di contestare la legittimità delle attività captative ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 271 cod. proc. pen.
Constitutional illegitimacy of the articles 268 paragraphs VI and VIII, 269 paragraphs I and II, 270 paragraph III, 89 bis paragraphs III and IV disp. att. code proc. pen. for contrast with the articles 2, 14 and 15 of the Constitution, in the part in which they do not provide for the right of third parties intercepted outisde the proceedings to be notified, after the conclusion of the preliminary investigations, of the intercepting activity carried out against them, to access the documents with the right to examine them and extract a copy as well as contest the legitimacy of the captive activities pursuant to art. 271 code proc. pen.
L’ultimo approdo della “saga Contrada”.
L’ultima sentenza della c.d. “saga Contrada”, emessa dalla Prima Sezione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo lo scorso 23 maggio (causa Contrada contro Italia, ricorso n. 2507/19)[1] e recentemente divenuta irrevocabile per effetto della mancata opposizione da parte del Governo italiano, offre significativi spunti di riflessione sulla conformità convenzionale e costituzionale della disciplina domestica delle intercettazioni di comunicazioni e conversazioni.
I Giudici di Strasburgo, infatti, hanno evidenziato – e per questo condannato il nostro Paese – una carenza fisiologica delle previsioni del codice di rito sotto il profilo delle facoltà e dei diritti – id est, delle garanzie – (non) riconosciute ai soggetti terzi, estranei al procedimento penale, che siano sottoposti ad intercettazione.
Ad essere stigmatizzata è l’impossibilità, in capo a questi ultimi, di avvalersi di rimedi finalizzati a promuovere un vaglio giudiziale sulla legalità e necessità dell’attività captativa.
La Corte E.D.U. ha statuito che la normativa interna, interpretata alla luce del diritto vivente, non soddisfa i canoni di “qualità della legge” che la protezione dei beni presidiati dall’art. 8 della Convenzione, vale a dire la vita privata e familiare, il domicilio e la corrispondenza, impone in una società democratica, sia in termini di necessità del loro sacrificio per esigenze connesse alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico, alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale oppure alla protezione dei diritti e delle libertà altrui; sia in termini di previsione di garanzie “sufficienti ed effettive” per contrastare eventuali abusi.
In particolare la Corte europea, pur riconoscendo, da un lato, che il nostro Ordinamento attribuisce (in astratto e con alcuni limiti concreti che sono sfuggiti ai giudici E.D.U.) a tutti i soggetti interessati (e quindi anche ai soggetti terzi estranei al procedimento, persino se intercettati casualmente) il diritto di chiedere, a tutela della propria riservatezza, la distruzione dei supporti e della documentazione inerenti ad intercettazioni non necessarie a fini investigativi, giusto il combinato disposto dell’art. 269 cod. proc. pen. e la previsione di ordine generale di cui all’art. 116 del codice di rito, dall’altro lato ha rilevato che la disciplina domestica consente, invece, soltanto a chi sia “parte” del procedimento di accedere ai rimedi finalizzati a conseguire una declaratoria di inutilizzabilità e l’ordine di distruzione delle intercettazioni illegalmente disposte o eseguite (a prescindere da qualsiasi valutazione in merito alla loro rilevanza probatoria), giusto il disposto dell’art. 271 cod. proc. pen.
Con un evidente vulnus del diritto alla riservatezza dei soggetti terzi estranei al procedimento e conseguente violazione della disciplina convenzionale.
La tensione si riverbera anche sul piano della disciplina costituzionale.
La tensione con l’art.8 della Convenzione ha effetti riflessi anche sul piano dei principi che la nostra Carta fondamentale ha scolpito in subiecta materia.
Riflessi che chiamano in causa non solo le disposizioni specificamente censurate in sede europea ma, in generale, un assetto della disciplina delle intercettazioni che non è agevole (ri)allineare ai principi fondamentali solo in via ermeneutica, cercando nelle pieghe del tessuto normativo rimedi che finirebbero per non essere davvero appaganti[2].
Ma occorre, onde approfondire adeguatamente le questioni evocate, soffermarsi sugli aspetti normativi rilevanti[3].
Il primo è il disposto dell’art. 267 comma I cod. proc. pen., che prevede la possibilità di disporre intercettazioni telefoniche, telematiche ed ambientali, anche mediante l’inserimento di captatore informatico, in presenza di gravi indizi di reato ed a condizione che l’attività captativa sia indispensabile per la prosecuzione delle indagini.
Il diritto vivente ha cristallizzato il principio per cui la suddetta disposizione, nel fare riferimento ai gravi indizi di reato e non al soggetto gravemente indiziato, legittimi l’attività captativa anche nei confronti di chi non è (neppure) sospettato di avere commesso un reato, purché sussistano le due condizioni oggettive della gravità indiziaria e dell’indispensabilità per la prosecuzione delle indagini[4].
Si tratta di un’attività di ricerca della prova massimamente invasiva del domicilio, della privacy e della riservatezza delle comunicazioni – le cui rispettive inviolabilità sono scolpite negli artt. 2, 14 e 15 Cost. – che assume maggiore portata “intrusiva” laddove sia rivolta nei confronti di soggetti che non sono gravemente indiziati e neppure sospettati di aver commesso un reato.
L’invasività è amplificata dalla circostanza che non solo è consentita la captazione di comunicazioni telefoniche o tra presenti ma, altresì, mediante l’uso del captatore informatico, l’acquisizione dei contenuti di corrispondenza informatica quali la messaggistica sms e whatsapp nonché il flusso della corrispondenza telematica.
Vieppiù che gli artt. 13 d.l. 152/91 e 266 comma II bis cod. proc. pen., prevedendo una disciplina derogatoria del regime intercettativo nei procedimenti che hanno ad oggetto reati di criminalità organizzata e quelli contenuti nel catalogo di cui all’art. 51 commi III bis e III quater del codice di rito, consentono l’attività captativa in presenza anche solo di una sufficienza indiziaria ed a prescindere dalla dimostrazione che in uno dei luoghi indicati dall’art. 614 cod. pen. si stia consumando un reato.
Il secondo è il disposto dall’art. 269 comma II cod. proc. pen., che prevede il diritto degli «interessati» (cui vanno inclusi i soggetti intercettati che non sono indagati – ancor prima che non gravemente indiziati di un reato) di chiedere al giudice la distruzione della documentazione non necessaria per il procedimento penale, a tutela della loro riservatezza.
Si osserva, sin d’ora, che si tratta di una prerogativa svuotata di contenuto e priva di effettiva applicabilità pratica per i soggetti terzi, atteso che non si vede in che modo gli «interessati» che siano estranei al procedimento possano chiedere la distruzione della suddetta documentazione, in assenza della previsione di alcun rituale avviso che abbia ad oggetto la loro sottoposizione ad attività intercettativa e la mancata previsione, a beneficio dei medesimi, di alcuna facoltà di accesso agli atti del procedimento, di audizione delle comunicazioni che li riguardano e di acquisizione (ed estrazione copia) della relativa documentazione.
Il terzo è il disposto dell’art. 268 comma II bis del codice di rito che prevede un’ulteriore tutela, generalmente riconosciuta anche ai soggetti terzi intercettati estranei al procedimento e recentemente novellato dall’art. 2 comma II lett. d) della l. 9 agosto 2024 n. 114 (cd. d.d.l. Nordio)[5], con estensione della previsione in base alla quale l’Ufficio del pubblico ministero deve vigilare (rectius dovrebbe) affinché nei verbali «non siano riportate espressioni lesive della reputazione delle persone o quelle che riguardano fatti e circostanze afferenti alla vita privata degli interlocutori» anche ai «soggetti diversi dalle parti»[6].
Trattasi di una disposizione priva di sanzione e, per l’effetto, di una mera indicazione di vigilanza che si risolve in un auspicio rivolto all’ufficio inquirente la cui inosservanza, formale o sostanziale che sia, non comporta alcuna declaratoria di inutilizzabilità degli esiti captativi (giusto il disposto dell’art. 271 comma I cod. proc. pen., applicabile con esclusivo riferimento alle violazioni di cui ai precedenti artt. 267 comma I e 268 commi I e III).
Il quarto è il disposto dell’art. 268 comma VI del codice di rito, che prevede una specifica tutela dei diritti dei terzi non indagati ma sottoposti ad intercettazione e che è stato parimenti interpolato dal d.d.l. Nordio, per cui il (già previsto) dovere del giudice di stralciare le intercettazioni ed i verbali che riguardano categorie particolari di dati personali è esteso anche ai «soggetti diversi dalle parti» (fatta salva l’ipotesi che si tratti di dati rilevanti ai fini delle indagini)[7].
Ebbene, alla luce del richiamato articolato normativo va preso atto come (nonostante il recente intervento legislativo) il soggetto terzo, estraneo alle indagini, e che sia intercettato, non goda di alcuna diretta ed autonoma facoltà di tutela dei propri diritti fondamentali, riconosciuti come primari (e, quindi, solo eccezionalmente comprimibili) dagli artt. 2, 14 e 15 della Costituzione.
Invero, il Legislatore dell’ultima riforma non ha tenuto adeguatamente in considerazione le criticità rilevate dalla Corte E.D.U. laddove, nella citata sentenza Contrada c. Italia, ha stigmatizzato come i terzi sottoposti a captazione ed estranei al procedimento penale (§92) «salvo indiscrezione o altro caso fortuito, potrebbero non venire mai a sapere che sono stati oggetto di una misura di sorveglianza» e la persona intercettata (§93) «non può, in linea di principio, contestare retrospettivamente dinanzi alla giustizia la legalità delle misure adottate a sua insaputa, a meno che non sia avvisata di queste ultime».
Per l’effetto, (§94) «un estraneo al procedimento penale, anche se si rende conto di essere stato oggetto di una misura di sorveglianza, non dispone di alcun ricorso che gli permetta di chiedere un controllo giudiziario delle intercettazioni disposte nei suoi confronti».
A completamento del quadro scaturito dalle recenti modifiche legislative in subiecta materia, si rappresenta che il d.d.l. Nordio ha anche modificato l’art. 114 comma II bis cod. proc. pen. (che prevede il divieto di pubblicazione delle intercettazioni non acquisite ai sensi degli artt. 268, 415 bis o 454 del codice di rito) stabilendo ora che il divieto cada quando il contenuto intercettato sia «riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel corso del dibattimento»[8].
Tale interpolazione, a ben vedere, non comporta alcun rafforzamento di tutela del terzo estraneo al procedimento penale sottoposto direttamente a captazione, atteso che il termine «provvedimento» del giudice ricomprende anche l’ordinanza di custodia cautelare, con ciò legittimandosi la pubblicazione dei contenuti delle intercettazioni ivi riportate, con loro divulgazione anche nella fase delle indagini preliminari, ossia in un momento embrionale del procedimento.
Ultima previsione novellata è l’art. 116 comma I cod. proc. pen., che è stato integrato con il disposto in base al quale non può essere rilasciata copia delle intercettazioni di cui è vietata la pubblicazione ai sensi dell’articolo 114 comma 2 bis «quando la richiesta è presentata da un soggetto diverso delle parti e dai loro difensori, salvo che la richiesta sia motivata dalla esigenza di utilizzare i risultati delle intercettazioni in un altro procedimento specificamente indicato».
Non è revocabile in dubbio che la nuova disposizione, che legittima i soggetti interessati a chiedere il rilascio di copie forensi di un procedimento penale, prevede una mera aspettativa del terzo non indagato e non un suo diritto di accesso agli atti, laddove subordina il rilascio «ad una valutazione discrezionale del giudice e la stessa insussistenza di un diritto della parte interessata ad ottenere copia degli atti di indagine è stata affermata dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. Un., 3 febbraio 1995, n. 4, Sciancalepore), che ha confermato l’assunto secondo cui la norma richiamata pone, come regola generale, una mera possibilità e non un vero diritto della parte interessata ad ottenere il rilascio di copia degli atti»[9].
Infine, va osservato come rispetto al disposto del citato art. 116 cod. proc. pen., sistematicamente collocato nel Titolo I del libro II del codice di rito, rubricato «disposizioni generali» prevalgano, in tema di intercettazioni, gli artt. 268 commi VI e VIII, 269 commi I e II, 270 comma III e 89 bis disp. att. cod. proc. pen. che sono, all’evidenza, norme speciali.
Il vuoto di tutela per il soggetto terzo intercettato estraneo al procedimento.
Le citate disposizioni, nonostante il recente intervento del Legislatore, continuano a non prevedere il diritto che il soggetto terzo non indagato ed intercettato:
a) riceva avviso di deposito negli uffici della Procura della Repubblica, una volta concluse le indagini preliminari (e cessate le ragioni di segretezza investigativa), della documentazione inerente alle attività captative compiute nei suoi confronti, possa esaminare i relativi atti ed ascoltare le registrazioni ovvero prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche (come invece previsto dal comma VI dell’art. 268 cod. proc. pen. per i difensori delle parti);
b) possa chiedere copia delle trascrizioni o, comunque, delle registrazioni dei flussi di comunicazioni relativi all’attività captativa eseguita direttamente nei suoi confronti, sussistendo attualmente una mera aspettativa del terzo intercettato estraneo alle indagini, prevista dal citato art. 116 comma I cod. proc. pen., nei ristretti limiti applicativi ivi stabiliti e subordinata alla valutazione discrezionale del giudice;
c) possa accedere all’archivio della Procura della Repubblica ed ascoltare le comunicazioni e le conversazioni registrate direttamente nei suoi confronti nonché esaminare i verbali e le registrazioni in precedenza depositati;
d) possa rivolgere istanza al giudice al fine di contestare la legittimità delle attività captative compiute direttamente nei suoi confronti, chiedendone la declaratoria di inutilizzabilità nelle ipotesi di cui all’art. 271 cod. proc. pen. e la successiva distruzione.
Inoltre, non si comprende in che modo il terzo estraneo alle indagini che sia intercettato possa concretizzare anche la sola mera aspettativa di chiedere al giudice il rilascio di copia degli esiti delle captazioni effettuate nei suoi confronti, se continua a non avere il diritto di essere avvisato del deposito in Procura dei relativi esiti, a non avere il diritto di accedere agli archivi della Procura e di ascoltare i contenuti delle captazioni che lo riguardano, nonché di prendere visione degli atti acquisiti attraverso l’attività investigativa sviluppata nei suoi confronti, con evidente invasione della sfera del suo domicilio, della sua privacy e della riservatezza delle sue comunicazioni.
Nelle intenzioni, il d.d.l. Nordio aveva la finalità di rafforzare la tutela del terzo non indagato rispetto alla circolazione delle comunicazioni intercettate nei suoi confronti ma, in concreto, non ha introdotto le garanzie effettive[10] “auspicate” dalla Corte E.D.U. né è (pienamente) rassicurante la circostanza che le intercettazioni nei confronti (anche) del terzo estraneo al procedimento siano autorizzate da un giudice, con conseguente crisma di legittimità delle operazioni captative.
In base al diritto vivente, infatti, l’obbligo motivazionale in ordine alla rappresentazione dei gravi o (a seconda dei casi) sufficienti indizi che il giudice deve soddisfare con l’adozione del decreto autorizzativo delle operazioni captative è rispettato attraverso una sintetica illustrazione degli elementi essenziali delle indagini, non essendo richiesta alcuna valutazione sul fondamento dell’accusa né sulla sussistenza di elementi di colpevolezza a carico dell’indagato e non essendo neppure necessaria l’individuazione di un soggetto sospettato.
Anzi, la Corte E.D.U. ha evidenziato come la preventiva valutazione del giudice in ordine all’emissione del decreto autorizzativo delle intercettazioni, sebbene costituisca una forma di garanzia contro richieste arbitrarie, non implica una presunzione assoluta di regolarità delle captazioni.
La rilevanza degli interessi coinvolti.
La rilevanza degli interessi coinvolti è amplificata dal diritto vivente convenzionale, che ha progressivamente esteso la nozione di corrispondenza presidiata dall’art. 8 della Convenzione E.D.U.[11] ricomprendendovi le intercettazioni telefoniche[12], i messaggi di posta elettronica e la messaggistica istantanea inviata e ricevuta a mezzo internet[13], i messaggi SMS[14], la sorveglianza a mezzo GPS[15] e l’acquisizione dei tabulati telefonici[16].
Tale nozione ha avuto una vis espansiva anche nella giurisprudenza costituzionale, per cui il concetto di “corrispondenza” è comprensivo di «ogni comunicazione di pensiero umano (idee, propositi, sentimenti, dati, notizie) tra due o più persone determinate, attuata in modo diverso dalla conversazione in presenza; in linea generale, pertanto, lo scambio di messaggi elettronici – email, sms, whatsapp e simili – rappresenta, di per sé, una forma di corrispondenza agli effetti degli artt. 15 e 68, terzo comma, Cost.»[17], con estensione delle garanzie ad ogni strumento che l’evoluzione tecnologica metta a disposizione ai fini comunicativi, compresi quelli elettronici ed informatici ignoti al momento del varo della Carta costituzionale[18].
La giurisprudenza di legittimità era già allineata da tempo, avendo cristallizzato il principio per cui la previsione di cui all’art. 266 cod. proc. pen. si applica anche ai servizi complementari alla telefonia fissa e mobile quali e-mail, fax, messaggistica, ecc.[19].
Tuttavia, il diritto vivente è estremamente liquido nel determinare la linea di confine tra i diversi strumenti di acquisizione della documentazione informatica e telematica (messaggi in chat, sms, lettere inviate per mail o per pec, ecc.): il flusso informatico rientra nella disciplina dell’art. 266 cod. proc. pen. e non in quella del sequestro di corrispondenza, di cui all’art. 254 cod. proc. pen., laddove sia già avvenuto l’inoltro dell’e-mail da parte del mittente, mentre le e-mail non spedite e (solo) salvate nella cartella “bozze”, così come i messaggi sms o whatsapp conservati nel telefono cellulare o nei dispositivi elettronici sottoposti a sequestro, non rientrano nel concetto normativo di «corrispondenza» e sono suscettibili di acquisizione come documenti ai sensi e per gli effetti di all’art. 234 cod. proc. pen.[20] .
Non solo, ma l’intercettazione è ritenuta legittima anche nell’ipotesi in cui l’inoltro del messaggio o di un documento siano precedenti al decreto autorizzativo dell’A.G., in considerazione della circostanza che le conversazioni, sebbene non contestuali, costituiscono un flusso di comunicazioni[21].
La Consulta [22] ha distinto la disciplina applicabile ad un medesimo documento (nel caso di specie, l’estratto conto bancario) a seconda che sia spedito dall’istituto di credito al correntista, per cui rientra nella definizione di «corrispondenza» e, come tale, è presidiato dall’art. 15 Cost. oppure che sia un documento contabile interno all’ente creditizio, che può essere acquisito dall’A.G. in base al d. lgs. n. 231 del 2007 (normativa antiriciclaggio), come acquisizione di segnalazioni di operazioni bancarie sospette.
Sempre la Consulta ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 266 del codice di rito per contrasto con gli artt. 3 e 112 Cost., nella parte in cui non consente l’intercettazione della corrispondenza epistolare (nel caso di specie di un detenuto in regime inframurario), diversamente da quanto previsto per le comunicazioni telefoniche e le altre forme di telecomunicazione[23], non ritenendo la sussistenza delle due condizioni già evocate di ordine temporale (la comunicazione deve essere in corso nel momento della sua captazione) e modale (l’apprensione del messaggio comunicativo da parte del terzo deve avvenire in modo occulto, ossia all’insaputa dei soggetti tra i quali la comunicazione intercorre).
Per l’effetto, non è revocabile in dubbio che lo stesso documento (epistolare cartaceo ovvero e-mail, pec, sms, messaggi whatsapp o in formato audio) sia soggetto ad una disciplina processuale diversa a seconda dello strumento mediante il quale viene acquisito dall’organo inquirente (artt. 234, 254 e 266 del codice di rito), cui corrispondono diversi gradi di tutela della privacy, del domicilio e della riservatezza delle comunicazioni.
Un tertium comparationis: le garanzie previste in capo ai soggetti destinatari di una perquisizione.
Diversamente dai terzi estranei, gli indagati del procedimento in seno al quale le intercettazioni sono state autorizzate godono, com’è noto, di significative prerogative: l’art. 268 del codice di rito dispone (al comma VI) che ai difensori delle parti sia immediatamente dato avviso della facoltà di esaminare gli atti e di ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche nonché di estrarre copia delle trascrizioni e fare eseguire la trasposizione su idoneo supporto (comma VIII).
Anche nell’ipotesi di intercettazione di flussi di comunicazioni informatiche o telematiche, i difensori possono richiedere copia su idoneo supporto dei flussi intercettati ovvero copia della stampa prevista dal comma 7[24]; il successivo art. 269 facoltizza le parti ad accedere ed ascoltare le conversazioni o comunicazioni registrate nell’archivio della Procura, mentre l’art. 270 disciplina l’utilizzabilità degli esiti delle intercettazioni in altri procedimenti penali, prevedendo (al comma III) che «il pubblico ministero e i difensori delle parti hanno altresì facoltà di esaminare i verbali e le registrazioni in precedenza depositati nel procedimento in cui le intercettazioni furono autorizzate».
Ma la novella Cartabia offre un significativo tertium comparationis: con l’introduzione del nuovo articolo 252 –bis nonché di un nuovo comma IV bis in senso all’articolo 352 del codice di rito, è stata riconosciuta espressamente al soggetto destinatario di una perquisizione (ivi compreso il terzo estraneo al procedimento), la tutela della sfera personale e domiciliare a prescindere dall’esito positivo dell’atto e dell’eventuale sequestro di beni.
Quindi il soggetto terzo non indagato, laddove sia destinatario di un’attività di perquisizione personale o domiciliare, è attualmente titolare (in ogni caso) di significative garanzie a tutela della riservatezza mentre, laddove sia destinatario di un’attività intercettativa, resta sostanzialmente sprovvisto di tutela.
Ora non è questa la sede per percorrere l’evoluzione dei più recenti paradigmi che caratterizzano il formante giurisprudenziale della Corte costituzionale, ma non è revocabile in dubbio che se non appartengono alla Consulta valutazioni discrezionali in tema di sindacato delle disposizioni che innervano il rito penale risultando, queste, tipicamente spettanti alla rappresentanza politica, è possibile sindacarne l’irragionevolezza intrinseca sulla base di un giudizio incentrato sul principio di ragionevolezza e di uguaglianza, ricavabile dall’attuale esegesi dell’art. 3 cost., che ha “sciolto” il paradigma ermeneutico a rime “obbligate” e consolidato il nuovo paradigma a rime “adeguate”; sempreché siano rintracciabili nel sistema soluzioni già esistenti, idonee a eliminare o ridurre il vizio lamentato.
Per l’effetto, se è indiscutibile che l’attività investigativa di intercettazione sia un atto tipicamente a sorpresa, parimenti non è revocabile in dubbio che le ragioni di segretezza dell’atto captativo vengono definitivamente meno con il termine delle indagini preliminari, allorquando devono inevitabilmente cedere il passo, in un nuovo e diverso bilanciamento di interessi, alla necessità di salvaguardare i diritti fondamentali di tutti i soggetti (siano essi o meno indagati) che siano stati attinti da un’attività intercettativa che si è ormai esaurita ed è, pertanto, conoscibile senza alcun pregiudizio alle esigenze di ricerca della prova.
È con riferimento a tale momento che la Corte E.D.U, in linea con il proprio diritto vivente[25], ha rilevato espressamente nel recente case law Contrada che (§94) un estraneo al procedimento penale, anche se si rende conto di essere stato oggetto di una misura di sorveglianza, non dispone di alcun ricorso che gli permetta di chiedere un controllo giudiziario delle intercettazioni disposte nei suoi confronti. Ora, la Corte ha già affermato che privare una persona interessata da una intercettazione della possibilità effettiva di contestare retrospettivamente tale misura significa privarla di un’importante garanzia contro eventuali abusi (Roman Zakharov) e che (§95) il diritto italiano non prevede garanzie adeguate ed effettive che proteggano dal rischio di abuso le persone interessate da una misura di intercettazione le quali, non essendo sospettate di essere implicate in un reato né imputate dello stesso, rimangono estranee al procedimento».
In particolare (§96) «non è previsto che tali persone abbiano la facoltà di rivolgersi a un’autorità giudiziaria per ottenere un controllo efficace della legalità e della necessità della misura e per ottenere, se del caso, una riparazione appropriata e, per l’effetto, ha concluso che il diritto italiano non soddisfi il requisito relativo alla “qualità della legge” e non sia in grado di limitare “l’ingerenza” a quanto “necessario in una società democratica”»[26].
Trattasi di un approdo ermeneutico netto, che non lascia alcun margine di incertezza quanto al contrasto convenzionale della disciplina domestica delle intercettazioni con l’art. 8 CEDU, posto che la legislazione nazionale non prevede che il terzo, non indagato ma sottoposto ad intercettazione, riceva avviso dell’avvenuta sottoposizione ad attività captativa e possa contestarne la legittimità, dopo aver preso cognizione della documentazione e delle conversazioni acquisite nel procedimento[27].
E’ un’esegesi che si pone nel solco argomentativo con il quale la Corte E.D.U. ha ammesso la possibilità di limitazioni all’art. 8 par. II della Convezione a condizione che l’ingerenza nei diritti dei cittadini sia giustificato da un «pressante bisogno sociale»[28] e sia «proporzionata rispetto alla giustificazione invocata, per non oltrepassare i limiti della necessità»[29], secondo un giudizio di bilanciamento da effettuare con riferimento al momento in cui è violata la sfera privata[30], non essendo sufficiente la successiva dimostrazione della «utilità di un risultato», posto che qualsiasi sistema segreto di sorveglianza, ancorchè orientato a presidiare la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico, «comporta sempre il rischio di minare o addirittura distruggere la democrazia che presume di difendere»[31].
Alla luce di tali rilievi e nella prospettiva di un’irragionevole disparità di trattamento rispetto alle prerogative riconosciute alla persona estranea al procedimento che abbia subito una perquisizione, appare fondato il dubbio di illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 2, 14 e 15 Cost., dell’art. 268 commi VI e VIII nella parte in cui non prevedono il diritto dei soggetti non indagati ma direttamente sottoposti ad intercettazione telefonica, ambientale, informatica e telematica, anche mediante captatore informatico, di essere avvisati, una volta cessato il segreto istruttorio a seguito della conclusione delle indagini preliminari, dell’avvenuta sottoposizione alla suddetta attività captativa e di ottenere copia delle relative trascrizioni e delle registrazioni dei flussi di comunicazioni; nonché degli artt. 269 comma I, 270 comma III e 89 bis disp. att. cod. proc. pen., sempre per contrasto con gli artt. 2, 14 e 15 Cost., nella parte in cui non prevedono che il soggetto non indagato, ma sottoposto direttamente ad intercettazione in seno ad un procedimento penale, possa accedere all’archivio della Procura della Repubblica ed ascoltare le comunicazioni o le conversazioni registrate direttamente nei suoi confronti, nonché esaminare i verbali e le registrazioni in precedenza depositati; dell’art. 269 comma II cod. proc. pen. nella parte in cui non prevede che il soggetto non indagato, ma sottoposto direttamente ad intercettazione, possa rivolgere istanza al giudice al fine di contestare la legittimità delle attività captative compiute direttamente nei suoi confronti, richiedendo la declaratoria di inutilizzabilità degli esiti, nelle ipotesi di cui all’art. 271 cod. proc. pen. nonché la loro distruzione.
Le citate norme processuali sono potenzialmente in contrasto, altresì, con l’art. 13 della Convenzione E.D.U., che riconosce ad ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti dalla Convenzione siano stati violati, il diritto ad un ricorso effettivo davanti ad un’istanza nazionale; con l’art. 12 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, in base al quale nessun individuo può essere sottoposto ad interferenze arbitrarie nella vita privata, nella famiglia, nella casa, nella corrispondenza né a lesione del proprio onore e reputazione ed ha il diritto di essere tutelato normativamente da tali interferenze o lesioni; nonché con l’art. 17 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (del medesimo tenore).
Trattasi di disposizioni convenzionali cui la legislazione nazionale è chiamata ad uniformarsi ai sensi dell’art. 117 comma I Cost.
D’altronde l’inviolabilità del domicilio, presidiata dall’art. 14 Cost. e la segretezza e riservatezza delle comunicazioni, presidiati dall’art. 15 Cost., sono diritti fondamentali della persona, quale estrinsecazione ermeneutica dell’art. 2 Cost., suscettibili di bilanciamento esclusivamente con altro diritto di pari rango[32].
Pertanto, o si ritiene che i principi costituzionali che presidiano l’inviolabilità del domicilio, della riservatezza delle comunicazioni e della privacy del soggetto, non indagato ma sottoposto ad intercettazione, siano sempre recessivi rispetto alle esigenze di tutela della collettività e di repressione dei reati, svuotandoli di effettivo contenuto, oppure devono essere oggetto di un giudizio di bilanciamento con questi ultimi[33], evitando «l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diventerebbe tiranno nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette»[34].
Illuminanti sul tema le parole di autorevole Autrice, secondo cui «[…] nessuno dei diritti costituzionali ha carattere assoluto, ma tutti possono e debbono essere contemperati con gli altri diritti e interessi costituzionalmente rilevanti; in secondo luogo, non esiste una gerarchia predeterminata in astratto tra i diritti e i valori costituzionali, ma il bilanciamento è un’operazione dinamica affidata in primo luogo al legislatore, su cui la Corte effettua il proprio compito di controllo; in terzo luogo, il bilanciamento richiede criteri di ragionevolezza e proporzionalità; infine, l’esito del bilanciamento non può mai essere il sacrificio totale di uno dei valori in gioco, perché di ciascuno deve essere preservato il nucleo essenziale»[35].
Avvocati, componenti dell’Osservatorio Corte Costituzionale dell’Unione Camere Penali Italiane
[1] In www.sistemapenale.it, 28 maggio 2024.
[2] Contra L. Giordano, Considerazioni sulla sentenza della CEDU Contrada c. Italia n. 4: per un’interpretazione convenzionalmente orientata delle norme del codice di rito, in www.sistemapenale.it, 26 giugno 2024, secondo il quale «non sembra che la sentenza della Corte EDU imponga necessariamente un nuovo intervento normativo sulla disciplina delle intercettazioni a garanzia della riservatezza dei terzi interessati, potendo l’elaborazione giurisprudenziale, per mezzo dello strumento dell’interpretazione delle norma vigenti convenzionalmente orientata, garantire margini di tutela a costoro in linea con le indicazioni contenute nella decisione» (p. 12); secondo l’A., il giudizio di rilevanza probatoria dei risultati delle intercettazioni che l’art. 269 cod. proc. pen. affida all’organo giurisdizionale «sembra presupporre il preventivo superamento del vaglio di legittimità della misura» (p. 9), e poiché «l’art. 268, comma 6, cod. proc. pen. (…) prevede che il giudice proceda “anche di ufficio allo stralcio delle registrazioni e dei verbali di cui è vietata l’utilizzazione”», l’art. 269 cod. proc. pen. «pare rappresentare potenzialità notevoli e non del tutto esplorate (…) le quali, opportunamente evidenziate dalla giurisprudenza, potrebbero permettere di rispondere alle sollecitazioni provenienti dalla Corte EDU, assicurando adeguata tutela ai terzi sui profili della necessità e della legittimità della misura» (p. 10).
[3] Per una panoramica sulla disciplina delle intercettazioni, ex plurimis, E. Aprile, Intercettazioni di comunicazioni, in Trattato di procedura penale, a cura di G. Spangher, UTET, 2009, vol. II, Tomo I, a cura di A. Scalfati, p. 475 e ss.; A. Bargi – S. Furfaro, Le intercettazioni di conversazioni e di comunicazioni, in La prova penale, a cura di A. Gaito, UTET, 2008, vol. II, p. 109 e ss.; L. Filippi, Intercettazioni, tabulati e altre limitazioni della segretezza delle comunicazioni, in Procedura penale. Teoria e pratica del processo, diretto da G. Spangher – A. Marandola – G. Garuti – L. Kalb, UTET, 2015, Vol. I, a cura di G. Spangher, p. 973 e ss.; A. Zampini – A. Mari, Intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, in Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e dottrina, a cura di G. Lattanzi – E. Lupo, Giuffrè, 2020, Vol. II, p. 498 e ss.
[4] Cfr., ex plurimis Cass. Sez. I, 18.09.2020, n. 2568; Cass. Sez. IV, 12.11.2013, n. 8076; Cass. Sez. Feriale, 22.09.2010, n. 34244; Cass. Sez. I, 22.04.2010, n. 20262; Cass. Sez. II, 1.03.2005, n. 10881; Cass, Sez. V, 9.10.2003, n. 38413; Cass. Sez. V, 8.10.2003, n. 41131; Cass. Sez. VI, 6.12.2002, n. 1625. «Quanto al primo presupposto, la Corte di Cassazione ha chiarito che gli “indizi di reato” (e non di reità) richiesti per poter disporre l’intercettazione (…) afferiscono alla sussistenza di un reato e non alla colpevolezza di un determinato soggetto, sicché (…) non è necessario che tali indizi siano a carico di un soggetto individuato o di colui le cui comunicazioni debbano essere poste sotto controllo», così, in dottrina, L. Filippi, Intercettazioni, tabulati e altre limitazioni della segretezza delle comunicazioni, cit., p. 1025.
[5] Per un primo commento, P. Bronzo, Brevi note sul “disegno di legge Nordio”, in www.sistemapenale.it, 12 aprile 2024; M. Gialuz, Le novità della “manovra Nordio” in materia processuale: quando l’ideologia rischia di provocare un’eterogenesi dei fini, in www.sistemapenale.it, 22 luglio 2024; A. Apollonio, d.d.l. Nordio in materia di intercettazioni: l’ennesima ombra gettata sull’operato del pubblico ministero (e l’ennesimo passo verso la separazione delle carriere), in www.giustiziainsieme.it, 27 maggio 2024; L. Ludovici, Disegno di legge c.d. Nordio: nuove garanzie processuali tra fughe in avanti e false partenze, in www.lalegislazionepenale.eu.
[6] Vale la pena ricordare che il comma II bis dell’art. 268 cod. proc. pen. è stato introdotto – assieme ad altri interventi sulle norme che regolano il mezzo di ricerca della prova in discorso – dal d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, al fine di arginare «l’endemica diffusione di notizie aventi ad oggetto il contenuto delle intercettazioni», e la crescente invasività dell’attività investigativa dovuta alla «apparizione tra i sistemi di acquisizione, del “captatore informatico”»; così, in premessa, S. Furfaro, Intercettazioni: il sistema, la riforma e l’Europa, in Archivio penale, La giustizia penale riformata, supp. al n. 1/2018, Pisa, 2018, p. 473 e ss. Con lo stesso intento la norma in esame è stata successivamente ritoccata dal d.l. 30 dicembre 2019, n. 161, conv. con modificazioni nella l. 28 febbraio 2020, n. 7 e in seguito dal d.l. 10 agosto 2023, n. 105, conv. con modificazioni nella l. 9 ottobre 2023, n. 137. Sulla legge delega 23 giugno 2017, n. 103, che ha dato vita al d.lgs. n. 216/2017, T. Bene, La legge delega per la riforma delle intercettazioni, in La riforma della giustizia penale, a cura di A. Scalfati, Giappichelli, 2017, p. 289 e ss., la quale evidenzia come «la nuova disciplina tendenzialmente intende[va] assicurare un più ampio margine di tutela della riservatezza delle comunicazioni e delle conversazioni, telefoniche e telematiche, con speciale riguardo delle persone occasionalmente coinvolte nel processo penale (…)» (p. 290), la qual cosa cristallizza il senso delle natura atavica del problema; nonché L. Filippi, La legge delega sulle intercettazioni, in Le recenti riforme in materia penale, a cura di G.M. Baccari – C. Bonzano – K. la Regina – E.M. Mancuso, Cedam, 2017, p. 525 e ss. (che, a riprova della delicatezza dei temi qui in esame, già all’epoca sottolineava che «la legge delega non aggiunge nulla di nuovo alla disciplina vigente, senza contare che non sembra affatto sufficiente la mera proclamazione della tutela della riservatezza delle persone estranee al procedimento senza un efficace apparato processuale sanzionatorio contro le illecite divulgazioni»: p. 528); D. Curtotti – W. Nocerino, Le intercettazioni tra presenti con captatore informatico, in Le recenti riforme in materia penale, cit. p. 557 e ss.; L. Giordano, La delega per la riforma della disciplina delle intercettazioni, in La riforma della giustizia penale, a cura di A. Marandola – T. Bene, Giuffrè, 2017, p. 355 e ss. Sull’intervento “correttivo” attuato dal d.l. n. 161/2019, K. La Regina, Il diritto di difesa nella fase di deposito delle intercettazioni, in Diritto penale e processo, n. 8/2020, p. 1122 e ss., la quale, rispetto all’esigenza di prevenire «possibili emorragie di informazioni suscettibili di produrre un vulnus alla riservatezza» rilevava che «gli sbarramenti posti all’ingresso, nei cd. brogliacci di ascolto, di informazioni suscettibili di arrecare una lesione delle persone coinvolte nelle intercettazioni, in realtà sono destinati a funzionare come barriere mobili. Si pensi alla discrezionalità attribuita facendo assurgere a criterio selettivo il concetto di “espressioni lesive della reputazione (…). Senza contare (…) che si tratta di criteri di selezione non assistiti da alcun presidio sanzionatorio e (…) che il relativo dovere di vigilanza assegnato al dominus delle indagini sembra destinato a restare nell’orbita delle mere affermazioni di principio» (p. 1128).
[7] Rileva M. Gialuz, Le novità della “manovra Nordio” in materia processuale: quando l’ideologia rischia di provocare un’eterogenesi dei fini, cit., che «al potenziamento del dovere di vigilanza del pubblico ministero a tutela dei terzi [attuato con l’intervento sul comma II bis della norma] si affianca un ampliamento del dovere del giudice di stralcio» (p. 6). Si tratterebbe tuttavia «di norme che non aggiungono molto, se si considera che il divieto di trascrizione dei terzi potrà essere superato valorizzando la clausola di rilevanza ai fini delle indagini. Ed esse appaiono anche sostanzialmente inutili [poiché] la materia della diffusione indebita di informazioni captate ha a che fare con il tema centrale dei canali informativi e dei presidi sanzionatori posti a salvaguardia delle regole che definiscono l’assetto dei rapporti tra i diversi valori in gioco» (p. 7). In argomento, L. Ludovici, Disegno di legge c.d. Nordio: nuove garanzie processuali tra fughe in avanti e false partenze, cit., sottolinea che a differenza delle interpolazioni agli artt. 114 e 116 c.p.p. (su cui a breve nel testo), nel caso delle modifiche all’art. 268 c.p.p. «i destinatari della tutela rafforzata non sono solo le parti ma anche i soggetti estranei al procedimento» (p. 5).
[8] P. Bronzo, Brevi note sul “disegno di legge Nordio”, cit., ritiene che la riforma «per come incide sulla disciplina della pubblicazione delle intercettazioni, opera un bilanciamento degli interessi in gioco che appare largamente opinabile» (p. 2), posto che il limite alla possibilità di pubblicazione appare «dissonante rispetto all’insegnamento del giudice delle leggi, che, con la sentenza n. 59 del 1995 quando ha dichiarato incostituzionale l’art. 114 comma 3 c.p.p. nella parte in cui non consente la pubblicazione degli atti del fascicolo del dibattimento anteriormente alla sentenza di primo grado, ci ha ricordato che i divieti di pubblicazione hanno la finalità di contemperare gli interessi dell’informazione con quelli delle investigazioni e dunque non possono ragionevolmente riferirsi alla pubblicazione di quanto contenuto nel fascicolo del dibattimento, che attiene, per definizione, agli atti che il giudice deve conoscere. Gli atti processuali che sono acquisiti al processo devono essere, insomma, sempre pubblicabili» (p. 3). Anche secondo M. Gialuz, Le novità della “manovra Nordio” in materia processuale: quando l’ideologia rischia di provocare un’eterogenesi dei fini, cit., «la soluzione di vietare la pubblicazione di intercettazioni che, a valle dello stralcio, vengono valutate come non irrilevanti e che sono pertanto trascritte e inserite nel fascicolo del dibattimento (art. 268, comma 7, c.p.p.) suscita più di qualche perplessità, perché sembra sacrificare in modo irragionevole il diritto alla cronaca e la libertà di stampa sull’altare del diritto alla riservatezza» (p. 4).
[9] Cfr. Cass. Sez. VI del 4.04.2016, dep. 26.04.2016, n. 17173, avente ad oggetto proprio la richiesta di rilascio di copia delle intercettazioni di un procedimento penale.
[10] È maldestra la mano del legislatore quando tocca i nervi del giusto processo. La tutela dei soggetti coinvolti – siano essi indagati, persone offese e comunque portatori di esigenze di riservatezza – è assottigliata al punto da sparire di fronte al gigantismo del pubblico ministero»; così, K. La Regina, Il diritto di difesa nella fase di deposito delle intercettazioni, cit., p. 1135.
[11] In proposito, le considerazioni di S. Furfaro, Intercettazioni: il sistema, la riforma e l’Europa, cit. p. 476 e ss., il quale rimarca come «la tutela della telefonia e della telecomunicazione in genere non viene nominata esplicitamente [dall’art. 8, § 1, C.E.D.U.], ma (…) secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo essa rientra nella tutela riconosciuta attraverso i concetti di vita privata e di corrispondenza. Secondo la Corte, ogni intercettazione riveste di per sé la caratteristica di “ingerenza della pubblica autorità” nella sfera privata, e ciò anche quando “di essa non sia fatto un uso processualmente rilevante”» (p. 477). In argomento v. anche L. Filippi, Intercettazioni, tabulati e altre limitazioni della segretezza delle comunicazioni, cit., p. 1003 e ss.
[12] Corte E.D.U., sentenza 6.09,1978, Klass c. Germania, ric. 5029/71.
[13] Corte E.D.U., Grande Camera, sentenza 5.09.2017, Barbulescu c. Romania
[14] Corte E.D.U., Sezione V, sentenza 17.12.2020, Saber c. Norvegia.
[15] Corte E.D.U., sentenza 2.09.2010, Uzun c. Germania, ric. 35623/05.
[16] Corte E.D.U., sentenza 2.08.1984, Malone c. Regno Unito, ric. n. 8691/79.
[17] Cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 170 del 27.07.2023, caso Sen. Matteo Renzi, in Diritto penale e processo, n. 10/2023, p. 1311, con nota di C. Fontani, La svolta della Consulta: la “corrispondenza telematica” è pur sempre corrispondenza, p. 1312.
[18] Ancora, Cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 170/2023, cit.
[19] Cass. pen., Sez. Un., 13.07.1998, n. 21, Galleri, in banca dati www.DeJure.it.
[20] Cfr. Cass. Sez. IV 28.06.2016, n. 40903; Cass. Sez. III 25.11.2015 n. 928, Giorgi.
[21] Cfr. Cass. Sez. III 10.11.2015, n. 50452; Cass. Sez. IV 8.04.2016, n. 16670.
[22] Corte cost., sent. n. 170/2023, cit.
[23] Corte cost, sent. n. 20/2017.
[24] Si può peraltro osservare che i diritti informativi della persona indagata e (in misura minore) della persona offesa dal reato vengono preservati dal codice di rito anche nelle ipotesi in cui non siano stati attivati i canali “ordinari” di discovery del materiale investigativo. L’art. 415 bis comma II bis cod. proc. pen. dispone infatti che «qualora non si sia proceduto ai sensi dell’articolo 268, commi 4, 5 e 6, l’avviso [di conclusione delle indagini] contiene l’avvertimento che l’indagato e il suo difensore hanno facoltà di esaminare (…) gli atti (…) relativi ad intercettazioni ed ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizioni dei flussi di comunicazioni informatiche (…). Il difensore può (…) depositare l’elenco delle ulteriori registrazioni ritenute rilevanti di cui chiede copia». A sua volta, l’art. 415 ter, co. I, c.p.p., come modificato dal d.lgs. 19 marzo 2024, n. 31 (cd. correttivo della riforma Cartabia) prevede, nell’ambito dei meccanismi di risoluzione della cd. stasi del procedimento al termine delle indagini preliminari, che «la documentazione relativa alle indagini espletate [sia] depositata in segreteria», con avviso all’indagato e all’offeso «dell’avvenuto deposito della documentazione e della facoltà di esaminarla ed estrarne copia». In tema, M. Gialuz, Osservazioni sui correttivi alla riforma Cartabia tra rettifiche condivisibili, qualche occasione perduta e alcune sbavature, in www.sistemapenale.it, 29 gennaio 2024.
[25] Corte E.D.U., Ekimdzhiev e altri c. Bulgaria, dell’11.01.2022, ric. n. 70078/12; Corte E.D.U., Roman Zakharov c. Russia del 04.12.2015, ric. n. 47143/06.
[26] Contrada c. Italia, 23.05.2024, ric. n. 2507/19.
[27] Peraltro, nel caso Contrada, l’ingerenza nella sfera privata del terzo non indagato, mediante attività di indagine captativa su cinque utenze telefoniche del ridetto, risulta vieppiù amplificata dalla pacifica circostanza per la quale l’intercettazione è stata disposta in via d’urgenza dalla Procura Generale presso la Corte di Appello di Palermo (che aveva avocato a se le indagini sull’omicidio di un agente di polizia avvenuto nel 1989) il 15.12.2017 ossia ventotto anni dopo il verificarsi del fatto.
[28] Corte E.D.U., McLeod c. Regno Unito, 23.09.1998, ric. n. 24755/94.
[29] Ancora, Corte E.D.U., McLeod c. Regno Unito, 23.09.1998, cit.; nonché, Corte E.D.U., Natoli c. Italia, 9.01.2001, ric. n. 26161/95; Corte E.D.U., Puzinas c. Lituania, 14/03/2002, ric. n. 44800/98.
[30] Corte E.D.U., Leander c. Svezia, 26.03.1987, ric. n. 9248/81; Corte E.D.U., Sunday Times c. Regno Unito, 26.04.1979, ric. n. 6538/74.
[31] Corte E.D.U., Silver c. Regno Unito, 24.10.1983, ric. n. 5947/72.
[32] Corte costituzionale, sent. n. 264 del 2012, ha statuito che «Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile, pertanto, individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre sistematica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro. Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diventerebbe tiranno nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona».
[33] Analogamente, A. Bargi – S. Furfaro, Le intercettazioni di conversazioni e di comunicazioni, cit., p. 111: «l’ampliamento delle possibilità di apprensione di dati offerto dallo sviluppo tecnologico e scientifico consente, sempre con maggiore facilità, la violazione di spazi coperti dalla riservatezza e l’esperienza giudiziaria degli ultimi decenni consente di registrare la crescita esponenziale dell’utilizzazione di strumenti sempre più sofisticati (…) del tutto inimmaginabili in un non lontano passato. Sovente, poi, l’invasività del mezzo determina che le informazioni veramente utili e rilevanti al processo non rappresentino che l’infinitesima parte di quelle effettivamente acquisite e ciò non fa che aggravare la situazione. Incombe – è vero – un’esigenza di sicurezza, ma se essa deve essere soddisfatta (…) i limiti entro i quali tale attività assume i connotati della legalità sono, però, gli stessi limiti che compongono il concetto di “stato di diritto”, risultando del tutto fuorviante qualsivoglia approccio che tenda a sminuire lambito delle garanzie in nome di un bisogno di sicurezza rispetto al quale dovrebbe costituire ostacolo».
[34] Cfr. Corte Cost. n. 264 del 2012.
[35] M. Cartabia, I principi di ragionevolezza e proporzionalità nella giurisprudenza costituzionale italiana, conferenza trilaterale delle Corti Costituzionali italiana, portoghese e spagnola, Roma, Palazzo della Consulta, 24-26 ottobre 2013.