LA CONFISCA PER EQUIVALENTE IN CASO DI ACCORDO DI RISTRUTTURAZIONE DEL DEBITO TRIBUTARIO – DI ROSARIO PIOMBINO
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LA CONFISCA PER EQUIVALENTE IN CASO DI ACCORDO DI RISTRUTTURAZIONE DEL DEBITO TRIBUTARIO
di Rosario Piombino*
Nota a sentenza Cassazione penale sez. III – 17/09/2024, n. 44519 dep. 05/12/2024.
Sommario: 1. Il rapporto tra la giurisdizione tributaria e quella penale – 2. Gli accordi con l’Amministrazione Finanziaria – 3. La nozione di profitto del reato tributario – 4. Gli effetti dell’accordo nei confronti dei coimputati.
- Il rapporto tra la giurisdizione tributaria e quella penale.
Con la sentenza n. 44519 depositata il 5 dicembre 2024, la Suprema Corte di Cassazione continua l’opera di razionalizzazione del rapporto tra debito tributario e processo penale conformemente all’orientamento legislativo che tende al recupero concreto dell’imposta, ancorché parziale, rispetto ad una sanzione che resterebbe sulla carta e non apporterebbe incassi per l’Erario.
La decisione prende spunto da un imputato condannato per il reato di omesso versamento iva di cui all’art 10 ter d.lgs. n. 74 del 2000, il quale, con incidente di esecuzione aveva richiesto la riduzione della confisca per equivalente in ragione dell’accordo di ristrutturazione del debito tributario, ai sensi dell’art. 182 bis Legge Fallimentare, intervenuto tra il debitore e l’Amministrazione finanziaria. Il giudice dell’esecuzione è pervenuto al rigetto dell’istanza ritenendo che un siffatto accordo non equivale e non è assimilabile al pagamento del debito accertato, unico presupposto produttivo di effetti ai fini della riduzione della confisca. Vengono pertanto in rilievo le nozioni di confisca del profitto del reato e la natura dell’accordo di ristrutturazione rispetto alla normativa vigente.
La Suprema Corte, preliminarmente, ribadisce l’autonomia del giudice penale nel determinare l’ammontare dell’imposta evasa attraverso una valutazione che può porsi anche in contraddizione con quella dell’Amministrazione finanziaria e dello stesso giudice tributario richiamando i propri precedenti sul punto (Sez. 3, n. 24225 del 14/03/2023, Rossi, Rv. 284693; Sez. 3, n. 28710 del 19/04/2017, Mantellini, Rv. 270476; v. anche Sez. 5, n. 40412 del 13/06/2019, Tirozzi, Rv. 277120 – 01).
Tale, rivendicata autonomia, pone una prima criticità sul piano dell’unicità e della coerenza dell’ordinamento giuridico con risvolti sovranazionali (Cedu), in temini di accessibilità e prevedibilità delle norme o ancora di divieto di bis in idem e di proporzionalità delle misure con carattere sanzionatorio. Sarebbe auspicabile, anche in ragione della riforma sul sistema di reclutamento dei nuovi giudici tributari ex legge 31 agosto 2022, n. 130 che, a determinate condizioni, il giudicato tributario integri una preclusione processuale per il giudice penale conformemente a quanto accade nei rapporti col giudicato amministrativo[1]. Invero, il novellato art. 4 d.lgs n. 545/1992 prevede che «La nomina a magistrato tributario si consegue mediante un concorso per esami». Viene dunque istituita la nuova magistratura tributaria professionale, composta da magistrati assunti tramite concorso pubblico[2], le cui modalità di svolgimento sono disciplinate dagli artt. da 4-bis a 4-quater d.lgs n. 545/1992, come novellati dalla stessa legge n. 130/2022, o transitati dalle altre magistrature tramite il meccanismo dell’opzione, di cui al nuovo art. 1, commi da 4 a 9 della l. n. 130/2022.
Alla luce dei nuovi criteri di selezione dei giudici tributari sarebbe opportuno, così come avviene nel rapporto tra giurisdizione amministrativa e giurisdizione penale, un “coordinamento sistematico” tra giudicati[3] quando sul medesimo thema decidendum si sia già pronunciato il giudice tributario conformemente ad un orientamento consolidato secondo cui le pronunce definitive del giudice amministrativo costituiscono un limite al potere del giudice penale di valutare l’illegittimità dei provvedimenti amministrativi che costituiscono il presupposto dell’illecito penale (cfr. Sez. II, 9 dicembre 2015, n. 50189, in C.E.D. Cass., n. 265416; Sez. III, 5 giugno 2003, n. 39707, ivi, n. 226592; Sez. III, 14 dicembre 2006, n. 2894, ivi, n. 235644). Una preclusione che, in virtù del principio di autonomia della giurisdizione penale rispetto a quella amministrativa limita l’effetto preclusivo ai casi in cui il provvedimento giurisdizionale del giudice amministrativo passato in giudicato abbia espressamente esaminato lo specifico profilo di illegittimità dell’atto fatto valere incidentalmente in sede penale (v. Sez. I, 3 giugno 2010, n. 30496, in C.E.D. Cass., n. 248319; Sez. IV, 20 settembre 2012, n. 46471, ivi, n. 253919; Sez. III, 18 luglio 2014, n. 44077, ivi, n. 260612). Criterio ermeneutico che – secondo un principio di coerenza dell’ordinamento giuridico – dovrebbe estendersi anche al giudicato tributario emesso dai neo-selezionati giudici di settore introdotti dalla riforma, la quale ha finalmente sancito, anche formalmente, che il contribuente italiano è stato esposto per decenni ad una giustizia qualitativamente inferiore rispetto a quella civile, penale, amministrativa o contabile.
- Gli accordi con l’Amministrazione Finanziaria.
È nell’ambito dell’autonomia valutativa del giudice penale che va delineata la perimetrazione giuridica dell’accordo di ristrutturazione del debito rispetto alla confisca per equivalente connessa al profitto del reato tributario. È necessario riportare un passaggio rilevante della sentenza in commento che non sembra porre criticità rispetto alle diverse ipotesi di confisca diretta e confisca per equivalente o di valore. Dopo aver ribadito la propria autonomia valutativa rispetto alle valutazioni dell’Amministrazione finanziaria gli ermellini precisano che: «Tuttavia, è innegabile che il raggiungimento di un accordo con l’Amministrazione finanziaria non può ritenersi produttivo di effetti solo in ambito amministrativo, essendo, invece, necessario verificare la sua incidenza anche nell’ambito penale, onde attribuirgli, in determinati casi, rilevanza nella determinazione dell’imposta evasa e, quindi, incidenza sul quantum del profitto del reato confiscabile, in via diretta o per equivalente (Sez. 3, n. 4097 del 19/01/2016, Tornasi Canovo, Rv. 265843; Sez. 3, n. 20887 del 15/04/2015, Aumenta, Rv. 263409; Sez. 3, n. 6635 del 08/01/2014, Cavatorta, Rv. 258903)».
Non è questa la sede per analizzare la diversa struttura e funzione della confisca diretta rispetto alla confisca per equivalente, i numerosi arresti giurisprudenziali e le perplessità dottrinali rispetto alla confisca diretta del danaro di lecita provenienza e non collegato al reato; diversità che rilevano nella demarcazione sempre più labile del confine tra misure di sicurezza e pena da un lato e nel rilievo che la confisca per equivalente viene ad assumere nella sua dimensione sanzionatoria rispetto ad un elemento “esterno” al reato come l’accordo di ristrutturazione del debito. La ratio dell’istituto della confisca per equivalente sta nel privare il reo di un qualunque beneficio economico derivante dall’attività criminosa, anche di fronte all’impossibilità di aggredire l’oggetto principale, nella convinzione della capacità dissuasiva e disincentivante di tale strumento, trattandosi di una forma di prelievo pubblico a compensazione di illeciti prelievi; essa esplica anche una funzione sanzionatoria perché i beni investiti dall’ablazione non hanno alcun vincolo pertinenziale col reato. Rispetto a tale misura in che termini rileva l’accordo in ambito tributario tra il condannato e l’Amministrazione finanziaria?
E’ indubbio che l’accordo sia una manifestazione di volontà tra un creditore e un debitore avente un contenuto transattivo[4], che la Suprema Corte, nel caso concreto, ritiene non limitato solo al termine di adempimento (come avviene per la rateizzazione), poiché il creditore effettua una concessione al debitore sulla base di valutazioni di opportunità (in primis la convenienza di una riscossione parziale anziché il nulla rispetto alla solvibilità della controparte). Ci si chiede, pertanto, se e in che termini la confisca per equivalente e la ratio che sottende il suo carattere anche retributivo in funzione della gravità del reato[5] possano essere condizionati da un accordo tra le parti. La risposta positiva va ricercata con una visione non parcellizzata dell’ordinamento giuridico poiché se ci si sofferma esclusivamente sulle ragioni che sottendono l’accertamento penale e la nozione di sanzione penale con il suo carattere retributivo, la confisca per equivalente imposta dal giudice penale non dovrebbe subire alcuna riduzione perché adottata dall’Autorità (quella giudiziaria) preposta all’accertamento del fatto-reato. Tuttavia l’accordo sul debito tributario vede partecipe lo Stato nella “forma” dell’Amministrazione finanziaria, che sebbene esprima valutazioni ontologicamente diverse nel pervenire al patto col contribuente rispetto alla funzione sanzionatoria tipica della confisca di valore, determina il quantum della pretesa statale connessa al comportamento evasivo e penalmente rilevante del condannato.
La rilevanza dell’accordo di ristrutturazione del debito ai fini della determinazione del quantum della confisca di valore va ricercata nel trend normativo che attribuisce agli accordi con l’Amministrazione finanziaria effetti anche sul piano penale. Difatti se in origine la ratio delle norme che prevedono la confisca per equivalente del profitto dei reati tributari imponeva di ritenere che solo l’adempimento dell’obbligazione tributaria poteva far venir meno la ragione giustificatrice della misura ablatoria, (Sez. 3, n. 20887 del 15/04/2015, Aumenta, Rv.263409), il Legislatore con la modifica del secondo comma dell’art. 12-bis del D. Lgs. 74/2000 ad opera del D. Lgs. n. 87/2024 ha espressamente conferito ad un accordo “esterno” al reato una diretta efficacia sul sequestro (“Salvo che sussista il concreto pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale, desumibile dalle condizioni reddituali, patrimoniali o finanziarie del reo, tenuto altresì conto della gravità del reato, il sequestro dei beni finalizzato alla confisca di cui al comma 1 non è disposto se il debito tributario è in corso di estinzione mediante rateizzazione, anche a seguito di procedure conciliative o di accertamento con adesione, sempre che, in detti casi, il contribuente risulti in regola con i relativi pagamenti”).
La norma fa espresso riferimento a procedure conciliative o di accertamento con adesione e pertanto sebbene l’accordo di ristrutturazione del debito sia disciplinato dalla Legge Fallimentare esso rientra nella più ampia nozione di patto stipulato tra le parti nell’ambito di una precisa procedura di natura conciliativa che, ai sensi degli artt. 182 bis e 182 ter Legge Fallimentare, vede l’intervento del giudice civile con il decreto di omologa. L’interesse statale e il connesso controllo dei presupposti normativi sono assicurati dalla fase processuale che disciplina l’accordo. La Suprema Corte con la sentenza in commento evidenzia che quando il debito tributario è stato, dunque, oggetto di un accordo di ristrutturazione, mediante il quale il debito è stato ridotto sulla base di un accordo transattivo, tale transazione non può essere assimilata a un mero accordo di rateizzazione, stante la diversità di contenuto ed effetti[6]; l’accordo di ristrutturazione del debito ha contenuto transattivo non limitato al solo termine di adempimento, in quanto con esso il creditore effettua una concessione al debitore in considerazione delle difficoltà finanziarie e dello stato di crisi in cui lo stesso si trova, che si sostanzia nella rinuncia ad alcuni diritti (in particolare alla riscossione di tutto il credito). Tale accordo, precisa il Supremo Collegio, quando intervenuto con l’Amministrazione finanziaria, sotto forma di transazione fiscale ex art. 182-ter L.f., incide direttamente sull’entità del debito erariale, che subisce una modifica quantitativa, incidendo, di conseguenza, anche sul profitto del reato.
Nel caso concreto, alla luce della differenza tra accordo transattivo e semplice rateizzazione, la Corte scrive che “risulta chiaro come l’accordo di ristrutturazione del debito, ex art. 182-bis L.f., incidendo direttamente sul quantum della somma di denaro dovuta all’Amministrazione finanziaria per l’Iva non versata, che costituisce il profitto del reato di cui all’art. 10-ter D.Lgs. 74 del 2000, esplichi necessariamente i propri effetti anche sulla confisca per equivalente del profitto di tale reato, nel senso di determinare una necessaria rivisitazione dell’ammontare del quantum del profitto del reato e, con esso, della somma da assoggettare a confisca, quando la misura di quella originariamente disposta risulti eccedente rispetto all’attuale debito tributario da estinguere (che costituisce il profitto del reato)”.
È altamente apprezzabile lo sforzo della Suprema Corte di raggiungere per via giurisprudenziale un risultato coerente e sistematico tra le diverse branche del diritto anche al fine di superare posizioni molto formaliste formatesi invero prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 87/2024 con cui il Legislatore ha operato una precisa scelta discrezionale secondo cui accordi transattivi e/o accertamenti con adesione con l’Amministrazione finanziaria rilevano ai fini del sequestro del profitto dei reati tributari nei limiti delle valutazione di cui all’art. 12 bis d.lgs. 74/2000. L’accordo per scelta discrezionale del legislatore deve necessariamente esplicare effetti sulla confisca come tra l’altro ha statuito la Suprema Corte con altro recente pronunciamento (Cassazione penale sez. III, 20/06/2024, n. 32282) che, in tema di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, ha precisato che l’intervenuto integrale adempimento del debito tributario conseguente alla procedura conciliativa con l’Amministrazione finanziaria esclude il mantenimento del sequestro preventivo funzionale alla confisca, anche per equivalente, del profitto del reato, venendo meno il nesso di necessaria strumentalità tra l’ablazione delle somme corrispondenti alle imposte evase e l’esigenza del loro recupero. In motivazione, la Corte ha precisato che l’enunciato principio, in ragione dell’intervenuta transazione fiscale, vale anche se la quantificazione dell’imposta evasa operata in sede amministrativa diverge rispetto a quella acquisita in sede penale ed opera a seguito di accertamenti con adesione, conciliazione giudiziale, transazioni fiscali anche a seguito di attivazione di procedura automatica o a domanda. Il giudice di legittimità, anche in questo caso, individua il profitto, confiscabile, nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’Amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase[7], con la conseguenza che lo stesso non è configurabile, e non è quindi possibile disporre o mantenere il sequestro funzionale all’ablazione, in caso di annullamento della cartella esattoriale da parte della commissione tributaria, con sentenza anche non definitiva, e di correlato provvedimento di “sgravio” da parte dell’Amministrazione finanziaria (Sez. 3, n. 39187 del 02/07/2015, Lombardi Stronati, Rv. 264789; Sez. 3, n. 19994 del 21/09/2016, dep. 2017, Bifulco, Rv. 269763 – 01; Sez. 3, n. 8226 del 28/10/2020, dep. 2021, PMT in proc. Soave, Rv. 281586 – 01).
- La nozione di profitto del reato tributario[8].
La Suprema Corte con la sentenza n. 32282/2024 precisa che il Legislatore ha delineato una nozione specifica di profitto del reato in ambito tributario che è, per sua natura, collegata al recupero delle imposte evase ed in quest’ottica l’art. 12-bis introduce un sistema finalizzato a favorire l’adempimento del debito tributario prevedendo, a fronte di tali condotte, l’esclusione della confisca del profitto. Si precisa che si tratta di una disposizione che si inserisce nella più ampia logica del sistema penale tributario, nell’ambito del quale le condotte di ravvedimento, mediante pagamento del debito tributario, sono valorizzate anche al fine di escludere la punibilità del reato o di attenuarne la gravità (artt. 13 e 14 d.lgs. n. 74/2000). L’intero apparato sanzionatorio è calibrato in modo tale da tener conto – sia con riguardo alle conseguenze patrimoniali, che alla configurazione dell’attenuante speciale o della causa di non punibilità – dell’adempimento del debito, valorizzando la strumentalità dell’apparato penale rispetto all’esigenza di recupero delle imposte evase o non dichiarate. Una volta che l’adempimento è intervenuto, infatti, viene meno il rapporto di strumentalità necessaria tra il sequestro del profitto e l’esigenza di recupero delle imposte evase. Ne consegue che, ferma restando la sussistenza del reato, l’esigenza di disporre la misura cautelare reale viene necessariamente meno.
Pur condividendo la correlazione tra confisca per equivalente ed entità del debito transatto, la sentenza in commento pone alcune criticità nella parte in cui sostiene che la transazione fiscale, incidendo direttamente sulla quantità del debito tributario, rileva indirettamente anche sul profitto del reato laddove invece il profitto, inteso come vantaggio patrimoniale connesso alla violazione tributaria, dovrebbe essere ricostruito come nozione comune a tutti i reati oltre che come entità “quantitativamente” inalterata rispetto all’accordo. Nell’ambito di tale premessa si potrebbe sostenere che l’accordo di ristrutturazione ex art. 182 LF – alla stregua di tutte le altre forme di transazione – produce effetti anche sulla confisca per equivalente per scelta del Legislatore, che esercita la propria potestà retributiva sul piano penale (con la confisca per equivalente) nei limiti dell’accordo omologato dal giudice civile e tanto in ragione della specificità ed “accessorietà” del sistema penale tributario. Altro elemento di criticità è dato dalla rivendicata autonomia del giudice penale, di genesi giurisprudenziale, che viene ribadita – in modo intrinsecamente contraddittorio – con la sentenza in commento; autonomia che è stata invece scalfita da una precisa e meditata scelta normativa (art. 12 bis d.lgs. 74/2000) nella misura in cui a fronte di una confisca per equivalente pari all’ammontare del profitto del reato stabilito dal giudice penale in via autonoma rispetto all’Amministrazione finanziaria, un successivo accordo di ristrutturazione del debito con una pubblica amministrazione produce effetti quantitativi su una misura avente funzione sanzionatoria applicata dal giudice deputato all’accertamento del fatto-reato.
Una regressione di potere che trova la propria ragione nella strumentalità del processo penale rispetto all’obiettivo della riscossione che incide oggettivamente sull’autonomia e indipendenza del giudice penale.
- Gli effetti dell’accordo nei confronti dei coimputati.
La sentenza n. 44519/2024 ha un indubbio impatto pratico-professionale e va coordinata con l’adempimento eventualmente transattivo che viene operato dal soggetto giuridico diverso dalla persona fisica condannata che si è visto applicare la confisca per equivalente sui beni personali. Può il condannato chiedere al giudice dell’esecuzione la riduzione o la revoca della confisca in ragione dell’accordo transattivo adempiuto dal contribuente persona giuridica?
La risposta, in ragione della peculiarità del sistema tributario che vede nella repressione penale un ausilio per l’adempimento del debito tributario, non può che essere positiva. Difatti il condannato resta tale ma l’adempimento del debito tributario da parte dell’Ente non giustificherebbe una iniusta locupletatio che si determinerebbe se, a fronte di un accordo transattivo con l’Amministrazione finanziaria che cristallizza il quantum del debito tributario pagato dalla persona giuridica, si pretendesse di ritenere legittima la mancata restituzione in favore del condannato di beni aventi un valore eccedente l’accordo transattivo; con conseguenti criticità sul piano della duplicazione delle sanzioni e del principio di proporzionalità. Il “profitto tributario”, così come concordato, rappresenta il limite della confisca per equivalente e verosimilmente anche per quella diretta.
E ancora, il novellato art. 12 bis del d.lgs n. 87/2024 andrà coordinato con la sentenza a Sezioni Unite n. 12/2024 (Cass. Sez. un, u.p. 26 settembre 2024, Pres. Cassano, Est. Silvestri) di cui si attende la motivazione, in tema di confisca diretta e per equivalente e in materia di solidarietà passiva in caso di concorso di persone nel reato[9]Le Sezioni unite, con l’informazione provvisoria, hanno comunicato che «La confisca di somme di denaro ha natura diretta soltanto in presenza della prova della derivazione causale del bene rispetto al reato, non potendosi far discendere detta qualifica dalla mera natura del bene. La confisca è, invece, qualificabile per equivalente in tutti i casi in cui non sussiste il predetto nesso di derivazione causale. In caso di concorso di persone nel reato, esclusa ogni forma di solidarietà passiva, la confisca è disposta nei confronti del singolo concorrente limitatamente a quanto dal medesimo concretamente conseguito. Il relativo accertamento è oggetto di prova nel contraddittorio fra le parti. Solo in caso di mancata individuazione della quota di arricchimento del singolo concorrente, soccorre il criterio della ripartizione in parti uguali…». Se l’adempimento totale da parte dell’Ente del debito transatto non pone problemi in termini di effetti sui concorrenti nel reato, a contrario, si potrebbero porre criticità qualora l’adempimento sia stato solo parziale per spalmare in modo proporzionale alla quota del profitto “conseguito” il residuo debito sulle persone fisiche. Un dato è certo: la difesa avrà il compito di articolare un processo nel processo in cui sarà impegnata a dimostrare il limite del profitto conseguito dal coimputato[10].
*Componente Osservatorio Misure di Prevenzione e Patrimoniali UCPI
[1] 1 Cfr. A. CASSATELLA, Le ripercussioni del giudicato amministrativo di annullamento sul processo penale, in Dir. Proc. Amm., 2021, 492 ss.
[2] A. SALVATI, La selezione e la formazione della magistratura tributaria, in Rivista di Diritto Tributario www.rivistadirittotributario.it in supplemento online del 12 settembre 2023.
[3] S. RUGGERI, I rapporti tra processo penale e altri procedimenti nell’unità dell’ordinamento giuridico, in Dir. pen. con., 2015, 22 ss.
[4] V. MARZIALI, Web economy e accordi con l’Amministrazione finanziaria in Rivista Trimestrale di Diritto Tributario n. 2/2024.
[5] A. M. MAUGERI, La nozione di profitto confiscabile e la natura della confisca: due inestricabili e sempre irrisolte questioni di Anna Maria Maugeri in La Legislazione Penale del 17.01.2023.
[6] A.R. CIARCIA, Il ruolo dell’amministrazione finanziaria nella transazione fiscale IN Rivista Trimestrale di Diritto Tributario n. 1/2016.
[7] E. DELLA VALLE, Il trattamento dei crediti fiscali e previdenziali nella composizione della crisi in Rivista di Diritto Tributario supplemento online 23 gennaio 2025.
[8] A. MARCHE ZELLI, Imposta evasa, profitto del reato tributario, il mito del doppio binario della prova tra penale amministrativo e le nuove frontiere del profitto confisca abile di Alberto marche Zelli in Rivista di Diritto Tributario supplemento online DEL 01.06.2024.
[9] G. CIVELLO, Confisca per equivalente e concorso di persone: tra responsabilità individuale e “principio solidaristico in Archivio Penale del 12.01.2024.
[10] M. BIANCHI, Confisca e correità. Responsabilità in solido o quote individuali.? in Sistema Penale del 25 settembre 2024.